Israele ed Emirati quasi amici. Patto per la Cisgiordania

La dichiarazione è storica, nel bene e nel male. Israele ha sospeso l’annessione della Cisgiordania in seguito all’accordo con il principe ereditario e ministro della Difesa di Abu Dhabi, Mohammed bin Zayed, per normalizzare le relazioni con gli Emirati Arabi Uniti. Secondo l’accordo, Israele ha accettato di evitare l’applicazione della sovranità alle aree della Cisgiordania che annunciò di voler annettere lo scorso 1° luglio, hanno affermato alti funzionari della Casa Bianca. L’annessione fu posticipata in seguito alle polemiche e alle campagne online di molte associazioni di ebrei della diaspora come Jlink (rete ebraica internazionale progressista) e alla lettera appello dell’ex presidente della Knesset Avraham Burg che raccolse le firme di centinaia di legislatori in tutto l’Occidente.

Mbz, come viene chiamato lo sceicco a capo degli Emirati Arabi, da mesi si è allontanato dall’ex alleato Mohammed bin Salman (Mbs), principe ereditario saudita, per condurre una politica uguale ma rivale rispetto a quella di Ryad, approfittando della perdita di credibilità di Mbs per l’omicidio Khasoggi, il tentativo di far uccidere l’ex capo dei servizi segreti fuggito in Canada e per l’andamento fallimentare e tragico del conflitto yemenita dove i due ex alleati hanno iniziato a distanziarsi, addirittura combattendosi. Il leader emiratino si è infilato nel vacuum lasciato dall’Arabia Saudita nella spinosissima questione dell’annessione, dato che inizialmente il piano di pace del Secolo messo a punto l’anno scorso dall’amministrazione Trump e il premier israeliano Benjamin Netanyahu aveva come “complice” e garante proprio Mbs che aveva stabilito un rapporto di fiducia con il genero-consigliere di Trump, l’ebreo ortodosso Jared Kushner.

Il giovane marito di Ivanka Trump ha contribuito anche in questo caso al raggiungimento dell’accordo con il nuovo dominus del Golfo. Il 13 agosto 2020 entrerà dunque nei libri di storia perché dopo Egitto e Cisgiordania, anche gli Emirati Arabi Uniti sono diventati paesi arabi amici di Israele. Questo accordo, di cui ancora non si conoscono i contenuti in modo esaustivo, arriva, non a caso, in un momento molto difficile per Netanyahu, contestato in patria da settimane anche da coloro che lo avevano votato e ora ne chiedono le dimissioni e la celebrazione del processo posticipato in cui è imputato per corruzione e altri reati. Bibi ha più volte esultato nel corso della giornata di ieri attraverso Twitter definendo la giornata “storica”. Nella serata ha poi tenuto un discorso a reti unificate.

Intanto è già stato confermato che Delegazioni di Israele ed Emirati Arabi Uniti si incontreranno nelle prossime settimane per firmare accordi bilaterali riguardo gli investimenti, il turismo, i voli diretti, la sicurezza, le telecomunicazioni e altre questioni, secondo una nota congiunta dei tre Paesi. “Questa storica svolta diplomatica farà avanzare la pace nella regione del Medio Oriente ed è una testimonianza dell’audace diplomazia e visione dei tre leader e del coraggio degli Emirati e di Israele nel tracciare un nuovo percorso che sbloccherà il grande potenziale nella regione”, dice la dichiarazione.

L’ambasciatore degli Emirati Arabi Uniti negli Stati Uniti, Yousef Al Otaiba, ha rilasciato una dichiarazione definendo l’accordo “una vittoria per la diplomazia e per la regione. Questa decisione arresta immediatamente l’annessione e il potenziale di escalation violenta. Mantiene la fattibilità di una soluzione a due stati come avallata dalla Lega araba e dalla comunità internazionale”. Ma i palestinesi, sia Fatah che Hamas, per una volta unite nel dissenso, ritengono la decisione di Abu Dhabi “una pugnalata nella schiena”

Una fonte politica israeliana ha detto al quotidiano Haaretz che l’annessione è ancora sul tavolo e che Israele è impegnata in essa. “L’amministrazione Trump ha chiesto di posticipare temporaneamente l’annessione al fine di ottenere l’inizio di questo storico accordo di pace con gli Emirati”. Uno dei più noti membri del Comitato esecutivo dell’Olp, Hanan Ashrawi, ha condannato l’accordo e i suoi termini su Twitter. “Israele è stata ricompensata per non aver dichiarato apertamente ciò che ha fatto alla Palestina illegalmente e con insistenza dall’inizio dell’occupazione. Gli Emirati Arabi Uniti sono usciti allo scoperto sui loro rapporti segreti e la normalizzazione con Israele. Per favore, non farci un favore. Non siamo la foglia di fico di nessuno!”

Miss Frangetta, Candy Candy e Tricolore: i politici-sirenetti

Alle vacanze di Giorgia Meloni viene dedicata addirittura la copertina di Novella 2000, che la ritrae nell’ormai celebre costume intero con i colori della bandiera italiana. Detto che in confronto all’indimenticabile Matteo Salvini nudo sulla copertina di Oggi lei è Bar Refaeli, ‘Sirena Tricolore’ è un titolo calzante solo a patto di specificare che tipo di sirena. Le sirene dell’Odissea, a esempio, erano esseri malvagi unicamente intenzionati a far naufragare le navi in balia delle onde. Quindi azzeccatissime. Speriamo solo che lei, in difficoltà al largo col suo costume tricolore, non abbia bisogno di un bagnino e che lui non abbia una canotta con su scritto Mes.

Beppe Sala è stato coerente. A giugno, dopo lo scambio di cordialità con il governatore della Sardegna, aveva detto “mi ricorderò della Liguria per le mie vacanze”. Alla fine in Liguria c’è andato davvero e, considerando la data dell’ultima foto a Milano e quella della prima ligure su Instagram, ha impiegato solo quattro giorni per arrivarci. Un tempo tutto sommato dignitoso se consideriamo la situazione dell’autostrada Milano-Genova. La scelta di incontrare Grillo è stata molto criticata dai giornali e sui social, e in effetti è incredibile come dopo il Covid, a livello di comunicazione, il sindaco di Milano, nella speciale classifica di quelli che non ne hanno più azzeccata una, sia secondo solo a Maurizio Sarri.

Luigi Di Maio era il più giovane, il più rampante, il più lanciato. Tutto questo fino all’arrivo di Conte. Da quel momento, è entrato in un tunnel bruttissimo che l’ha trasformato in una sorta di fratello minore sfigato. Si è scelto il ministero del Reddito di cittadinanza lasciando a Salvini il palcoscenico dei decreti di sicurezza, poi s’è preso quello degli Esteri più o meno nei giorni in cui tutto il mondo chiudeva i confini per una pandemia che succede una volta ogni cent’anni. In vacanza il leitmotiv è lo stesso: paragonati gli scatti in costume, Conte ha una peluria molto più omogenea, un ventre meno pronunciato e la fidanzata più figa. Alla fine Giggino ha deciso di andare nel Sulcis per accogliere gli inviti, copiosi, di chi gli ha suggerito di ‘andare in miniera’. Ma poi ha scoperto che sono chiuse pure quelle da anni. Una disfatta totale.

Alessandro Di Battista ha avuto una parabola simile alla mia, che dopo estati tra Cina e Perù quest’anno sono tra Puglia e Molise. Lui due anni fa stava in Sud America, l’anno scorso faceva l’autostop in Iran e quest’anno fa il cameriere a Ortona all’hotel del cugino. Della serie: apro ancora la famosa scatoletta di tonno, ma per condirci la pasta.

Silvio Berlusconi. Se gli avessero detto, anni fa, che nell’estate 2020 la sua ex sarebbe stata su una barca a limonarsi una donna in bikini e lui su un pontile mano alla mano con una tizia vestita da Candy Candy al primo appuntamento con Terence, Silvio Berlusconi non ci avrebbe creduto. E in effetti, osservando la sua prima foto in vacanza con Marta Fascina e un insolito gruppetto di persone, si ha il dubbio che sia tutto troppo strano per essere vero: lui, con 45 gradi, è a maniche lunghe e ha un maglione blu sulle spalle. Lei ha un biondo color acqua di mozzarella dopo 6 giorni in frigo che mi venne fuori uguale dopo un esperimento col Cristal Soleil a 15 anni. Poi ci sono due tizi vestiti da Indiana Jones, una signora in abito da invitata a un matrimonio estivo, un signore con panama bianco che pare uscito da una visita turistica agli Uffizi e Dudù, che si tiene un po’ a distanza, imbarazzato dal gruppetto. La foto pare un falso storico o uno di quei film in cui la comparsa-centurione si è dimenticata di togliersi l’orologio. Non escludo che Berlusconi sia ancora a Nizza in quarantena e che la scena sia sta girata col green screen, usando i camerieri come comparse. E naturalmente, solo per far sapere alla Pascale che se la sta spassando anche lui. Forse.

Rocco Casalino. Il portavoce del premier è stato paparazzato in compagnia di un attore, tal Gabriele Rossi. L’aspetto divertente della faccenda non sta nella supposta liaison, ma nel fatto che Rossi, in passato, abbia partecipato al Grande Fratello vip e Casalino al Grande Fratello nip. Del resto, quella di Casalino è una vita di riscatti. Un po’ come la storia di quel film che girarono insieme 30 anni fa Massimo Ciavarro e Nicole Kidman. Lui era famoso e lei no. Alla fine lei è diventata famosissima, ha sposato Tom Cruise e, proprio come Casalino con Giuseppi, è apparsa per decenni in pubblico con uno che era 20 cm più basso di lei.

Giuseppe Conte. Il premier ha un consenso che tocca il 60%, la sua fidanzata Olivia, in costume, ha un consenso che sfiora il 98%. E siccome Conte non è fesso, quando va al mare con lei resta in maglietta.

Maria Elena Boschi. A me sembra l’unica vera scoperta dell’estate. È passata dal fare coppia fissa con Renzi a fare coppia fissa con Giulio Berruti, dal transatlantico di Montecitorio allo yacht a Ischia e finalmente le è riuscita la prima riforma azzeccata e incisiva da quando è in politica: la frangetta. Che le sta molto bene.

Matteo Salvini. Davvero deplorevole, quest’estate, l’utilizzo continuo di immagini con la bambina muta che manovra come vuole e che gli dice sempre sì, in sua compagnia. È ora di dire basta alle sue foto con Susanna Ceccardi.

Dogliani (Cn): il giornale unificato a casa De Benedetti

Che sorpresa al salotto di Carlo De Benedetti: ti aspetti che si guardi al Domani e invece ci sono tutti i protagonisti di ieri. Parliamo del “Festival della tv e dei nuovi media”, la manifestazione – giornalisti che parlano di giornalisti ad altri giornalisti – che si svolge a fine estate a Dogliani, nelle Langhe, dove ha casa l’ex padrone di Repubblica. Una kermesse, peraltro, ideata da Federica Mariani, a sua volta fresca di nomina nel Cda di Editoriale Domani.

Sfogliando il programma, ci si accorge che la nuova creatura dell’ingegnere non è mica così centrale. Certo, sabato 5 settembre c’è la presentazione ufficiale del quotidiano che sarà diretto da Stefano Feltri. Ma tutto intorno, in casa De Benedetti, è ancora un trionfo dell’ancienne Republique e del vecchio Corsera.

A parlare di libertà d’informazione domenica mattina c’è il direttore della neo-Repubblica degli Agnelli, Maurizio Molinari. Sabato pomeriggio a spiegare le differenze residue tra “destra” e “sinistra” – insieme a Feltri – c’è ancora Molinari, ma anche il direttore del Corriere Luciano Fontana e quello della Stampa Massimo Giannini. E chi sono i due grandi imprenditori che venerdì 4 settembre, dalle 17 e 45 alle 18 e 45, intratterranno il pubblico sulle “sfide del panorma editoriale”: l’ingegnere De Benedetti, of course, ma pure l’arcirivale Urbano Cairo, presidentissimo di Rcs, La7, il Torino calcio. Perché John Elkann no? Il moderatore, poi, è la firma del Corriere Aldo Cazzullo, che si intrufola come il prezzemolo in una buona metà dei dibattiti in programma.

Insomma, va bene la grande sfida di Domani, va bene l’impresa stoica di scendere sullo stesso agone di Stampubblica, di vendicare l’editoria di qualità, va bene la promessa di non schiacciarsi sugli interessi di proprietari ingombranti. Ma alla fine, stringi stringi, quando c’è un salotto si siede sempre la stessa, grande famiglia.

Arnone e la malagiustizia: “Sono indagati 12 magistrati di Agrigento, ma nessuno lo dice”

Ha portato il suo “poster bus’’ di denuncia sotto casa di Bersani, in Emilia Romagna, ha tappezzato di manifesti contro mafia e corruzione le principali città siciliane, ha stampato volantini e magliette, ha appeso uno striscione al balcone del suo studio di fronte il palazzo di Giustizia di Agrigento, e ha stampato decine di pubblicazioni, l’ultima, dal titolo esplicito, La Banda Alfano e la Procura a delinquere, venne sequestrata dalla Procura nel 2017 (a distanza di tre anni nulla si sa dell’esito del procedimento): la lotta contro la censura dell’avvocato Giuseppe Arnone, autore di centinaia di denunce contro l’illegalità diffusa nella valle dei Templi ora prosegue con un nuovo libro, uscito ieri nelle edicole di Agrigento e scritto dalla sua collaboratrice, l’avvocato Daniela Principato. C’è una notizia, scrive il legale, “che le testate locali, a eccezione di una, hanno censurato”. E cioè che ‘’il Procuratore capo di Agrigento e altri dodici magistrati agrigentini sono indagati a Caltanissetta’’. Il libro, anche questo dal titolo esplicito Sette contro due?, (un procuratore generale, due procuratori della Repubblica, un procuratore aggiunto, il sindaco di Agrigento in carica, un vice questore e un’avvocatessa condannata per truffa contro Arnone e la Principato) – chi vincerà?’’, compendia gli ultimi anni di denunce dell’avvocato Arnone, che si è autodefinito “sceriffo nel Far West di Agrigento” per le sue battaglie in difesa della legalità il cui costo, in incriminazioni e privazioni della libertà, sta in numeri da guinness dei primati: contro di lui i magistrati hanno aperto 110 procedimenti penali, i pm hanno chiesto oltre 13 anni e mezzo di carcere, la sua fedina penale, è lunga 81 pagine, più di quella di Al Capone.

Tutti dati, insieme con le vicende di corruzione e i reati di omissione e abuso attribuiti ai magistrati (nei confronti dei quali, 13, è in corso un’udienza preliminare a Caltanissetta) contenuti nel libro e inviati dall’avvocato Principato (anche lei sottoposta a procedimento disciplinare dall’Ordine degli Avvocati di Agrigento) al procuratore generale della Cassazione, titolare dell’azione disciplinare, invitato a valutare le condotte dei magistrati. Nel corso degli anni le denunce di Arnone, già leader di Legambiente, vicino a Pio La Torre e a Paolo Borsellino, hanno sollevato più di un interrogativo sulla gestione delle indagini nella città dell’ex ministro dell’Interno e della Giustizia Angelino Alfano, più volte chiamato in causa dallo stesso Arnone come il garante di un sistema di potere “politico-investigativo-giudiziario”’ che ha coperto i soprusi e le illegalità costantemente denunciate dal battagliero avvocato.

Il presidente si fa la casa nel parco etrusco vista mare

Il panorama è di quelli che toglie il fiato: il mare, l’acropoli etrusca alle spalle e tutto intorno templi e strade di epoca romana. Al quinto piano del centro visite di Populonia (Piombino) una volta c’era una foresteria che accoglieva studenti e archeologi. Da qualche mese, invece, c’è un’abitazione tutta ristrutturata. Di chi? Di Mauro Tognoli, geometra bresciano con un passato politico in Forza Italia e oggi amministratore delegato dell’ente Parco Val di Cornia. Tognoli è stato fortemente voluto dal sindaco di Fratelli d’Italia di Piombino, Francesco Ferrari, in quanto l’ente pubblico è partecipato da tutti i comuni della valle (Piombino, Campiglia Marittima, San Vincenzo, Suvereto e Sassetta). Peccato che, come ha raccontato ieri Il Tirreno, l’appartamento esclusivo al quinto piano del centro visite sarebbe stato ristrutturato proprio con i soldi del Parco. Ma non sarebbe l’unico conflitto d’interessi della vicenda: nel centro di Piombino da pochi giorni ha aperto il Caffè del Museo che fornirà “colazioni, pranzi e spuntini veloci, con vini selezionati ed etichette scelte”. L’obiettivo è quello di farlo diventare “un cocktail bar e un’enoteca”. Di quali etichette, lo si capisce entrando nel bar: ci sono diverse casse di vino prodotto dalla Cooperativa Vitivinicola Cellatica Bussago in Franciacorta (Brescia). La stessa di cui Tognoli risulta essere il presidente. L’ente Parco ha anche un problema legato alla trasparenza: dall’insediamento del nuovo cda del febbraio scorso, sul sito ufficiale non vengono più pubblicati i compensi degli amministratori e i provvedimenti. Nella giornata di ieri la vicenda è diventata anche politica. Il deputato di Leu Nicola Fratoianni ha annunciato un’interrogazione parlamentare sulla vicenda: “L’esigenza di trasparenza e correttezza deve essere prioritaria per chi amministra la cosa pubblica” ha detto.

Aprilia, l’impianto dei rifiuti a fuoco mai controllato

La Procura di Latina, con un atto firmato dal pm Andrea D’Angeli, ha deciso di porre sotto sequestro penale l’area della Loas di Aprilia, l’enorme deposito di plastica e carta distrutto da un incendio domenica sera. Mentre nel Lazio cresce l’allarme diossina in tutto il territorio a cavallo fra le provincie di Latina e Roma, la Procura del capoluogo pontino sta acquisendo infatti i documenti relativi alle autorizzazioni della Loas. Per ora non risultano iscritti al registro degli indagati. Agli atti sono finite le due proroghe concesse dal presidente della Provincia di Latina, Carlo Medici – in quota Pd ma appoggiato anche da Forza Italia e Fdi – arrivate “considerata la difficoltà di espletamento delle procedure tecnico-istruttorie”. Nei dispositivi di proroga, a quanto si apprende, non risultano né richiesti né tantomeno acquisiti pareri e sopralluoghi degli enti competenti. Non appaiono nemmeno richiami degli obblighi e delle prescrizioni previsti dalla circolare del Ministero dell’Ambiente per prevenire i roghi, emessa il 21 gennaio 2019. Gli inquirenti stanno cercando i documenti relativi alle valutazioni d’impatto ambientale (Via) e alle valutazioni ambientali strategiche (Vas), così come le polizze fideiussorie delle società proprietarie dei capannoni bruciati, con le quali la Loas ha dei contratti di leasing.

Cresce, come detto, l’allerta ambientale, anche in considerazione del dato di mercoledì, con un livello di diossina a quota 303 pg/m3, mille volte superiore al massimo “consentito”. Ad Aprilia permane l’obbligo di mantenere le finestre chiuse e il consiglio di lasciare le abitazioni. Nella vicina Anzio, il sindaco Candido De Angelis attacca la Regione Lazio: “È arrivato il momento che si assuma l’onere di una puntuale mappatura di tutti questi impianti”. Poi annuncia che “siamo pronti a costituirci parte civile”.

Aumentano i pusher (italiani) minorenni e cresce il consumo di droghe sintetiche

Cresce il consumo di droga sintetica e aumentano gli spacciatori italiani . La Direzione Centrale per i Servizi Antidroga ha pubblicato la “Relazione Annuale” (relativa all’anno 2019) sulla lotta al traffico illecito delle sostanze stupefacenti. Il dato dei sequestri mostra una vistosa flessione rispetto all’anno precedente: 55 tonnellate di stupefacenti contro le 123 rinvenute nel 2018. Preoccupano le droghe sintetiche: anche se le quantità sottoposte a sequestro appaiono ancora contenute, l’incremento registrato (+95,62% per la presentazione in dosi e +32,16% per la presentazione in peso), conferma la diffusione. Il numero di stranieri coinvolti nello spaccio è di 13.775 unità, di cui oltre 9.650 in stato di arresto: poco più di un terzo (39,45%) di tutti i denunciati. Sale il numero di minorenni pusher, in particolare hashish e marijuana: 958 unità complessive, di cui 808 italiani e 150 stranieri. Continua, per il terzo anno consecutivo, il trend crescente delle morti per overdose che raggiunge quota 373, con un aumento dell’11,01% rispetto all’anno 2018.

Csm, una riformaanti-arrivismo

I miasmi del caso Palamara stanno causando alla credibilità della magistratura una crisi da precipizio. Avere a cuore lo stato di salute della democrazia comporta l’impegno urgente di operare incisive riforme del comparto giustizia. A partire dal CSM: dove si è incistato il groviglio delle “correnti”, meccanismi clientelari che producono nefandezze in quanto piegati allo scellerato criterio della “appartenenza”.

Affronta questo problema il disegno di legge delega approvato dal Consiglio dei ministri, che contiene principi e direttive di carattere generale per la riforma del CSM e di altri aspetti dell’ordinamento giudiziario. Il progetto si fa carico innanzitutto della questione relativa alla formazione del CSM. La riforma aumenta il numero complessivo dei membri da 24 a 30 (20 “togati” e 10 “laici”). Posto che in base all’art. 104 Costituzione essi debbono essere “eletti”, per i togati il nodo è arrivare all’elezione innalzando un argine allo strapotere delle correnti. Il progetto del CDM prevede 19 collegi (uno dei quali per i magistrati che lavorano in cassazione) e un 20° collegio per i magistrati fuori ruolo, del massimario presso la cassazione e della Direzione nazionale antimafia/terrorismo. Tendenzialmente ogni collegio avrà sui 570 votanti. Possono candidarsi tutti i magistrati che lavorano in uffici ricompresi nel collegio, corredando la propria candidatura con la firma di altri magistrati (da 10 a 20) del medesimo collegio. Ogni collegio deve esprimere almeno 10 candidature, rispettando una percentuale di genere del 40%. Se i candidati sono meno di 10 o risulta non rispettata tale percentuale, l’Ufficio elettorale centrale (in seduta pubblica) provvede a estrarre a sorte i magistrati necessari per colmare le lacune. Al primo turno si possono votare 4 candidati, con alternanza uomo/donna nel rispetto della parità di genere e con valutazione ponderata dei voti (vale a dire che i nomi indicati dopo il primo valgono percentualmente di meno). Chi ottiene il 65% al primo turno (circa 370 voti) viene subito eletto. Nei collegi in cui ciò non si verifica si passa al secondo turno, dove ciascun elettore può votare uno o due candidati (in tal caso con alternanza di genere). Risulta eletto colui che ottiene il massimo dei voti, valutando la seconda preferenza con il coefficiente di riduzione.

Secondo il ministro Bonafede, il nuovo sistema avrà un effetto “spazza-correnti”: il territorio molto delimitato di ogni collegio consentirebbe infatti un voto basato sull’apprezzamento del candidato a prescindere dall’appartenenza a una corrente. Sarà la verifica in sede di applicazione a dire se il nuovo metodo, oltre a porsi un obiettivo del tutto auspicabile, saprà anche concretamente raggiungerlo. Pronti laicamente, se del caso, a rettificare quel che non dovesse funzionare.

Vorrei qui ribadire l’opinione che si potrebbe realizzare contro lo strapotere delle correnti un argine ancor più robusto, per esempio facendo sì che l’elezione finale avvenga su “rose” di candidati formate, nei singoli collegi, con il contributo non solo dei magistrati ordinari, ma pure dei magistrati onorari, del personale amministrativo e di una congrua rappresentanza dell’Avvocatura. In questo modo le correnti non spariranno come per incanto, ma la loro incidenza sarebbe senz’altro assai ridotta. Perché la platea dei votanti sarebbe formata in maggioranza da addetti ai lavori che conoscono bene pregi e difetti dei vari candidati avendoli visti all’opera “sul campo”, vale a dire soggetti poco influenzabili dalle “argomentazioni” correntizie che prescindono dalle effettive capacità.

Il disegno di legge delega affronta anche quell’altro nodo cruciale del sistema che è la nomina dei dirigenti, introducendo alcune novità decisamente positive. In particolare l’estrazione a sorte dei componenti del CSM chiamati a far parte della commissione direttivi (come di ogni altra commissione e della sezione disciplinare); l’obbligo di trattare le pratiche celermente secondo l’ordine cronologico di vacanza dell’ufficio, così da evitare la sedimentazione di più sedi scoperte e la conseguente formazione di un pacchetto di nomine entro cui poter più facilmente operare con modalità suk; la pubblicazione di tutti gli atti sul sito del CSM; le audizioni disciplinate in modo che non siano più un semplice “optional”, ma un mezzo di valutazione diretta dei candidati, non ridotti a pezzi di un puzzle da manipolare; la retrocessione dell’anzianità a criterio residuale, dovendosi privilegiare i parametri del merito e delle attitudini secondo specifici indicatori , diversi a seconda della tipologia dell’ufficio; la partecipazione a corsi di formazione presso la Scuola superiore della magistratura, con prova finale da comunicare al CSM; l’assunzione di pareri esterni di magistrati, avvocati e dirigenti amministrativi dell’ufficio di provenienza del candidato.

Quest’ultima direttiva rappresenta una significativa apertura all’esterno che in realtà potrebbe avere un ulteriore sviluppo, adottando una proposta del presidente della Corte d’appello di Brescia Claudio Castelli. La nomina di un dirigente richiede la valutazione di specifiche attitudini in base all’analisi non dei soli “titoli”, ma anche di “come” il candidato ha ricoperto questo o quel ruolo e dei risultati conseguiti (in termini di statistiche, indipendenza, organizzazione, coesione dell’ufficio, rapporto col personale ecc.). Senonché, questa valutazione è una scienza che richiede una buona conoscenza di tecniche specialistiche. Il CSM non le possiede. Servirebbe allora un organismo consultivo formato da esperti esterni (nelle università vi sono le giuste competenze), capaci con apposite “istruttorie” di acquisire la documentazione e le informazioni che consentiranno al CSM scelte avvedute (del resto, nel settore privato l’amministratore delegato viene spesso scelto proprio con la consulenza di società specializzate). Adottare questo sistema (almeno per gli uffici più importanti) significa automaticamente ridurre di molto i margini dell’arrivismo correntizio, perché alla fin fine le consulenze produrrebbero atti dai quali non sarebbe facile prescindere. Neppure per chi volesse superare il confine dell’arbitrio per favorire il proprio protetto.

 

Le discoteche vanno chiuse. O potremmo rimpiangerlo presto

Se davvero si vuole convivere con il virus sarebbe il caso di cominciare a dirsi la verità. Visto quello che accade nelle nostre spiagge, bar, navi e discoteche non c’è una sola ragione al mondo per pensare di essere diversi da Germania, Francia e Spagna dove il numero di nuovi contagiati supera ormai abbondantemente i mille al giorno. Se non cambieranno al più presto i comportamenti dei cittadini e delle autorità, gli italiani avranno modo di capire personalmente chi ha ragione tra i due diversi schieramenti di esperti: quello minoritario, convinto che il Coronavirus non sia più un problema ospedaliero perché ormai meno aggressivo, e quello maggioritario, certo invece che con un alto numero di infettati finiranno di nuovo per riempirsi i reparti Covid e di conseguenza i cimiteri. Noi che esperti non siamo non sappiamo chi abbia ragione: sappiamo però che di vita ne abbiamo una sola e che davvero ci spiacerebbe scoprire personalmente e prematuramente il torto dei primi e le previsioni azzeccate dei secondi.

Per questo, dopo aver assiduamente frequentato discoteche, sale da ballo e rave (sì, lo ammettiamo in gioventù non ci siamo fatti mancare niente), abbiamo urgenza di comunicare una notizia sconvolgente ai tanti presidenti di Regione che in queste settimane hanno avallato la riapertura delle piste e che ora non vogliono richiuderle: il twist da più di mezzo secolo non va più di moda. Ci spiace molto, ma è così. Imporre due metri di distanza tra chi balla, come ha per esempio fatto la Regione Toscana, è certamente un rimarchevole tentativo di riportarlo in auge, ma dubitiamo che possa avere qualche effetto. Sia dal punto di vista musicale che da quello più importante della prevenzione.

Sì, lo sappiamo, intorno alle discoteche e il mondo dei concerti live gira un pezzo importante della nostra economia. Richiudere tutto non è una decisione facile in un Paese che a causa del virus ha visto il Pil crollare e la disoccupazione aumentare. Ma mentre ci si accapiglia sulla riapertura delle scuole in calendario per il 14 settembre sarebbe il caso di abbandonare per un secondo la vis polemica e mettersi a ragionare.

I dati sul tavolo sono pochi e facili da leggere: i contagi al momento riguardano principalmente i giovani che, salvo eccezioni, o sono asintomatici o superano facilmente la malattia. Ma se i giovani contagiati diventeranno migliaia e migliaia come proteggeremo i loro famigliari, i loro insegnanti e tutte le persone che entreranno in contatto con loro sui mezzi pubblici? In Germania dove ogni Land va in ordine sparso (a Berlino non si può cantare in aula, nel Nord-Reno Vestfalia in classe si va con la mascherina, nel Meclemburgo i docenti over sessanta possono proseguire con la didattica online) la questione è già drammaticamente chiara: nuovi casi si sono registrati ieri in sette scuole, una è stata chiusa, nelle altre si sta tentando la via dell’isolamento delle classi.

Per questo in Italia la chiusura delle discoteche è una strada obbligata. La diffusione del virus, anche tra i più giovani, va contenuta. Gli esercenti dei locali e i lavoratori vanno risarciti per quanto possibile e l’app Immuni, che consente nel rispetto della privacy di tracciare i contatti di chi è infetto, va resa obbligatoria. Nessuno di noi è in grado di prevedere cosa ci riserva il futuro. Ma una cosa è sicura: tra qualche mese non possiamo correre il rischio di rimpiangere quello che avremmo potuto fare e non abbiamo fatto. Perché, lo ripetiamo, la vita è una e non dà una seconda chance.

 

Salvini non ha più buone carte, né assi: si dia subito al burraco

Epoi sembra facile. In teoria neanche troppo utopico, solo pragmatismo legato alla quotidianità, con un pizzico di amor proprio e nazionale, per una volta coincidenti.

Dopo le accuse e le successive prove legate allo scandalo camici del governatore lombardo, uno guarda la televisione, legge i giornali, sbircia sui social e si domanda: perché il leader della Lega non dà una svolta al generale percorso di Palazzo, e per primo alza la mano, chiede scusa, caccia lo stesso Fontana?

Sai che sconquasso.

Dopo anni e anni di tifoserie, di luoghi comuni, di frasi fatte assurte a sistema come “ognuno tira l’acqua al proprio mulino”, “mors tua vita mea”, “si stava meglio quando si stava peggio”, all’improvviso si paleserebbe un politico con il coraggio di affrontare le critiche, di ammettere un errore, di elevarsi a statista pronto a spolverare l’Arcobaleno della meritocrazia; all’improvviso la narrazione generale assumerebbe un altro sapore, si tornerebbe sui toni proiettati al domani, non all’“ora”, non al “subito”; con le istituzioni non più trattate da taxi, da bancomat, da fonte inesauribile dalla quale succhiare, e sulla quale sputare.

E poi sembra facile, logico.

Perché Matteo Salvini non ci pensa? Perché non può.

E ha ragione lui.

Se avesse cacciato Attilio Fontana, come auspicato pure da Gianluca Forcolin, ex vice in Veneto di Luca Zaia, sarebbe caduto nelle maglie della celeberrima poesia, E poi vennero: “Prima di tutto vennero a prendere gli zingari, e fui contento, perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei, e stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, e io non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare”. Se avesse cacciato Fontana, Salvini oggi sarebbe costretto ad accompagnare alla porta anche i furbetti del rimborso, e non solo quelli arroccati dentro il Parlamento come Murelli e Dara (alla fine appena sospesi), ma anche tutti gli altri amministratori regionali (compreso lo stesso Forcolin, costretto alle dimissioni) e comunali che hanno chiesto all’Inps il sostegno economico. Non basta.

Ancora prima avrebbe dovuto allontanare, o quantomeno sospendere, coloro i quali sono stati invischiati nella vicenda della Film commission lombarda, o chi ha contribuito alla scomparsa di 49 milioni di euro (altro che Inps) di finanziamenti, con successiva condanna.

E magari sarebbe stato obbligato ad allontanare se stesso a causa delle decisioni prese da ministro in merito all’Open arms e per le inevitabili accuse (gravissime) legate a quella vicenda.

Ecco, e poi sembra facile.

Ma non lo è, non lo è per niente. È come un gioco di carte dove ognuno tiene in piedi l’altro, ognuno garantisce per l’altro, ognuno ha i suoi segreti che rassicurano i segreti dell’altro, ognuno pensa di stare seduto a un tavolo da poker e di poter stupire con una mano straordinaria, o quantomeno un bluff super astuto, con gli altri al tavolo in soggezione davanti a tanta bravura. Che brivido.

In realtà Matteo Salvini non ha assi, e nemmeno più carte per sorprendere: dovrebbe dedicarsi al Burraco.