A “Superquark”, il sistema metrico decimale e la misura dell’amore

E per la serie “Chiudi gli occhi e apri la bocca”, eccovi i migliori programmi tv della settimana:

Rai 1, 15.50: Il Paradiso delle signore, soap. Marta si fa recapitare la medicina che cura la sterilità e inizia ad assumerla all’insaputa di Vittorio. Quando ne sforna otto, Vittorio deve sopprimere una apoplessia di media entità.

Canale 5, 16.30: Marie is on fire, telefilm drammatico. Marie e la sua squadra devono intervenire per liberare una ragazza maldestra che si è aspirata dentro un Bidone Aspiratutto.

Rai 1, 10.15: La Santa Messa, fiction. Gesù deve fare i conti con le paure più recondite di Giuda, che complicano ulteriormente il loro già difficile rapporto.

Sky Cinema Uno, 21.15: Midway, film-guerra. Sky è una tv privata che vive di liberi contratti: chi si abbona lo fa perché trova interessante l’offerta tv di Sky. Oggi chi si abbonerebbe alla Rai, se non fosse obbligatorio? È questa la domanda costantemente elusa.

Rai 2, 15.35: Squadra speciale Cobra 11, telefilm. Ben è in crisi perché durante un inseguimento un delinquente gli ha infilato il suo bastone sfollagente su per il culo e gli è piaciuto.

Rai 1, 21.25. Superquark, documentario. Piero Angela, a 91 anni, ha perso del tutto i freni inibitori, a giudicare da come introduce il primo filmato, dedicato al sistema metrico decimale: “Il sistema metrico decimale, che dispone di misure di ogni genere, calibro e precisione, pretende di misurare tutto; ma se un pizzico di sale fosse una misura del sistema metrico decimale, cuoche e cuochi sarebbero obbligati ad avere mani e dita di identiche dimensioni. Per fortuna, al di fuori di tutte le misure metriche, c’è sempre quel ‘non so che’, la misura umanissima che non si computa: si sente. Per questo due persone si innamorano: per quel ‘non so che’ non ancora individuato dagli elettrotecnici, ma cantato dai poeti. E forse sono meno esatti i bambini, quando allargano le braccine per dire alla mamma ‘ti voglio bene… tanto così’? La misura di quell’amore è forse 70 cm? Non sapremo mai quant’è, ‘tanto così’, ma a una mamma basta. Insomma, non sono le dimensioni, ma come lo usi. Sentitevi pure liberi di impiegare questa spiegazione, la prossima volta che una donna vi dirà che ce l’avete piccolo. ‘Vedi, tesoro, il sistema metrico decimale pretende di misurare tutto; ma se un pizzico di sale fosse una misura del sistema metrico decimale, cuoche e cuochi…’”.

Rai 5, 21.15: Requiem di Brahms, musicale. In ricordo delle vittime del crollo del ponte Morandi di Genova, viene riproposto il Requiem tedesco di Brahms interpretato nel 1985 dalla Filarmonica di Vienna, diretta dal maestro Herbert von Karajan. Esatto: onorano quei morti con una replica.

Giallo, 21.10: Delitti in Svezia, telefilm. Rebecka trova lavoro come pubblico ministero, ma il suo metodo per estorcere confessioni (solletico) non piace ai colleghi…

Rai 3, 13.15: Passato e presente, documentario. Enrico Mattei fu uno dei protagonisti del “miracolo economico” italiano: con l’Eni, negli Anni 50, si oppose al cartello Usa per l’approvvigionamento petrolifero nei Paesi arabi. Quando morì in un incidente aereo, tutti capirono l’antifona. Tranne Aldo Moro.

La7, 21.15: Virus letale, film-thriller. In una cittadina della California scoppia un’epidemia. Mentre un ufficiale medico cerca un vaccino, un amministratore locale regala 250 mila euro alla società di suo cognato.

 

Mail box

 

 

M5S: è di buon senso ricandidare la Raggi

Spero che la base del movimento sia compatta e unanime nel decidere di cambiare la regola dei due mandati per permettere alla Raggi di ricandidarsi. I giornalisti che oggi criticano il M5S per essere diventato un partito sono gli stessi che in passato l’hanno sempre criticato per non esserlo; avevano da ridire sulla regola del divieto dei due mandati, quella del divieto di alleanze, o quella sulle espulsioni. Oggi, però, pretendono che il M5S non si allei con nessuno, che espella il furbetto dei 600 euro, e che non ricandidi la Raggi. In realtà, questo è solo l’ennesimo tentativo di voler lasciar intendere che sono come gli altri e che una regola valga un’altra. Fingono che non ci sia una differenza tra la ricandidatura e la deroga di regole sostanziali quali la fedina penale pulita, la coerenza al programma sottoscritto, o la rinuncia ai privilegi. Per cui, ben venga la ricandidatura di una persona specchiata come la Raggi, che vogliono inopinatamente far passare da incompetente, (quando invece ha attuato una vera e propria rivoluzione), e se questo significa attuare il buonsenso, ben venga.

Valentina Felici

 

L’editoriale del direttore sul Papeete è necessario

Gentile Marco Travaglio, ho letto con molto interesse il suo editoriale con il riepilogo della crisi dell’anno scorso causata da Salvini. Penso che ognuno di noi dovrebbe tenerlo in archivio a futura memoria! Con l’occasione vi faccio i miei complimenti per la nuova veste grafica del Fatto al quale sono abbonata da diversi anni. Nonostante legga di denunce nei vostri confronti e di attacchi di altri quotidiani e giornalisti, vi prego di continuare con la vostra linea editoriale, altrimenti non saprei più cosa leggere.

Anna Maria Rizzuto

 

La lotta all’evasione fiscale è la ripartenza

Caro Direttore, mentre aumenta nel nostro paese il numero dei poveri, i soliti furbetti prenditori cercano e spesso trovano gli espedienti più o meno legali per aumentare la loro ricchezza improduttiva. Questi tipi, che sul Fatto Quotidiano il giornalista Rebecchi ha giustamente definito “pezzi di merda” sono quelli che brindano alle guerre e ai terremoti, che tifano per il covid 19 e sperano di buttarsi come sciacalli sui prossimi finanziamenti europei. Credo sia merito dell’ottimo governo Conte aver ostacolato finora i loro piani diabolici; tuttavia, per motivi etici ed economici, è indispensabile in questo momento, che il governo si impegni immediatamente e con estrema efficacia a una lotta all’evasione e all’elusione fiscale e, attraverso una patrimoniale contrasti subito le ricchezze improduttive e utilizzi i fondi per aiutare e incoraggiare gli imprenditori interessati veramente allo sviluppo e al benessere loro e del Paese.

Ninni Chindemi

 

Chiudere le discoteche per proteggere i giovani

Mi preoccupa molto il propagarsi dei contagi tra i giovani: leggo che alcuni sarebbero in terapia intensiva. Mi domando cosa aspettano a chiudere d’autorità discoteche e altri luoghi di assembramento, perché già abbiamo sofferto a vedere morire i nostri anziani e non credo che riusciremo ad accettare di vedere morire i nostri figli. Non so con quale coraggio Monti si fa vedere in televisione a sostenere che gli italiani potrebbero abituarsi a essere mantenuti: certo se tutti frequentassero i suoi amici, non ne avrebbero bisogno. Si sono inventati l’ennesima commissione europea inutile che vedrà lui presidente. Ma non sarebbe meglio devolvere i loro ricchi stipendi ai medici e agli infermieri? Altro che Commissione, mi viene da dire. Ma noi non ci arrabbiamo proprio mai? Ma cos’altro deve succedere in questo povero paese?

Andrea Manganelli

 

Molti bonus è sbagliato, meglio uno ma flessibile

Gentile dott. Padellaro, le scrivo in merito a un articolo che ha pubblicato sul blog del Fatto Quotidiano su Giorgia Meloni e il ruolo che ha come opposizione, di cui Conte dovrebbe cogliere con più attenzione le critiche. Confesso di aver ogni tanto su misure economiche convenuto con la leader di Fdi, perché faceva proposte ragionate, mentre su diritti civili e immigrazione mi trovo agli antipodi. Vista la mia appartenenza a un partito politico, sono anche un filo governativo, ma dell’operato di questa variegata compagine devo fare una critica sui bonus: ve ne sono troppi. Capisco il desiderio di accontentare tutti, ma non è praticabile. Stando a quanto ho sentito, nel prossimo decreto è previsto un bonus per le casalinghe di 3 (o 30 chiedo venia, ma non ricordo bene) milioni, più o meno 45 centesimi a casalinga. Questo è di per sé abbastanza ridicolo. Il reddito di cittadinanza è un altro esempio. Basterebbe una misura unica che aumenti e diminuisca l’importo in base ai componenti del nucleo familiare, quindi se vi sono disabilità a cui far fronte, valutando il reddito e l’Isee dichiarati, a cui accompagnare verifiche, perché purtroppo, persino nella tragedia non possiamo basarci sulla buona fede delle persone.

Lorenzo Bertini

Vittime Morandi“Due anni dopo, la nostra lotta come argine all’oblio”

Questa giornata è il tentativo di fermare l’oblio. La radura in cui ci troviamo oggi è il primo embrione del futuro memoriale che sarà necessario affinché questa tragedia vergognosa possa restare incisa per sempre. Non ci stancheremo mai di dire queste parole: rispetto, memoria e giustizia.

In questi due anni abbiamo sentito dichiarazioni di profonda arroganza da parte di chi ha gestito e gestisce questa infrastruttura, l’arroganza di chi non ha chiesto scusa nei tempi umanamente accettabili e ha preteso di ricostruire un nuovo ponte dopo quanto avvenuto. Per fortuna, quest’ultima assurda richiesta è stata “stracciata” dalla massima Corte del nostro Stato, che ha dato un importante segnale. Il nuovo ponte è un buon inizio ma non basta: abbiamo necessità di qualcosa in più. Vogliamo autostrade sicure e non vogliamo che siano i cittadini a ripagarle, sappiamo che ci sono stati utili ingiustamente accantonati e quindi, nel nostro piccolo, proveremo a vigilare perché la nostra disperazione possa essere trasformata in un altro piccolo pezzo di rinascita. Dovremo essere in grado di mettere all’angolo un sistema marcio, che ha permesso il crollo di un ponte in Italia nel 2018. I nostri cari dovranno avere il giusto riconoscimento, come vittime di una strage che non sarebbe mai dovuta accadere.

In questo senso auspichiamo riforme importanti: non è più accettabile che i processi possano durare decenni e le parti lese attendano una giustizia che forse non arriverà mai. La verità dovrà diventare anche la verità processuale: troppe volte assistiamo nelle aule di tribunale ad assurdi tentativi di mistificare la realtà e non possiamo più permetterlo. In questi due anni abbiamo conosciuto persone meravigliose che lavorano con passione instancabile e senso profondo del dovere. Troppe volte, purtroppo, emerge solo la parte peggiore dell’Italia: le vere risorse agiscono in silenzio. Di queste forze siamo orgogliosi e li ringraziamo con tutto il nostro cuore.

Mi permetto di citare la frase di un autore americano che descrive in modo perfetto quanto emerge dalla nostra anima: quando sento queste parole scorrere nei miei pensieri, sono convinta non sia stato un caso averle incontrate. “C’è qualcosa di sacro nelle lacrime, non sono un segno di debolezza ma di potere, sono messaggere di dolore travolgente e di amore indescrivibile”.

Egle Possetti, presidente Comitato familiari vittime Ponte Morandi

Sintomi del Covid-19: peggiora la vita dei lavoratori del turismo

Come il tormentone di Alessandra Amoroso e dei Boombdabash, pure in quest’estate 2020 i ristoratori e gli albergatori del turismo hanno riproposto la solita lamentela: “I giovani non vogliono fare i lavori stagionali, vogliono andare al mare con i sussidi”. A questo giro, vista la crisi sanitaria, ci si aspettava un po’ di pudore, ma niente, tocca sorbirsela ancora. Anzi, proprio perché con l’emergenza Covid il governo ha introdotto il bonus 600 euro proprio ai disoccupati del turismo, i nostri imprenditori hanno rincarato la dose.

“Abbiamo difficoltà a reperire personale – ha detto pochi giorni fa Alberto Maschio, presidente dell’Associazione jesolana albergatori – Tanti vengono a fare il colloquio e poi ci dicono che preferiscono il reddito di cittadinanza o i bonus”. A dolersi di questi (non) lavoratori sfaticati è stato anche Giorgio Mussoni, presidente di Oasi Confartigianato: “Riscontriamo una certa svogliatezza al lavoro”. Insomma, il solito racconto “il lavoro c’è, ma i ragazzi sono fannulloni” è sopravvissuto anche al coronavirus.

Meno gente in hotel, carichi triplicati

La storia vera, però, è come al solito un’altra: le persone disposte a svolgere questi mestieri sono sempre meno perché le condizioni proposte sono spesso inaccettabili, al limite dello sfruttamento, e con un alto tasso di irregolarità. Circostanze che emergono dalle mille testimonianze e sono confermate nei dati Istat e dai risultati delle ispezioni. Quest’anno, con l’incertezza che la pandemia ha gettato sul settore, la situazione si è persino aggravata. Ristoranti e hotel sono ripartiti spesso con un numero inferiore di addetti e a quelli che hanno assunto hanno chiesto il doppio, se non il triplo, degli sforzi.

Lo fa notare il presidente dell’Associazione nazionale lavoratori stagionali (Anls) Giovanni Cafagna: “Tra fine luglio e inizio agosto – spiega – ho ricevuto quattro o cinque telefonate al giorno di persone che davano le dimissioni perché non ce la facevano. Si è licenziata una persona che lavora da quarant’anni in un ristorante dell’Isola d’Elba, perché quest’anno si è ritrovato a fare da solo ciò che fino allo scorso anno facevano in tre”.

Secondo il bollettino Anpal-Unioncamere, le imprese della ristorazione hanno cercato a luglio solo 57 mila lavoratori contro i 77 mila del 2019. Alcune perché sono rimaste chiuse, altre perché hanno preferito riaprire a ranghi ridotti, chiedendo a chi è stato richiamato di rendere di più.

I lavoratori stanno protestando in tutte le zone turistiche d’Italia contro i turni improponibili e le paghe misere. In questi anni sono nati tanti gruppi e pagine Facebook come “I ragazzi in piazza” e “Mai più sfruttamento stagionale”, che raccolgono testimonianze dirette di chi ha fatto i conti con il lavoro nel turismo.

10 ore al giorno, 800 euro al mese (150 fuori busta)

Manuela (nome di fantasia) lavora in Sicilia per una gastronomia: “Ho un contratto part time per sei mesi l’anno – racconta – ma in realtà faccio dieci ore al giorno e non ho nessun giorno di riposo. Prendo 800 euro al mese; 650 euro da contratto e i restanti 150 euro fuori busta”. Con questa espressione, “fuori busta”, si indica la pratica di pagare una parte dello stipendio in nero. Molto diffusa in questi settori, una sorta di lavoro grigio. Il contratto part time serve come base minima per non far risultare la posizione totalmente irregolare in caso di controlli. “Ho provato a lamentarmi – aggiunge – ma mi hanno detto che se non mi sta bene troveranno qualcuno che ha più bisogno di me”.

Ricetta: Truffe sulla Cig salari da fame, tanto nero

Tra gli albergatori non mancano nemmeno i truffatori della cassa integrazione: “Io e i miei colleghi prendiamo l’ammortizzatore sociale – afferma il dipendente di un resort di Ischia – ma ci fanno comunque lavorare in nero”. Con una stagione turistica ripartita monca, l’obiettivo delle imprese è risparmiare ancora di più e il metodo è sempre scaricare il costo sui lavoratori. All’hotel Palmasera di Cala Gonone, in Sardegna, un mese fa si sono dimesse sessanta addette alle pulizie, perché hanno rifiutato un contratto che prevedeva più ore e stipendi più bassi. Anche negli stabilimenti balneari le cose non vanno bene: “I nostri turni sono da 10 o più ore al giorno, a volte per 3 euro l’ora – denuncia un ex bagnino veneto – La svogliatezza non c’entra, c’entra il rifiuto del tipo di sfruttamento che ci vogliono imporre”.

I salari sono quasi sempre sotto i 5 euro l’ora, i giorni di riposo semplicemente inesistenti, il nero una pratica molto frequente. Non è solo una sensazione: il tasso di irregolarità riscontrato dall’Ispettorato del lavoro nel 2019 nei servizi di alloggio e ristorazione è pari al 72%. Inoltre questi comparti, secondo l’Osservatorio Job Pricing in collaborazione con InfoJobs, sono al penultimo posto, meglio solo dell’agricoltura, nella classifica delle retribuzioni annuali lorde.

Gli “scansafatiche”? non sapere di che si parla

Ogni anno, queste stesse aziende lanciano offensive contro i giovani (e i meno giovani) rei di non essere proni alla fatica. Nel 2019 il problema era il reddito di cittadinanza; questa volta, come detto, è il bonus 600 euro. In realtà è un argomento che non si regge in piedi. Gli stagionali del turismo, infatti, hanno bisogno di lavorare per maturare il trattamento di disoccupazione per i mesi in cui l’attività si ferma forzatamente. Se si lavora per sei mesi, per esempio, l’assegno ne copre per altri tre. Quindi è impensabile che qualcuno preferisca saltare l’intera stagione per soli 600 euro al mese che poi non daranno diritto al sussidio: significherebbe auto-condannarsi alla fame.

Ecco come è venuta la gobba al dromedario

Questa favola racconta di come è venuta la gobba al Dromedario.

All’inizio dei tempi, quando tutto al mondo era nuovo di zecca, e gli Animali avevano appena iniziato a lavorare per l’Uomo, c’era un dromedario che viveva nel mezzo di uno Strepitoso Deserto perché non aveva intenzione di lavorare; e tra l’altro sembrava a sua volta uno Strepitoso Sbaglio. Mangiava ramoscelli, rovi, tamerici, asclepiadi e spine, ed era tremendamente pigro; e se qualcuno gli rivolgeva la parola rispondeva masticando: “Gob!”. Solo il suono “Gob!” e nient’altro.

Poi il lunedì mattina si recò da lui il Cavallo, con una sella sul dorso e un morso in bocca, e gli disse: “Dromedario, o Dromedario, vieni a trottare come tutti noi”.

“Gob!” rispose il Dromedario e il Cavallo se ne andò a riferirlo all’Uomo.

Poi si recò da lui il Cane, con un bastone in bocca, e gli disse: “Dromedario, o Dromedario, vieni a fare qualche lavoretto come tutti noi”.

“Gob!” rispose il Dromedario e il Cane se ne andò a riferirlo all’Uomo.

Poi si recò da lui il Bue, con il giogo al collo, e gli disse: “Dromedario, o Dromedario, vieni ad arare la terra come tutti noi”.

“Gob!” rispose il Dromedario e il Bue se ne andò a riferirlo all’Uomo.

Alla fine della giornata l’Uomo radunò il Cavallo, il Cane e il Bue, e disse loro: “Miei Tre, sono molto dispiaciuto per voi (con il mondo tutto nuovo di zecca); ma quello lì che sa solo dire ‘Gob!’ nel Deserto non è in grado di lavorare, altrimenti sarebbe già qui, perciò lo lascerò perdere e voi dovrete lavorare il doppio per compensare la sua assenza”.

Questo fece molto arrabbiare i Tre (con il mondo tutto nuovo di zecca) che si misero a discuterne riunendosi al limitare del Deserto in indaba, punchayet e powwow (tipologie di incontri o riunioni rispettivamente tra gli Zulu, in India e tra i nativi del Nord America, ndt); in quella passò di lì il Dromedario masticando asclepiade in modo tremendamente pigro e rise di loro. Quindi disse “Gob!” e se ne andò di nuovo.

Poi arrivò il Jinn responsabile di Tutti i Deserti, avvolto in una nuvola di polvere (i Jinn viaggiano sempre così perché è una Magia), e si fermò in chiacchiere e in assemblea con i Tre.

“Jinn di Tutti i Deserti”, disse il Cavallo, “è giusto che qualcuno sia tanto pigro con il mondo tutto nuovo di zecca?”

“Certo che no”, rispose il Jinn.

“Bene”, disse il Cavallo. “C’è qualcuno nel mezzo del tuo Strepitoso Deserto (uno Strepitoso Sbaglio a sua volta) dal collo lungo e dalle lunghe zampe che da lunedì mattina non combina nulla. Non ha voglia di trottare”.

“Accidenti”, disse il Jinn facendo un fischio, “si tratta di certo del mio Dromedario, per tutto l’oro d’Arabia! E lui che cosa ne dice?”

“Lui dice: ‘Gob!’”, rispose il Cane, “e non fa alcun lavoretto”.

“Non dice altro?”

“Soltanto ‘Gob!’; e non ha intenzione di arare la terra”, disse il Bue.

“Molto bene”, rispose il Jinn. “Ve lo sistemo io, se cortesemente mi date un attimo”.

Il Jinn si avvolse nel mantello di polvere, perlustrò il deserto e trovò il Dromedario tremendamente pigro che osservava la propria immagine riflessa in uno specchio d’acqua.

“Mio lungo e gorgogliante amico”, lo apostrofò il Jinn, “cos’è questa storia che non svolgi alcun lavoro, con il mondo tutto nuovo di zecca?”

“Gob!” rispose il Dromedario.

Il Jinn si sedette, poggiando il mento sulla mano, e si mise a pensare a una Grande Magia, mentre il Dromedario osservava la propria immagine riflessa nello specchio d’acqua. “Hai fatto fare fatica in più ai Tre sin da lunedì mattina, tutto per colpa della tua pigrizia”, disse il Jinn, mentre continuava a pensare a una Magia, tenendo la mano poggiata sul mento.

“Gob!” disse il Dromedario.

“Non lo ripeterei se fossi in te”, rispose il Jinn, “perché potresti dirlo una volta di troppo. Borbottone, ti voglio al lavoro”.

E il Dromedario ripeté: “Gob!”, ma non fece in tempo a dirlo che vide il suo dorso, di cui tanto andava fiero, gonfiarsi e gonfiarsi in una grande gobba ballonzolante.

“Lo vedi?” disse il Jinn. “Quella è la gobba che ti spetta e che ti sei caricato addosso da solo a furia di non lavorare. Oggi è giovedì ed è da lunedì, quando il lavoro è iniziato, che non combini nulla. Adesso andrai a fare la tua parte”.

“E come faccio con questa gobba sulla schiena?”, chiese il Dromedario.

“È stata fatta apposta”, rispose il Jinn, “proprio perché hai saltato quei tre giorni. Adesso sarai in grado di lavorare per tre giorni senza mangiare, perché potrai vivere della tua gobba; e non venire mai a dirmi che non ho fatto niente per te. Esci dal Deserto, raggiungi i Tre e comportati come si deve. Sgobba!”

E il Dromedario si preparò a sgobbare, con la gobba e tutto, e si avviò a raggiungere i Tre. E da quel giorno e sino a oggi il Dromedario si porta dietro un gob (ora la chiamiamo “gobba” per non urtare i suoi sentimenti), ma non si è ancora messo in pari con i tre giorni persi al principio del mondo, e ancora non ha imparato a comportarsi come si deve.

Il gioco delle parole: le mille regole per creare il riso

Nella puntata precedente, abbiamo cominciato a esplorare le possibilità divertenti delle metabole. Ci siamo tutti? (Che manica di pervertiti!) Proseguiamo.

Metaplasmi (figure formali). Per sostituzione: calembour (il baco del calo del malo in Natalia Ginzburg; ribbons and bibbons in Edward Lear; I left my harp / in Sam Frank’s disco; Que Seurat, Seurat); omonimia (Alcuni vegetali hanno radici tonde, alcuni numeri radici quadrate); neologismo (Niq flut blarney cwando flooo di Carlin); prendere alla lettera (Groucho Marx: “One morning I shot an elephant in my pajamas. How he got into my pajamas I’ll never know.”; segmentazione (“I’ll take care of you and Wycount.” “Wycount?” “(canta) Why can’t we fall in loooove.”); unione (ο Ζευς μου / οζευς μου – il mio Zeus / puzzone mio).

Con permutazione: anagramma (Massimo D’Alema = Siedo là, smamma); scioglilingua (Tito, tu m’hai ritinto il tetto, ma non t’intendi tanto di tetti ritinti); palindromo (νίψον ανομήματα μη μόναν όψιν= lava i peccati, non soltanto la faccia); inversione sillabica (tipico dei gerghi: scialla per lascia).

Metagrafi (metaplasmi sul piano grafico). Calligrammi (Berlu$coni, separ ato, PISA); sostituzione omofonica (phamme per femme, Horrywar, mong vioo per Au revoir, mon vieux in Joyce; mahvelous per marvelous in Billy Crystal); arcaicizzazione (Sparambia lo fiato, fratello, nulla mi tange omai di Gassman/Brancaleone).

Metatassi (figure sintattiche). Per sottrazione: crasi (Britain + exit = Brexit); ellissi (“Che differenza c’è fra un coccodrillo?”); zeugma (collegare un verbo a due elementi: I rutti riprendono il loro antico significato, noi il nostro animo d’allora); frase nominale: (picnic, fulmine) in Nabokov; paratassi (ellissi del nesso causale: Il cazzo esce, lo sperma le innaffia la faccia).

Per aggiunzione: intransitivo + oggetto (Sorridete Pepsodent); pleonasmo (Mi prude la mia figa); ripresa (Le sue tette, oh! giovani tette baldanzose!); accumulazione (“Quali reni, quale cuore, quali coglioni, quali lombi, quali nervi potrebbero resistere, tesi così fino al mattino, senza fottere?” canta il coro nella Lisistrata di Aristofane).

Per sostituzione: sillessi (infrazione della concordanza di genere/numero/persona/tempo: Mandami il figame, quelle basteranno); anacoluto (rottura sintattica per evidenziare una parte: Una ragazza come quella, a forza di aver giudizio, io ne uscivo pazzo); transfert di classe (La vergine, il cazzone e il bell’oggi); metafora sintattica (I mi-hai-visto del suo sculettare); contrazione (Era propenso a credere che le altre due: sì.); chiasmo (“Cosa preferisci? Essere criticata a torto o esser lodata a ragione? Io preferisco essere lodata a torto piuttosto che essere criticata a ragione,” dice Scafa nella Mostellaria di Plauto); l’intransitivo al posto del transitivo (muorilo invece di uccidilo).

Con permutazione: tmesi (separazione di due elementi: Giovane, vero? E buzzicona!); iperbato (spostamento: Bei genitori del cazzo, mi ritrovo).

Metasememi. I metasememi (i tropi della retorica classica) fanno coesistere due isotopie creando una proposizione in cui la logica viene ignorata, per cui A è sia A che non-A. Vediamone degli esempi secondo le operazioni logiche.

Sottrazione: sineddoche generalizzante (implicitante: l’uomo la penetrò invece di il cazzo la penetrò; esplicitante: l’homo sapiens stava vomitando invece di Andrea stava vomitando); antonomasia generalizzante (“Questo Stato è una mafia”); paragone (per appaiamento: o figa, sorella luminosa; per apposizione: la lingua, arguto mulinello; con è d’equivalenza: la vagina è un tempio; con sostantivo e verbo: il cazzo scalpita; con genitivo: il gregge dei rutti); metafora in praesentia (la metafora, che sfrutta la relazione fra i semi denotativi di due isotopie, è detta in praesentia quando esibisce sia il grado percepito che quello concepito: le colline delle sue tette).

Aggiunzione: sineddoche particolareggiante (implicitante: un sospeso per dire un caffè già pagato; esplicitante: che figa!); antonomasia particolareggiante (è una Messalina); antimetabola: Sono nel tuo culo e il tuo culo è in me; antanaclasi: il cazzo ha ragioni che la ragione non conosce; antanaclasi frastica: C’mon, baby, I want you to come. And I want you to come. (Nel contesto di quella scena di “Orange is the New Black”, le due frasi significano: “Voglio che tu venga con me a Bali. E voglio che tu abbia un orgasmo.” La prima frase è un’affermazione, la seconda è una metafora.); tandem o falso zeugma: Le sue mutandine sapevano di muschio e di voluttà; metafora in absentia (cioè senza il grado concepito: sul suo petto, due colline.). Una metafora in absentia appare come metafora solo se è noto il referente: “è una puttana” è una metafora solo se ci si riferisce a un uomo, non a una puttana. Se la si riferisce a una puttana in senso metaforico, si ha il fenomeno del risveglio della metafora (Che razza di puttana, quella puttana!).

Sostituzione: metonimia (sfrutta la relazione fra i semi connotativi di due isotopie: dove buoi morti danno addosso a uomini vivi, dice il servo Libano nell’Asinaria di Plauto, per alludere alle sferze ricavate dal cuoio dei buoi); polisemia (“Quelli che frutti sono?” “Susine nere.” “Ma sono rosa!” “Sono rosa perché sono ancora verdi.”); ossimoro (SONIA: “Sei un codardo!” BORIS: “Sì, ma un codardo militante”, in Woody Allen).

METALOGISMI. I metalogismi modificano la relazione dell’isotopia (quindi del segno) con il referente e/o con il contesto: smentiscono una realtà, ostentando una falsificazione.

Per sottrazione: litote concettuale (sottrazione semica: mi piaci invece di voglio scoparti).

Per aggiunzione: antitesi. Fra i metalogismi più efficaci, l’antitesi dà un effetto divertente quando i termini opposti non hanno semi in comune: per esempio, gli asparagi e l’immortalità dell’anima di Campanile. La giustapposizione rinforza i due termini opposti: effetto iperbolico di ogni antitesi. La usa spesso Woody Allen: “I miei sono gente all’antica. Gente solida, terra-terra, contraria al divorzio. I loro valori supremi sono Dio e la moquette.” E anche Mel Brooks: “Girò tutti i film di Frankenstein: ‘Frankenstein’, ‘La moglie di Frankenstein’, “‘Il figlio di Frankenstein’, e

‘Il miglior amico di Frankestein: Murray’”. Un altro esempio è in Padri e figli di Turgenev (1862), quando Bazarov, un giovane nichilista, dice di credere nella scienza, e l’anziano zio di Arkadij, Pavel Petrovič, commenta: “Non crede nei princìpi, ma crede nelle rane.” L’effetto è quello dell’anti-climax, e Aristofane lo usava già nel V sec. a.C.: STREPSIADE: “Zeus non esiste!” FIDIPPIDE: “E chi lo dice?” STREPSIADE: “Socrate di Melo. E Cherefonte, quello che ha studiato le orme delle pulci.”

(17. Continua)

Ospedale di Fermo: 2 anziane legate ai letti L’avvocato: “Mani e piedi… è stato uno choc”

Reparto di Medicina dell’ospedale Augusto Murri di Fermo. È il 13 luglio. Due anziane pazienti si lamentano, sono legate mani e piedi al letto con delle fascette. Ad accorgersene è l’amministratrice di sostegno di una delle due donne. È un avvocato, sta facendo visita alla sua assistita: “Era sedata, con gli occhi semichiusi: quando ho alzato il lenzuolo per sistemarlo mi sono accorta che aveva i polsi e le caviglie legati”. In un altro letto, una seconda paziente le chiede di aiutarla. Lei accorre e vede che è nelle stesse condizioni. “Sono rimasta choccata – ricorda l’amministratrice di sostegno, che chiede di mantenere l’anonimato –. Ho pensato che al posto di quelle due donne poteva esserci chiunque: non ho avuto la prontezza di fare un filmato con lo smartphone e mi sono rivolta al medico di turno, una dottoressa, chiedendo spiegazioni. Mi ha risposto che probabilmente erano legate per evitare che si strappassero tutto: sondino per l’alimentazione, ossigeno, flebo. Poi un’amica mi ha detto che in quello stesso reparto anche suo padre aveva ricevuto lo stesso trattamento. Il giorno seguente ho chiesto al medico di famiglia se la mia assistita potesse essere trasferita. Troppo tardi, è morta il 15 luglio”. Caso isolato o sistema collaudato? Il primario del reparto è Stefano Angelici. “Abbiamo 43 posti letto e nulla da nascondere – dice –. Anche noi vogliamo capire cosa è accaduto: siamo qui per assistere, non per legare le persone”. Il reparto accoglie soprattutto grandi anziani, con varie patologie. Ma è possibile, come rileva lo stesso Angelici, che per evitare cadute – che potrebbero provocare la frattura del femore – si ricorra anche a misure di contenzione. “Prima dell’emergenza Covid c’erano le badanti – spiega Angelici –, che controllavano i loro pazienti. Ci impegniamo al massimo per evitare i pericoli: abbassiamo i letti, somministriamo blandi sedativi. Ma se qualcuno ha visto qualcosa che non dovrebbe essere fatto si faccia avanti”. La questione spinosa: fino a che punto ci si può spingere con il contenimento per evitare che il paziente si danneggi da solo? Con la chiusura dei manicomi sono spariti gli unici riferimenti normativi sulla contenzione fisica o meccanica (limitata al settore psichiatrico). Nel silenzio, una sentenza della Cassazione ha stabilito che non è punibile chi ha commesso il fatto costretto dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo di un danno grave alla persona. C’è poi il codice deontologico dei medici, in base al quale possono essere fatte azioni coattive, di fronte a documentate necessità cliniche, “nel rispetto della dignità e della sicurezza della persona”. “Ma io voglio capire – dice l’amministratrice di sostegno – se in questo caso il contenimento era davvero necessario”.

Morandi, nuova vita per le case di via Porro “Housing sociale negli appartamenti vuoti”

Non saranno demoliti o abbandonati, ma torneranno a vivere. I civici 5, 6 e 11 di via Enrico Porro, nel quartiere di Certosa, sotto il moncone est del vecchio ponte Morandi, sono disabitati dal 14 agosto 2018. All’inizio dei lavori per la demolizione furono espropriati dalla struttura commissariale. Ora che il nuovo viadotto è completato, la proprietà degli edifici espropriati passerà dal Demanio al Comune di Genova. Che ha annunciato un piano di riqualificazione: l’ipotesi è di trasformare i 110 appartamenti – in molti dei quali ci sono ancora arredi, vestiti e oggetti delle famiglie sfollate – in residenze studentesche e per l’housing sociale. Escluso, invece, l’impiego come edilizia residenziale pubblica. Il progetto sarà pronto a settembre e “rientra nell’ambito di una visione molto più ampia, mirata a valorizzare tutto il quartiere: il ponte ora c’è, ma bisogna costruire qualcosa di altrettanto importante attorno per far crescere la Valpolcevera”, dice a Repubblica l’assessore comunale alle politiche per la casa Pietro Piciocchi.

Usa, come riaprire ce lo spiegano i misteriosi Jason

Le università Usa chiuse a causa del Covid si possono riaprire, ma con regole molto scrupolose e se le infezioni dovessero tornare a salire, vanno richiuse in fretta. A dirlo è il più brillante e misterioso gruppo di cervelli che abbiano mai consigliato il governo americano. Si chiamano Jason. Forniscono expertise scientifico su problemi assolutamente scottanti, come le armi nucleari e tutte le tecnologie militari e civili strategiche per il futuro e per la supremazia degli Stati Uniti. Fisici, matematici, chimici, biologi, informatici. Le loro identità non sono note e la maggioranza dei loro lavori di consulenza per il governo è coperto da segreto, ma alcuni report sono pubblici. Come quello sulla riapertura delle università che delinea i consigli e le considerazioni scientifiche alla base di essi. I Jason spiegano che il rischio relativo di infezione aumenta con il quadrato del numero delle persone presenti in una stanza: raddoppiando il numero di studenti in un’aula, il rischio quadruplica. Respirare piano è molto più sicuro che parlare: parlando, si può diffondere il virus almeno 20 volte più che respirando, anche se si indossa una mascherina, e “gli studi hanno provato che parlare a voce alta produce una quantità di aerosol quattro volte superiore al parlare a voce bassa”, scrivono i Jason. E quindi “è necessario ridurre la comunicazione a parole, usando il testo scritto, lavagne, computer dedicati o display a schermo piatto. E se proprio si deve parlare, bisogna farlo a voce bassa”. “Quanto al distanziamento fisico, non risolve tutti i problemi” e “le mascherine riducono il rischio sia per chi le indossa, sia per gli altri. Ma se fanno parlare più forte possono essere controproducenti. Se una mascherina attenua il 50% delle particelle in uscita (come alcune di bassa qualità), meglio parlare piano e non indossarla piuttosto che parlare a voce alta con la mascherina. Se invece attenua oltre l’80, come alcune di quelle chirurgiche, meglio tenerla e parlare al minimo”.

“Giusto segnalare i casi, ma perché essere contro ciò che innova?”

L’elenco delle nuove ferite che rischiano di segnare il grande corpo del patrimonio storico artistico della nazione e del paesaggio, adempie a un dovere di segnalazione e vigilanza civica che va apprezzato e che impone a chi ha responsabilità di governo, come il sottoscritto, di chiedere agli uffici del Mibact di approfondire i singoli casi denunciati.

Occorrono però alcune precisazioni di carattere generale, per non trasformare erroneamente, una seppur autorevole valutazione personale in un giudizio complessivo sulla tutela del patrimonio culturale in Italia.

Innanzitutto cercare di evitare le ferite, denunciandole, è giusto, ma rispettare il lavoro delle Soprintendenze significa accettare la loro scelta sia quando esteticamente la si condivide che quando non la si condivide.

In secondo luogo si tratta di capire se ogni caso di intervento nel tessuto dei nostri centri storici sia automaticamente da considerarsi una ferita. Non mi riferisco ovviamente ai casi elencati, che come ho detto saranno oggetto di un approfondimento, ma a una riflessione di carattere generale.

La bellezza italiana, dal paesaggio ai centri storici, è frutto della mano dell’uomo, di secoli di creatività in cui stili ed epoche si sono sovrapposti e incrociati tra loro. Così per le nostre chiese, le nostre piazze, le nostre colline. Perché tutto questo deve fermarsi? Perché il nostro unico compito (che io, ci tengo a sottolinearlo, considero sacro) deve essere tutelare ciò che ci hanno lasciato le generazioni venute prima di noi e non anche aggiungere, integrare con arte e architettura contemporanee, frutto della creatività di grandi maestri o giovani talenti italiani? Perché non riempire di nuove opere le nostre periferie urbane? Perché non accettare che un lavoro architettonico di grande qualità possa colmare ad esempio un vuoto di un nostro centro storico, inserendosi in quella linea di sovrapposizione di epoche che rende uniche al mondo le nostre città? Perché essere contro tutto ciò che innova e osa? Perché attaccare la Loggia di Isozaky, vincitrice di un concorso cui hanno partecipato i più grandi architetti, solo perché è un opera contemporanea nel cuore di Firenze? Non è stata nei secoli contemporanea ogni cosa, quando è stata costruita?

L’art. 9 della Costituzione non ci parla solo di ciò che c’è già ma anche di ciò che non c’è ancora.

Del patrimonio storico artistico della nazione che dobbiamo tutelare fa parte anche la creatività degli artisti di oggi, che non dobbiamo temere come inevitabilmente sfregiatrice, ma che invece dobbiamo valorizzare e promuovere.

*ministro per i Beni e le attività culturali
e per il Turismo