La desolante vicenda dei parlamentari colti col sorcio in bocca da 600 euro s’inserisce in un florilegio di comportamenti irrispettosi della dignità dell’ufficio e in dispregio alla volontà degli elettori. A tanto squallore contribuiscono il rilassamento etico, l’ignoranza e il cinismo d’imitazione, presenti nella società italiana. Sarebbe assolutorio per le istituzioni ridurre in quei sensi il fenomeno. Fanno premio le cause ordinamentali legate alla selezione della classe politica tramite il sistema elettorale, la cui missione è consentire il pieno e libero concorso dei cittadini “con metodo democratico a determinare la politica nazionale” (articolo 49 della Costituzione).
Due sono i meccanismi praticabili: il maggioritario e il proporzionale. Quest’ultimo copre attualmente due terzi dei seggi da assegnare e opera in diversa configurazione dal 2006. Sua caratteristica saliente è concepire la rappresentanza esclusivamente come esito dell’adesione a una forza politica presente in una lista elettorale. Non si stabilisce, pertanto, un raccordo tra rappresentanza, persona e ambito territoriale (ben sintetizzato nel collegio uninominale). Con il proporzionale si formano le liste secondo tre linee di designazione: il placet con derive nel fervore priapico (tipico di FI), il giovanilistico festival di like su piattaforma informatica (ideona M5S) e l’individuazione dei candidati nelle segrete delle direzioni politiche (praticata dagli altri partiti). Il metodo grillino è incongruo e probabilmente ingenuo. Gli altri consentono di prescindere dalla realtà territoriale per dare sfogo al tribalismo amorale che privilegia amici e amiche non prescelti per merito e competenza, ma per appartenenza e dipendenza. E, per amor di Patria, qui ci si ferma: infatti, solo il tribalismo amorale, per definizione alieno da valutazioni etiche, rende agevole l’elezione di personaggi di tanto poco spessore.
In presenza di un sistema con collegi uninominali, il direttorio politico si guarderebbe bene dal dare spazio solo a candidati titolati da legame tribale. Per vincere bisogna convincere, puntando su persone serie e competenti. Il che spingerebbe a una sana emulazione nella ricerca dei migliori tra le liste concorrenti. La qualità degli eletti certo aumenterebbe, come ai tempi del Mattarellum. Il sistema proporzionale implica, inoltre, che gli elettori sottoscrivano una specie di cambiale in bianco: gli eletti hanno piena libertà di formare governi con partiti antagonisti perfino concordando programmi antitetici a quello presentato per ottenere suffragi. Cioè: in perfetta collisione con la finalità di concorso democratico consacrata nell’articolo 49 della Costituzione.
Sorprende pertanto che la segreteria del Pd insista per ottenere il proporzionale puro, motivando la richiesta quale contrappeso alla riduzione del numero dei parlamentari. La richiesta suscita perplessità ulteriori. Innanzi tutto di ordine storico, posto che quel partito era nato con forte vocazione maggioritaria. In secondo luogo per lo sgradevole intento di assicurare a ciascun partito parlamentari individuati esclusivamente dal monopolio del direttorio politico, espropriando i cittadini del diritto di una scelta ragionata. La sacrosanta riduzione del numero dei parlamentari è funzionale a una maggiore agilità e prontezza degli apparati. Il proporzionale confligge con quella prospettiva, perché destinato a riprodurre in Parlamento i guasti qui lamentati e a replicare un modello antiquato e affannoso di governabilità. Si consoliderebbe, in definitiva, il dominio delle tribù operanti nei contesti partitici a discapito dell’esponenza dei valori presenti nelle varie realtà territoriali nonché dell’efficienza dell’azione politica e amministrativa.