Incontriamo Nora la sera prima del suo appuntamento all’Ufficio francese per la protezione dei rifugiati e degli apolidi (Ofpra). Un giorno decisivo per la giovane donna saudita di 26 anni: “Mi sento come se dovessi passare un esame”, dice, seduta in un caffè di Parigi, alla fine dello scorso anno. Con sé ha lo stesso borsone che portava il giorno in cui è fuggita. Era l’estate del 2019 e Nora era in vacanza in Asia con la famiglia. Un dettaglio le ha cambiato la vita: la porta della sua camera d’albergo aveva una serratura senza chiave. Nessuno poteva dunque chiuderla dentro e portare via la chiave, tenendola prigioniera, come succedeva spesso a casa sua.
A Riyadh, Nora veniva rinchiusa anche per diverse ore in una stanza, senza cibo né acqua, certe volte dopo essere stata picchiata. Per via della sua età, considerata già troppo avanzata, la sua famiglia sperava di farla sposare al più presto. “Per fortuna, nessuno ha fatto la proposta di matrimonio”. Per lei, che è tirocinante in medicina, nata in una famiglia conservatrice della classe media, sposarsi avrebbe voluto dire interrompere gli studi. “Il mio lavoro è considerato disonorevole perché mi avrebbe portato a frequentare degli uomini”. Da alcuni anni Nora metteva da parte dei soldi in segreto. Davanti a quella serratura che poteva aprire liberamente qualcosa è scattato in lei. Recupera il suo passaporto tra gli oggetti della madre, distrugge il cellulare e prende un taxi per l’aeroporto, dove si imbarca per Kiev. In Ucraina acquista un biglietto per il Marocco con scalo a Parigi. Arrivata all’aeroporto parigino Charles-de-Gaulle, stremata dal viaggio, si presenta alla polizia di frontiera: “Chiedo ‘asilo”.
Come Nora, 2.940 rifugiati e richiedenti asilo di origine saudita sono stati registrati dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati nel 2018. Quattro volte più di dieci anni fa. I primi casi, sette, risalgono al 1993. Le destinazioni più frequenti sono i paesi anglosassoni, Canada, Stati Uniti, Gran Bretagna. In Francia, lo scorso anno, sono state presentate all’Ofpra solo 22 domande. Le donne, sempre più numerose, fuggono da una vita di “quarantena”, come dice l’antropologo Madawi al-Rasheed. Per la legge saudita, le donne sono eterne minorenni, soggette alla volontà del padre prima, del marito poi o, in mancanza di questo, di un fratello o di uno zio. Per tutta la vita viene loro assegnato un tutore, che ha un potere di veto su quasi tutto, dalla scuola al matrimonio. “Per le donne che sopravvivono alla violenza domestica, questo sistema complica l’accesso ai meccanismi di protezione”, scrive la Ong Human Rights Watch in un rapporto del luglio 2016.
Un movimento di protesta sta crescendo da alcuni anni sui social network con gli hashtag #IAmMyOwnGuardian o ancora #StopEnslavingSaudiWomen. Nel gennaio 2019, la storia di Rahaf Mohammed ha contribuito a dare risalto a questo movimento. La giovane, 18 anni, si era barricata in una stanza d’albergo di Bangkok per evitare di essere estradata in Medio Oriente. La notizia era stata ripresa dai media in tutto il mondo. La giovane aveva postato delle richieste di aiuto su Twitter. Ora è rifugiata in Canada. Leggendo diverse testimonianze sul web, Nora ha capito che avrebbe potuto chiedere l’asilo. “Ho creduto a lungo che questa procedura riguardasse soltanto le popolazioni in fuga dalle zone di guerra”.
Ha raggiunto diversi gruppi di discussione di sauditi dissidenti su Telegram e degli account Twitter come @sa_refugees_uk o il forum We are Saudis, fondato da Taleb Al Abdulmohsen, attivista saudita residente in Germania: “Ogni giorno mi contattano su Twitter fino a cinque donne saudite per preparare la loro fuga”, osserva quest’ultimo. Per la sociologa Amélie Le Renard, esperta della condizione delle donne in Medio Oriente, “Internet ha aperto una finestra per la gioventù saudita. In questo modo, molte donne – spiega – hanno capito che quello che stavano vivendo non era normale, che non erano sole e che potevano rifiutare quelle condizioni”. Maryam è rifugiata in Gran Bretagna: “Le donne che sono riuscite a fare il passo, ora aiutano le altre a fare lo stesso”, dice. La giovane, sulla ventina, ci ha accolti lo scorso aprile nella casa popolare in cui vive. La Gran Bretagna è il primo paese della diaspora saudita in Europa, dissidenti ma anche pro-regime. Era del resto proprio per andare a trovare dei parenti che lei e la sua famiglia si sono recati a Londra nell’estate 2019. Maryam ci spiega che la sua famiglia è piuttosto benestante e molto conservatrice. Ci dice che suo padre era partito per l’Afghanistan dopo l’11 settembre per raggiungere i jihadisti. Nella sua dichiarazione di asilo è scritto che quando era bambina il padre le mostrava dei filmati di esecuzioni: “Ci diceva spesso che dovevamo combattere gli infedeli. Sono cresciuta con l’idea di essere un peccato perché sono nata donna”. Arrivando all’aeroporto di Londra con i suoi, l’estate scorsa, Maryam consegna alla polizia di frontiera il suo passaporto. Dentro aveva nascosto un foglietto su cui aveva scritto in inglese: “Voglio chiedere l’asilo. La mia famiglia non lo sa. Per favore proteggetemi”. Un agente comincia a farle diverse domande. I suoi genitori, non capendo cosa succede, cominciano a spazientirsi. In famiglia solo Maryam parla l’inglese correntemente. La giovane finge un problema amministrativo e segue l’agente britannico in una sala attigua. “Sei sicura di quello che hai scritto su questo foglio?”, le chiede l’agente. “Sì”. “Vuoi dire addio alla tua famiglia?”. “Assolutamente no”, risponde Maryam, terrorizzata. Poche settimane dopo, ad agosto, l’Arabia Saudita ha revocato il divieto per le donne di più di 21 anni di viaggiare all’estero e di ottenere il passaporto senza l’accordo del “tutore”. “Ma solo in teoria, dal momento che non ci è permesso di uscire di casa”, spiega Nora. Questo allentamento del sistema di tutela coincide con la svolta politica del principe ereditario Mohammed ben Salman. Le donne saudite hanno anche vinto una battaglia storica, ottenendo il diritto di guidare nel giugno 2018. La politica di riforme coincide con il progetto di Mohammed bin Salman di attrarre nuovi investitori in Arabia Saudita in vista del dopo-petrolio. “Mbs si sta prendendo i meriti per delle misure che le femministe reclamano da anni e per le quali sono spesso ancora in prigione”, osserva Nisreen, 35 anni, richiedente asilo. La incontriamo a fine gennaio nell’est della Germania. Nisreen fa riferimento a Loujain Al-Hathloul, l’attivista in carcere da due anni, che nel 2014 si era filmata al volante di un’auto, quando guidare era ancora un crimine per le donne. Nisreen, infermiera in ospedale, è fuggita dall’Arabia Saudita dopo la riforma sui viaggi. Nel novembre 2019 ha preso un volo per Francoforte: “Per anni ho fatto credere ai miei genitori che partecipavo a delle conferenze di medicina e invece trascorrevo i fine settimana con gli amici. Mentire mi ha permesso di essere libera. Non ero più schiava, indossavo quello che volevo, potevo ridere”. Ma un giorno la sorella maggiore scopre una sua foto in un locale del Bahreïn e la mostra al fratello, che la minaccia di sospendere il suo diritto di viaggiare: “Anche se la legge è cambiata, le famiglie possono ancora vietare alle donne di viaggiare se ne fanno richiesta alle autorità”. L’’infermiera ha presentato all’ambasciata tedesca una domanda di visto turistico e ora vive in un alloggio messo a disposizione dei richiedenti asilo in attesa di essere regolarizzata. Da parte sua, Maryam, in Gran Bretagna, ha già ottenuto lo statuto di rifugiata, ma vive nel timore di essere scoperta dalla diaspora pro-regime. Quanto a Nora, che si trova in Francia, ha appreso di aver ottenuto anche lei lo statuto. “Ho pianto” dice. Ora sta perfezionando il suo francese e mira a ottenere la convalida degli studi universitari per esercitare come medico in Francia: “Ho scelto un paese in cui le donne sono libere”.
Traduzione di Luana De Micco