I nomi di chi l’ha chiesto senza riceverlo chissà se mai arriveranno, alla fine del balletto tra istituti e istituzioni. I deputati che invece sono riusciti a intascarsi i 600 euro di bonus Covid destinato alle partite Iva potranno intanto tenerselo, non rientrando nella casistica citata dal presidente Inps Pasquale Tridico per cui si è mossa l’Antifrode.
Un passo alla volta. Ieri l’Autorità garante per la Privacy ha chiamato di nuovo in causa l’ente previdenziale, incalzandolo sulla pubblicazione dei nomi dei parlamentari – i tre che lo hanno ricevuto sono Andrea Dara, Elena Murelli (Lega) e Marco Rizzone (M5S), gli altri due non sono noti – e ribadendo quanto già scritto una settimana fa: spetta all’Inps decidere se divulgare o meno l’identità dei deputati. Restano validi i principi a cui il Garante si era già richiamato, e cioè che “la privacy non è d’ostacolo alla pubblicità dei dati relativi ai beneficiari del contributo”, a maggior ragione per chi, “a causa della funzione pubblica svolta, le aspettative di riservatezza si affievoliscono”.
Parole che non erano bastate a Tridico, che convocato in commissione Lavoro alla Camera aveva chiesto un approfondimento al Garante. Da qui il nuovo pronunciamento: “Spetta all’Inps verificare caso per caso, previo coinvolgimento dei soggetti controinteressati, la possibilità di rendere ostensibili tramite l’accesso civico i dati personali richiesti (…) alla luce della normativa e delle Linee guida dell’Anac, in conformità con i precedenti del Garante”. Il riferimento è alle indicazioni dell’Anticorruzione che stabiliscono che “l’ente deve far riferimento a diversi parametri” tra cui “il ruolo ricoperto nella vita pubblica, al funzione pubblica esercitata o l’attività di pubblico interesse svolto dalla persona cui si riferiscono i dati”. A maggior ragione perché, stando ancora all’Anac, l’obbligo di divulgazione è previsto per “vantaggi economici di qualunque genere di importo superiore a mille euro”. Fermo restando il limite della “condizione di indigenza” dei richiedenti, che fa prevalere la privacy. Il “coinvolgimento” del deputato non sarebbe poi vincolante. Il parlamentare potrebbe infatti opporsi alla pubblicazione, ma dovrebbe documentare il suo rifiuto e in ogni caso sarebbe l’Inps a decidere. Tutto chiaro quindi? Neanche per idea. La posizione del Garante non rassicura l’Inps, che si aspettava un parere più netto per poter procedere con la pubblicazione. Anche perché le conseguenze legali di eventuali ricorsi sarebbero in capo a Tridico, che contava su un mandato pieno che l’Autorità non ha concesso: “Per le richieste di accesso civico generalizzato – scrive il Garante – non ricorrono i presupposti per l’adozione di un parere formale dell’Autorità. Il Garante è chiamato a intervenire solo a seguito della richiesta del Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza”. La distinzione (“accesso generalizzato”) riguarda i due parlamentari che hanno chiesto il bonus senza riceverlo. Se per chi lo ha ottenuto (deputati e consiglieri regionali) vale quanto sopra (interesse pubblico e obbligo di trasparenza sopra i mille euro di sussidio), per gli altri non ci può essere parere preventivo, pur restando validi i richiami alle linee guida Anac. Via libera allora, ma non abbastanza da lasciar tranquillo Tridico.
Nessuna novità, invece, sull’istruttoria aperta dal Garante in merito alle ragioni per cui l’ente si sia accorto dei politici coinvolti. Tridico aveva specificato che l’indagine era partita dopo un controllo dell’Antifrode sulle domande ricevute, alcune delle quali bocciate perché provenienti da soggetti “iscritti ad altre casse previdenziali”.
Non si tratta però della “cassa” della Camera – quella, per intendersi, che dà la pensione a chi completa la legislatura – perché essa, pur assimilabile a un ente previdenziale, non è ritenuta tale. Lo confermano fonti di Montecitorio, che spiegano così anche la possibilità di intervento retroattivo sugli assegni di vitalizio, altrimenti vincolati a norme più stringenti. Per la verità al momento l’Inps non ha chiesto alcun parere a riguardo alla Camera, segno che l’Antifrode non ritiene “concorrenti” l’Inps e il sistema previdenziale del Parlamento.
In conclusione: i tre deputati che hanno ricevuto il bonus non rientrano nella casistica citata da Tridico e al momento non rischiano di dover restituire il bonus, a meno che non emergano altre irregolarità. A far sì che il sussidio fosse negato agli altri due richiedenti è stata allora l’iscrizione a un’ulteriore cassa rispetto a quella della Camera.