Ancora 24 ore per i nomi. 50mila firme per chiederli

Quei nomi scottano. E l’Inps non vede l’ora di liberarsene. La buriana che si è scatenata attorno ai parlamentari che hanno ricevuto il bonus da 600 euro destinato alle partite Iva messe in difficoltà dall’emergenza coronavirus, non accenna a placarsi. Pasquale Tridico metterà quei nomi a disposizione della Camera domani quando verrà ascoltato in videoconferenza dalla commissione Lavoro. La sede istituzionale più adeguata dal momento che dopo lo scandalo del bonus in Parlamento si fa a gara per cambiare la norma per stringere le maglie dei possibili beneficiari ma soprattutto per identificare i responsabili della furbata. Ovviamente non sfugge che l’audizione si svolge proprio a Montecitorio perché lì siedono i tre deputati che hanno chiesto e ottenuto la sovvenzione, ma anche gli altri due a cui è stata negata dall’Istituto di previdenza. Come non sfugge il fatto che il presidente della Camera Roberto Fico abbia svolto un ruolo con Inps per trovare la sede più adatta per consentire a Tridico di rispondere alla fatidica domanda sull’identità dei deputati destinatari del bonus.

In realtà c’erano anche altre strade per arrivare alla rivelazione dei nomi: la prima era quella che il ministero del Lavoro che vigila sull’Inps si facesse carico politicamente del caso. Ma la titolare del dicastero Nunzia Catalfo del M5S si è rivelata prudentissima sul passo da fare. L’altra era quella di seguire le regole della legge per l’accesso agli atti custoditi dall’Inps. Strada percorsa dal Fatto che ha anche lanciato una petizione on line in due giorni sottoscritta già da 50mila cittadini. Comunque sia, si punta a chiudere il caso prima di Ferragosto anche se, come anticipato da questo giornale, la questione non potrà finire qui. Perché ieri il Garante della Privacy ha formalizzato una richiesta di informazioni all’Inps dopo aver aperto una istruttoria sulla metodologia seguita dall’Istituto nella vicenda del bonus, dei beneficiari e sulle notizie diffuse.

La nota parla chiaro: “Il Garante chiede all’Inps di conoscere, in particolare: quale sia la base giuridica del trattamento effettuato sui dati personali dei soggetti interessati; l’origine e tipi di dati personali trattati, riferiti alla carica di parlamentare e amministratore locale e regionale; le modalità con cui è stato effettuato il trattamento, con specifico riguardo all’operazione di raffronto dei dati personali dei soggetti richiedenti o beneficiari del bonus, con quelli riferiti alla carica di parlamentare e amministratore locale e regionale; l’ambito del trattamento ed eventuali comunicazioni a terzi di tali dati”. In pratica il Garante vuole sapere come e chi si è fatto carico della promozione della schedatura dei politici che hanno chiesto il bonus.

L’operato di Pasquale Tridico, almeno per questo aspetto, sembra inattaccabile giacché sulla compilazione del dossier non ha mai toccato palla. Nel mirino c’è invece il direttore dell’Antifrode, anticorruzione e trasparenza dell’Inps, Antonello Crudo, dirigente peraltro molto autonomo nel suo operare rispetto al presidente e peraltro da lui lontanissimo anche per sensibilità politica. A Crudo, e non solo ai piani alti dell’istituto, vengono fatte risalire tutte le responsabilità per il caso politico dell’estate. Che ha messo in fibrillazione giornali, Parlamento e governo, ma soprattutto in discussione la poltrona del presidente Tridico.

Effetto Spelacchio

Quando Virginia Raggi ha annunciato che si ricandida, ho pensato: mission impossible. Poi ho letto i commenti di giornali e politici, tutti affratellati dal pensiero unico che accompagna la sindaca di Roma da quando fu eletta: ha fatto più danni di Nerone e di Attila perché è una cretina, incapace, disonesta, per giunta grillina, ergo i romani si guarderanno bene dal rivotarla e chiederanno lumi a noi, che sappiamo come rifare l’Urbe più bella e superba che pria. Lo scrivono Giornale, Verità, Libero, Messaggero, Corriere e Stampubblica. Un unico grande giornale, come diceva Moretti. E poi l’orrore, lo sdegno, il raccapriccio di Pd, FI, Lega, FdI: un unico grande partito. Quindi avranno già pronto il nuovo sindaco bravo, competente, efficiente e onesto che, vista la catastrofe in corso, ha già la vittoria in pugno, no? No, niente. A destra “Salvini sta sondando l’ipotesi Cattaneo” (Stampa), che infatti non ha mai sentito nessuno né intende candidarsi. Il Pd, dopo aver cambiato una dozzina di cavalli (peraltro ignari di tutto), il più autorevole dei quali era l’attore Ghini, non sa che pesci pigliare; però la signora Franceschini ci terrebbe tanto. Calenda, noto desertificatore di urne, lancia Carlo Fuortes, sovrintendente dell’Opera, che porta i voti dei tenori e dei baritoni.

E qui sorge il dubbio. Che bisogno c’è dei bazooka per abbattere un moscerino come la Raggi? Non basta ignorarla e lasciarla giustiziare dagli elettori? In realtà, la lapidazione generale cela il terrore che, in un ballottaggio fra lei e un clone di Salvini, la maggioranza preferisca lei: perché i suoi difetti ed errori sono noti, ma l’esperienza potrebbe aiutarla a superarli; lavora senza risparmio; di cose buone ne ha fatte (cultura, risanamento finanziario, legalità, no alle Olimpiadi incluso); non ruba e non fa rubare; governare Roma senza soldi né poteri e contro tutti i poteri è molto più arduo di quanto credesse lei, ma anche gli altri (infatti scappano tutti); e soprattutto perché ha tutti contro con argomenti che persino il più anti-raggiano troverebbe pretestuosi. Il più disonesto era la penuria di impianti per rifiuti (compito della Regione). Ma ieri La Stampa ci ha aggiunto “l’incendio al Tmb Salario” (infatti lo appiccò lei) e “il famoso Spelacchio, l’abete di piazza Venezia stecchito prima ancora di essere decorato”. Che era già morto quando fu segato in Val di Fiemme, come tutti gli alberi di Natale del mondo. Quello però è rimorto appena ha visto la Raggi, nota abeticida. O così almeno scrissero per settimane i giornali, trasformandolo nell’albero più simpatico del mondo, con pellegrinaggio di turisti e cittadini. Però, all’occorrenza, risorge. Avanti così e persino Virginia ce la può fare.

Sei personaggi in cerca d’untore: che fatica a teatro col Covid

Sogno di una notte di mezza estate: starsene sdraiati sotto il condizionatore a far finta di leggere Shakespeare. Ma no, lo danno in teatro: perché non affrontare i 43 gradi di Roma per assistere alla commedia più estiva del Bardo? Già, perché?

In replica al Globe Theatre, diretto da Gigi Proietti, va in scena fino al 23 agosto il Sogno firmato da Riccardo Cavallo. Sottotitolo covidiano: sei personaggi in cerca d’untore. Che fatica andare a teatro con la pandemia non ancora scongiurata: e la prenotazione, e la mascherina, e il modulo di autocertificazione, e l’ingresso scaglionato, e la misurazione della temperatura, e il posto alla spicciolata (salvo coppie di congiunti e famiglie vicine)… “Lei è sola? Bene”, così si tradisce la maschera che segue lo spettatore ovunque, tipo la mascherina: si può togliere solo una volta seduti al proprio posto, da cui “è assolutamente vietato spostarsi”, minaccia la voce fuoricampo, quando una volta sgridava appena chi teneva acceso il telefonino.

“Pensavo che questo teatro all’aperto fosse più aperto. Se l’avessi saputo avrei portato un ventaglio”, sussura la signora maritata a cui gli amici hanno regalato il biglietto. “Ma lei è dovuta venire per lavoro, vero?”, chiede perplessa. In mancanza di ventaglio, il biglietto fa da ventaglio, e grande pietas per la suora appollaiata più in là: tra costume e ingombro, la battono solo gli attori in palcoscenico, oltretutto âgée.

Il caldo è soporifero; perciò agli spettatori andrebbe dato un bonus; loro sì che contribuiscono al “Cura Italia”. Sono numerosi e motivati: ecco tre giovani che “non accusano la fatica”; ecco due ventenni spuntati in bicicletta; ecco una donna incuriosita dagli annunci su Facebook… poi famiglie, ragazzini, studenti e coppie del sabato sera. Eppure qualche vantaggio esiste, in questa scampagnata covid-teatrale: al bagno c’è poca coda; dovunque si vede bene; nessuno tossisce. Un sogno.

Del Sogno si ricorda la luna capricciosa che influisce sugli ormoni dei personaggi: Ermia ama Lisandro, Lisandro Elena, Elena Demetrio, Demetrio Ermia. “Il mondo è folle come l’amore”, scrive il regista. Peccato, però, che lo scambismo e la zoofilia (del Bardo) cedano il passo a un’altra follia: quella di recitar l’amore sfiorandosi poco poco. Si finirà come sui set porno, con gli attori sottoposti ai test per scongiurare virus e malattie. Non è una boutade: l’ha proposto l’Agis.

Il principe e la strega, la Regina e l’orco: la favola è poco Reale

Settembre 2018, coronamento della carriera di corrispondente a Londra: il pezzo Sandro Paternostro. L’incontro con la grafologa dei vip. Svolgimento: 10 giornalisti di altrettanti paesi fingono per un’ora di prendere appunti sull’analisi della grafia di Trump e Putin, e cosa ne possiamo dedurre sui destini del mondo, solo per porre la domanda essenziale: “Ma Harry e Meghan?” Risposta, testuale: “Well, lei è un’attrice che ambisce a Hollywood. Lui non sa fare niente (risatina) e non ha mai superato la morte della madre. C’è una grande, grande intesa sessuale (risatina). Ma queste cose durano qualche anno, come sappiamo tutti (malinconia) e poi restano due mondi molto distanti”. Non rivelerò mai l’identità della bionda saggia, perché mi serve viva: vi basti la conferma che la grafologia è, da sempre, scienza esatta. Solo ci si aspettava una tregua più lunga. A settembre H&M erano sposati da soli 4 mesi, ma i tabloid, vera anima nera del populismo inglese, avevano già scelto il nuovo bersaglio.

Lady Macbeth. Per i tabloid Meghan è stata, in quest’ordine: icona del glamour; ammirata femminista; boccata d’aria per la monarchia da rinnovare; salutista!; forse un po’ troppo salutista. Poi, orrore: attrice americana divorziata e troppo scura; tirannica; diva incompatibile con le regole di corte; membro contagioso di famiglia disfunzionale; insopportabile per lo staff; viziata, arrivista, opportunista. Infine, doppio orrore: imbarazzante per la Regina; Lady Macbeth. L’alta società inglese, la più violentemente snob al mondo, non le ha perdonato il tocco Harlem al matrimonio. Pare si sia anche scontrata con Kate, e non si vince contro un robot. Ora che si è portata via Harry è una Strega.

HARRY. Dopo una prolungata tardo-adolescenza impiegata a chiedersi vanamente cosa fare della propria vita, aveva trovato un po’ di pace facendo la guerra, dove almeno ti dicono la direzione. Ha conquistato l’amore e perso: la famiglia, il patrimonio, le onorificenze e ogni straccio di identità. Ora si dice che vaghi per Los Angeles in cerca d’autore, roso dalla nostalgia per la Firm. Peccato, era l’unico simpatico.

KATE. Ha avuto anche lei la sua dose di stampa ostile: arrivista, gelida, programmata per accalappiare William dalla madre commoner arricchita. Nel 2013 la scrittrice Hilary Mantel ha scritto: “Kate sembra essere stata selezionata per fare la principessa perché è irreprensibile: sottile come vorremo essere tutti, senza difetti, particolarità, stranezze, senza il rischio di una personalità. Una macchina: così diversa da Diana, la cui umana stranezza e incontinenza emotiva si mostrava in ogni gesto”. Ora che è madre prolifica e senza pancetta nemmeno a tre ore dal parto, dicono anche che è un’eccellente fotografa. Abbiamo visto in azione anche Lei: professionista totale delle pubbliche relazioni.

William. incarnazione sorridente del mantra “credere, obbedire, presenziare”. Con Kate, una perfetta macchina da inaugurazione. L’unico maschio adulto nella stanza. Noiosissimo.

L’ORCO. Cosa dire di Andrea, quello che si sussurrava fosse il preferito della Regina ed è finito, secondo accuse sempre più circostanziate e sempre meno insabbiabili, ad abusare di ragazzine dell’età delle sue figlie. In galera non ci va, protetto dalle prerogative reali, ma all’inferno c’è già. Paria, bandito per volere di Madre e Fratello da ogni occasione ufficiale, decaduto da ogni titolo onorifico. Ma sarà sempre meno colpevole di Meghan che, My God, pratica yoga all’alba.

L’EREDE PER SEMPRE. Carlo, la grande delusione, uno che come programma di vita, se mai salirà sul trono, vuole ridimensionare l’unica stirpe reale ancora in grado di dare un brivido al mondo. Quando ha rivelato di essersi preso il Covid il paese si è fermato, ma non per lui: fa’ solo che non l’abbia passato a Betta, si sentiva pregare. È odiato all’unanimità da cinquantenni e sessantenni: le donne non gli perdonano di non aver amato Diana, gli uomini di avergli preferito la legnosa Camilla. Per il resto del paese è solo il figlio di.

FILIPPO. Tornato più volte dall’Ade, ormai saponificato dall’età. Ha portato con dignità l’odiato abito di principe consorte scompaginando il cerimoniale con gaffes leggendarie. E ha avuto il buon gusto di tradire la moglie, si mormora, senza far rumore.

NONNA BETH. La Ur-influencer, l’unica al mondo capace di amplificare la propria popolarità restando immobile. Il Regno tutto, dai quartieri progressisti di Londra a quelli popolari di Rochdale, vive nel sogno che Elizabeth li seppellisca tutti: figli scemi, senza virtù, pasticcioni, frustrati dalla prigione dorata, assuefatti dal ruolo alla paralisi: nuore e mogli di nipoti incapaci di aderire alla aurea regola della temperanza, l’unica che garantisca un po’ di libertà dallo sguardo avido del mondo; nipoti noiosi o cristallizzati in eterno nel trauma adolescenziale. Umane debolezze: quelle che Lei, unta dal Cielo, ha da tempo derubricato a dettagli di una vita piena di imprevisti.

 

Le ceneri di Chatwin. In Peloponneso con Bruce

È uno dei salotti più affascinanti che possa capitare di vedere. Un quadrilatero di divani in pietra sul bordo di un terrazzo a strapiombo sul mare, davanti allo spettacolo del golfo di Kardamili e dell’isola di Meropi. Alle spalle della casa la catena del Taigeto espone le sue sculture in forma di montagna. Patrick Leigh Fermor e la moglie Joan negli anni Sessanta si dedicarono con tanta cura e passione alla realizzazione di questa casa. Una costruzione bassa in pietra riguardosissima dell’ambiente greco, con arredamenti interni rispettosissimi delle origini britanniche.

Fu durante la guerra che Leigh Fermor scoprì la Grecia. Inviato a Creta dall’intelligence inglese riuscì a portare a termine, con i partigiani dell’isola, il rapimento di un generale nazista in puro stile via Fani, con blocco dell’auto ed eliminazione dell’autista. Sulla vicenda W. Stanley Moss ha scritto un libro da cui è stato tratto il film Colpo di mano a Creta, con Dirk Bogarde nei panni di Leigh Fermor. Durante i viaggi successivi Fermor scoprì Kardamili e rimase profondamente affascinato dal Mani e dalla storia del popolo che vive lungo tutta la catena del Taigeto fino a capo Matapan. A questa gente dedicò uno dei suoi libri più importanti, Mani.

Di Kardamili si innamorò anche Bruce Chatwin quando venne a trovare l’amico Patrick. Nel gennaio del 1985 Chatwin prese una suite all’Hotel Theano, circa a metà strada tra Kardamili e la casa di Fermor. Lì cominciò a scrivere, strappare e riscrivere Le vie dei canti, interrompendo il lavoro solo per lunghe camminate con Patrick sulle montagne. Si concedevano delle soste meravigliose ad Agios Nikolaos, una piccola chiesa bizantina tra gli ulivi nei pressi di Exochori, cinquecento metri sopra il vuoto che precipita nel golfo di Messenia. Era il posto ideale per raccontarsi il mondo che avevano respirato e altre storie di vagabondi.

Il 16 febbraio 1989 Patrick Leigh Fermor salì a Agios Nikolaos con Joan ed Elizabeth Chatwin, Bruce era con loro sotto forma di cenere, dentro una cassettina di quercia. Lo seppellirono accanto alle mura della piccola chiesa, sotto un ulivo. Senza un’iscrizione, senza indicazioni, come aveva voluto lui.

Cercare oggi le ceneri di Chatwin è un’impresa. In rete circolano indicazioni sbagliate. A Exochori chiedo di Agios Nikolaos fuori da un bar. I quattro avventori si consultano e mi dicono “Segua Georgios”. Un rustico maniota cinquantenne si avvia a un furgoncino e io lo seguo con la mia auto. Mi lascia davanti a una chiesetta abbandonata tra ulivi e sterpaglie. Salgo su un muricciolo per fotografare la cappella, una pietra basculante mi rispedisce a terra con un botto terribile, più tardi scoprirò sulla coscia un ematoma grande come una fetta di salame. Per di più mi accorgo che quella non è Agios Nikolaos. Dolorante abbandono momentaneamente l’impresa.

Qualche giorno dopo mi metto d’accordo con Dimitri, un autista della zona. Arriva con mezz’ora di ritardo, sono quasi le otto e abbiamo poco tempo per la luce. Dimitri si informa bene e ci precisa che la chiesa non è a Exochori, ma in una frazione chiamata Kato Chora. All’ultima casa del villaggio prendo un sentiero sbagliato. Rifaccio la strada e finalmente tra gli ulivi vedo il tetto di Agios Nikolaos che si staglia sul mare in una scia di vapori rosa sospesi sull’azzurro. Raggiungo la chiesetta giusto in tempo per vedere le ultime luci scendere nella spettacolare baia di Kardamili. Mi sono immaginato i due nomadi seduti quassù a sniffare nuvole di porpora.

Giù nella piazza del villaggio ricordano con simpatia Patrick Leigh Fermor. Quando c’erano feste paesane lui beveva, cantava e ballava con noi, dicono. Il popolo che Fermor racconta nel suo libro ha vissuto su queste terre per secoli tramandandosi la durezza che aveva fatto di Sparta una grande potenza dell’antichità, prima di cedere agli invasori. Fuggiti tra le montagne i discendenti degli antichi guerrieri continuarono a combattere tra di loro. Nel sud del Mani il suolo arido e montagnoso rendeva difficili le coltivazioni e per contendersi esigui fazzoletti di terra i manioti costruivano torri di pietra dalle quali le famiglie rivali si sparavano. Durante le tregue le donne seppellivano i morti e portavano a termine il lavoro nei campi. I manioti praticavano la pirateria, salpavano con la benedizione di un prete e se non comparivano navi da depredare il religioso si metteva a salmodiare dal ponte affinché il buon dio mandasse loro qualche imbarcazione da massacrare. Finito il lavoro sporco i pirati si spartivano il bottino e il prete prendeva la sua parte ancora macchiata di sangue. Quando veniva al mondo un bambino dicevano è nato un piccolo fucile. Questi erano i discendenti degli spartani che Fermor ha raccontato con precisione storica e passione letteraria.

“Il crollo del governo non c’entra niente con l’esplosione di Beirut: è un gioco politico”

“O adesso o mai più. Non ci sarà un’altra possibilità per diventare libanesi nel senso di popolo”, al di là delle divisioni settarie, secondo la nota poetessa, giornalista, scrittrice attivista e femminista Joumana Haddad insignita di numerosi riconoscimenti internazionali. A una settimana esatta dalla esplosione che ha devastato la maggior parte di Beirut, la poetessa cerca di evitare in ogni modo di ripensare al giorno dell’esplosione, essendo viva per miracolo. La sede della sua Ong, dove Haddad avrebbe dovuto tenere una riunione proprio nei momenti della tragedia, è saltata in aria. Il traffico caotico di Beirut ha salvato l’intellettuale libanese che ora usa tutta l’energia ritrovata per tornare a manifestare contro la casta politica a piazza dei Martiri.

Anche oggi, dopo le dimissioni in blocco del governo continuerà a manifestare?

Sì, perché queste dimissioni non bastano certo a rimettere a posto le cose, a ridare linfa vitale a un paese ucciso dalla corruzione e avidità dei leader tribali-settari (secondo le tre religioni del paese dei Cedri: islam sunnita, islam sciita, cristianesimo, ndr) che sono al potere da 30 anni e persino prima della guerra civile.

E cosa servirebbe allora?

Oggi per riuscire a imboccare un percorso virtuoso, è necessaria la formazione di un governo di transizione che faccia subito una nuova legge elettorale in senso proporzionale così da scardinare il sistema settario. Dopo di che si dovranno indire elezioni. Certo il voto anticipato, per di più con una nuova legge elettorale, terrorizzano i corrotti che ci hanno fin qui mal governati, per usare un eufemismo, perché sanno che molti di coloro che li avevano votati non lo faranno più. E a proposito di elezioni, sono queste il motivo per cui Hassan Diab e il suo governo si sono dimessi in blocco.

Si spieghi meglio.

Diab si è dimesso perché due giorni fa aveva osato dire che avrebbe voluto far approvare una legge che consenta di fare elezioni parlamentari anticipate cosa che ha fatto infuriare il presidente della Repubblica Michel Aoun (cristiano, l’anziano ex generale aveva ottenuto l’agognata carica grazie a un patto con il partito armato sciita Hezbollah, ndr). Per questo il presidente Aoun e i suoi colleghi mafiosi lo hanno costretto a dimettersi. La questione di chi o cosa abbia innescato l’esplosione dello scorso martedì non c’entra con le dimissioni, legate piuttosto alle proteste che durano dallo scorso anno, perché la crisi economica sta portando la gente a soffrire la fame. Così è impossibile andare avanti.

Svetlana spinta alla fuga. Così Lukashenko prova a dividere l’opposizione

Minsk continua a urlare nelle sue strade per la quarta notte di fila ma in città lei non c’è più. Ha abbandonato il Paese in rivolta Svetlana Tsikhanouskaya, la donna che ha sfidato alle urne il presidente Aleksandr Lukashenko, volto dolce, ma non testa, di una protesta che ora continua anche senza di lei.

Dasvidania Bielorussia. “Ho preso una decisione difficile. Molti mi giudicheranno, molti mi capiranno, molti mi odieranno. Spero che voi non dobbiate mai trovarvi nella mia situazione”. Mentre parla delle minacce a carico dei suoi due figli piccoli, da tempo trasferiti in segreto all’estero, spiega in video che abbandona la sua nazione. Il dolore si dipana sul suo volto pallido mentre parla in camicia bianca, la stessa che indossa in un secondo video, che viene diffuso dopo il primo nel web, che rimane bloccato in molti quartieri di Minsk. “Cittadini, rispettate la legge, non resistete alla polizia. Non voglio violenza né sangue, non andate in piazza”. La Tsikhanouskaya avrebbe registrato due messaggi per i suoi sostenitori: il primo d’addio e il secondo di resa, in cui chiede loro di tornare a casa e rispettare i risultati della votazione.

“Non voleva lasciare il Paese, ma non aveva scelta”. Secondo Olga Kovalkova, membro del suo staff, la moglie del blogger Valery, arrestato appena aveva annunciato la sua candidatura, divenuta eroina riluttante di un popolo che reclamava da tempo la sua rivoluzione, ha lasciato la Bielorussia contro la sua volontà. Avrebbe registrato il secondo video sotto minaccia dopo aver incontrato le autorità nella sede centrale della Commissione elettorale, dove sarebbe stata senza contatti con l’esterno per sette ore. Sarebbero stati gli stessi uomini di Lukashenko a scortarla oltre confine in Lituania, dove si trova ora, come conferma Linas Linkevicius, ministro degli Esteri di uno Stato che ieri era parte di quello stesso blocco sovietico di cui faceva parte anche Minsk e oggi è agguerrito membro europeo e Nato.

Sono oltre 2mila gli arrestati nelle proteste, con cui né avvocati né familiari riescono ad avere contatti. Potrebbero investigare, confermare o smentire informazioni sui due video della Tsikhanouskaya i giornalisti indipendenti finiti, insieme a politici, presunti provocatori stranieri, nelle affollate prigioni del presidente.

Minaccia intanto interruzione delle relazioni l’Ue e sanzioni per elezioni “non libere e non eque” Bruxelles mentre un altro manifestante perde la vita sulla strada Pushkinskaya. Si registra il secondo lutto per gomma, materiale dei proiettili che sparano gli Omon, polizia anti-sommossa, contro i ragazzi che protestano a volto coperto dalle mascherine che si usano contro il Covid-19, che in Bielorussia ufficialmente non è mai esistito.

La casalinga 37enne, moglie di un blogger ormai obliato dalla sua aura gentile di cui si è innamorata la stampa internazionale, si è chiusa ora nel suo silenzio a Vilnius. Anche Veronika Tsepkala, sua alleata e moglie di Valery Tsepkalo, ex ambasciatore e poi avversario politico di Lukashenko, ha raggiunto suo marito a Mosca. Solo Maria Kolesnikova, dello staff dell’oppositore Babariko, sarebbe ancora nel Paese. È quel che resta del movimento Vmeste, “insieme”, la miccia per cui Minsk si è svegliata, una città dove le “fidanzate combattenti” non ci sono più, ma la piazza sì.

Scontro sul golden power rafforzato: il decreto Agosto resta “fantasma”

Le “intese tecniche” tardano ad arrivare: quelle, s’intende, “salvo” le quali è stato approvato venerdì il cosiddetto “decreto Agosto”, il terzo intervento anti-crisi dall’inizio della pandemia da Covid. Tardano nel senso che quel testo ancora non è arrivato in Gazzetta Ufficiale (oggi, sperano gli ottimisti): colpa delle ferie che hanno decimato la squadra dei tecnici e pure di certe questioncelle non risolte.

Pare, ad esempio, che dal pacco di 100 e più articoli sia sparita in gran parte il rafforzamento del cosiddetto “golden power” nel settore finanziario, cioè la prerogativa del governo di essere informato – e se del caso di intervenire – quando un’operazione economica coinvolge un asset strategico per il Paese. Non che l’esecutivo avesse deciso come agire, ma la norma pareva scritta per la scalata che Leonardo Del Vecchio si appresta a compiere su Mediobanca: è atteso al massimo entro il 24 agosto, infatti, il via libera della Bce all’operazione con cui la finanziaria lussemburghese del patron di Luxottica, la Delphin, salirà al 13-14% di Piazzetta Cuccia (con autorizzazione fino al 20%). Una mossa che, dopo le iniziali perplessità, Francoforte avallerà anche perché Delphin ha qualificato l’investimento come “finanziario”: non è sua intenzione, insomma, controllare Mediobanca né cambiarne i vertici (il cda va al rinnovo a settembre e Del Vecchio – secondo Il Sole 24 Ore – non vuole nemmeno presentare una sua lista).

Quali che siano le intenzioni dell’imprenditore basato in Trentino, l’estensione del golden power non è l’unica partita finanziaria su cui le famigerate “intese tecniche” si sono arenate: l’altra riguarda, in sostanza, Borsa Italiana e in particolare un articolo del decreto che, modificando il Tuf (testo unico delle norme finanziarie), avrebbe consentito a Consob di poter chiedere notizie, ed eventualmente bloccare, possibili interessi sul gestore del mercato. Un potere che hanno altre Autorità di controllo sui mercati in Europa e che sarebbe servito a controllare, almeno in parte, il destino proprio di Borsa Italia: oggi proprietà del London Stock Exchange, gli inglesi potrebbero decidere di venderla a breve per aggirare i vincoli anti-trust e completare così la fusione col gigante dei dati Refinitiv.

Al Pd, via ministro degli Affari Ue Enzo Amendola, e ai renziani non piace l’interventismo in materia finanziaria: stavolta il M5S, sponsor delle norme, sembrerebbe aver abbozzato.

Non sprecare il Recovery Fund: la Ue usi il modello “Horizon”

Due settimane fa si è chiuso il vertice del Consiglio europeo con lo storico accordo sul Recovery Fund. È un punto di svolta: per la prima volta l’Ue sarà autorizzata a contrarre debito per conto degli Stati membri. La Commissione europea potrà reperire sul mercato 750 miliardi di euro, stanziati per far fronte alle conseguenze della pandemia di Covid-19 e da distribuire nella misura di 390 miliardi di sovvenzioni e 360 miliardi di prestiti.

Non è stato facile arrivare a un accordo tra i 27, e il risultato è tutt’altro che perfetto, ma le vere sfide devono ancora venire. Ora la commissione deve resistere alla tentazione di tornare a un approccio consuetudinario e trasformare l’economia europea rendendola più verde, più inclusiva e più resistente a shock futuri.

Il rischio di fallire è enorme. La risposta alla crisi finanziaria del 2008 ha lasciato grandi fratture nella zona euro e ha ostacolato la ripresa.

La parte più incoraggiante dell’accordo sta nel fatto che, invece di concentrarsi sulla riduzione del deficit come dopo l’ultima crisi, stavolta la priorità è data agli investimenti strategici per il clima e la digitalizzazione. Il Green Deal europeo annunciato a fine anno scorso dovrebbe rappresentare la “bussola” e il “motore” della ripartenza dell’Ue. Fondamentale puntare sulle innovazioni tecnologiche: le energie rinnovabili e i servizi digitali sono destinati a creare milioni di posti di lavoro.

Da soli, però, i mercati non completeranno la transizione verde e digitale. Servirà l’intervento della Commissione, per tracciare la rotta e allineare le scelte degli Stati membri. Non significa che Bruxelles dovrà gestire tutto nel dettaglio, ma che dovrà uniformare le varie politiche e garantire che siano trasformative.

Nel 2018 ho contribuito al programma “Horizon” 2021-27 dell’Ue per l’innovazione, da 90 miliardi di euro. Ho proposto un approccio “mission oriented”, che si basa sul raggiungimento di obiettivi ambiziosi attraverso sperimentazioni dal basso verso l’alto. Fondandosi su questo lavoro, la Commissione europea ha fissato cinque grandi missioni: la lotta contro il cancro, la resilienza rispetto al cambiamento climatico, la salute degli oceani e delle acque, la realizzazione di città climaticamente neutre, la salute alimentare e dei suoli.

Per essere veramente efficaci, questi obiettivi vanno assunti al più alto livello, ovvero dall’ufficio di presidenza della Commissione. Le cinque missioni devono anche trasformarsi in linee guida per gli Stati, in quanto orientamento per indirizzare le loro strategie industriali, di investimento e approvvigionamento.

Le finanze della Commissione si dividono in fondi a gestione diretta (spesi direttamente dalla Commissione) e fondi a gestione condivisa (spesi dagli Stati). Per ri-orientare seriamente la ripresa europea e ottenere il massimo dal Recovery Fund, tutti i fondi precedenti dovrebbero essere riallineati attorno alle cinque missioni citate.

Inoltre, la modalità di gestione condivisa dei fondi implica un confronto più serrato e costruttivo con gli Stati membri. È un metodo più efficace e inclusivo che imporre condizioni dall’alto (mossa che può risultare controproducente) com’è successo in passato con l’austerità e le riforme per la riduzione dei salari.

Altra leva vitale in questa partita sarà il Gruppo europeo per gli investimenti, composto da Banca europea (Bei) e Fondo europeo per gli investimenti (Fei).

Il Fei ha l’esperienza e la dimensione che serve per stabilire la direzione da seguire nella creazione di strumenti finanziari di tipo azionario complementari a prestiti e garanzie. È un nodo molto importante per le imprese sempre più indebitate dalla crisi. Per finanziare le missioni della Commissione serviranno una combinazione di vari strumenti finanziari, capaci di rispondere a vari tipi di rischio.

La Bei deve essere meno refrattaria ai rischi, investendo al tempo stesso sulle competenze di analisi e previsione di mercato, per valutare gli investimenti sulla base degli obiettivi. La Bei sarà co-gestore del programma InvestEU insieme alle banche d’investimento statali e alle istituzioni nazionali di promozione.

Il Recovery Fund europeo ha un enorme potenziale di rilancio, e mettere al centro della ripresa degli obiettivi ambiziosi aiuterà la Commissione e gli Stati membri ad abbandonare le consuetudini e produrre un rinnovamento economico a lungo termine, verde e digitale.

*L’autrice ha fondato e dirige l’Institute for Innovation and Public Purpose dell’University College di Londra. Traduzione di Riccardo Antoniucci

“È passato troppo poco tempo, c’è aria di bluff”

“Quando sarà pubblicato un articolo scientifico a supporto delle loro dichiarazioni, li prenderemo in considerazione”. Giuseppe Ippolito è categorico: il vaccino russo per il momento è poco più che propaganda politica. Il direttore scientifico dell’Istituto “Lazzaro Spallanzani” di Roma, mostra tutte le sue perplessità sull’annuncio del presidente russo, Vladimir Putin. Lo fa sulla base degli stessi dati pubblicati sul proprio sito internet dall’istituto Galameya – l’omologo moscovita dello Spallanzani – che spiegano come il vaccino sia ancora alla “fase 2’” e che la produzione in larga scala era prevista non prima del mese di ottobre. “Ho molte perplessità sui tempi – spiega nel dettaglio Ippolito – Non abbiamo spiegazioni, nessun dato effettivo. Sapevamo che a metà giugno il vaccino russo era stato testato su 38 persone, probabilmente militari, e ciò alimenta le perplessità: i tempi sono davvero molto brevi per le valutazioni”. Non solo: “La sperimentazione pare sia stata fatta sui soldati. Se questo fosse vero creerebbe qualche problema etico, perché i militari non possono esimersi dall’accettare la vaccinazione”.

Sulla stessa linea di Ippolito c’è anche Massimo Andreoni, primario a Tor Vergata e direttore scientifico della Simit, la società italiana degli infettivologi, che dice: “Le uniche pubblicazioni presenti per ora riguardano solo i vaccini provenienti da Cina e Usa e quello di Oxford cui ha contribuito la Irbm di Pomezia. Degli altri non abbiamo contezza”.

Intanto allo Spallanzani si va avanti con la preparazione alla sperimentazione del vaccino prodotto da Reithera, la società di Roma che ha messo a punto il primo candidato italiano anti Covid. Un “vaccino tutto romano” su cui il governatore del Lazio, Nicola Zingaretti, punta moltissimo anche in chiave politica. Per ora si va a caccia dei volontari: i candidati sono oltre 3.000. Ieri sono stati trovati i primi 5 candidati idonei, che potranno partire con le somministrazioni. I primi due round sono previsti per il 24 e il 28 agosto. “L’identikit è quella di un soggetto di età compresa fra i 18 e i 55 anni e fra i 65 e gli 85 anni, che sia totalmente sano e che non abbia contratto il virus o abbia donato il sangue negli ultimi tre mesi”, spiega Francesco Vaia, direttore sanitario dello Spallanzani. Secondo Vaia, “non è importante chi arriva prima, ma chi arriva bene”, in quanto, “il vaccino deve funzionare: se arriva prima qualcun altro, saremo contenti, ma continueremo ad andare avanti”.

In questa ‘fase 1’ si effettueranno diversi dosaggi e si misureranno gli effetti collaterali: febbre, più o meno alta, dolore all’iniezione, possibili problemi al fegato. “Essendo basato sugli “adenovirus”, per sua natura il farmaco non dovrebbe essere tossico – spiega ancora Vaia – ma dobbiamo prepararci a tutte le eventualità”. È per questo che i candidati volontari devono alloggiare a Roma ed essere reperibili in qualsiasi momento, oltre a dover rispettare degli standard imprescindibili: “In una fase successiva apriremo la sperimentazione anche in altre città e poi all’estero”. Vaia assicura che “l’opinione pubblica sarà tenuta costantemente informata dell’andamento della sperimentazione” per tutto l’autunno.