Il giro del mondo parte dall’antro di Su Mannau

Il tarlo dell’indecisione ha accompagnato a lungo l’organizzazione: rinviare al prossimo anno, oppure rischiare e allestire il festival dal vivo? Poi la decisione: “A Fluminimaggiore, in questo spicchio della Costa delle Miniere, Sud-Ovest selvaggio della Sardegna, la natura ha fornito ogni elemento perché la seconda edizione di Andaras, il festival internazionale del cinema di viaggio, potesse tenersi in perfetta sicurezza”. A dirlo, fiero, è Marco Corrias sindaco del borgo nonché matador di Andaras. Così, si parte dal 19 al 23 agosto con la direzione artistica del regista Giuanne Piras e la macchina organizzativa di Paola Angius (coadiuvata da volontarie e volontari) “In quest’angolo decentrato,” prosegue Corrias, “non poteva che nascere il festival del viaggio reale o del sogno del viaggiare poiché questi sono luoghi da cui si è sempre partiti, ma a cui si sogna, sempre, di tornare”.

Anche in questa estate non felice per il turismo, si scommette sul ritorno dei tanti che l’anno scorso hanno amato la prima edizione di Andaras e le hanno regalato un successo clamoroso; non lo scriveva già Guinizelli che “Al cor gentil ripara sempre amore”? Per adesso, sappiamo che torneranno le proiezioni di corti e lungometraggi internazionali che si terranno all’aperto, nella baia di Portixeddu o nell’anfiteatro del parco Riola: (tra gli altri) The Big Escape di Hermes Mangialardo; Times di Anya Semenova; Anna di Dekel Berenson (già selezionato a Cannes, 2019); Sticker di Georgi M. Unkovski (già Sundance 2020). E all’aperto, in riva al mare o nel silenzio boscoso di una sorgente, si converserà agli aperitivi culturali con gli ospiti: il giornalista Toni Capuozzo, il fotografo Alessandro Gandolfi (vincitore del Sony World Photography 2020) e la cantante sarda Claudia Aru. L’attaccamento alla terra, però, non è qui un accessorio, ma il leitmotiv. Il punto di mira del festival Andaras è diffondere l’idea che la cultura è un volano per un turismo consapevole in luoghi pregni di storia: dalle grotte di Su Mannau, al Tempio di Antas alla monumentale miniera di Su Zurfuru. Ed è per questo che, a Fluminimaggiore, è già attivo il progetto Happy Village, che prevede una residenza assistita h24 per over 60 nelle case del borgo per chi volesse trasferirsi. Già più di 400 le adesioni dall’Italia e dall’Europa: allora è vero che la felicità può essere anche argentea.

“Sono tutta vostra”. Caterina dal convento a Carlo

In un giorno della tarda primavera dell’anno 1695, in una cella del convento torinese di Santa Croce, una giovane donna scriveva. Non apparteneva alla congregazione delle Canonichesse regolari lateranensi, alle quali era stato destinato Santa Croce, né a un altro ordine. Non erano i voti dunque a segregarla, ma un ordine del duca di Savoia Vittorio Amedeo II e di un principe elettore del lontano Brandeburgo. Scrivendo, ravvivava memorie. Pensava a un uomo che, in un altro luogo del Piemonte, si stava battendo contro i francesi. Infuriava la guerra della Grande Alleanza, le truppe sabaude e imperiali assediavano Casale Monferrato. La giovane, dopo aver trattenuto ancora un ricordo felice, riprese a scrivere al suo amato: “Sono nel convento di S. Croce, dove non mi manca che il piacere di vedervi. Addio, mio caro Principe, non posso dirvi altro, sono tutta vostra”. In un altro giorno di quel 1695, all’inizio di luglio, la reclusa affidò ancora alla penna i tormenti e l’amore. Parlò di “un pezzo di carta”, su cui “avete scritto con la vostra cara mano: Ti amerò sempre, mi hai donato la vita”. Poi lei concluse: “Adieu, mon Ange”.

A scrivere d’amore dal convento, e a ricevere rispostesempre più brevi che presto sarebbero cessate, come rammentò Fernanda Torcellan Ginolino nel Dizionario Biografico degli Italiani della Treccani, era una nobildonna piemontese: Caterina Balbiano di Colcavagno. Nata nel 1670, aveva sposato “in prime nozze nel 1687 il conte Michele Gabaleone di Salmour, che morì nel 1691 all’assedio di Cuneo. Nell’ambiente austero e chiuso della corte di Vittorio Amedeo II la cultura, la grazia e l’intelligenza della bella contessa di Salmour erano particolarmente ammirate”. Nel 1694, a Torino, “conobbe Carlo Filippo di Brandeburgo, figlio di secondo letto del grande elettore Federico Guglielmo e di Dorotea di Holstein-Glucksburg”, e fratello di Federico III, elettore del Brandeburgo dal 1688 al 1701 e quindi re di Prussia con il nome di Federico I. Era “un uomo colto, intelligente e sensibile: a Berlino frequentava assiduamente il circolo di intellettuali che si raccoglieva intorno all’elettrice Sofia Carlotta, la protettrice di Leibniz”. Giunto in Piemonte con quattro reggimenti inviati in soccorso a Vittorio Amedeo II, Carlo si innamorò della giovane vedova. Decisero di sposarsi, lui protestante e lei cattolica, e il 29 maggio 1695 si unirono in matrimonio a Venaria Reale. Lo sposalizio “destò stupore e sospetto negli ufficiali brandeburghesi di stanza a Torino timorosi della reazione di Federico. Essi richiesero a Vittorio Amedeo II di intervenire per rompere il matrimonio, e il duca, temendo di perdere l’aiuto dei più validi battaglioni del suo esercito e un alleato prezioso, fece arrestare, tre giorni dopo le nozze”, la marchesa Balbiano, “facendola rinchiudere nel monastero torinese di Santa Croce”. Carlo di Brandeburgo, “visto inutile ogni tentativo di liberare la sposa, raggiunse le sue truppe all’assedio di Casale, e qui morì per un attacco di febbri perniciose il 23 luglio dello stesso 1695”.

Dal “suo forzato isolamento”, Caterina continuò a cercare “di trovare una soluzione alla delicata questione dinastica che le nozze avevano suscitato e continuò, per circa due mesi, a esortare il marito affinché difendesse e facesse valere i suoi diritti”. Liberata nel gennaio del 1696, la marchesa “abbandonò per sempre il Piemonte e si recò a Milano dove, protetta dal governatore spagnolo, attese nel convento delle marcelline che la Curia pontificia omologasse il suo matrimonio”.

Ottenuto “il riconoscimento della validità del vincolo” matrimoniale, il 28 settembre del 1697 raggiunse Verona: poi andò a Venezia nel 1702, e infine a Vienna nel 1705. Nel 1707, narra la Torcellan Ginolino, la margravia “sposò a Vienna l’ambasciatore dell’elettore di Sassonia e re di Polonia Augusto Cristoforo von Wackerbarth, abile politico, che divenne in seguito conte, maresciallo di campo e ministro di Augusto II”. A Dresda, il “fascino della non più giovane” Caterina non venne meno, come del resto “il crescente favore che il Wackerbarth godeva presso il suo re”. L’ex reclusa di Santa Croce morì a Dresda nel 1719; ebbe sepoltura “nel più vicino cimitero cattolico oltre la frontiera boema”.

Le lettere di Caterina furono ritrovate dopo la morte di Carlo di Brandeburgo, e portate al sicuro in Germania, a Berlino. Poco meno di un secolo dopo quelle vicende, tuttavia, con la data del 1775, il carteggio riapparve e fu pubblicato in francese, in un’edizione presuntamente stampata “à Turin” sotto il titolo di Lettres d’amour et d’affaires écrites par Cathérine Comtesse de Salmour, Marquise de Balbian, au Margrave Charles de Br.

Secondo lo storico sabaudo Domenico Carutti, “per cura del Governo prussiano”, le lettere furono fatte stampare nel 1775, ma “colla falsa data di Torino”. Perché mai, però, il governo di Prussia avrebbe dovuto diffondere le lettere, frutto di un amore che aveva suscitato tanto scandalo? Il barone Antonio Manno, genealogista insigne, asserì invece che la marchesa, colla falsa data di “Torino 1775”, “pubblicò le sue Lettres au Margrave Charles de Brandebourg”. Affermò, insomma, che la stampa era stata voluta dalla medesima marchesa Balbiano, molto prima quindi del preteso e fasullo 1775. Il mistero non fu mai risolto. Certo è che, se avesse ragione Manno, il piccolo libro di ventitré lettere sarebbe l’estremo atto d’amore di Caterina per il suo uomo caduto all’assedio di Casale.

“Sesso? Solo coi congiunti”. Altro che “Beautiful” set…

Bradley Bell negli Stati Uniti ha un’aurea vicina al ruolo di “guru”. Lui è gloria od oblio. Matrimonio o divorzio. Personaggio o comparsa. Vita o morte. Lui da trenta e passa anni è il produttore e sceneggiatore di Beautiful, la soap più longeva e seguita al mondo, in onda dal 23 marzo del 1987: 33 stagioni e un numero infinito di matrimoni tra Brooke e Ridge.

Le nozze dei due sono diventate un classico…

(Sorride) È così anche negli Stati Uniti, ed è un tributo a Katherine Kelly Lang (Brooke) e alla sua capacità di trasferire al personaggio una grande forza di amare e sognare, di crederci ogni volta, di trasmetterlo, così come la sua credibilità nel mettere in atto “strategie”.

Agli attori accade di confondere la vita reale con quella dei loro personaggi: dopo 33 anni sullo stesso set cosa succede?

Abbiamo avuto un problema simile con Darlene Conley (la “cattiva”): aveva deciso di vivere sempre come Sally Spectra, ha portato il suo ruolo fuori dalla scena, si divertiva.

Debolezza?

No, aveva una personalità forte, una professionista, e con una spiccata sensibilità; scrivevamo le scene ma riusciva sempre a metterci un tocco speciale. Ripeto: si divertiva. E in questo caso la confusione tra reale e finzione è stata utile.

Un importante direttore televisivo ha definito gli attori come persone fragili.

È vero soprattutto all’inizio di un lavoro. Poi con il tempo e l’andare avanti delle riprese questo fenomeno si attenua, l’attore entra nella parte, si crea una nuova dimensione. Ora però c’è un fenomeno che prima non esisteva: l’influenza dei social media.

Cioè?

Il pubblico ha la possibilità di avvicinare l’attore molto più facilmente e spesso lo fa per criticare, a volte con delle ragioni, frequentemente per il puro gusto di giudicare. Questo è pericoloso e dannoso: recitare è una forma di arte e, come tale, molto basata su sentimento, sensazioni, sfumature; entrare nel personaggio dopo aver letto parole velenose può diventare un problema.

Quindi è contro i social.

No, per me sono utili perché riesco ad avere in tempo reale dei feedback, come lo spettatore vive certe decisioni, l’evolversi delle vicende.

Dove si informa?

Per trovare spunti? Amo approfondire gli argomenti con il vissuto delle persone, mi piace e mi interessa capire come la gente reagisce e coglie alcune notizie. Tutte le migliori storie emergono dal reale. Ovviamente i quotidiani sono la mia fonte, ma esplorare attraverso le opinioni della gente mi aiuta ad ampliare il punto di vista.

Cosa legge?

Di tutto, dai gialli ai saggi, e sono appassionato delle trasposizioni cinematografiche; (sorride) amo Star Trek.

Il suo personaggio letterario preferito.

Adoro la mitologia greca: è la più grande forma di scrittura di personaggi.

Torniamo a Beautiful: per la pandemia, ci sono stati problemi a girare?

È stato difficile tornare al lavoro, ma ci siamo preparati con anticipo: abbiamo sommerso i set di plexiglass, tutti indossano mascherine, dalla produzione alla regia e agli attori, quando non sono in scena.

Il lockdown ha influenzato il copione?

Per sicurezza abbiamo eliminato scene in cui erano previsti troppi personaggi contemporaneamente; abbiamo prediletto scene con 2 o 3 attori, tolto i ciak con i bambini, ma l’amore e il romanticismo non hanno lasciato il set.

Sarebbe blasfemo.

(Ride) Per i baci e gli abbracci abbiamo usato delle bambole: se vedrete Ridge baciare Brooke, in realtà non è Brooke ma una bambola che le somiglia; (muta lo sguardo) in alcuni casi invece delle bambole sono stati coinvolti mariti e mogli reali.

La crisi economica è entrata nella sceneggiatura?

Abbiamo deciso di andare avanti con il sogno e l’amore: Beautiful deve far sognare.

In House of Cards Frank Underwood sostiene: “È più importante il potere del denaro”.

In Beautiful c’è il lusso, la moda, il denaro si intuisce ma non è al centro della storia, il vero fulcro restano l’amore, le passioni e la famiglia. Ma se dovessi scegliere per me stesso, preferirei il denaro.

Cosa ne pensa dell’“intimacy coordinator”, l’uomo preposto a coordinare le scene d’amore?

Sono diventati i veri registi, sono molto presenti sul set, ma noi non abbiamo avuto problemi in questo senso.

Lei è di Chicago, città natale di Barack Obama e simbolo per Micheal Jordan.

Brillanti, ognuno a suo modo, è il primo vero aggettivo che mi viene in mente. Di una brillantezza quasi magica. Obama è un uomo che crede fortemente nel prossimo, è attento ai bisogni degli altri; la frase che meglio rappresenta il suo modo di agire quotidiano è “making this world a better place” (“rendere questo mondo un posto migliore”).

E Jordan?

(Cambia tono) È il miglior giocatore di tutti i tempi, un esempio per chiunque.

Un dubbio: Ridge e Brooke si risposeranno ancora?

È una storia che non finirà mai…

Di cosa è orgoglioso?

Che anche attraverso la mia penna la famiglia si sia dimostrata il caposaldo di qualunque società. È stato un onore.

“Arrestano tutti. Ma è Lukashenko che va processato”

Nato nel 1965 nella Bielorussia che ha abbandonato per diventare ambasciatore negli Stati Uniti dal 1997 al 2002, poi imprenditore visionario di start up digitali con cui voleva trasformare Minsk nella Silicon Valley dell’Est, infine candidato alle ultime elezioni presidenziali che hanno fatto scoppiare le rivolte nello Stato del presidente Aleksandr Lukashenko. Valery Tsepkalo risponde adesso dalle strade rumorose dell’Ucraina, scappato mesi fa dalla sua patria prima che la polizia del presidente potesse trovarlo e arrestarlo per impedirgli la corsa elettorale. È il marito di Veronika Tsepkalo, parte della troika delle “fidanzate combattenti” alla testa del movimento Vmeste, “insieme”, di Svetlana Tikhanovskaya. Anche sua moglie, come la presunta vincitrice delle elezioni, ha abbandonato in segreto e di fretta il Paese per evitare l’arresto.

Signor Valery, come sta adesso Veronika?

Mia moglie ha rischiato di finire in carcere, è tornata nel Paese per 24 ore dopo l’annuncio del risultato delle elezioni, ha saputo che l’avrebbero arrestata ed è ritornata subito in Russia. Ora si trova a Mosca.

Si trovava lì anche lei prima di arrivare a Kiev per creare il “Fondo per il futuro della Bielorussia”. Quali saranno i prossimi passi dell’opposizione?

Ci sono tanti passi e tanta opposizione, le persone combattono per strada, ma l’importante è che la protesta continuerà e lo farà anche in altre forme, si allargherà in ogni rione di ogni città.

Abbiamo visto due filmati della Tikhanovskaya: uno d’addio al Paese, prima che raggiungesse la Lituania, un altro che suonava come una resa e in cui invitava i suoi sostenitori a tornare a casa. I video sono stati registrati volontariamente?

Certo che no. L’hanno chiusa in un kabinet, ufficio, le avranno mostrato le foto dei suoi figli, le avranno intimato minacce, indirizzate anche a suo marito, agli arresti. Le avranno detto che se fosse finita in una cella, senza acqua o un letto, non li avrebbe rivisti per 10, 20 anni. È il modo che hanno di mettere paura alle persone.

Nonostante il blocco di Internet che rende difficili le comunicazioni, alcuni media hanno riportato dell’arresto della terza rappresentante del gruppo, Maria Kolesnikova.

Non ho lo stesso tipo di informazione, credo che il suo staff, temendo l’arresto, la tenga lontana da pubblico e riflettori.

Qual è il futuro del presidente Aleksandr Lukashenko?

Giustizia per i suoi crimini. Va processato per tutti i reati commessi, compreso l’ultimo, quello di frode elettorale durante le ultime votazioni. Vanno stilati documenti ufficiali che certifichino che ciò che ha fatto è vietato dalla stessa legge bielorussa. Poi nel Paese potranno seguire riforme economiche e amnistie per i prigionieri politici.

Lei è scappato dalla sua patria dopo aver annunciato la candidatura alle presidenziali che si sono appena svolte. In quale caso tornerà a Minsk?

Non tornerò finché rischio di finire in galera. Se non ci sarà più Lukashenko potrò farlo, oppure se ci sarà una tale quantità di persone in strada a sostenere l’opposizione per cui non dovrò temere per la mia libertà o per la mia vita.

Intanto Omon, la polizia anti-sommossa, e Kgb, i servizi segreti, stanno compiendo arresti di massa e retate.

Le carceri bielorusse sono già colme, non hanno più spazio né celle in cui rinchiudere i cittadini.

Nonostante questo, le manifestazioni continueranno?

Konechno, certamente.

Yes, we Kam: Harris è già a Usa 2024

Nella squadra di Joe Biden, s’è subito messa a giocare da centravanti di sfondamento: parole chiare – “Combattiamo una battaglia per l’anima di questa Nazione, una battaglia che insieme possiamo vincere” – e bordate contro il presidente Donald Trump. Che, “nel mezzo di una pandemia, sta tentando di smantellare il sistema sanitario. Mentre le piccole imprese chiudono, agevola i ricchi. E quando la gente invoca sostegno, usa i gas lacrimogeni”. La scelta come vice di Kamala Harris galvanizza la campagna di Joe Biden, candidato democratico alla Casa Bianca, e la rende più ricca: nelle ore successive all’annuncio, la piattaforma che gestisce le donazioni ai democratici riceve 10,8 milioni di dollari, quasi cinque volte più di quanto raccolto nello stesso arco di tempo il giorno prima.

Trump cerca di smontare il ticket: dice che la Harris “è il genere di rivale che tutti sognano”, ne evoca gli scontri con Biden nei dibattiti fra gli aspiranti alla nomination democratica; ricorda che, nelle primarie democratiche, “partì forte e finì debole”. Ma Mike Pence, il suo vice, che dovrà affrontare la Harris in un dibattito televisivo il 7 ottobre, ha motivo di preoccuparsi della grinta che la senatrice della California sa sciorinare. E pure i Trump hanno scheletri nell’armadio della Harris: Donald e sua figlia Ivanka donarono, infatti, migliaia di dollari alle sue campagne, quando, in California, correva per cariche locali. Biden spiega così la sua scelta: “Se saremo eletti erediteremo numerose crisi, una nazione divisa e un mondo nel caos. Non avremo un minuto da perdere. È proprio per questo che l’ho voluta: è pronta a guidare dal primo giorno… È cresciuta credendo nella promessa dell’America perché, figlia di immigrati, l’ha vista in prima persona. Insieme, io e Kamala combatteremo ogni giorno perché quella promessa sia mantenuta per tutti gli americani”.

Cinque mesi fa, subito dopo il decisivo Super-Martedì, il 3 marzo, la Harris era in pole position come vice di Biden, appariva quasi una scelta scontata; poi, ci sono stati in mezzo 150 e più giorni di illazioni e decine di alternative; alla fine, Biden è tornato, o è rimasto, alla casella di partenza. È la terza donna a essere nominata per la vice-presidenza da uno dei due maggiori partiti Usa, dopo Geraldine Ferraro – democratica – nel 1984 e Sarah Palin – repubblicana – nel 2008 ed è la prima afro-americana (e anche asiatico-americana: ha padre giamaicano e mamma indiana). A 54 anni, può rappresentare il cambio generazionale della leadership democratica fin qui mancato, dietro Biden, Hillary Clinton, Bernie Sanders, Elizabeth Warren, tutti ultrasettantenni. Trump e i repubblicani hanno subito cominciato a dipingerla come una “liberal” sfegatata, ma è prammatica e moderata. Su di lei, Biden ha sempre avuto giudizi lusinghieri, dal momento in cui aveva abbandonato la corsa alla nomination. È “intelligente, tosta e pronta per essere leader”: così l’ha presentata agli elettori americani. Biden aveva spesso detto di volere una vice in grado di assumere il comando se ce ne fosse bisogno. Se conquisterà la Casa Bianca, Biden, a 77 anni, sarà infatti il presidente più anziano mai eletto – ne avrà 78 al momento dell’insediamento –. D’altro canto, si era detto che voleva una vice non proiettata sul 2024. La Harris, soprannominata “l’Obama donna”, appare invece la naturale candidata dem per Usa 2024.

 

1/ Afro-indiana
“Fiera delle mie origini”

L’orgoglio delle sue origini indiane (per parte di madre), oltre che giamaicane (per parte di padre), è uno dei temi di un’intervista che Kamala Harris (nella foto) diede nel 2009 a India Abroad, mentre faceva campagna per divenire procuratore generale, cioè ministro della Giustizia, della California. “Sono orgogliosa di sapere che sono un modello per quanti si identificano con me per ragioni di cultura o etnia o genere”. Uscita da scuole pubbliche, che negli Usa non sono le migliori, Harris aveva studiato a Howard – la più antica università nera d’America –, all’Università della California e presso l’Hastings College of the Law. Lei e Biden sono il primo ticket dem senza alunni della Ivy League dal 1984. Già nel 2009, il New York Times l’aveva messa nella lista di 17 donne che potevano divenire presidente. “Mia madre – raccontava a India Abroad – insegnò a me e a mia sorella Maya a condividere l’orgoglio della nostra cultura. Tornavamo in India ogni due anni. Una delle persone più influenti nella mia vita fu mio nonno, che si battè per l’indipendenza dell’India. Passeggiando con lui sulla spiaggia di Madras e ascoltandolo, ho appreso a essere responsabile, onesta, integerrima”.

 

2/ Relazioni
Piace anche a Israele

“È fortemente allineata ai valori degli ebrei americani, compreso il sostegno alle relazioni Usa-Israele”. A salutare con entusiasmo Kamala Harris candidata vicepresidente degli Stati Uniti è Halie Soifer (nella foto), ex consigliere per la sicurezza nazionale di Harris e direttore esecutivo del Consiglio degli ebrei democratici d’America. Harris, come scrive il quotidiano progressista israeliano Haaretz, seppur abbia sempre cercato, da moderata, di stare sul filo del politicamente corretto sulla questione israelo-palestinese, per non alienarsi il voto dei progressisti, appoggia Israele e il suo “diritto alla difesa”. Haaretz ricorda che nel 2017, fin da prima della sua candidatura alla presidenza, a un convegno dell’American Israel Public Affairs Committee raccontò estasiata il “diario di un tour in Israele e inCisgiordania con il marito ebreo, Doug Emhoff, sposato in una cerimonia interreligiosa. Quello stesso anno co-sponsorizzò una risoluzione del Senato che criticava Obama per essersi astenuto sulla risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu che condannava la politica di insediamento di Israele. Con lei vicepresidente, l’Accordo del Secolo non sarebbe a rischio.

 

3/ Razzismo
I complottisti Qnon

Kamala Harris è solo la punta d’un iceberg di diversità e contrasti. Se 130 afro-americane sono in lizza per il Congresso – mai così tante – e una cinquantina sono sopravvissute alle primarie, c’è una decina di candidati che “sposano” il complottismo di Qnon; una di essi, Marjorie Taylor Greene (nella foto), ha vinto le primarie e ha buone possibilità di essere eletta nel 14° distretto della Georgia. Per Qnon, movimento nato nel 2017 e ora in auge, Trump sta compiendo una missione segreta per liberare il mondo da una cricca di cui fanno parte Hillary Clinton, Bill Gates e George Soros, che controllerebbe un sistema di potere sotto il quale opera una rete di “pedofili e criminali”. Taylor Greene, imprenditrice, ex istruttrice di CrossFit, ha battuto alle primarie repubblicane John Cowan, un neurochirurgo. Contestando sue affermazioni su neri e musulmani e su Qnon, Cowan le disse in un dibattito: “Il mio modo di essere il miglior alleato di Trump sarà di tenerti fuori dalla Camera, perché i democratici sfrutteranno tutte le cose folli e ridicole che dici”. Fronte democratico, hanno passato le loro primarie le quattro deputate oltranziste di The Squad: Ilhan Omar e Rashida Tlaib.

Mail Box

 

Il sindaco Raggi ha fatto davvero molto per Roma

Cara Virginia Raggi, siamo in pochi a renderci conto che a Roma le buche non ci sono più, che si rivedono le strisce pedonali assenti da sempre, che al bilancio disastrato e violentato della nostra città non è stato aggiunto un solo euro di debito, che nella contrattazione integrativa di Acea è stato reinserito l’art. 18, che oggi si riesce a respirare un’aria di legalità alla quale non eravamo certo abituati e solo a pochi di noi, lei è sembrata un gigante quando, con un coraggio mai riscontrato in alcun politico recente, ha preso di petto i padroni violenti della Capitale, Casapound, Casamonica, Spada. Cara Virginia, i romani purtroppo però voteranno chi ha sempre consentito loro di vivere come hanno sempre vissuto e non importa se saranno gli stessi che con Casapound, Casamonica e Spada ci andavano a cena.

Maurizio Contigiani

 

Fuori i nomi di quanti hanno avuto i 600 euro

Ho firmato la vostra petizione. Ma penso che i parlamentari possano rappresentare in toto il paese, nel bene e nel male. E penso anche che sia giusto e corretto avere i nomi di tutti quelli che hanno chiesto questo contributo che, essendo un aiuto pubblico non si capisce per quale motivo debba essere anche anonimo. Chissà perché, ho l’impressione che potremmo trovarci qualche sorpresa, il nominativo di un appartenente anche ad altre categorie che forse hanno abusato di questo diritto.

Rodolfo Orazietti

 

Provare a fare il furbetto è un costume italiano

Nell’opinione pubblica ha avuto un impatto l’apprendere che alcuni parlamentari hanno (avrebbero) fatto domanda del bonus economico pandemia Covid 19. Personalmente non mi stupisco più. Sugli aiuti economici pubblici alle persone povere, disoccupate e/o in momentanea difficoltà, i vari Governi non hanno mai stabilito ragionevoli contropartite di attività lavorative sociali o di impegni nel volontariato. Quindi coloro che percepiscono bonus o beneficiano di redditi assistenziali, se non hanno particolari scrupoli morali, possono svolgere lavori in nero o rimanere inattivi isolandosi nelle proprie abitazioni. Per superare queste criticità sociali e per fermare i furbetti politici, occorre dare attuazione alle finalità del Welfare Generativo: “Ricevo provvidenze dallo Stato, mi metto a disposizione dello Stato per lavori socialmente utili nel comune di residenza o per obiettivi di solidarietà nel volontariato”.

Franco Piacentini

 

DIRITTO DI REPLICA

In riferimento all’articolo apparso su Il Fatto Quotidiano di domenica 9 agosto a firma di Marco Palombi dal titolo “Aumento delle terapie intensive: le Regioni in ritardo per l’autunno” nel quale si fa riferimento a un presunto ritardo da parte delle Regioni nel potenziamento delle Terapie Intensive, non sono chiare le fonti alle quali si è attinto per identificare le dotazioni di posti letto, e relativamente alla Regione Toscana si precisa quanto segue: 1) Il numero di letti di terapia intensiva riportato nell’articolo, pari a 374, corriestsponde alla dotazione di posti letto di Terapia intensiva attivi che risponde al fabbisogno in condizioni di “normalità”. Si tratta di posti letto non solo dotati delle tecnologie necessarie ma con il personale in servizio; 2) In questo momento non abbiamo la necessità di incrementare la dotazione effettiva perché la domanda di ricoveri è soddisfatta con l’assetto organizzativo in essere, mentre è questione del tutto diversa la disponibilità di ulteriori posti letto attivabili in caso di necessità; 3) A tale proposito si fa presente che nella fase 1 dell’epidemia a livello regionale con l’Ordinanza del Presidente della Regione Toscana n. 16 del 18 marzo 2020 è stato approvato il piano per la realizzazione di 280 postazioni aggiuntive di cure intensive; 4) A livello regionale stiamo completando l’allestimento di aree strutturali di degenza di Terapia intensiva che porteranno entro ottobre a 524 la dotazione di posti letto effettivi, e a 536, come previsto dal Ministero, nel 2021 in quanto 14 posti letto fanno parte della realizzazione di un nuovo padiglione per Area critica la cui consegna è prevista nei primi mesi del 2021; 5) Ai posti letto effettivi si aggiungono ulteriori posti letto straordinari finanziati direttamente dalla Regione Toscana con il Piano del 18 marzo 2020; 6) In massima parte questi sono già stati allestiti mentre per la quota parte di posti letto per i quali sono previsti ulteriori interventi edilizi o impiantistici a seguito dell’emanazione del Dl 34 e del relativo finanziamento, i lavori saranno oggetto di aggiudicazione da parte del Commissario all’emergenza come espressamente previsto dallo stesso Dl.

Agenzia di stampa della Giunta regionale

 

Quindi i dati, che com’è scritto nell’articolo sono del ministero della Salute, sono giusti: la Toscana ha 374 posti letto di terapia intensiva attivi, cioè gli stessi che aveva prima del Covid. Però dice che per ottobre andrà tutto bene, madama la marchesa. E chi siamo noi per dubitarne?

Ma. Pa.

 

I NOSTRI ERRORI

Nell’articolo “Le mail di Ats contro il sindaco ribelle”, a firma di Davide Milosa, pubblicato il 6 agosto scorso, il riferimento alla ATS di Milano come autrice e mittente delle mail al Sindaco di Robbio è palesemente un errore, posto che tale Comune rientra nell’ambito territoriale di competenza dell’ATS Pavia. Ce ne scusiamo con gli interessati e con i lettori.

FQ

Flixbus. Troppi disagi per i passeggeri, dai viaggi affollati a quelli annullati

 

Buongiorno, sono esterrefatta: ieri, con soli due giorni di preavviso rispetto alla mia partenza per le ferie, Flixbus mi ha comunicato l’annullamento del mio biglietto e di quello del mio compagno, acquistati ben due mesi fa. Mi sono lamentata subito con loro, inviando tweet e scrivendo mail, ma nulla: o meglio, mi hanno rimandato al solito modulo del solito rimborso, che chissà quando vedrò. Il punto è che la mia vacanza è stata rovinata in partenza: chi risponderà di questo “inconveniente”? Vi sembra normale? Non esiste in questo Paese il concetto di “tutela dei viaggiatori”?

Luisa Buccino

 

Gentile Luisa, la sua protesta si aggiunge alle altre migliaia che Flixbus sta ricevendo nelle ultime ore dopo che lunedì è stata costretta a cancellare 5 mila biglietti venduti per adeguarsi alle nuove disposizioni anti-Covid e ripristinare il distanziamento a bordo, così come prevede l’ultimo Dpcm del 7 agosto. Insomma, un caos esploso per il trasporto su gomma, a una settimana da quello che ha coinvolto i passeggeri dei treni che sono stati lasciati a terra dopo che Trenitalia e Italia hanno ridotto di colpo al 50% la capienza dei loro convogli. Sono, invece, esclusi gli aerei, dove si continua a viaggiare vicini vicini con il 100% dei posti occupati. Ora Flixbus sta contattando i passeggeri per offrire una soluzione di viaggio alternativa (qualora disponibile) o il rimborso del biglietto, ma di fatto i disagi sono inevitabili non solo per i clienti ma anche per l’azienda che ha rivoluzionato il trasporto a basso costo sui bus soprattutto perché ci troviamo nella settimana di Ferragosto con milioni di italiani in viaggio e ora senza certezza di poter raggiungere la meta stabilita. Andrea Incondi, managing director di Flixbus Italia ha assicurato che proveranno “a ridurre i danni” di una decisione che gli è stata imposta e che “è impossibile per chiunque organizzare un servizio di trasporto se le regole cambiano ogni due settimane”. Il riferimento è proprio alla stretta alle linee guida sui pullman a lunga percorrenza che fino alla scorsa settimana potevano derogare al distanziamento se ai passeggeri veniva misurata la febbre, fatta indossare la mascherine e fatta firmare la dichiarazione sull’assenza di malattia o di sintomi. Tanto che Flixbus fino a domenica ha continuato a ricevere mail di protesta da parte dei passeggeri che lamentavano la pericolosità della poca distanza a bordo. Punti di vista, insomma, anche se l’unico dovrebbe restare quello del buon senso con i numeri dei contagi in ulteriore salita.

Patrizia De Rubertis

Se anche il calcio è solo per ricchi

Sono un abbonato Sky per poter seguire il Campionato e la Champions, la vecchia e cara Coppa dei Campioni (l’Europa League è una competizione comica) di cui questo network ha l’esclusiva.

Per noi ragazzi degli anni Cinquanta calcio e ciclismo, i due grandi sport nazional popolari, erano tutto.

Lo sci lo conosceva solo chi stava in montagna, il tennis era sport da ricchi o da raccattapalle, il basket apparteneva, insieme al baseball, alla cultura americana e quel gioco non era ancora entrato nella nostra mentalità, a differenza della pur mediocre letteratura yankee dell’epoca, introdotta in Italia da Elio Vittorini con Americana (Steinbeck, Irwin Shaw e l’indigeribile Saroyan). Ma fra calcio e ciclismo c’era una differenza sostanziale. Il ciclismo lo potevi solo vedere, appollaiandoti sulle strade di montagna delle tappe del Giro o alla Milano Sanremo o al Giro di Lombardia. Il calcio, oltre a vederlo allo stadio se ti ci portava un adulto, lo potevi anche giocare. E lo abbiamo giocato tutti, ognuno al suo livello. A Milano nei terrain vagues che ci avevano graziosamente lasciato i liberatori americani. Negli oratori. Io andavo ai Salesiani di via Copernico dove vidi giocare anche Berlusconi che era un interno di quell’Istituto: era alto come un soldo di cacio, pretendeva di fare il centravanti, non passava mai la palla, era “un Venezia” come si diceva nel gergo di allora, insomma in nuce c’era già tutto il Berlusca che avremmo conosciuto negli anni a venire. Si giocava anche nelle larghe strade della periferia, mettevamo le cartelle a fare da pali e quando passava una macchina ci scostavamo. Il problema era sempre lo stesso: era il tiro a essere troppo alto o il portiere a essere troppo piccolo?

Il calcio di oggi mi piace molto meno. Troppa economia (Neymar valutato 250 milioni, una follia), procuratori pagati più dei calciatori, calcio spalmato, per esigenze televisive, su tutto l’arco della settimana (il venerdì anticipo di B, sabato la B e due anticipi di A, a mezzogiorno di domenica una partita, alle tre del pomeriggio i match più sfigati, alle 18.30 altra partita, alle 20.45 il clou, il lunedì posticipo di A, se poi è stagione di Champions e di Europa League, partite di Champions il martedì e il mercoledì e con l’Europa League il giovedì il cerchio si chiude, un’overdose che stroncherebbe anche un vampiro per eccesso di sangue, come sempre il denaro finirà per uccidere l’oggetto del proprio interesse). In trasferta, per esigenze degli sponsor, maglie diverse da quelle tradizionali, calciatori che cambiano squadra ogni anno, calcio mercato a gennaio con tanti saluti alla regolarità del Campionato. Sul campo il calcio, che è una metafora della guerra, sembra diventato uno sport per educande, basta uno spintone ed è subito giallo, chi viene colpito anche leggermente fa finta di svenire, una goccia di sangue ed è il terrore (il calcio maschio, duro, leale lo si può vedere ormai solo in Scozia). Schemi che sovrastano le peculiarità dei giocatori: 3-5-2, 3-5-1-1, 4-4-2. Telecronisti che, tutti presi a spiegarti gli schemi, non sanno restituire l’emozione di una partita pur lasciandosi andare a un’enfasi smodata a ogni gol o a ogni parata mentre son cose normalissime che abbiamo visto mille volte. Moralismo intollerante. Adesso c’è anche la “discriminazione territoriale”, per cui un tifoso del Verona se gioca col Napoli non può gridare “Forza Vesuvio” e i napoletani, a casa loro, restituirgli la pariglia con un “Giulietta era una zoccola”. Brozovic , uno dei migliori giocatori dell’Inter e del Campionato (maggior percentuale di passaggi riusciti) è stato punito dalla società nerazzurra perché ogni tanto si sbronza (a parer mio un giocatore dovrebbe essere giudicato solo per ciò che dà sul campo, quello che fa fuori son fatti suoi, del resto si sa, Maradona docet, che i fuoriclasse sono spesso sregolati nella vita privata, anzi questa sregolatezza, come del resto in letteratura, è spesso all’origine del loro genio). Poi, come se tutto ciò non bastasse, c’è il Var. Il pallone supera la fatale linea di porta, i tifosi trattengono il fiato, non possono né esultare né avvilirsi perché c’è sempre l’ombra del Var che può segnalare un fuorigioco avvenuto magari, oggi che le squadre giocano molto ‘alte’, cinque minuti prima, si esulta e ci si dispera dopo in un’atmosfera surreale perché sul campo in quel momento non sta succedendo nulla.

Ma una passione vissuta da ragazzo, diversamente da un amore, non muore mai. Quindi da una decina d’anni sono abbonato a Sky. Parecchi giorni fa, quando si è ripreso a giocare, mi sono ricollegato con Sky . Sullo schermo azzurro appariva l’odiosa scritta “nessun segnale dalla parabola” con tutte le indicazioni delle manovre che devi fare per recuperare la visione e un numero di emergenza. Fai le manovre. Inutili. Chiami il numero. Comincia la tiritera dello “schiacci 1”, “schiacci 2”, “schiacci 3”, se ti va bene alla fine ti risponde una ragazza dall’Albania che ripete come un pappagallo quello che è scritto sul teleschermo. Ma la cosa peggiore, innervosente al massimo (in questo giornale solo Padellaro può capirmi) è quando la trasmissione si interrompe proprio mentre c’è un’azione che profuma di gol per riprendere magari venti minuti dopo. Per sfiga finiana i canali che mi fanno questo scherzo sono proprio quelli che danno il calcio. Ho telefonato al tecnico Sky. Dopo snervanti tentativi l’ho trovato. È venuto e mi ha detto che la colpa è della parabola condominiale. Ho telefonato quindi al tecnico del condominio, Formichetti, cosa anch’essa non facile perché bisogna passare prima per la figlia, la moglie, la segretaria che ti ammorbano per venti minuti parlandoti del 5G di cui ovviamente non capisco nulla. Alla fine sono riuscito a parlare con Formichetti lui meme. Abbiamo fissato un appuntamento per le 15.30 del 31 luglio. Credevo che la cosa fosse finalmente risolta. Ma il 31 luglio nessuno si è fatto vedere. Il Formichetti mi ha poi spiegato che aveva parlato con il tecnico Sky e che costui avrebbe risolto tutto. Ma il tecnico Sky mi ha detto che se la responsabilità era di Sky bisognava cambiare il decoder, ma lui non poteva farlo senza l’autorizzazione di Sky. Ho cercato questo ufficio autorizzante, ma dopo i soliti “schiacci 1”, “schiacci 2”, eccetera, sono ricaduto fra le braccia della ragazza albanese. Insomma come nel gioco dell’oca sono tornato al punto di partenza.

Questa è la mia avventura personale con Sky. Ma la vicenda propone anche due questioni più generali. Sky, a differenza per esempio della telefonia, è monopolista nel settore, sei nelle sue mani, non puoi dirgli “vaffa mi rivolgo a un altro gestore”.

Seconda questione. A parer mio uno sport così popolare come il calcio non può essere monopolio di una società privata, il ciclismo, per esempio, lo dà la Rai sia pure in concorrenza con altri network. Perché questo, in una società già sperequata sia pur per motivi ben più gravi, crea un’ulteriore sperequazione sociale: i benestanti possono vedere il calcio, i poveri, anche se belli, no.

Il solista del mitra era il commercialista

Ancora oggi molta gente pensa che Luciano Lutring fosse un pericoloso bandito. I giornali, allora, erano pieni delle sue gesta, spaccate nei negozi di lusso di via Montenapoleone, rapine milionarie nelle banche italiane e francesi, sparatorie con le forze dell’ordine. Lo chiamavano il solista del mitra perché nascondeva le armi nella custodia di un violino.

Tanto tempo fa lo intervistai e mi disse tutta la verità ma chiese di tenerla per me. Ma ormai è morto e sento di poter raccontare come stavano le cose. Il rapinatore non era lui. Mi disse: “Ricordi quella spaccata nel negozio di lusso? Portarono via dieci pellicce di visone. Dissero che ero stato io. Falso. Era stata mia moglie. Da sola. Voleva farmi un regalo”.

Potevo non credere a una persona così dabbene che finì in galera per colpa della moglie? E così scoprii che anche le rapine non erano sue. Dentro le banche, urlando “Tutti a terra! Questa è una rapina!” non era Lutring a entrare. Era il suo commercialista. Gli impiegati pensavano che fosse il solista del mitra e consegnavano tutto il denaro. “Ecco come mi sono fatto la fama di rapinatore del secolo, io, innocente”, mi disse Luciano.

Possibile, gli contestai, che sia tutto un misunderstanding? Possibile che tu non ti sia mai accorto che tua moglie rubava, che il tuo commercialista faceva le rapine? “Non me ne rendevo conto”, mi disse. “Tutto a mia insaputa. Però, ora che ci penso…” Ora che ci pensi? “Una rapina l’ho fatta. Molte centinaia di milioni”. Ah, vedi che hanno fatto bene a sbatterti in galera. “No, fecero male. Io ero innocente. Detti tutto in beneficenza ai mutilatini di don Gnocchi”.

E se riducessimo l’inquinamento?

Davanti a un virus che, malgrado tutto, è ancora presente e ci impone misure che hanno un significativo impatto sulla nostra vita sociale, forse sarebbe il caso di tener presente non solo le barriere individuali da apporre alla sua diffusione (mascherine, distanziamento e igiene delle mani), ma anche un elemento che ormai è dimostrato essere rilevante in tutte le infezioni respiratorie, oltre che sulle condizioni di salute generali: l’inquinamento.

I dati raccolti sulle infezioni da SarsCoV2 hanno dimostrato che nel mondo le zone a più alto inquinamento atmosferico sono quelle che hanno pagato un contributo più alto durante la pandemia. In Italia c’è stata una concentrazione di casi proprio in Lombardia, Veneto, Emilia Romagna. Un gruppo di ricercatori dell’Università di Harvard (Stati Uniti) ha recentemente condotto una serie di studi statistici, concludendo che un aumento contenuto del polveri sottili possa avere conseguenze importanti nell’epidemia da coronavirus.

Lo studio, ancora in fase di approfondimento, sostiene che un aumento di un microgrammo per metro cubo del pm2,5 nell’aria può comportare un aumento del 15 per cento nelle morti dovute alla Covid-19. L’inquinamento agirebbe sia direttamente, diffondendo il virus con le particelle delle polveri sottili, sia indirettamente (abbassamento delle difese immunitarie, danni polmonari).

Gli individui nelle zone inquinate vivono già con un rischio più alto di soffrire di malattie respiratorie e cardiache. In genere, i residenti in zone inquinate hanno una maggiore sensibilità a tutte le infezioni respiratorie.

È un dato pubblicato dall’Oms che l’inquinamento atmosferico provochi ogni hanno nel mondo 4,2 milioni di decessi (non solo a causa di infezioni respiratorie). Fra le misure proposte per il contenimento della pandemia non ho trovato nulla che riguardasse anche l’inquinamento. Credo che, anche se successivi studi dovessero in parte modificare le intuizioni del gruppo di Harvard, potrebbe comunque essere un’occasione per migliorare la salute e dimnuire i decessi, comunque questi siano provocati.

 

direttore microbiologia clinica e virologia del “Sacco” di Milano