Bell’Italia, cartoline da un paese sfregiato

“Perciò, o giudici, quelli che i Siracusani chiamano mistagòghi, cioè le guide che di solito accompagnano i forestieri nella visita alle loro principali opere d’arte, hanno ormai invertito il procedimento della loro spiegazione: infatti prima spiegavano cosa c’era in ciascun luogo, ora invece mostrano cosa è stato portato via da ogni luogo”. È la viva voce di Cicerone a ricordarci come perfino l’immane razzìa di Verre riuscì a ispirare agli sveglissimi ragazzi di Siracusa un lavoro (certo precario, come quello dei loro discendenti di oggi): quello di guide nell’allucinante tour in un patrimonio ferito. Ebbene, anche in questa estate 2020 possiamo farci mistagòghi del disastro di un Paese che, da nord a sud, sembra aver dimenticato che ogni futuro possibile è strettamente legato alla sopravvivenza del suo corpo fisico, e storico.

Partiamo proprio da Venezia: simbolo vagheggiato di una possibile rinascita che del Covid facesse tesoro, riportando il popolo tra le pietre antiche e i canali. Popolo: non milionari in gita. E invece tutto il contrario: “Lo scorso giugno – ha scritto Paola Somma – Invimit ha presentato una proposta progettuale preliminare, a firma dello studio di architettura di Gian Paolo e Giovanna Mar, padre e sorella dell’attuale assessore al turismo Paola Mar, per un quartiere ‘di edilizia residenziale priva di vincoli convenzionali’, quindi privata”. Quattordici ettari di “lusso sostenibile per riqualificare Venezia” (così il sindaco Brugnaro). Nulla dunque è cambiato: a Venezia (come a Firenze) il ‘distanziamento sociale’ è una realtà dettata non dalla pandemia, ma dal dominio del mercato. Lo dimostrano tanti altri pessimi segnali: come il progetto irresponsabile di un pontile per i ‘lancioni’ (torpedoni d’acqua per il turismo di massa) installato alle Fondamenta Nuove, cioè in uno dei pochi quartieri della città dove ancora i residenti resistono. Come dire: il colpo di grazia.

In un’atroce sintesi, Venezia contiene ed esalta tutti i moventi delle tante piccole distruzioni che i moderni mistagòghi dell’Italia potrebbero accompagnarci a vedere, percorrendo la Penisola da Nord a Sud. Potrebbero agevolmente rendersene conto i turisti che, dalla Laguna, percorressero verso nord gli antichi domini della Serenissima, risalendo fino alle pendici delle Dolomiti e visitando così il superbo centro storico di Feltre, città romana e poi splendido principato ecclesiastico medievale. Qua il Comune ha deciso di “segnare” uno dei luoghi simbolo, il Belvedere, con una modernissima tettoia che funga da terminale per ascensori turistici: un manufatto così evidentemente respingente che il progetto stesso prevede di camuffarlo con un improbabile profluvio di verde. La dinamica è quella tipica dell’‘Italia del fare’ (non importa se fare male): un’amministrazione priva di rudimenti culturali preme per la sua piccola-grande opera, la soprintendenza finisce per cedere alle pressioni (in questo caso arrivando a raccomandare che le inserzioni moderne “abbiano caratteristiche tali da evitare, o quanto meno ridurre al minimo, l’interferenza con le strutture antiche”: cioè, per favore schiacciate l’archeologia il meno possibile…) e un piccolo gruppo di cittadini che hanno a cuore il bene comune provano a opporsi, constatando (così su questo caso Italia Nostra di Belluno) “come spesso, con la pretesa di valorizzare, si tolga al ‘bene’ la sua essenza”.

Da Oriente a Occidente, dalla montagna al mare: Liguria, l’incanto della terra verticale che sprofonda fino all’insenatura perfetta di Camogli, con tutta la grazia che fa unica l’Italia. Ma in questo agosto i turisti più attempati possono alternare alla spiaggia la classica panchina con vista cantiere: si sventra infatti il magnifico centro del paese, nell’area dello scalo ferroviario passata di recente al comune (grande questione nazionale, a partire a Milano), per ottenere fino a 500 posti auto interrati, senza guadagnarne neanche uno rispetto a quelli oggi possibili in superfice e devastando per sempre l’area pubblica di fronte al teatro Sociale, con la storica prospettiva tra corso Garibaldi e il palazzo del Comune. La logica è la stessa: Grandi Opere (naturalmente in scala) come unica via per lo sviluppo dell’economia locale, non importa a quale prezzo ambientale.

Scendiamo verso Sud, attraversando Emilia e Toscana: un tempo esempi di buongoverno, oggi asservite alla valorizzazione intesa come messa a reddito. Faenza, città medioevale dal doppio cuore di Piazza del Popolo e Piazza della Libertà. Da tempo si discute del come rendere accessibile, nella prima, la grande sala dell’Arengo nel Palazzo del Podestà. Sanissimo obiettivo: che il Comune pensa però di raggiungere con un pessimo strumento, l’erezione di una oscena torre per attrezzature tecniche che dovrebbe essere giustapposta al corpo medioevale del Palazzo, compromettendo in modo insensato un monumento amatissimo. Italia Nostra ha chiesto ufficialmente al ministero per i Beni Culturali di sottoporre questo incredibile esempio di “mala valorizzazione” ai comitati congiunti per le Belle Arti e il Paesaggio: per ora invano.

La Toscana non se la cava meglio. Se esiste un simbolo della fiera coscienza del bene comune che animava le città orgogliosamente indipendenti del Medioevo, quel simbolo sono le mura, che leggi ed editti imponevano di conservare e mantenere rigorosamente pubblica. Invece, la giunta di Lucca sta per regalare a privati il Baluardo San Paolino e un tratto delle celebri mura rinascimentali della città, per costruirvi un collegamento con il parcheggio dell’ex-Manifattura Tabacchi, in via di conversione residenziale. Insomma, le mura – bene civico per eccellenza – potrebbero trasformarsi presto in parcheggio e giardino di alcuni. E qua i nostri mistagòghi potrebbero spiegare al turista che è l’idea stessa di Italia a essere sparita: restando al suo posto solo quella speculazione edilizia che pure, si rilegga il romanzo che le dedicò Italo Calvino, è un antica tentazione degli italiani.

L’itinerario dello sfascio, arrivati al Sud, potrebbe impegnare mistagòghi e turisti in un viaggio senza fine. Ma c’è un episodio che nella sua crudezza riassume forse tuti gli altri. A Giugliano, in Campania, il 10 luglio è stata distrutta per sempre una masseria settecentesca: le ruspe hanno cancellato questo pezzo di storia per costruire 48 appartamenti con piscina. Nemmeno edilizia popolare, dunque: ma finte villette per abbienti. Lusso (in)sostenibile: come a Venezia. Ora i soliti comitati – quelli liquidati con tanto fastidio dalla politica, eppure così indispensabili perché dell’Italia rimanga qualcosa – stanno cercando di salvare almeno la vicina chiesa di San Francesco che, “sommersa dai rovi e circondata dai rifiuti, nonostante il crollo del soffitto – scrive Italia Nostra – conserva ancora la sua struttura originaria, la volta affrescata e gli stucchi, entrambi di notevole pregio”.

Tutti concentrati sui grandi musei, e sugli influencer che dovrebbero renderli popolari, ci stiamo dimenticando che il nostro corpo collettivo vive e respira lontano dalle biglietterie museali: nelle piazze, nei piccoli borghi, sulle mura, nei giardini. Un corpo martoriato. Il nostro corpo. Da curare, da amare.

“Sui test sierologici nessuna pressione Certi sindaci cercavano solo consenso”

La Lombardia è stata una delle zone d’Europa più colpite dal Coronavirus e dove la reazione della sanità pubblica è stata più problematica. “Il sistema lombardo – risponde Walter Bergamaschi, direttore generale dell’Agenzia di tutela della salute-Ats di Milano – ha reagito a una epidemia imprevista per dimensioni e gravità: la nostra esperienza, a Milano, riguardava qualche decina di casi, questa volta ne abbiamo avuti oltre 60 mila. Ovvio che qualche ritardo o insufficienza si siano manifestati”.

La sanità territoriale debole in Lombardia ha contribuito alla diffusione record dei contagi?

La debolezza della sanità territoriale lombarda è tutta da dimostrare. Abbiamo gli stessi numeri delle altre Regioni sia nelle dotazioni che nei risultati dei livelli di assistenza. Nelle prime fasi, il territorio poteva sorvegliare i pazienti, ma non curarli: la priorità era per i malati che arrivavano al pronto soccorso e finivano in terapia intensiva.

Molti medici di base ci hanno segnalato di essere stati lasciati soli.

Abbiamo messo a disposizione un portale per segnalare casi sospetti e monitorare i casi accertati, i contatti e i pazienti fragili. I medici di famiglia hanno segnalato oltre 30 mila casi sintomatici. Se in una metropoli come Milano siamo riusciti a contenere l’incidenza dell’epidemia, è segno che questa rete collaborativa è stata efficace.

Come abbiamo raccontato giorni fa, il 19 maggio lei ha inviato al sindaco di Cisliano una diffida in cui lo intimava a non proseguire con i test sierologici non compresi nel protocollo regionale, quello che coinvolge il San Matteo di Pavia e la Diasorin. Perché?

Il test sierologico, non accompagnato da un tampone in caso di positività, non ha valore diagnostico. Non è utile per limitare i contagi perché i soggetti negativi sanno solo che possono ancora infettarsi (addirittura possono già essere infetti senza aver ancora sviluppato gli anticorpi) e quelli positivi non sanno se e quanto sono protetti. Il sindaco di Cisliano aveva un accordo con un laboratorio privato neppure autorizzato dalla Regione e aveva organizzato una campagna di test a pagamento, con tariffa di 45 euro (il rimborso riconosciuto dal Servizio sanitario regionale è di 5,2 euro). Quando sono arrivati i primi risultati positivi si è rivolto a noi per avere i tamponi. E non aveva previsto un percorso di isolamento per i positivi.

Ma a chi altro doveva rivolgersi se non alla Regione? Invece di diffidarlo a individuare i positivi, si poteva aiutarlo a creare almeno dei percorsi di isolamento.

La diffida ha ricordato al sindaco che per operare a tutela della salute pubblica ci sono regole da seguire. Allo stesso modo sono state emesse diffide anche a dentisti, ortopedici, amministratori di condominio che proponevano test sierologici al di fuori di ogni garanzia per i nostri assistiti. Le indagini epidemiologiche hanno un senso se organizzate in protocolli nazionali o regionali, con chiare finalità di studio. I sindaci cercavano consenso, più che prevenzione dei contagi.

La Regione ha inviato email ai laboratori privati accreditati minacciando di togliere la convenzione a chi avesse proseguito con i test alternativi. Perché tanto amore per il sierologico Diasorin?

Non mi risultano minacce di questo genere. Piuttosto ricordo che l’offerta privata di test sierologici, con margini di profitto consistenti, non garantiva poi la possibilità di effettuare il tampone a chi risultava positivo. Siamo intervenuti a tutela degli assistiti e per evitare speculazioni che nascevano da una domanda di test irrazionale e incontrollata.

Bertolaso Hospital: martedì si decide sul piano di riutilizzo

Riconvertire per salvare il salvabile. In primis la faccia. È la strategia del Pirellone per uscire dal “ginepraio” dell’Ospedale in Fiera. A fronte della mancata rendicontazione e dell’inutilizzo di quella che doveva essere la terapia intensiva “più grande d’Italia” – con i suoi 157 letti –, la Giunta Fontana ha fatto trapelare che sarebbe allo studio un piano “top secret” per il suo riutilizzo. Non più semplice Covid Hospital, ma “un ambiente nuovo” da usare per servizi ambulatoriali in base alle esigenze, anche non legate Covid. In pratica un maxi ambulatorio costato almeno 17,2 milioni.

Una terza via, tra l’Astronave concepit da Guido Bertolaso e le proposte successive di riutilizzo, come quella firmata dal dottor Giuseppe Torgano, responsabile dell’Unità operativa semplice, del pronto soccorso del Policlinico di Milano, il quale suggeriva di trasformare la Fiera nell’hub dove concentrare tutti i casi sospetti covid, gravi e meno gravi. Una proposta snobbata dall’assessore Giulio Gallera. Martedì la decisione finale.

E se a Milano il dibattito è aperto, sull’altra creatura di Bertolaso, il Covid Hospital di Civitanova Marche, le polemiche infuriano. Oltre alle due inchieste aperte dalle procure di Ancona e Macerata, sull’Astronavina aleggia anche un esposto alla Corte dei Conti. A presentarlo diversi comitati, associazioni e privati cittadini, guidati dall’ex sindaco della cittadina Ivo Costamagna. Secondo loro, la struttura ospitata nella fiera – 80 letti costati 12 milioni e che richiederanno altri 2 milioni per essere smantellati – non sarebbero stati realizzati senza oneri per la Regione Marche. La delibera regionale, infatti, prevedeva che l’ospedale dovesse essere “regalato” dal Cisom (Struttura operativa del Sovrano Ordine militare di Malta), il quale si sarebbe fatto carico di tutti i costi. Ma come la mettiamo con i 5 milioni elargiti da Cassa depositi e prestiti? Non sono soldi pubblici da rendicontare? si chiedono i comitati.

Inoltre, sostengono, appare discutibile anche l’iter col quale il comune di Civitanova ha concesso l’utilizzo della stessa Fiera. Sulla struttura gravava da anni un contenzioso tra il Comune e la Ati (capeggiata dalla Royal group srl) che nel 2016 ne aveva ottenuto la gestione. A causa di alcune controversie legate alle condizioni dell’immobile, l’Ati si era rifiutato per tre anni di pagare l’affitto, accumulando un debito di circa 200 mila euro. Debito azzerato quando Regione Marche ha scelto proprio la fiera di Civitanova per l’atterraggio dell’Astronavina.

Nella delibera del 3 aprile 2020, il comune non solo sanciva di rinunciare ai 200 mila euro che fino al giorno prima riteneva dovuti, ma concedeva anche una “buonauscita” all’Ati di 57 mila euro. Un bagno di sangue per le casse pubbliche. Una scelta inspiegabile se non con le pressioni esercitate dalla giunta Ceriscioli, la quale nella notte tra il 3 e il 4 aprile – cioè lo stesso giorno in cui il comune rinunciava ai 257 mila euro – dava il via libera all’operazione di Bertolaso.

Ok test rapidi, ma caos prenotazioni: oltre 8mila richieste in un solo giorno

Continuano ad aumentare i casi di coronavirus. Ieri, oltre a tre decessi, si sono registrati 574 nuovi contagi (giovedì erano 523), con picchi in Veneto (127), Lombardia (97) ed Emilia Romagna (57). Solo in Molise e in Valle D’Aosta non si sono riscontrati altri infettati. Intanto per i turisti che rientrano dalle vacanze in Croazia, Grecia, Malta o Spagna è scattata la corsa per effettuare il tampone, come previsto dall’ordinanza, entrata in vigore ieri, con la quale il ministro alla Salute Roberto Speranza, ha imposto il test entro 48 ore dal ritorno in Italia.

Test che può essere effettuato, dove possibile, anche all’arrivo in aeroporto o porto. Nel solo Lazio, al numero verde attivato dalla Regione ieri pomeriggio erano già arrivate oltre 5.000 telefonate. Tutte da persone rientrate o in procinto di rientrare. Mentre nella sola giornata di giovedì erano già stati effettuati, nei drive-in attivati, 1.500 tamponi. Cosa che ha portato l’assessore alla Sanità del Lazio, Alessio D’Amato, a chiedere la collaborazione dei cittadini: “I nostri operatori stanno facendo uno sforzo straordinario, lavorando instancabilmente anche con 40 gradi, se c’è un’attesa da fare chiedo comprensione”.

Dal Lazio all’Emilia-Romagna. Anche qui fioccano le prenotazioni. La sola Ausl di Bologna ha già contato 2.700 richieste, effettuate tramite il form online: tutte già spalmate sino alla fine della prossima settimana e anche oltre. Un altro centinaio sono arrivate all’Ausl della Romagna, competente per le province di Ravenna, Rimini e Forlì-Cesena. Nel Bolognese il sistema sanitario per ora sembra reggere e i vertici dell’azienda assicurano che la macchina organizzativa sarà rafforzata qualora aumentasse notevolmente il numero dei rientri. Molte Regioni non hanno ancora il dato complessivo su quante persone hanno già segnalato il loro rientro. Ma il rischio che si crei un imbuto, che le aziende sanitarie si trovino a dover fronteggiare una grande mole di lavoro (o peggio: il caos) è concreto. Un pericolo paventato dal presidente della Toscana, Enrico Rossi. La Regione ha attivato giovedì sera il numero unico regionale da chiamare per segnalare il rientro e prenotare il test: già 350 richieste in 24 ore. Le autorità sanitarie stimano una media di 400 chiamate al giorno. Rossi ha scritto a Speranza, al ministro dei Trasporti Paola De Micheli e al ministro dell’Interno Luciana Lamorgese. Ha chiesto che sia resa obbligatoria la comunicazione della partenza, e della data di rientro prevista, per Grecia, Spagna, Malta e Croazia per permettere alle aziende sanitarie di programmare i tamponi. Nel frattempo ha deciso di mettere il test a disposizione di tutti coloro che rientrano dall’estero gratuitamente. Non solo, quindi, di quelli che tornano dai Paesi indicati dall’ordinanza del ministro Speranza.

Ultimo ballo a Ferragosto Regioni sparse sulle disco

Tutti contro le discoteche, o quasi. Alla vigilia di Ferragosto, con i numeri del Covid in continua risalita, governo e Regioni decidono che è l’ora di non scherzare più. E di ascoltare il Comitato tecnico-scientifico, che il 31 luglio, alla richiesta di un parere sul protocollo presentato dai gestori per la riapertura, era stato lapidario: i locali notturni non possono ripartire, né al chiuso, né all’aria aperta. “Troppo alti i rischi legati a numeri e tipologia di aggregazione, non importa quante precauzioni si prendano”, spiega Sergio Iavicoli, direttore del dipartimento di Epidemiologia dell’Inail e membro del Cts.

La stretta, però, non è arrivata. O meglio, è stata lasciata all’iniziativa delle Regioni. Che, come spesso accade, si sono mosse in ordine sparso: dopo il panico del Seven Apples di Marina di Pietrasanta – 2 positivi, 726 richieste di tampone all’Asl – la Toscana ha imposto 2 metri di distanza per chi accede alle piste da ballo, l’obbligo di registrazione all’ingresso e un “registro delle presenze” da conservare, a cura dei gestori, per due settimane. In Puglia Emiliano opta per l’obbligo di mascherina e il divieto di accesso con temperatura sopra i 37,5 °C. Sicilia, Lombardia e Sardegna riducono le capienze rispettivamente al 40, 50 e 70 per cento del totale. Giovedì la Calabria di Jole Santelli ha deciso per la chiusura di tutti i locali da ballo, mentre ieri si sono aggiunte Emilia-Romagna e Veneto (capienza al 50% e obbligo di mascherina).

Ma parequestione di giorni prima che lo stop alle disco arrivi direttamente dall’alto, cioè dal governo. D’altra parte, il parere del Cts non è cambiato in due settimane. Anzi: “Con questi numeri non possiamo fare altro che ribadire con più forza quanto abbiamo già indicato”, dichiara Iavicoli. E giovedì il coordinatore del Comitato, il medico di Protezione Civile Agostino Miozzo, lo ha detto con molta chiarezza: “Le discoteche devono rimanere chiuse: checché se ne dica, con migliaia di ragazzi ammassati non c’è nulla da fare. Le aggregazioni di massa sono devastanti, impossibili da gestire”. “Ci rendiamo conto delle implicazioni economiche, ma il nostro compito è dare un parere tecnico – aggiunge Miozzo al Fatto – e le indicazioni non possono che essere restrittive, peraltro in linea con quanto avviene nel resto d’Europa”. Già, perché proprio ieri la Spagna assediata dai contagi ha chiuso tutti i club e i locali notturni. Vietato anche fumare per strada a distanza inferiore ai due metri.

Il Comitato non si riunirà prima di mercoledì 19, ma al momento lo scenario più probabile è che la stretta arrivi subito dopo Ferragosto. A puntare i piedi ci sono una parte dei governatori di Regione, che vorrebbero salvare almeno i giorni più “caldi” a cavallo del 15, per non scoraggiare il turismo. Ciò che speravano anche i proprietari dei locali: “C’erano le condizioni perché la cosa potesse essere gestita diversamente. Bastava aspettare un paio di giorni, e farla partire da lunedì, avremmo risolto un sacco di problemi”, si sfoga Gianni Indino, presidente del Silb (Sindacato locali da ballo) dell’Emilia-Romagna. La stretta voluta da Bonaccini “è un brutto segnale, perché identifica nei locali da ballo quelli che in qualche modo scatenano la pandemia”.

Il governo,però, appare compatto. Dietro le ordinanze regionali degli ultimi giorni ci sarebbe il pressing del ministro della Salute Roberto Speranza, protagonista di una vera moral suasion nei confronti dei governatori. Spalleggiato in questo dal collega Francesco Boccia: “Bene la prudenza e il rigore massimo applicato dalle Regioni – dice il titolare degli Afari Regionali –, continueremo nelle prossime ore il monitoraggio costante, pronti a ogni intervento”. Qualche ora prima sempre Boccia aveva dato una sorta di ultimatum: “Se i numeri non cambiano sarà inevitabile un freno alla movida. La prossima settimana si cercherà di condividere una scelta rigorosa con tutte le Regioni. In fondo anche i gestori non si aspettano di rimanere aperti tutto il mese”, ha aggiunto. Probabile, ancora oggi, un nuovo vertice coi governatori in videoconferenza.

E il caos sulla vita notturna ha già fatto la prima vittima eccellente: il dj Gigi D’Agostino ha cancellato l’esibizione live prevista per ieri sera alla discoteca Altromondo di Rimini (riservata, peraltro, a sole 200 persone). “Mi spiace trovarmi qui a riscrivere le stesse cose che ho scritto a marzo”, ha scritto l’artista. “Purtroppo il problema Covid si sta di nuovo aggravando. Ho deciso che il mio live set non ci sarà, per il bene del pubblico e di tutti gli operatori addetti alla produzione dell’evento”.

Liguria: Conte incontra Sansa

Un confronto fuori programma durato quasi un’ora. Ieri il candidato giallorosa in Liguria, il giornalista del Fatto Ferruccio Sansa, ha incontrato il premier Giuseppe Conte e il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, entrambi a Genova per la commemorazione delle vittime del ponte Morandi. L’incontro, non compreso dell’agenda del capo del Governo, talmente improvvisato che non c’è stato il tempo di trovare una sede: così Sansa e i due esponenti di governo hanno parlato ai tavolini di un bar in piazza Masnata, nel quartiere popolare di Sampierdarena, a poche centinaia di metri dal viadotto appena ricostruito.

Si è discusso del porto e dell’industria genovesi, nonché del dossier del ministero delle Infrastrutture sulle 21 opere da realizzare in Liguria (tra cui il nodo ferroviario di Genova e la Gronda). Il ministro Bonafede avrebbe accennato a investimenti per l’edilizia dei tribunali liguri. Sparsa la voce, fuori dal locale ha preso a radunarsi una piccola folla che ha tentato persino qualche incursione per ottenere un selfie con il presidente del Consiglio. Che dopo qualche minuto di saluti e applausi dei cittadini, si è allontanato per tornare a Roma.

Sull’incontro sono arrivate numerose polemiche dagli ambienti vicini al governatore Giovanni Toti, avversario di Sansa alle regionali del 20 e 21 settembre: “Il premier Conte, arrivato a Genova con il volo di Stato, dopo aver partecipato alla commemorazione delle vittime del Ponte Morandi indovinate chi ha incontrato in un bar di Sampierdarena? Il candidato Sansa! Proprio lui. A casa nostra questa si chiama campagna elettorale. Ma sicuramente per i purissimi non sarà così. Noi invece la troviamo una vergogna e una assoluta mancanza di rispetto verso questa giornata, in cui la campagna elettorale non doveva entrare. Conte chieda scusa!”, attacca la Lista Toti in una nota.

“Puglia e Marche si può fare Siamo una vera coalizione”

Onorevole Orlando, Rousseau ha dato il via alle alleanze locali. Lei è il vicesegretario del Pd: contento?

Si tratta di un passaggio che va nella direzione che auspicavamo: la formazione di una coalizione alternativa alla destra, con il superamento di alcuni tratti anti-politici che hanno segnato M5S dalla sua nascita. Credo sia merito anche della nostra iniziativa politica che ha impedito una saldatura di tutti i populisti. In Italia ora c’è una coalizione europeista e una anti europeista.

Il voto agisce sulle alleanze ancora da fare. Ma può riaprire qualche margine nelle Marche e in Puglia?

Mi auguro di sì. Anche perché è abbastanza evidente che un’alleanza tra noi e M5S può fare la differenza. I tempi però sono strettissimi. Ci sono tutti i presupposti perché questo possa avvenire. Nelle Marche è più facile, perché c’è un candidato rispetto al quale il M5S non ha fatto 5 anni di opposizione. Proseguiamo l’interlocuzione e teniamo una proposta ferma. Se non c’è una risposta sarà chiaro all’elettorato di chi è la responsabilità della mancata alleanza. In Puglia, Emiliano ha sempre cercato un rapporto con M5S.

C’è chi dice che lei è pronto a sostenere la Raggi. È vero?

Veramente ho detto civilmente il contrario. Le alleanze si fanno dove ci sono i presupposti programmatici. Sono stato chiaro sulla Raggi, dando un giudizio drasticamente negativo sul suo operato.

Il vicesindaco di Roma, Luca Bergamo, è stato critico sulla scelta della Raggi. Possibile trovare una convergenza, magari su un altro nome di M5S?

Oggi Crimi ha confermato il sostegno alla Raggi. Su queste basi non mi pare che a Roma ci siano le condizioni per un’alleanza, anche se è giusto proseguire il confronto.

Lei è ligure: Sansa sembra essere molto solo.

Le forze politiche che lo sostengono sono obiettivamente in ritardo. Appena chiuse le liste elettorali si supererà questa situazione.

Sono già partite le trattative nelle città. In particolare, un gioco di incastri dovrebbe esserci tra Torino, Roma e Napoli.

Non mi metto a fare un risiko. È importante vedere che anima prende l’alleanza. È necessario dargli contenuti e un asse. Sennò, la sommatoria rischia di essere a saldo negativo.

Qual è la sua asticella sulle Regionali? Se le due formazioni che sono al governo dovessero andare molto male, l’esecutivo rischia?

Non vedo nessi tra le Regionali e gli assetti nazionali. Bisogna capire se in tutte le regioni la coalizione che sostiene il governo è competitiva o no. Il risultato può incidere se in tutte le regioni la destra sopravanzasse la somma delle forze che sostengono il governo.

In caso di risultato negativo serve il rimpasto? Molti sostengono che con l’entrata di Zingaretti il governo farebbe un salto di qualità politica.

Non credo ci sia bisogno di questo. E non serve l’entrata di Zingaretti per dimostrare che ci stiamo credendo in questo governo. Semmai un risultato negativo metterà l’accento sul bisogno di rafforzare un’anima politica di questa coalizione.

Con Conte come leader?

Serve una figura ponte: Conte è la migliore, se non forse l’unica.

Conte sarà anche il candidato premier del futuro?

Si tratta di una discussione molto prematura. Bisogna capire se e che cosa sarà il nuovo centrosinistra. E questo si definirà in gran parte nella capacità di affrontare la crisi post-Covid.

Con un esito negativo delle Regionali, ci può essere la richiesta di un congresso del Pd. Zingaretti viene criticato dall’interno per mancanza di incisività. Lei è pronto a candidarsi?

Fare questa critica nel giorno in cui porta a casa il successo della linea politica da lui indicata è paradossale. Ci si dovrebbe accorgere che siamo circondati da leader tanto perentori quanto inconcludenti. Non sono in competizione con Zingaretti, faccio una cosa che mi piace, che ho scelto, rinunciando a fare il ministro. Sono rimasto nel Pd per costruire il partito: semmai è necessario maggiore impegno in questo. Il congresso è necessario non per le Regionali ma per chiudere definitivamente gli anni 90. Ma al di là delle legittime aspirazioni non mi pare ci sia competizione tra linee politiche. Anche chi ha il mal di pancia sull’alleanza M5S-Pd non indica strade alternative.

Il Pd non ha ancora dato un’indicazione di voto per il referendum. Lei dirà sì?

Io credo che questa indicazione ci debba essere, dopo un passaggio formale. Per come la vedo io, non penso che il taglio dei parlamentari sia un vulnus per la democrazia, né la ritengo una vittoria di Di Maio. Va contestualizzato inserendo altre riforme di sistema. Certo, vedo molto dura una campagna elettorale dove si spiega che si deve votare no dopo aver detto sì alla stessa riforma.

“Siamo maturi: giusto dare ai nostri sindaci un’altra opportunità”

Caro direttore, sono stato capo politico del MoVimento 5 Stelle per due anni e attraverso le sue pagine vorrei dare un contributo per leggere la situazione interna e analizzare l’evoluzione dei fatti dopo questa prima esperienza di governo.

Il MoVimento 5 Stelle sta vivendo una nuova fase. Da forza di opposizione si è trasformata in forza di governo. Ma nonostante tutto abbiamo mantenuto i nostri capisaldi basati sulla legalità, sull’eliminazione di ingiustizie sociali, sull’abolizione di privilegi, sul rispetto delle persone. Per il MoVimento 5 Stelle il cittadino rimane centrale e l’azione politica che stiamo portando avanti mira a mettere al primo posto solamente gli interessi degli italiani.

Poi ci sono aspetti che nel corso degli anni possono cambiare, o forse è meglio dire: evolvere.

Stiamo affrontando una prova di maturità che vede il MoVimento confrontarsi con una nuova realtà che ci mette davanti a scelte ben precise. E bisogna essere in grado di accettare la sfida. Rimanere fermi e ancorati al passato sarebbe la cosa più sbagliata da fare. Non è la strada giusta da seguire se vuoi crescere, stare al passo coi tempi e rispondere anche alle nuove esigenze dei cittadini e della società.

Io penso che la forza di un movimento non sia determinata dal singolo, ma dal gruppo. Penso anche che la vera essenza del nostro movimento la si trovi sui territori, tra i nostri amministratori locali e regionali che hanno fatto dei percorsi incredibili. A volte senza strumenti, ma con tante idee, sono riusciti a ottenere importanti traguardi. E di loro siamo profondamente orgogliosi.

La votazione di ieri era proprio rivolta a loro, a tutti quei sindaci e consiglieri comunali che meritano di andare avanti, che hanno bisogno di maggiore supporto e che devono essere messi nelle condizioni di poter governare una città.

Per questo motivo ho detto chiaramente che servivano due SÌ . Due SÌ perché io mi fido dei territori e i territori devono potersi fidare di noi.

Escludere Virginia Raggi, ad esempio, sarebbe stata una follia, così come sarebbe una follia non dare una nuova opportunità a tutti quei sindaci e consiglieri del MoVimento che stanno cambiando il modo di pensare e fare politica anche nelle piccole città. Queste persone stanno incidendo grazie alla loro forza d’animo, alla loro passione e alla loro genuinità. E sono una grande risorsa per tutti noi.

Senza di loro il MoVimento non avrebbe vita.

Da oggi inizia anche una nuova era che ci vedrà maggiormente protagonisti nelle elezioni amministrative. Aprirci anche ai partiti tradizionali non è peccato, l’abbiamo fatto a livello nazionale. E non significa snaturarci, ma portare i nostri valori, i nostri principi e le nostre idee anche fuori dal movimento.

Vogliamo influenzare positivamente anche le altre forze politiche. E fare delle alleanze a livello locale può essere lo strumento giusto.

Da questa votazione cogliamo anche l’occasione per iniziare a prepararci al prossimo appuntamento delle comunali 2021. Si voterà a Milano, Roma, Torino, Bologna e Napoli. E sarà un importante momento elettorale dove dovremo esserci e dare il meglio.

Il MoVimento doveva crescere, senza alcun timore, ma doveva capire cosa migliorare, cosa affinare per riuscire a rimanere il MoVimento 5 Stelle. Cioè quella forza politica che ha abolito i vitalizi, introdotto il reddito di cittadinanza, fatto lo spazzacorrotti e il decreto dignità, tagliato il numero dei parlamentari. E come ha ribadito anche Vito Crimi, ancora dobbiamo fare tanto per il nostro Paese.

Ma abbiamo visto che da soli non si possono raggiungere traguardi ambiziosi. Bisogna allearsi e bisogna valorizzare al meglio le risorse interne. Pensare di farle fuori sarebbe la cosa più sbagliata del mondo.

A sancire tutto questo sono stati i nostri attivisti con la votazione di ieri, che da sempre sono i protagonisti nelle scelte del MoVimento.

Questa è la strada da seguire, ne sono convinto e mi batterò per far crescere sempre di più il MoVimento.

Per farlo è necessario anche tornare nelle piazze, in mezzo alla gente. Non bisogna perdere il contatto con la realtà, con la vita reale.

Il contatto con le persone è qualcosa che ritengo unico ed essenziale per una forza politica che è nata proprio tra la gente.

Io ci sono e ci sarò sempre per il MoVimento.

E sarò sempre pronto a mettere a disposizione la mia passione e le mie idee.

M5S, passa la linea dei vertici: sì a 3 mandati e alleanze col Pd

Via libera all’estensione del mandato zero e alle alleanze a livello locale. La piattaforma Rousseau approva un altro passo nella mutazione dei 5 Stelle. Gli iscritti hanno approvato le due norme votando quasi in 50 mila e confermando la linea sostenuta da Vito Crimi e dall’ex leader Luigi Di Maio.

Si estende così il “mandato zero” a chiunque abbia a curriculum una consiliatura nei Comuni. Troppo poco – e troppo diversa – per essere equiparata a 5 anni in Parlamento o nelle Regioni, tanto che il risultato è plebiscitario (80 per cento a 20). Più scivoloso il secondo quesito, approvato con uno scarto inferiore (60 per cento di Sì, 40 di No) e con qualche malumore interno (Barbara Lezzi, vicina ad Alessandro Di Battista, aveva annunciato il suo No). Il Movimento potrà ora “valutare la possibilità di alleanze” coi “partiti tradizionali” per le amministrative.

Il voto riguarda solo le Comunali ma le ripercussioni potrebbero essere più ampie. Non è un caso che in questi giorni diversi esponenti del Pd stiano insistendo per una convergenza su Maurizio Mangialardi come candidato unitario per le regionali nelle Marche di settembre. Ieri, dopo l’uscita di Andrea Orlando di martedì (“ci stiamo provando”), è intervenuto il sindaco di Pesaro Matteo Ricci: “Basta tentennamenti, si faccia l’alleanza, ticket Mangialardi-Mercorelli (il candidato M5S, ndr) e andiamo a vincere”. La proposta è concreta: oltre al ticket tra i due candidati, un accordo su tre punti del programma dei 5 Stelle e un piano di rinascita con i fondi del Recovery Fund. Mercorelli ha smentito (“se faranno l’accordo non sarà con me”) ma la trattativa è avviata e Luigi Di Maio è favorevole. L’obiettivo è di chiudere entro 48 ore.

L’altro effetto del voto di ieri riguarda le amministrative di Roma 2021. A inizio settimana Virginia Raggi aveva annunciato di volersi candidare per un secondo mandato (dopo mezza consiliatura all’opposizione) con una fuga in avanti che aveva spiazzato M5S e Pd.

Raggi aveva dato per certa la deroga poi accordata dagli iscritti, facendo però storcere il naso al suo vice Luca Bergamo, che ieri al Corriere ha criticato la mancanza “di confronto” esternando malumori condivisi da altri nel Movimento romano, pronti a chiedere le primarie. Senza dimenticare che la sindaca ha escluso l’alleanza col Pd, su cui invece gli attivisti si sono mostrati disponibili (pur in altri contesti). Se il M5S restasse sulla Raggi, l’intesa sarebbe in ogni caso compromessa: “Non sosterremo mai la candidatura della Raggi – ha detto ieri Nicola Zingaretti – perché credo siano stati 5 anni drammatici per Roma”.

“Bancomat” di FI: ex tesoriere Contu ora deve restituire un milione di euro

Aveva elargito ingenti somme di denaro, anche in contanti, ai consiglieri del suo partito senza vigilare sul loro corretto utilizzo. L’ex tesoriere di Forza Italia in Consiglio Regionale Mariano Contu dovrà restituire alla Regione Sardegna la cifra monstre di 1.283.000 euro per l’uso illecito dei fondi assegnati al suo gruppo tra il 2004 e il 2009 e non attinenti a finalità istituzionali. Lo ha stabilito il 12 agosto la sezione centrale d’Appello della Corte dei Conti di Roma confermando la sentenza di maggio emessa dal giudice contabile regionale, che aveva condannato Contu al risarcimento di 1.353.977 euro. La Corte ha respinto il ricorso dell’ex tesoriere, scontando dalla somma stabilita in primo grado i 70 mila euro già versati nel processo penale in cui Contu aveva patteggiato un anno e dieci mesi: era stato accusato di peculato aggravato nell’ambito della maxi inchiesta sui fondi che dal 2009 ha scoperchiato il sistema di uso illecito dei plafond assegnati ai gruppi in Regione. In totale 24 milioni spesi dal 2004 al 2014, e impiegati nei modi più bizzarri dagli onorevoli di tutti gli schieramenti: dai viaggi alle auto, dai rolex alle montblanc, fino al conto di un matrimonio di lusso.

A Contu, che ha sempre dichiarato il suo limitato perimetro di vigilanza rispetto all’operato dei singoli consiglieri, vengono contestati “sistematici prelievi di somme in contanti” (ben 111) per un controvalore di oltre un milione e duecentomila euro. Un comportamento, si legge nella condanna, che “rappresenta in sé una patente e gravissima violazione delle ordinarie e basilari regole di amministrazione del denaro pubblico” rispetto al quale “non pare ammissibile alcuna forma di buona fede intesa come ignorantia legis”.