Soldi finiti in Svizzera per estinguere il debito di una società panamense. È su questa pista che indagano i pm di Milano impegnati a ricostruire i flussi finanziari della strana compravendita di un immobile a Cormano. Un capannone acquistato per 800 mila euro dalla Lombardia Film Commission, l’ente pubblico controllato dalla Regione Lombardia e presieduto, all’epoca dell’affare, dal commercialista salviniano Alberto Di Rubba, indagato per peculato insieme ai colleghi Andrea Manzoni e Michele Scillieri.
Riassunto delle puntate precedenti. A gennaio del 2018 Lombardia Film Commission compra il capannone di Cormano dall’Immobiliare Andromeda. Solo undici mesi prima, quest’ultima lo aveva acquistato per 400 mila euro: esattamente la metà. Di chi è Andromeda? Mistero: i titolari sono schermati da una fiduciaria italiana. Si chiama Fidirev ed è proprio su questo nome che si è concentrata l’attenzione degli investigatori. La pista che collega alla Svizzera la compravendita di Cormano ha preso forma nei giorni scorsi, dopo che il procuratore aggiunto Eugenio Fusco e il pm Stefano Civardi hanno ottenuto alcuni documenti dalla Fidirev. Così hanno avuto conferma che Andromeda, subito dopo aver incassato gli 800mila euro da Lombardia Film Commission, li ha girati a una serie di società collegate a Di Rubba e Manzoni. Non solo. Una parte di questi soldi – 260 mila euro – è finita sui conti di Luca Sostegni (nella foto), l’uomo fermato mentre tentava di fuggire in Brasile, ritenuto dai magistrati una delle “teste di legno” usate per l’operazione. Anche Sostegni, infatti, non ha tenuto i soldi fermi sul suo conto: li ha girati quasi tutti alla Fidirev. Perché? Indagando sulla fiduciaria, gli investigatori hanno scoperto che nello stesso periodo dei bonifici disposti da Sostegni, il conto intestato alla Fidirev riceveva altri soldi: 400 mila euro. Denaro che la fiduciaria ha inviato in Svizzera per estinguere il debito di una società panamense. Chi c’è dietro la panamense? E da dove nasce il suo debito? Visto che i conti della scatola offshore sono basati in Svizzera, i magistrati milanesi hanno appena inviato una rogatoria ai colleghi della Confederazione. In attesa di ricevere le carte, hanno fissato per il 25 agosto il prossimo interrogatorio con Sostegni.
Divieti. Salta il tavolo sulle discoteche. I gestori: “Abbassate l’aliquota Iva”
Lo Stop alle discoteche disposto dal ministro Speranza continua a far discutere, i gestori hanno fatto ricorso al Tar ma cercano di trattare con l’esecutivo su misure economiche.
Il confronto tra governo e gestori delle discoteche contro la chiusura per contenere i rischi di diffusione del coronavirus finisce in tribunali. Il Silb Filp, l’associazione delle imprese di intrattenimento da ballo, ha presentato ricorso al Tar del Lazio contro l’ordinanza del ministro della Salute che impone lo stop alle danze. Il ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli ha spiegato al Silb che il tavolo di confronto riprenderà quando il Tar avrà deciso sul ricorso. All’incontro in videoconferenza era presente anche Stefano Bonaccini, presidente della Conferenza delle Regioni.
“Il governo si è scordato di questo settore. Abbiamo detto a Patuanelli che siamo disposti a ritirare il ricorso se ci sarà un impegno per aiutare le discoteche che non hanno più riaperto dal 23 febbraio”, ha detto il presidente del Silb Maurizio Pasca. “Parliamo della stragrande maggioranza dei locali mentre il tavolo riguardava solo i danni subiti da chi ha riaperto dopo il 13 giugno e ora è stato costretto a richiudere, il 20% dei locali”.
Il Silb chiede misure fiscali: “Siamo gli unici operatori dello spettacolo che pagano l’Iva al 22% sugli ingressi e sulle consumazioni, mentre tutti gli altri versano il 10%. Con l’imposta intrattenimento del 16% e i diritti d’autore Siae del 10%, la fiscalità incide per il 48% dei nostri ricavi. Chiediamo un riallineamento con il resto del settore”, spiega Tasca.
Le scuole a rischio chiusura se ci sono infetti. Ipotesi test
A meno di due settimane dal ritorno a scuola, a far discutere è soprattutto la gestione di alunni, docenti o membri del personale che dovessero risultare positivi. In base alle linee guida messe a punto in queste ore dall’Istituto superiore di sanità, in caso di contagio limitato a un singolo alunno, la sua classe di appartenenza dovrà essere messa in quarantena in attesa del tampone e andare avanti con la didattica a distanza per 14 giorni. Si valuta anche la possibilità di sottoporre i sospetti a test molecolari rapidi, accorciando i tempi di attesa del risultato rispetto al normale tampone. Intanto, il viceministro della Salute Pierpaolo Sileri precisa che se si trova un positivo a scuola “si faranno i controlli a tutte le persone intorno e si disporrà temporaneamente la chiusura”. Poi, una volta identificati i positivi, “la scuola potrà ripartire”.
Ma ci sono anche altre incognite in cerca di riposta da parte del governo e del Comitato tecnico-scientifico. A partire dai banchi: se i nuovi monoposto non arriveranno in tempo, nelle aule potrebbe non esserci spazio per migliaia di studenti (le stime arrivano fino a 20 mila). In questi casi, dirigenti scolastici ed enti locali dovranno trovare “soluzioni-ponte” alternative, spazi pubblici o tensostrutture che però, soprattutto al Sud, ancora non si vedono. Solo in casi residuali si potrà derogare al distanziamento. Oggi ci sarà una riunione con la ministra Azzolina, il Commissario Arcuri.
A riunirsi sempre oggi sarà anche il Comitato tecnico scientifico (Cts) che si confronterà una prima volta sulle regole per la riapertura: distanze tra studenti, regole sui mezzi pubblici, procedure in caso di contagio e, soprattutto, obbligo o meno di mascherina anche nelle classi (oltre che negli spazi comuni). Quest’ultimo, però – come già fatto intendere – è da considerarsi una misura “emergenziale” nel caso sia impossibile mantenere il metro di distanza. Il protocollo definitivo arriverà soltanto dopo la riunione del 29 agosto. E il ritorno a scuola potrebbe pure non esserci per tutti: a seconda dell’andamento di Rt, l’indice di riproduzione del virus, in alcune Regioni si valuta di ricorrere a una quota di didattica a distanza (anche se l’obiettivo del governo resta il rientro in presenza al 100%). Ieri, in un’intervista al Messaggero, il consigliere del ministero della Salute Walter Ricciardi si è spinto a dire che se il numero dei contagi continuerà a crescere, “c’è il rischio che non riaprano le scuole”, perché potrebbero diventare “fonte di nuovi focolai”.
E sempre sul tema delle positività a scuola, sui social – e sul quotidiano La Verità– è circolata la voce che gli studenti contagiati sarebbero stati “prelevati” e messi in isolamento direttamente dalle aziende sanitarie locali, senza consultare i genitori. Notizia smentita seccamente dal ministero dell’Istruzione, che ha ricordato come già nel protocollo d’intesa firmato con i sindacati lo scorso 6 agosto si preveda esattamente il contrario. E cioè: “In caso di comparsa di sintomi suggestivi di Sars-CoV-2, la persona dovrà essere isolata e si dovrà provvedere al ritorno, il prima possibile, al domicilio, per poi seguire il percorso già previsto”. Sono da considerare fake news, scrive il Ministero, “tutte quelle notizie che riportano che l’alunno o lo studente possano venire affidati all’autorità sanitaria”. Per l’isolamento dovrà essere predisposta un’aula apposita e ogni scuola dovrà avere un proprio medico di riferimento.
Poi c’è anche la responsabilità dei dirigenti scolastici rispetto ai contagi. L’Associazione nazionale presidi ha chiesto che l’attuazione del protocollo valga “come esimente dal punto di vista penale”. Trovando sponda nel viceministro Sileri: “Ci dovranno essere degli sgravi”. Un possibile punto d’incontro è l’individuazione di un “referente Covid” per ogni istituto, responsabile dell’applicazione del protocollo.
Malpensa aeroporto senza tamponi
Il volo Wizz 5546 da Zante (Grecia) tocca la pista dell’aeroporto di Malpensa con 10 minuti di ritardo. L’aereo è pieno e i passeggeri, ritirati i bagagli, si affrettano verso l’uscita. Nessuno li blocca. Nessuno li avverte che rientrando nella categoria dei “provenienti dai cosiddetti Paesi a rischio” (Malta, Grecia, Spagna e Croazia), dovrebbero essere immediatamente sottoposti al tampone. Così impone l’ordinanza emessa dal ministero della Salute il 12 agosto scorso. E così accade in quasi tutti gli aeroporti italiani, dai più grandi come Fiumicino, ai minori, come Verona. Unica eccezione gli scali milanesi: a Linate i tamponi non si faranno mai per carenza di spazi idonei a ospitare i gazebo sanitari.
A Malpensa si inizierà da domani a testare i passeggeri, ma solo alcuni, assicura la Regione Lombardia travolta dalle polemiche, grazie alle tre tensostrutture che verranno montate nel parcheggio dei dipendenti davanti all’ingresso 1. Fino a ieri pomeriggio, però, di tendoni e personale all’opera non v’era traccia.
“Apriremo nelle prossime ore tre postazioni per fare i tamponi che sono residuali rispetto alla prenotazione e servono soprattutto per quei turisti che magari non riusciamo a rintracciare e che sono spagnoli, greci o croati e che è quindi meglio recuperare in aeroporto”, ha assicurato ieri l’assessore regionale al Welfare Giulio Gallera. Ciò che l’assessore tace è che quel presidio garantirà non più di 500 tamponi al giorno nell’arco di 8 ore. Un’inezia, se si considera che solo ieri dai “Paesi a rischio” si sono registrati oltre 4.450 sbarchi e che nei prossimi giorni raddoppieranno. E mentre Gallera promette che si farà, il Terminal 1 dello scalo varesino resta un deserto senza regole né controlli. Non c’è personale Sea (la società che gestisce gli aeroporti lombardi) a indicare le nuove disposizioni e a sorvegliare sul corretto uso delle mascherine; non ci sono i volontari della Croce Rossa che accolgono i potenziali positivi, né cartelli in inglese. E così, i passeggeri “a rischio”, defluiscono indisturbati, dirigendosi verso i convogli di Trenord o sui bus che fanno la spola tra gli altri aeroporti lombardi e la stazione Centrale. Con buona pace di ogni filtro di sicurezza. “Non conta da dove arrivino i passeggeri – spiega un’impiegata di Trenord – l’importante è che indossino sempre la mascherina”.
Per Gallera però va tutto bene: “La situazione è sotto controllo e in questi giorni è anche migliore rispetto ad altre regioni come Lazio e Veneto. Grazie ai grossi sforzi e alle regole date da noi, oggi (la Lombardia, ndr) è a livello di Regioni che non hanno vissuto quella grossa ondata che abbiamo vissuto noi”, ha dichiarato ieri ai microfoni di Rtl. E ha anche aggiunto rivolto ai turisti di ritorno: “La via privilegiata è quella di prenotare il tampone andando sui siti della Ats, è molto semplice, viene data una risposta in poche ore con l’indicazione, si può fare anche dall’estero prima di rientrare per evitare code e assembramenti”.
Un buon consiglio, peccato che chi ci ha provato, chiamando dall’estero il numero verde, si è trovato davanti a ostacoli insormontabili: “Ho chiamato dalla Grecia, ma zero risposta. Ho atteso 11 minuti e niente. Centralino occupato. Abbiamo saputo (dei tamponi, ndr) perché ci è stato mandato un link dagli amici”, racconta una giovane bresciana appena atterrata con le amiche. “Ho chiamato l’Ats, ma non mi hanno risposto”, aggiunge una mamma sbarcata con marito e due figli piccoli dalla Spagna, “allora ho contattato alcuni laboratori privati, ma hanno detto che erano chiusi per Ferragosto e se ne riparlava dopo il 23 agosto”.
E così, chi arriva ed è stato avvertito delle limitazioni, si adegua e manda la mail (senza ottenere dal sistema alcun riscontro della ricezione), comunicando località visitata, data di rientro, codice fiscale e numero di telefono. Da lì entra in un limbo di attesa, sapendo, come avverte lo stesso sito Ats, che “considerato l’alto numero di richieste pervenute non programmabili, l’attesa potrebbe essere di qualche giorno”. Per capirci, solo nello scorso weekend le segnalazioni ricevute da Ats Milano sono state 11 mila, delle quali 10 mila ancora da smaltire. Un numero destinato a esplodere con i ritorni di fine agosto. Nel frattempo, consiglia sempre il Pirellone, il passeggero e i suoi familiari dovrebbero limitare il più possibile uscite e contatti (anche quelli domiciliari). Uscite che però non sono vietate e, quindi, chi volesse mettersi in quarantena volontaria, non si vedrebbe riconosciuti i giorni di assenza dal lavoro come malattia.
Ma la responsabilità di questa disorganizzazione di chi è? Sicuramente non di Regione Lombardia, sostiene Gallera, il quale ieri ha gettato pubblicamente la croce addosso a Sea e Usmaf (Unità di sanità marittima, aerea e di frontiera): “Il tema degli aeroporti – ha spiegato – è legato al fatto che i gestori degli aeroporti sono Sea e la sanità aeroportuale è gestita dagli Usmaf (che è il Ministero della Salute), a cui noi avevamo chiesto se erano in grado di attivare la realizzazione dei tamponi già dal 14 agosto e, di fronte alla loro dichiarazione che non avevano uomini, che non avevano test, è chiaro che siamo corsi in soccorso a chi doveva essere principalmente deputato a fare questa attività”.
Sarà ma altrove i test li fanno le Asl, che dipendono dalle Regioni. E la società aeroporturale smentisce: “Sea non ha alcuna responsabilità nella tempistica con cui si sono organizzati i presidi sanitari per l’effettuazione dei tamponi in aeroporto. La società si è immediatamente messa a disposizione degli enti competenti per l’individuazione e l’allestimento delle aree da dedicare a tale attività. Pertanto nessun eventuale ritardo nell’esecuzione dei tamponi può essere imputato a Sea che, in qualità di gestore aeroportuale, non può far altro che essere di supporto logistico alle autorità sanitarie».
E mentre in Lombardia si litiga, nel resto degli scali italiani si fanno i tamponi e si trovano i positivi: ieri sono stati 15 i casi individuati a Roma Fiumicino grazie ai test rapidi, altri 12 a Ciampino. Molti rientravano da Malaga (Spagna), altri da Mykonos e Salonicco. Altri quattro a Torino Caselle. E sempre da ieri tamponi anche per i passeggeri che atterrano a Catania, a Palermo e a Cagliari Elmas. Oggi si partirà anche a Olbia. Insomma, tamponano tutti, tranne la Lombardia di Gallera.
A Pomigliano il prof. giallorosa
Nella notte la fumata bianca: a Pomigliano d’Arco, la città di Luigi Di Maio, si chiude l’accordo Pd-M5s sul nome del professore Gianluca Del Mastro. Coalizione di 10 liste, e c’è già chi parla di “laboratorio politico”.
La politica vive e si nutre anche di simboli e simbologie, e quindi non è un caso che la prima alleanza Pd-M5S del dopo Rousseau si chiuda nella città del ministro Luigi Di Maio. Accade a Pomigliano d’Arco (Napoli), dove la quadratura del cerchio si realizza sul professore di Papirologia Gianluca Del Mastro, 46 anni, presidente della Fondazione Ville Vesuviane, nominato da Alberto Bonisoli e confermato da Dario Franceschini, ente culturale con sede a Villa Campolieto (Ercolano) che ricomprende dieci comuni del napoletano dai variopinti colori politici.
Del Mastro guiderà una coalizione di dieci liste. Una alleanza giallo-rosa con un tocco di rosso: c’è infatti anche la civica di sinistra Rinascita, un gruppo di giovani dove si colloca il meno giovane ex sindaco bassoliniano Ds-Pds-Pd Michele Caiazzo, che è uno tra i più entusiasti dell’operazione: “Del Mastro ha tutte le caratteristiche per fare bene”. E c’è già chi parla di nuovo ‘laboratorio politico’, come il senatore Sandro Ruotolo, anche se un altro nome storico della sinistra locale, l’ex vice di de Magistris Tommaso Sodano, invita alla prudenza: “Si parla con troppa enfasi di laboratorio, aspettiamo i programmi e i confini della coalizione”. Dove pare stia per entrare pure una lista civica, ‘Nuove Generazioni’, appena sfilatasi dal centrodestra di Elvira Romano.
La candidatura di Del Mastro è nata nella notte tra lunedì e martedì dopo il passo indietro di un fedelissimo di Luigi Di Maio, Dario De Falco, consigliere del sottosegretario Riccardo Fraccaro. “Il mio passo indietro – ha scritto De Falco – ne farà fare parecchi avanti alla mia Città!”. De Falco proviene da quel nucleo di amici che insieme a Di Maio ha frequentato il Liceo Imbriani di Pomigliano e che in seguito hanno fatto carriera all’ombra dell’ex capo politico del M5S. Forse il suo nome era troppo ingombrante per convincere il Pd. Una curiosità: il Liceo Imbriani ricorre anche nel curriculum di Del Mastro, che nei primi anni 2000 ha insegnato qui. “Lei mi chiede se sono stato professore di Di Maio? No (ride) ma lo conosco e tra noi c’è una consuetudine. Non l’ho sentito personalmente ma ho saputo del suo gradimento per la mia scelta. Se il laboratorio Pomigliano può essere esportato anche altrove? La nostra intenzione è farlo funzionare bene qui e se questo dovesse accadere potrebbe diventare fonte di ispirazione in tutta Italia” dice Del Mastro che ricorda l’amicizia e la stima di tutti i sindaci dell’Ente Ville Vesuviane. A cominciare da quello di Ercolano, il renzianissimo Ciro Buonajuto, “uno dei miei migliori amici”. Peccato che Italia Viva si sia sfilata dall’accordo di Pomigliano.
Bonaccini scala il Pd e flirta con tutti (da Zaia a Renzi)
“L’importante è rafforzare l’azione e il profilo del governo”. Stefano Bonaccini, lanciatissimo governatore dell’Emilia Romagna, lo ribadisce continuamente. Se nell’esecutivo dovesse entrare il segretario del Pd, Nicola Zingaretti, il congresso Dem ne sarebbe una conseguenza quasi naturale. E che Bonaccini sogni da sempre quel ruolo non è un segreto. Ha cominciato davvero a lavorarci dal minuto dopo la vittoria alle Regionali di gennaio, dove, ottenendo il secondo mandato, ha sconfitto il sovranismo in ascesa.
In questi mesi si è ulteriormente rafforzato. Nell’emergenza Covid è stato sempre in prima linea. Sua la decisione di chiudere Medicina (alle porte di Bologna), la notte tra il 14 e il 15 maggio. Ora ha l’ingrato compito di gestire la chiusura delle discoteche in una Regione in cui sono una vera tradizione: non si è opposto, ma ha chiesto più risorse per far fronte al danno economico.
Il Covid ha portato alla ribalta il ruolo dei governatori. E lui ha scelto i compagni di strada. Tanto è duro contro Matteo Salvini, tanto conciliante con Zaia. Entrambi autonomisti convinti (più light la proposta emiliana, più strong quella veneta) durante il lockdown si sono sentiti ogni giorno, elaborando strategie comuni e facendo pressing sul governo.
Quando il vice segretario dem Andrea Orlando ha dichiarato che forse era “il caso di far tornare in capo allo Stato centrale competenze come la Sanità”, Zaia e Bonaccini hanno risposto all’unisono. Per il leghista “un’uscita improvvida” mentre il dem ha parlato di “ingegneria istituzionale cui non frega niente ad alcuno”. A fine maggio il governatore emiliano-romagnolo in un’intervista al Corriere della Sera elogia il governatore verde: “Io e Zaia siamo sullo stesso fronte, questa crisi non è di destra né di sinistra”.
Incisivo nel dibattito nazionale: sul referendum per il taglio dei parlamentari si è schierato per il “sì”, mentre i vertici Pd sono fermi sul “ni”. Tra i primi a insistere sul ricorso al Mes.
Il suo cerchio magico si riunisce in una chat. Ci sono Andrea Rossi, deputato Pd, l’uomo macchina della sua campagna elettorale, di Base Riformista (la corrente di Luca Lotti e Lorenzo Guerini), Davide Baruffi, Sottosegretario alla Presidenza della Giunta, il portavoce Federico Del Prete e Paolo Rambaldi, il capo ufficio stampa. C’è anche Marco Agnoletti, che gli cura i rapporti con tv e giornali nazionali. Ex portavoce di Matteo Renzi, la scelta è guardata con sospetto dagli “Zingaretti boys”. I due leader ostentano buoni rapporti, i fedelissimi sono in chiaro antagonismo. Bonaccini, però, mantiene le porte aperte a tutti e non si concede a nessuno. Porta avanti la relazione con Guerini, ma non si fa inglobare nella sua corrente. Sente spesso i ministri dem, a partire da Dario Franceschini e Paola De Micheli. Ma anche i suoi referenti delle origini, Pier Luigi Bersani e Vasco Errani. Mantiene un dialogo con Conte e interloquisce con Di Maio. Con Max Bugani ha cercato di indirizzare le candidature per le Regionali verso scelte coerenti con l’alleanza di governo. È già andato a Firenze a sostenere la candidatura di Eugenio Giani e ha iniziato un tour elettorale. Last but not least resta in ottimi rapporti con Renzi: tanto che c’è chi lo ritiene il suo cavallo di Troia per il congresso. “Non sarà così determinante Matteo”, sminuiscono i suoi. Piuttosto si racconta che stia cercando di riportare nel Pd Isabella Conti, sindaca di San Lazzaro con record di preferenze. Perché il Bruce Willis della Bassa (soprannome che gli diede Renzi) è una potenza: ha eclissato gli assessori della giunta, così come Elly Schlein, giovane vicepresidente. La scalata è dietro l’angolo.
La campagna jellata di quelli del No
C’è chi dileggia i promotori del “No” (“vincetelo ora il referendum”), chi usa l’hashtag #iovotono per lanciare il suo opposto (#iovotosì) e chi azzarda addirittura un complotto – quello dei cinque parlamentari che hanno chiesto il bonus da 600 euro – per tirare la volata al “Sì”: “#Votono perché sono contrario agli scandali a orologeria” è stata la formula usata da diversi account anonimi su twitter nei giorni scorsi.
Che sfortuna. Non poteva esserci periodo peggiore per far partire la propaganda social per il “No” al referendum sul taglio dei parlamentari. E invece così è stato. Negli ultimi giorni, proprio in concomitanza con lo scandalo dei cinque furbastri, gli attivisti del “No” hanno coniato tre hashtag ufficiali – #iovotono, #iovotoNo_referendum2020 e #iovotoNotaglioParlamentari – ma sono stati un flop: oltre a uno sparuto numero di attivisti e politici contrari al taglio di 345 eletti, su Facebook e Twitter gli hashtag non sono mai andati in tendenza (la lista degli argomenti più dibattuti) e hanno fatto registrare numeri molto bassi. La media giornaliera dell’hashtag #iovotono su Twitter è di circa 800 cinguettii, con una media di 58 all’ora. Un po’ pochi, considerando che molti di essi vengono prodotti sempre dagli stessi utenti e rilanciati da diversi account vicini ai comitati.
Non solo: l’hashtag per il “No” al taglio dei parlamentari si è trasformato presto in un boomerang per i contrari alla riforma costituzionale. Molti lo hanno usato per schernire i difensori della “rappresentanza” e dell’attuale Parlamento, proprio nel momento in cui esplodeva il caso dei furbi del bonus. “Se questa è la caratura morale dei nostri rappresentanti, andiamo proprio bene. Provate a vincerlo ora il referendum” twittava Matteo M. il 9 agosto. “Dopo questa porcata, nessuno potrà più farmi cambiare idea sul prossimo referendum. #iovotosi” era la replica di un utente ai promotori del “No”. E ancora, parola di Filippo: “Dopo questo #iovotosi”. Infine alcuni hanno fatto notare l’incoerenza dei difensori del “No”, molti dei quali avevano deciso di votare “Sì” al referendum costituzionale del 2016 che, secondo il motto renziano, serviva proprio a “diminuire le poltrone”. Non proprio il tipo di propaganda che si aspettavano i contrari alla riforma costituzionale.
Poi c’è anche chi ha utilizzato gli hashtag per fare ironia e deviare dall’argomento. “#iovotono a Capodanno e a Ferragosto” cinguettava Laura il 14 agosto mentre un’altra utente consigliava sarcasticamente alla Lega di passare con il “No” per “salvaguardare la poltrona a tanti amici”.
Anche i dati sulle tendenze delle ricerche su Google sono impietosi per i comitati del “No”. Nelle prime due settimane di agosto, il motore di ricerca di Mountain View ha evidenziato un’impennata del numero di volte in cui sono state digitate le parole: “taglio parlamentari”, “referendum”, “referendum taglio parlamentari”. Il tutto mentre l’ultimo sondaggio di Affaritaliani.it, realizzato nel pieno dello scandalo dei furbi del bonus (14-17 agosto), prevede una vittoria schiacciante del “Sì” (72-28%). Qualche hashtag non basterà a ribaltare la situazione.
Bonus, la lettera dei deputati per fare pressing su Tridico
La Camera insiste: l’Inps deve chiarire se saranno resi noti o meno i nomi dei deputati che hanno chiesto il bonus Covid da 600 euro destinato alle Partite Iva. È questo il senso di una mail inviata ieri dalla Commissione Lavoro di Montecitorio a Pasquale Tridico, il presidente dell’ente previdenziale già audito nella stessa Commissione prima di Ferragosto.
Allora la seduta si era chiusa con un nulla di fatto: Tridico non aveva fatto i nomi dei parlamentari coinvolti, riservandosi di chiedere un approfondimento all’Autorità Garante per la privacy. Il quale ha poi rimbalzato la responsabilità all’ente stesso, ribadendo però che non soltanto possono essere resi pubblici i nomi dei deputati che hanno ricevuto i 600 euro – che sono già noti per altre vie: Andrea Dara e Elena Murelli della Lega e Marco Rizzone del M5S – ma anche quelli dei due parlamentari che hanno chiesto i soldi senza ottenerli, oltreché di tutti i consiglieri regionali coinvolti.
Ora, mentre l’Inps prende tempo, la Commissione sollecita Tridico a dare risposte: “La presidente della Commissione Debora Serracchiani – si legge nel testo inviato da Montecitorio – ha preso visione del nuovo parere reso, in data 17 agosto, dal Garante. Alla luce delle indicazioni dallo stesso fornite, le chiediamo cortesemente di comunicare quali siano le determinazioni che l’Istituto da lei presieduto intende assumere, anche in relazione a quanto richiesto e convenuto in sede di audizione informale dello scorso 14 agosto”. Tradotto: l’Inps dica come intende procedere.
Ora l’ente potrebbe ritenere non sufficiente il parere del Garante, temendo Tridico ripercussioni legali per eventuali passi in avanti non del tutto tutelati dall’Authority. Oppure l’Inps potrebbe decidere di rendere pubblici tutti i nomi e a quel punto la Commissione potrebbe essere una sede adatta (ma non certo l’unica).
A spingere per una nuova audizione di Tridico c’è tra gli altri Renata Polverini, vicepresidente della Commissione in quota Forza Italia: “Ci aspettavamo un parere più netto da parte del Garante, ma possiamo riproporre le nostre domande al presidente Tridico e vedremo se rimbalzerà di nuovo la responsabilità all’Autorità. Io, per esempio, avevo chiesto se fossero coinvolti anche presidenti di Regione, senza ottenere risposta”.
Così anche Walter Rizzetto di Fratelli d’Italia, che però pone un problema pratico: “La sede più adatta sarebbe la Commissione, il problema è che la video-conferenza talvolta è un disastro”. Il riferimento è a ripetuti guai tecnici che hanno condizionato la prima audizione: “Forse per i primi di settembre riusciremmo ad avere una seduta in presenza, magari richiedendo la presenza anche del Garante per fare chiarezza definitivamente. Certo, si andrebbe un po’ in là con i tempi…”.
Alla richiesta non dovrebbe opporsi il Movimento 5 Stelle, che però è in una situazione complicata, a metà tra l’incalzare Tridico per avere i nomi e il difendere il presidente dalle opposizioni (e da parte della maggioranza) che ne chiedono le dimissioni per la fuga di notizie e per le maglie larghe dell’erogazione del bonus. Così Claudio Cominardi spiega di voler “far luce su tutti i soggetti che hanno tentato di frodare lo Stato chiedendo la cassa integrazione e facendo comunque lavorare i dipendente”, senza comunque opporsi a una nuova audizione anche sul tema dei parlamentari: “Facciamolo pure, nessun problema, il M5S è stato il primo a chiedere trasparenza”.
Ben più tiepida è semmai la dem Chiara Gribaudo: “Richiamare Tridico mi interessa fino a un certo punto, pur essendo grave il comportamento dei deputati coinvolti. Bisogna invece riflettere sugli errori nell’erogazione del bonus, che avevo più volte fatto notare, e sulle tempistiche con cui è emerso questo scandalo, a ridosso del referendum sul taglio dei parlamentari”.
Marche, trattativa a oltranza. In Puglia ‘mission impossible’
Le Marche come l’Ohio. Nicola Zingaretti e Luigi Di Maio sono convinti che la piccola regione del centro-Italia sarà l’ago della bilancia alle prossime regionali e quindi fondamentale per la tenuta del governo. Non solo: un accordo, e una vittoria contro Francesco Acquaroli (FdI), potrebbe dare la spinta alla nuova alleanza Pd-M5S certificata venerdì scorso dagli iscritti su Rousseau, anche se solo a livello locale. Per questo la trattativa tra Luigi Di Maio e Nicola Zingaretti va avanti sottotraccia anche se rimane tutta in salita. Oggi può essere la giornata decisiva ma va superato uno scoglio imponente: quello dei parlamentari marchigiani che, dopo 25 anni di governi di centrosinistra, non riescono a digerire l’alleanza con il candidato dem Maurizio Mangialardi.
Le Marche potrebbero essere, insieme alla Liguria, l’unica regione dove i giallorosa correranno insieme alle elezioni del 20-21 settembre. Nelle altre quattro in cui si andrà al voto non ci sono state le condizioni per un patto organico: oltre al Veneto dove Pd e M5S corrono con candidati di bandiera contro il dominio di Luca Zaia, il M5S non avrebbe potuto accettare né il renziano Eugenio Giani in Toscana né il governatore uscente Vincenzo De Luca in Campania. Proprio qui, a inizio anno, i 5 Stelle avevano lanciato l’amo ai dem per correre insieme – il ministro dell’Ambiente Sergio Costa – ma alla fine il Pd e i renziani si sono piegati allo strapotere di De Luca. All’accordo invece si è arrivati, dopo mesi di trattative estenuanti, in Liguria dove Pd e M5S erano aiutati dalla comune opposizione a Giovanni Toti: contro di lui corre il giornalista del Fatto Ferruccio Sansa che nei giorni scorsi ha ricevuto la benedizione di Giuseppe Conte sotto al nuovo ponte Morandi. Sembra chiusa invece la partita della Puglia, terra di origine del premier, dove per settimane il Pd (e anche qualche big M5S) ha chiesto alla candidata grillina Antonella Laricchia di ritirarsi per sostenere Michele Emiliano, ma non c’è stato nulla da fare. I due correranno separati per provare ad arginare la destra di Raffaele Fitto con la soluzione del voto disgiunto: chiedere agli elettori pentastellati di votare per Emiliano presidente e allo stesso tempo la lista del M5S.
L’ultima trattativa aperta rimane quella delle Marche. Anche se i 5 Stelle locali continuano a negare qualsiasi contatto, i vertici di M5S e Pd stanno trattando su due temi: gli assetti e il programma. Sul primo punto, le ipotesi sul tavolo sono: o il ticket tra i candidati Mangialardi (presidente)-Merorelli (vice) o l’assessorato alla Sanità al M5S come segno di discontinuità rispetto al governo di Luca Ceriscioli. Sul programma, oltre alla sanità pubblica, l’accordo potrebbe arrivare su un piano “di rinascita” delle Marche con i soldi del Recovery Fund e sulle infrastrutture. I parlamentari M5S però smorzano: “L’intesa è improbabile” dice al Fatto il facilitatore Giorgio Fede. Anche il candidato Mercorelli ieri ha lanciato la proposta provocatoria : “Convergano sul M5S” ha detto chiudendo al Pd. Ma la trattativa va avanti. A oltranza.
“M5S e Pd, allearsi nelle Regioni è un’occasione da non sprecare”
Presidente Conte, manca un mese alle elezioni regionali e ancora si discute di possibili alleanze fra 5Stelle e centrosinistra in Puglia e nelle Marche. Lei che ne pensa?
“Trovo ragionevole che le forze politiche che sostengono il governo provino a dialogare anche a livello regionale. In Puglia e nelle Marche presentarsi divisi espone al rischio di sprecare una grande occasione. Una sinergia anche a livello territoriale può imprimere una forte spinta per realizzare le strategie del Green deal, dell’innovazione digitale, degli investimenti nelle infrastrutture, negli asili nido e nelle scuole. E poi queste elezioni regionali coincidono con un appuntamento storico per l’Italia. Stiamo elaborando un Recovery Plan, finanziato con ingenti fondi europei, che costituisce la più grande opportunità per le nuove generazioni dal secondo dopoguerra a oggi. Le Regioni saranno coinvolte in questi progetti e diventeranno anche dei centri di spesa. Ovviamente il governo non farà distinzioni di colore politico nei confronti dei governi regionali. Ma le forze di maggioranza dovrebbero avere tutto l’interesse a competere al meglio per essere protagoniste in questa partita anche a livello regionale”.
Perché mai i 5Stelle in Puglia dovrebbero appoggiare Emiliano che hanno combattuto per 5 anni in Regione e, ancora prima, come sindaco di Bari?
È comprensibile che dopo anni vissuti politicamente gli uni contro gli altri armati, si accumulino contrasti e forse anche incomprensioni. Ma la politica impone di mettere sempre il bene dei cittadini al di sopra degli interessi di parte, affrontando le sfide con coraggio e generosità. Bisogna esprimere una visione strategica e guardare ai bisogni delle comunità locali non più con le lenti del passato, ma con il binocolo del futuro.
Emiliano, per la base M5S, è troppo trasformista e incline a strizzare l’occhio a destra.
Non scendo nei giudizi personali e non entro nelle valutazioni delle singole situazioni locali. Sono certo però che, se ci si sedesse intorno a un tavolo, si potrebbero affrontare tutte le questioni e potrebbe nascere un deciso miglioramento delle liste, dei programmi, delle strategie politiche.
Quali punti programmatici potrebbero indurre il M5S pugliese a rivedere la sua corsa solitaria?
Un obiettivo tra i tanti: la transizione energetica, che è un’assoluta priorità per la Puglia. Pensiamo a Taranto.
Anche nelle Marche, centrosinistra e M5S han già lanciato i loro candidati alla presidenza: che dovrebbero fare, secondo lei?
Anche lì, sedersi attorno a un tavolo: dal confronto può scaturire un progetto politico più rafforzato e più competitivo.
A quale candidato pensa?
Non è mio compito dare indicazioni sulle candidature. Ma confido che si possa dialogare senza irrigidimenti.
Che senso ha che il Pd chieda l’appoggio dei 5Stelle ai propri presidenti e poi scomunichi le sindache grilline Raggi e Appendino?
Le scomuniche sono frutto delle fratture del passato. Il dialogo va coltivato a tutto campo e deve coinvolgere anche le candidature dei sindaci, lavorando di volta in volta alla soluzione più competitiva e preferibile in una logica di alleanza e di interesse generale.
Non teme, intervenendo direttamente nella campagna elettorale delle Regionali, di sovraesporre il governo? D’Alema lo fece 20 anni fa e gli portò male.
Sono elezioni regionali, non politiche. Ne abbiamo già affrontate in passato. Non si tratta di dare un voto al governo. Ma ritengo legittimo auspicare che le forze di maggioranza trovino il modo di collaborare anche a livello regionale.
Se questa partita è così importante, perché non muoversi prima? Non è tardi, alla vigilia della presentazione delle liste?
Il voto sulla piattaforma Rousseau di qualche giorno fa è stato un passaggio importante. L’apertura che gli iscritti dei 5Stelle hanno dato alle alleanze anche con partiti tradizionali favorisce una svolta e apre nuovi scenari.
L’altro giorno a Genova ha incontrato Ferruccio Sansa. Farà campagna elettorale?
Il mio ruolo di presidente del Consiglio mi impedisce di fare campagna elettorale. Per come la intendo io, la campagna elettorale richiede un confronto diretto e costante con le persone chiamate a votare. Se mai potessi, farei una campagna molto tradizionale: mi fermerei a parlare con gli elettori, guardandoli negli occhi e cercando di capire meglio i loro bisogni. Meno convegni e più strada.
Passiamo al governo: avete fatto un bel pasticcio sulle discoteche. Prima chiuse, poi riaperte, poi richiuse.
Il governo non ha mai autorizzato l’apertura delle discoteche. Abbiamo sempre ritenuto impensabile che in una discoteca si possano mantenere distanze e indossare le mascherine. È chiaro che sono luoghi privilegiati di diffusione del contagio. Alcune Regioni, tuttavia, hanno voluto adottare protocolli sanitari ritenendoli compatibili con la riapertura delle discoteche. Abbiamo lasciato fare per alcuni giorni, ma quando abbiamo constatato che la curva epidemiologica rischiava di risalire siamo intervenuti e in Conferenza delle Regioni abbiamo, ancora una volta, dato tutti prova di grande collaborazione, convincendo anche i presidenti regionali più riluttanti a disporre la chiusura. Con l’occasione, abbiamo garantito un intervento di sostegno finanziario per tutti gli operatori del settore.
Cosa pensa del caos-tamponi negli aeroporti lombardi?
Tutte le realtà che ospitano aeroporti internazionali si stanno organizzando per fare tamponi non solo nelle aziende sanitarie, ma anche direttamente negli aeroporti. A Fiumicino, ma anche a Venezia, le cose vanno bene. Con queste procedure sono stati individuati già diversi casi positivi. Confidiamo che anche negli aeroporti della Lombardia si possano fare presto questi test.
Nuovi allarmi dal mondo della scuola, in vista della riapertura del 14 settembre: si teme di non riuscire sul serio a riavviare le lezioni in ordine e in tempo.
Il governo, la Protezione civile, i sindaci e i presidenti delle Province, gli uffici scolastici regionali e i dirigenti scolastici stanno profondendo il massimo impegno per garantire il rientro a scuola in condizioni di massima sicurezza. È una sfida molto impegnativa per il Paese, perché coinvolge oltre 10 milioni di persone. Per capire le difficoltà basti pensare che in Italia si producono 200 mila banchi all’anno mentre in soli due mesi ne abbiamo reperiti 2 milioni e 400mila, cercandoli in lungo e in largo in Europa. Tra qualche giorno verrà diffuso il piano di consegna delle nuove attrezzature scolastiche. Abbiamo investito nella scuola oltre 2,9 miliardi di euro solo per la riapertura di settembre, i lavori di edilizia scolastica, l’affitto di nuovi spazi, i patti di comunità e le varie attrezzature. Rinforzeremo l’organico scolastico con 70mila assunzioni a tempo determinato. Sono state inoltre autorizzate 97mila assunzioni a tempo indeterminato di docenti, personale ATA e dirigenti scolastici. Con il meccanismo della call veloce, voluto fortemente da questo governo, consentiremo a chi lo desidera spostamenti più veloci per raggiungere il ruolo preferito.
A che punto siete col Recovery Plan per accedere ai 209 miliardi europei? Quando lo vedremo?
Gli “stati generali” di consultazione nazionale a Villa Pamphilj ci hanno avvantaggiato. Abbiamo elaborato un “Piano di rilancio” offrendolo alla condivisione di 122 tra associazioni di categoria, parti sociali, organismi non profit, personalità varie. Ora stiamo lavorando per estrarre quei progetti che più direttamente rispondono alla logica dei finanziamenti europei, che contemplano investimenti e riforme strutturali per rendere più competitivo e resiliente il Paese. Dedicheremo molta attenzione alle infrastrutture materiali e immateriali e puntiamo a investire su scuola, università e ricerca. Ne approfitteremo anche per migliorare l’efficienza della Pubblica amministrazione e del sistema giustizia. Intendiamo consegnare il piano in Europa a metà ottobre.
Il Pd continua a lanciare ultimatum sul Mes: Zingaretti, Delrio… Lei cosa risponde?
Ricordo che si tratta pur sempre di soldi presi a prestito. Confido che i flussi di cassa rendano superfluo quest’ulteriore indebitamento, anche in considerazione dei fondi del piano Sure già attivato e del Recovery Fund. Se mai il quadro di finanza pubblica imponesse valutazioni differenti, state pur certi che andremo in Parlamento e ne discuteremo in piena trasparenza.
Si sente “indebolito”, come sostiene qualcuno, dal voto sulla piattaforma Rousseau pro alleanze M5S-Pd?
E perché mai? Quando ho formato questo governo ho personalmente lavorato al programma. A mano a mano che discutevo coi rappresentanti delle varie forze politiche constatavo, al di là delle polemiche del passato, grande sintonia sulle priorità e gli obiettivi strategici. Di qui il mio costante auspicio perché questa esperienza di governo contribuisca a far nascere una visione di ampio respiro di cui l’Italia ha estremo bisogno, in modo da programmare interventi anche di medio e lungo periodo.
Altri ultimatum le arrivano dal Pd sulla legge elettorale. Cosa pensa del sistema proporzionale, che pare in pole position?
La riforma costituzionale che prevede un consistente taglio dei parlamentari va accompagnata da una legge elettorale fondata su un criterio di rappresentanza ben bilanciato. Le forze di maggioranza hanno optato per una soluzione di impianto proporzionale con una soglia di sbarramento al 5%. Mi sembra una soluzione equilibrata perché favorisce la pluralità della rappresentanza politica, ma previene un’eccessiva frammentazione dei partiti. La questione è ora all’attenzione del Parlamento, dove peraltro l’iter è stato avviato.
Ha sentito Mario Draghi al Meeting di Rimini? Le è piaciuto il discorso?
Sono d’accordo, in particolare, sul fatto che dobbiamo rafforzare gli strumenti per dare maggior forza e stabilità all’area dell’euro e investire con determinazione sull’istruzione e sulla ricerca per garantire un futuro migliore ai giovani.