“Perciò, o giudici, quelli che i Siracusani chiamano mistagòghi, cioè le guide che di solito accompagnano i forestieri nella visita alle loro principali opere d’arte, hanno ormai invertito il procedimento della loro spiegazione: infatti prima spiegavano cosa c’era in ciascun luogo, ora invece mostrano cosa è stato portato via da ogni luogo”. È la viva voce di Cicerone a ricordarci come perfino l’immane razzìa di Verre riuscì a ispirare agli sveglissimi ragazzi di Siracusa un lavoro (certo precario, come quello dei loro discendenti di oggi): quello di guide nell’allucinante tour in un patrimonio ferito. Ebbene, anche in questa estate 2020 possiamo farci mistagòghi del disastro di un Paese che, da nord a sud, sembra aver dimenticato che ogni futuro possibile è strettamente legato alla sopravvivenza del suo corpo fisico, e storico.
Partiamo proprio da Venezia: simbolo vagheggiato di una possibile rinascita che del Covid facesse tesoro, riportando il popolo tra le pietre antiche e i canali. Popolo: non milionari in gita. E invece tutto il contrario: “Lo scorso giugno – ha scritto Paola Somma – Invimit ha presentato una proposta progettuale preliminare, a firma dello studio di architettura di Gian Paolo e Giovanna Mar, padre e sorella dell’attuale assessore al turismo Paola Mar, per un quartiere ‘di edilizia residenziale priva di vincoli convenzionali’, quindi privata”. Quattordici ettari di “lusso sostenibile per riqualificare Venezia” (così il sindaco Brugnaro). Nulla dunque è cambiato: a Venezia (come a Firenze) il ‘distanziamento sociale’ è una realtà dettata non dalla pandemia, ma dal dominio del mercato. Lo dimostrano tanti altri pessimi segnali: come il progetto irresponsabile di un pontile per i ‘lancioni’ (torpedoni d’acqua per il turismo di massa) installato alle Fondamenta Nuove, cioè in uno dei pochi quartieri della città dove ancora i residenti resistono. Come dire: il colpo di grazia.
In un’atroce sintesi, Venezia contiene ed esalta tutti i moventi delle tante piccole distruzioni che i moderni mistagòghi dell’Italia potrebbero accompagnarci a vedere, percorrendo la Penisola da Nord a Sud. Potrebbero agevolmente rendersene conto i turisti che, dalla Laguna, percorressero verso nord gli antichi domini della Serenissima, risalendo fino alle pendici delle Dolomiti e visitando così il superbo centro storico di Feltre, città romana e poi splendido principato ecclesiastico medievale. Qua il Comune ha deciso di “segnare” uno dei luoghi simbolo, il Belvedere, con una modernissima tettoia che funga da terminale per ascensori turistici: un manufatto così evidentemente respingente che il progetto stesso prevede di camuffarlo con un improbabile profluvio di verde. La dinamica è quella tipica dell’‘Italia del fare’ (non importa se fare male): un’amministrazione priva di rudimenti culturali preme per la sua piccola-grande opera, la soprintendenza finisce per cedere alle pressioni (in questo caso arrivando a raccomandare che le inserzioni moderne “abbiano caratteristiche tali da evitare, o quanto meno ridurre al minimo, l’interferenza con le strutture antiche”: cioè, per favore schiacciate l’archeologia il meno possibile…) e un piccolo gruppo di cittadini che hanno a cuore il bene comune provano a opporsi, constatando (così su questo caso Italia Nostra di Belluno) “come spesso, con la pretesa di valorizzare, si tolga al ‘bene’ la sua essenza”.
Da Oriente a Occidente, dalla montagna al mare: Liguria, l’incanto della terra verticale che sprofonda fino all’insenatura perfetta di Camogli, con tutta la grazia che fa unica l’Italia. Ma in questo agosto i turisti più attempati possono alternare alla spiaggia la classica panchina con vista cantiere: si sventra infatti il magnifico centro del paese, nell’area dello scalo ferroviario passata di recente al comune (grande questione nazionale, a partire a Milano), per ottenere fino a 500 posti auto interrati, senza guadagnarne neanche uno rispetto a quelli oggi possibili in superfice e devastando per sempre l’area pubblica di fronte al teatro Sociale, con la storica prospettiva tra corso Garibaldi e il palazzo del Comune. La logica è la stessa: Grandi Opere (naturalmente in scala) come unica via per lo sviluppo dell’economia locale, non importa a quale prezzo ambientale.
Scendiamo verso Sud, attraversando Emilia e Toscana: un tempo esempi di buongoverno, oggi asservite alla valorizzazione intesa come messa a reddito. Faenza, città medioevale dal doppio cuore di Piazza del Popolo e Piazza della Libertà. Da tempo si discute del come rendere accessibile, nella prima, la grande sala dell’Arengo nel Palazzo del Podestà. Sanissimo obiettivo: che il Comune pensa però di raggiungere con un pessimo strumento, l’erezione di una oscena torre per attrezzature tecniche che dovrebbe essere giustapposta al corpo medioevale del Palazzo, compromettendo in modo insensato un monumento amatissimo. Italia Nostra ha chiesto ufficialmente al ministero per i Beni Culturali di sottoporre questo incredibile esempio di “mala valorizzazione” ai comitati congiunti per le Belle Arti e il Paesaggio: per ora invano.
La Toscana non se la cava meglio. Se esiste un simbolo della fiera coscienza del bene comune che animava le città orgogliosamente indipendenti del Medioevo, quel simbolo sono le mura, che leggi ed editti imponevano di conservare e mantenere rigorosamente pubblica. Invece, la giunta di Lucca sta per regalare a privati il Baluardo San Paolino e un tratto delle celebri mura rinascimentali della città, per costruirvi un collegamento con il parcheggio dell’ex-Manifattura Tabacchi, in via di conversione residenziale. Insomma, le mura – bene civico per eccellenza – potrebbero trasformarsi presto in parcheggio e giardino di alcuni. E qua i nostri mistagòghi potrebbero spiegare al turista che è l’idea stessa di Italia a essere sparita: restando al suo posto solo quella speculazione edilizia che pure, si rilegga il romanzo che le dedicò Italo Calvino, è un antica tentazione degli italiani.
L’itinerario dello sfascio, arrivati al Sud, potrebbe impegnare mistagòghi e turisti in un viaggio senza fine. Ma c’è un episodio che nella sua crudezza riassume forse tuti gli altri. A Giugliano, in Campania, il 10 luglio è stata distrutta per sempre una masseria settecentesca: le ruspe hanno cancellato questo pezzo di storia per costruire 48 appartamenti con piscina. Nemmeno edilizia popolare, dunque: ma finte villette per abbienti. Lusso (in)sostenibile: come a Venezia. Ora i soliti comitati – quelli liquidati con tanto fastidio dalla politica, eppure così indispensabili perché dell’Italia rimanga qualcosa – stanno cercando di salvare almeno la vicina chiesa di San Francesco che, “sommersa dai rovi e circondata dai rifiuti, nonostante il crollo del soffitto – scrive Italia Nostra – conserva ancora la sua struttura originaria, la volta affrescata e gli stucchi, entrambi di notevole pregio”.
Tutti concentrati sui grandi musei, e sugli influencer che dovrebbero renderli popolari, ci stiamo dimenticando che il nostro corpo collettivo vive e respira lontano dalle biglietterie museali: nelle piazze, nei piccoli borghi, sulle mura, nei giardini. Un corpo martoriato. Il nostro corpo. Da curare, da amare.