Per chi suona la campanella

Influenza stagionale: quest’anno ci sarà poco da essere ottimisti. L’allarme non è dovuto alla particolare pericolosità del virus in arrivo, ma alle condizioni nelle quali la stagione influenzale si manifesterà. Ogni anno in Italia vengono colpiti dall’influenza in media 8 milioni di persone. La sindrome è particolarmente presente nei bambini, soprattutto quelli con meno di 5 anni con circa 11,2 casi ogni 1.000 abitanti, ma anche nei giovani adulti, con 5,7 casi. In un momento in cui circolerà ancora SarsCoV2 che, lo ricordiamo, ha sintomi sovrapponibili a quelli influenzali, sarà un problema di gestione sanitaria e sociale non indifferente. La scuola, in particolare, rappresenterà l’anello debole.

Secondo il protocollo di sicurezza presentato nei giorni scorsi, ogni bambino con temperatura corporea superiore a 37,5 gradi sarà oggetto di procedure per accertamento di Covid. Nell’attesa dell’esito del tampone (in media, due giorni), il bambino dovrà rimanere a casa in isolamento, così come la sua famiglia. Ciò vuol dire che ci saranno per almeno due giorni, per ogni bambino febbrile, due persone che si assenteranno dal lavoro (12 persone ogni 1.000 abitanti). Visto che in Italia i nonni si prendono cura del 30% dei bambini, 2 anziani ogni 1.000 abitanti si riterranno a rischio Covid. Oltre a questo, saranno coinvolti nelle procedure anche tutti i bambini della stessa classe. In termini sanitari, vuol dire avere la disponibilità di tempo e di reagenti di migliaia di test diagnostici. In termini lavorativi, vuol dire ancora un rallentamento delle attività già fortemente compromesse. La mia non è una critica al protocollo di sicurezza che è coerente con la strategia europea, ma è una concreta preoccupazione e certamente un altro argomento che si aggiunge al quesito: se potremo, e per quanto, inseguire il virus, escludendo l’ipotesi di focalizzare l’attenzione solo alla malattia con sintomi gravi o nei soggetti fragili. In altri Paesi europei le scuole sono state riaperte e poi chiuse. L’invito a ponderare ed analizzare tali esperienze per commettere meno errori possibili credo sia giustificato.

 

Mail box

 

L’episodio del bonus umilia il Parlamento

Con la vicenda del bonus alle partite Iva finito nelle tasche dei parlamentari si è toccato il fondo del ridicolo. È incredibile vedere come soltanto per 600 miseri euro queste persone con stipendi da migliaia di euro al mese non abbiano esitato a gettato imbarazzo su un’istituzione come il Parlamento, che per com’è ridotto non aveva bisogno di subire ulteriori umiliazioni. Esistono parole per definire queste persone e io, dalla mia posizione di chi quella somma di tanto in tanto la guadagna in un mese, penso di avere il diritto di pronunciarle: straccioni.

G.C.

 

Taranto: non è il balletto a screditare la Marina

Ci voleva proprio una ufficiale donna perché il giuramento dei sottufficiali della Marina di Taranto divenisse una manifestazione di giovani che si apprestano a servire il nostro Paese in tempi difficili. A chi si lamenta del comportamento poco marziale voglio ricordare che alla fine degli studi nelle scuole quando i giovani si apprestano a divenire giudici, avvocati, medici e tante altre professioni le feste e i lanci di berretti o indossare corone non inficia poi la loro serietà, non seriosità, professionale. Come secondo esempio e avendoli visti, data l’età, negli anni ’40 del Novecento i giovani soldati americani, erano accompagnati ovunque da musiche di Glenn Miller e George Gershwin. In Italia, i soldati di quell’epoca marciavano al ritmo di roboanti canzoni sanguinolente e al massimo si piangeva con motivetti tipo Mamma. Ora in Italia la Meloni se la prende con l’immensa Imagine, forse nel ricordo di Faccetta nera. Ai superiori di quella ufficiale consiglierei di prestare attenzione alle malversazioni nei comandi della Marina di Taranto che gettano discredito sul suo buon nome.

Franco Novembrini

 

DIRITTO DI REPLICA

In riferimento all’articolo “Ognuno fa quel che vuole Scatta la rivoluzione del Coyote Tardelli” pubblicato dal Fatto quotidiano il 3 agosto scorso, vorrei precisare che è anche legittimo pensare che la mia candidatura alla presidenza dell’Associazione calciatori non sia gradita. Forse mi sono candidato apposta, ancora una volta in contropiede. Il punto però non è questo. Ho assoluto rispetto della libertà di opinione e di stampa. Ma è inaccettabile che si virgoletti, come mio, un ipotetico “programma” che non ho mai scritto. Il tutto con il chiaro intento di screditarmi nel profondo, dopo avermi apostrofato come “somaro”. Vengo da una famiglia povera. Orgogliosa e forte, ma povera. E se per somaro si intende che ho dovuto sudare e lavorare il doppio rispetto agli altri, sì confesso: è così. Se per somaro si intende che non ho potuto studiare quanto avrei voluto (dovendo recuperare nella mia seconda vita), sì confesso: è così. Ma persino io so che non si sbagliano le citazioni. Nelle more Vi invito a voler rettificare (anche ai sensi della legge sulla stampa) l’articolo specificando che il virgolettato finale non è mai stato mio e non mi è riferibile in alcun modo.

Marco Tardelli

 

Il Dott. Andrea Gambini, in proprio e quale legale rappresentante di Servire srl, con riferimento all’articolo “L’affarone leghista sui test del Covid, I test della DiaSorin e quelle strane fatture della società leghista” pubblicato il 05.08.20 su Fatto Quotidiano precisa quanto segue. Il Dott. Gambini non detiene quote societarie di Servire srl (detenute al 100% da Fondazione Istituto Insubrico di Ricerca per la Vita) e, quindi, è scorretta la definizione della stessa come “società di Gambini”. Scorretta è anche la definizione di “società leghista” considerato che Service srl non ha alcun rapporto con la Lega. L’articolo lascia intendere che Servire srl avrebbe emesso fatture con “causali troppo generiche” che potrebbero configurare ipotesi di “falsa fatturazione per operazioni inesistenti”: il Dott. Gambini e Servire srl contestano e smentiscono tali illazioni, evidenziando che la società opera regolarmente con fatturazione elettronica e split Payment, che tutte le fatture hanno precisa imputazione e riferimento a dettagliati e documentati rapporti contrattuali inerenti servizi svolti in favore delle società che operano nel Parco Scientifico Tecnologico di Gerenzano, e specificando che nessuna di esse riporta causali generiche o indeterminate quali “servizi vari”.

Andrea Gambini

 

Fondazione Istituto Insubrico di Ricerca per la Vita, con sede legale in Gerenzano (Va), con riferimento al contenuto dell’articolo “L’affarone leghista sui test del Covid, I test della DiaSorin e quelle strane fatture della società leghista” pubblicato il 05.08.20, su Il Fatto Quotidiano, precisa quanto segue. Il nome della Fondazione viene ingiustificatamente richiamato nell’articolo ed accostato a indagini in corso nei confronti di soggetti del tutto estranei all’Ente. Fondazione Istituto Insubrico di Ricerca per la Vita precisa di essere una Fondazione pubblica, costituita dalla Provincia di Varese, e ribadisce di operare con la massima precisione, trasparenza e rigorosità con l’emissione di fatture elettroniche e split Payment, tutte con specifiche imputazioni e tutte relative a rapporti contrattuali ben precisi, inerenti a locazione di spazi (per complessivi 10.000 mq, di cui 1.800 mq di laboratori solo a DiaSorin) in favore di tutte le società che operano all’interno del Parco Scientifico Tecnologico di Gerenzano, come da contratti regolarmente depositati presso i competenti Uffici dell’Agenzia delle Entrate.

Fondazione Istituto Insubrico di Ricerca per la Vita

Spagna. La monarchia potrebbe sparire insieme con la classe media

È uno spettacolo indegno a cui il mondo intero sta assistendo in questi giorni. L’ex re di Spagna Juan Carlos di Borbone, a 82 anni e dopo 38 sul trono, lascia l’Europa. Il re emerito, con un curriculum alle spalle invidiabile, è stato un personaggio importante per la transizione della Spagna dal franchismo alla democrazia. Ha avuto un ruolo determinante nell’approvazione della nuova Costituzione(1978) e nel bloccare il colpo di Stato militare. Dopo qualche anno decoroso iniziò per lui una parabola amara: inchieste per evasioni, scandali finanziari, amanti, corruzione diffusa e via così. Insomma, una vita all’insegna del disordine totale. Fino all’abdicazione a favore del figlio Filippo. Ora la fuga all’estero. Non credo si tratti di esilio. Certamente, in un Paese dove è forte il senso di appartenenza al trono, l’immagine della corona ne viene fortemente lesa e offuscata. Questo avviene quando la sete di denaro, la più mortale malattia dell’uomo, impedisce di vivere secondo le procedure evangeliche e rende impossibile coltivare pensieri nobili, gioiosi e belli. Sic transit gloria mundi!

Franco Petraglia

 

Gentile Franco, ciò che sta accadendo in Spagna in questi giorni – e che ancora non è finito di accadere: il “senso” dell’allontanamento di Juan Carlos I di Borbone dal Paese che ha servito e senza dubbio alcuno ha contribuito a rendere una democrazia, si comprenderà nei prossimi mesi, con l’avanzare delle inchieste a suo carico – non è uno spettacolo decoroso. E anche le conseguenze sull’Istituzione di quella che pare una fuga si vedranno nel futuro prossimo. Nel ’71 gli Stati Uniti inviano il generale Vernon Walters in Spagna perché riporti le sue impressioni sulla modernizzazione cui aveva fatto riferimento durante la sua visita a Nixon il principe Juan Carlos: Madrid era pronta a diventare un Paese in via di sviluppo alla morte del dittatore, sì, assicurò Walters. Tuttavia Franco gli aveva riferito di essersi assicurato di lasciare ben salda (“atados y bien atados”) la sua eredità contando su due pilastri: il futuro re Juan Carlos e la “classe media”. Il primo lo rinnegò favorendo la democrazia e facendo leva proprio sulla seconda. Ora, la crisi profonda che viene, la seconda in 10 anni, rischia di spazzare via la classe media e con questa anche la monarchia. Nessun re, benché emerito, può spendere 11 mila euro a notte in una suite ad Abu Dabhi avendo sottratto soldi al Fisco.

Alessia Grossi

Regionali, si rischia il grande harakiri del Pd e dei 5 Stelle

L’identikit di oggi riguarda voi. Sì, voi lettori del Fatto. O perlomeno buona parte di voi. Ormai, dopo undici anni, un po’ ci conosciamo. Il 20 e 21 settembre si voterà per sette Regioni e molti Comuni, ed è ovvio che non pochi tra voi sperino che Pd, M5S, Mdp, sinistra radicale, Sardine e società civile genericamente intesa si uniscano (con convinzione) per sconfiggere questa destra. Nella lista, deliberatamente, non ho inserito Fim (Forza Italia Morta): qualsiasi progetto nobile di politica, non può ontologicamente contemplare il renzismo. Quel che resta della Diversamente Lince di Rignano va serenamente lasciato al centrodestra: cioè a casa sua.

Ecco: tali speranze di un’alleanza organica tra M5S, centrosinistra e società civile, si concretizzeranno al prossimo appuntamento elettorale? Non esattamente. E questo, a oggi, è qualcosa che fa felici unicamente la destra, Renzi e i talebani grillini. Lasciando stare la Valle D’Aosta, che fa un po’ storia a sé, analizziamo gli scenari delle sei regioni al voto a settembre.

Veneto. Qui non c’è gara. Zaia ha già vinto e stravinto. Non solo: più Zaia vincerà “bene” e più indebolirà Salvini, facendo cioè “felici“ tutti coloro che auspicano una destra meno becera. O anche solo più democratica.

Liguria. È l’unica Regione dove M5S, Pd e Bersani, ovviamente senza Renzi, ci hanno provato. Il rischio è di finire come in Umbria, Toti è favorito e Sansa (persona specchiata) è stato sdoganato troppo tardi e non senza polemiche, ma la strada è quella giusta. E smettere di crederci dopo una (probabile?) sconfitta sarebbe da idioti.

Toscana. Una delle Regioni più irricevibili per chi sogna l’alleanza di cui sopra. Il Pd, ancora qui colpevolmente ostaggio del renzismo, ha scelto un candidato che i 5 Stelle e la sinistra “vera” non possono votare. Giani è più renziano di Renzi e sta al nuovo come La Russa al comunismo. Dall’altra parte c’è la Ceccardi, ovvero il salvinismo più greve. Nel mezzo i 5 Stelle, che in Toscana non hanno mai sfondato. Prevedibile un’impennata di astensioni. E di depressioni.

Campania. Idem come sopra, con l’aggravante morale e caratteriale incarnata da De Luca, assurto (idiotamente) a “idolo del web” durante il lockdown solo perché nelle dirette Facebook zimbellava il cazzaro verde. Ovviamente, come in Toscana, Renzi è dentro la cordata che appoggia il sicuro (qui: in Toscana un po’ meno) vincitore. Cinque stelle e sinistra non possono votare De Luca ed è un peccato grave (del Pd) non avere appoggiato un galantuomo come il ministro dell’Ambiente Costa. Il risultato? Pd e Forza Italia Morta vinceranno a settembre senza M5S e con due candidati irricevibili, quindi chi non vuole l’alleanza si crederà dal 21 settembre più forte. Auguri.

Marche. Al momento l’accordo Pd-M5S è lontano, per ripicche personali e perché il Pd nelle Marche ha fatto così tanti troiai (come in Umbria) che la sconfitta sembra certa. E i grillini non vogliono metterci la faccia. Ne consegue che è favorito un meloniano che, fino a poco tempo fa, partecipava a cene celebranti la marcia su Roma. Poveri noi.

Puglia. A oggi è il grande harakiri di Pd e M5S. E miliano non è perfetto, ma i 5Stelle potrebbero ottenere per esempio la vicepresidenza e l’assessorato all’Ambiente (Laricchia). E incidere profondamente nella società. Ma l’accordo non arriva, perché Lezzi e derivati (non paghe di aver sbagliato tutto quando erano al governo con i fasci) preferiscono la sconfitta “sicura ma pura” alla vittoria “compromissoria”. E tra i due litiganti il Fitto gode.

La conclusione? Siamo messi male. E se qualcuno non si ravvederà alla svelta, a fine settembre grandinerà parecchio.

 

Siamo tutti Signorine Snob: ciao Franca, genio “assurdo”

Franca Valeri si chiamava in realtà Norsa. Era ebrea, come Medea Norsa, la sventurata papirologa che alla morte del suo maestro Girolamo Vitelli venne perseguitata e morì sola e miserabile. Il nome d’arte Valeri le viene dalla sua ammirazione per Paul Valéry, il sommo poeta e saggista autore del Cimetière marin: e ciò basta a dare idea dell’altezza della sua cifra.

Franca era nata nel 1920; il trentun luglio ha compiuto cento anni; e pochi giorni dopo, il 9 agosto, ci ha lasciato. Una cosa commoventissima che si è appresa dalla figlia adottiva è la seguente: ella ha disposto un forte lascito a favore di un ospizio per cani abbandonati. Come Totò, che ne aveva creato e coltivato uno. Con Totò il rapporto più intenso è Totò a colori. In questo film Franca campeggia: nell’episodio caprese interpreta la Signorina Snob e il suo Teatro dell’Assurdo trapassa nel surrealismo e nella metafisica: solo Ionesco ha fatto di meglio. Il diario della Signorina Snob, ripubblicato da Lindau nel 2003, è del 1951: primo libro della Franca, è illustrato da Colette Rosselli, la moglie di Indro Montanelli di origine napoletana, donna d’intelligenza ed eleganza straordinarie, in uno stile arieggiante Novello, il più grande caricaturista italiano: tra lui e Grosz non c’è che un passo. Una reincarnazione, pur essa milanese, della Signorina Snob, che non riesce nemmeno a far ridere, è Ilaria Borletti Buitoni, degno sottosegretario di Franceschini.

La Signorina snob è una silloge di tutte le sciocchezze, le fissazioni, le ridicolaggini, le prepotenze, della borghesia milanese in particolare e italiana in generale. Quanto più Totò si manifesta ridicolo, tanto più le piace; porta un cagnolino di pezza attaccato al braccio destro e quando lei lo contraria lui esclama: “Ti faccio moddere, sai!”. Lei dà l’accenno a un canto corale blues e Totò ne assume la guida, piange e fa piangere suonando una campanella e invocando “Babbo! Babbo!” come a un’esequia.

La Valeri ha creato altre inimitabili macchiette, delle quali le più importanti sono la Sora Cecioni e Cesira la manicure. Queste sono invece un emblema di uno strato fra il proletario e l’infimo borghese, il quale pure possiede fisime e illusioni, e di fronte a se stesso si identifica meglio, il pallone essendo meno gonfiato. Le sue espressioni e maschere facciali, i suoi toni di voce sono irraggiungibili. Sono certo che nessuno abbia interpretato meglio di lei La voix humaine di Cocteau: il dramma della donna abbandonata, sia tragico che ridicolo, risuona nelle sue corde.

Di Franca Einaudi ha pubblicato l’aforistico La vacanza dei superstiti (e la chiamano vecchiaia), pur esso concentrato d’intelligenza. Dal Diario: “Ieri mentre scrivevo giacendomi annoiatissima mi telefona un’ignota di mia conoscenza: ‘Senti, vieni assolutamente, siamo tutti in casa di una ragazza balcanica, facciamo una seduta spiritica’. Mi sono precipitata lingua a terra; cos’è stato di bello, da torcersi (…) Ci siamo piazzati tutti intorno a un tavolino al buio, facendo sforzi orrendi per farlo ballare”. È sempre la Signorina snob che torna; sto accorgendomi che io in primis, e forse tutti noi, più o meno, siamo Signorine snob. Chi non se ne accorge è un cretino.

Di questa donna coltissima, che negli anni Cinquanta fece anche del cabaret di eccelso livello insieme con Alberto Bonucci e Vittorio Caprioli, il cretino sembra essere un nemico: ella ha come un imperativo teologico a combatterlo. Insomma: è stata un genio, e il mondo con la sua morte è diminuito di valore.

 

Quei critici del governo infantili e benaltristi

Se dovessi scegliere l’elemento che più di ogni altro ha connotato i commenti all’operato del governo durante questi ultimi sei mesi, privilegerei l’infantilismo. Di fronte a un chirurgo che deve operarci noi gli chiediamo di “fare bene”; prima di ogni importante decisione governativa, si è chiesto a Conte di “fare presto”. L’altro giorno un economista notava con allarme che “la stima Istat sul secondo trimestre indica un crollo del 12,4 per cento, il peggior dato dal dopoguerra”. Ma cosa di peggiore del Coronavirus era successo dal dopoguerra a oggi? Un noto scrittore ha imputato alla ministra Azzolina di cambiare frequentemente idea come se, di fronte a una situazione mutevole, persistere in un’unica idea fosse una virtù. Un noto giornalista che ha sempre accusato di lentezza la Pubblica amministrazione, di fronte alla proposta della ministra Dadone di estendere subito lo smart working al 40 per cento degli impiegati pubblici, ha suggerito di rallentare l’operazione innovativa e procedere con prudenza. Poi ci sono gli “altristi”: qualunque cosa abbia fatto il governo, si doveva fare ben altro o in altro modo. Tutti lamentano che i provvedimenti sono finanziati con deficit in deroga, ma dove altro dovrebbe prendere i soldi uno Stato dal quale tutti pretendono soldi, del quale molti evadono le tasse e al quale, causa la pandemia, affluiscono molte meno risorse di prima? A loro volta gli imprenditori, tutti neo-liberisti a parole, hanno scoperto improvvisamente Keynes e competono tra loro non in idee shumpeterianamente innovative ma in richieste di sussidi statali come fossero la Caritas o Sant’Egidio.

Di fronte all’imponenza drammatica di un disastro epocale, imprevisto, improvviso e sconosciuto, la regressione allo stato infantile e autolesionista è possibile, ma non in misura tale da cadere quotidianamente e quasi universalmente nel ridicolo.

Da un paio di giorni l’infantilismo dei commentatori ha un altro argomento su cui accamparsi: il Decreto agosto che aggiunge 25 miliardi ai 20 di marzo (Decreto cura Italia) e ai 55 di maggio (Decreto rilancio). Buona parte di questi 100 miliardi sono andati alla cassa integrazione, al turismo, alle partite Iva, al rinvio di tasse, agli sconti fiscali per le ristrutturazioni.

Prima ancora che il governo varasse il nuovo decreto, il Corriere della Sera già paventava che sarebbero stati prorogati tutti gli ammortizzatori sociali vigenti e rimproverava il governo di adottare una politica di sostegno al lavoro invece di una politica selettiva che lasciasse al loro destino le aziende deboli e, sul cimitero di uomini e cose, finanziasse la rinascita della struttura produttiva italiana. Riconosceva – bontà sua – che gli sgravi contributivi alle imprese che fanno tornare i cassintegrati e a quelle che assumono nuovo personale a tempo indeterminato sono misure di stimolo. Ma subito avvertiva che “l’efficacia di questi incentivi è tutt’altro che scontata” come se in economia, e di questi tempi, ci fosse qualcosa di scontato. Poi era scandalizzato dal fatto che l’Italia è uno dei pochi Paesi che ha introdotto il divieto di licenziare, trascurando la lieve circostanza che l’Italia ha un governo di sinistra e qualcosa di sinistra deve pur fare. Quindi, affrontando il tema del lavoro, ricordava che, già prima del Coronavirus, l’Italia, rispetto alla Francia e alla Germania, aveva molti più disoccupati: oltre 3 milioni contro i 750.000 della Francia e i 470.000 della Germania.

Ma anche qui bisogna dirla tutta. Secondo i dati Ocse, in Italia, per decisione degli imprenditori, si lavora 1.723 ore pro-capite all’anno; in Francia 1.514; in Germania 1.356. Ci deve pur essere qualche correlazione tra queste cifre e il fatto che l’occupazione in Italia è al 59 per cento; in Francia è al 70 e in Germania al 79.

Tra il 2007 e il 2017, durante il decennio della crisi, le nostre politiche attive sono state un disastro. Nel 2007 il nostro tasso di occupazione era appena al 57,1 per cento. Allora si corse ai ripari con la legge Biagi; furono istituiti i vaucher; fu ridotto il cuneo fiscale per i privati; fu abolito l’articolo 18; furono varate le leggi del Jobs act; fu azzerata l’Irap. Tutto questo è costato allo Stato circa 30 miliardi ed è costato alla società una serie di conflitti con migliaia di ore di scioperi. Ebbene, alla fine del decennio, il tasso di occupazione era salito appena al 58,4 per cento. Una montagna di politiche attive ha prodotto un topolino di 1,3 punti di occupazione.

Ben venga dunque questo decreto d’agosto: 18 settimane di proroga della cassa integrazione, il blocco dei licenziamenti fino alla metà di novembre, la decontribuzione totale per 4 mesi per incoraggiare le imprese a far rientrare i dipendenti in cassa integrazione sono tre boccate di ossigeno che gioveranno all’economia e renderanno l’autunno meno caldo.

 

D’estate diamo i numeri: formate 4 triangoli uguali con 6 fiammiferi

In vacanza, ma non solo, è divertente scervellarsi su problemi matematici un po’ più complicati del sudoku. Anche se classici, risultano sempre nuovi perché non ci si ricorda mai la soluzione (la trovate in fondo):

1) Con sei fiammiferi formare 4 triangoli uguali.

2) In un cassetto sono state buttate alla rinfusa 20 calze nere e 20 calze bianche. Pescando al buio, quante calze si devono tirare fuori per formare almeno un paio (bianco o nero)?

3) Su un pianeta lontano vivono esseri verdi ed esseri blu. I verdi dicono sempre la verità, i blu mentono sempre. Una notte senza luna passa una barca con dentro tre passeggeri. Il doganiere che è sulla riva chiede: “Siete verdi o siete blu?”. Il primo risponde, ma il vento si porta via le sue parole. Il secondo dice: “Lui ha detto di essere verde, ed è verde. Anch’io sono verde”. Il terzo dice: “No, è un blu. Io sono verde”. Domanda: di che colore sono i tre?

4) Un pastore ha 15 pecore. Gli muoiono tutte, tranne nove. Quante pecore restano?

5) In un paniere ci sono delle uova il cui numero raddoppia ogni minuto. Dopo un’ora, il paniere è colmo. Quanto c’è voluto per occuparlo fino a metà?

6) Due navi partono simultaneamente da New York dirette a Genova. La prima viaggia a velocità uniforme e costante. La seconda invece fino a metà del viaggio va a una velocità che è la metà della velocità dell’altra, ma nella seconda parte del viaggio va a una velocità che è il doppio della velocità della prima nave. Quale delle due navi arriva per prima a Genova?

7) Il direttore di un carcere del Cairo ha la passione della matematica. Un giorno dice a tre suoi prigionieri, universitari incolpati di non si sa bene quali malefatte contro il regime di al Sisi: “Questi sono tre bottoni bianchi e due bottoni neri. Un bottone sarà cucito sulla schiena della casacca di ciascuno di voi e ognuno dovrà indovinare il colore del proprio bottone. Ognuno potrà guardare il bottone degli altri due, senza rivelarlo, e ascoltare le risposte. Il terzo interrogato, però, avrà gli occhi bendati e potrà solo ascoltare le risposte degli altri due. Se uno indovina, e ne dà la spiegazione, libera tutti”. Dopo i preparativi, il primo e il secondo dicono: “Non so”. Zaki indovina, dicendo: “Il mio bottone è bianco”. Il direttore del carcere gli chiede di dimostrarlo.

Soluzioni

1) Disporre i sei segmenti a forma di piramide.

2) Tre.

3) Il primo può aver detto solo “io sono verde”, perché o è verde, e allora dice la verità, o è blu, e allora ha detto di essere verde perché i blu mentono. Quando il secondo dice che il primo ha detto di essere verde, dice dunque la verità, e quindi anche lui è verde. Il terzo, in conclusione, mente, cioè è blu.

4) Nove.

5) 59 minuti.

6) La prima. Arriva quando l’altra è a metà percorso.

7) Zaki dice: “Bè, se uno dei primi due avesse visto due bottoni neri, avrebbe concluso che il suo era bianco. Io dico che il mio è bianco perché non può essere nero. Se fosse nero, i due l’avrebbero visto. Poiché il primo ha risposto che ignorava il colore del suo, il secondo capì che il proprio poteva essere solo bianco. Ma anche lui restò nel dubbio. Quindi il mio bottone non è nero”. E così i tre vengono liberati. Soluzione del governo italiano: continuare a vendere armi al regime di al-Sisi (871 milioni dieuro nel 2019).

 

Il convertito Gentiloni e il ritorno dei vincoli Ue

Sembra ieri che Paolo Gentiloni, asceso addirittura alla poltrona di commissario europeo agli Affari economici, si districava tra convegni del tipo “Il Pd e l’Agenda Monti”. In realtà era il 2012 e il nostro – tramite quella benedetta “Agenda Monti” – propagandava un programma politico basato sul rigido rispetto dei vincoli di bilancio europei come unica speme per l’Italia. Oggi deve aver cambiato agenda e infatti, intervistato sul Corriere della Sera, butta lì che “nella crisi precedente abbiamo avuto una doppia recessione perché abbiamo perseguito una stretta di bilancio troppo presto”. Un fatto quasi scontato oggi nel dibattito pubblico e mai in discussione in quello scientifico, ma certe conversioni disinvolte andrebbero forse spiegate meglio, anche a tutela della credibilità delle cose che si dicono oggi.

Giravolte di Gentiloni a parte, il tema su cui si esercitava l’ex premier è di quelli decisivi: quando e come tornerà in vigore il Patto di Stabilità, ovvero quel sistema rigido di vincoli che causò meno di dieci anni fa “una doppia recessione” e oggi sarebbe una sorta di catastrofe, vista la profondità di quella in corso. La presidente della Bce, Christine Lagarde, come praticamente tutto l’establishment francese, chiede una modifica al Patto – sospeso per la crisi seguita alla pandemia da coronavirus – prima che torni a essere operativo. Gentiloni è d’accordo: “Concordo con Lagarde che serva molta cautela. Bisogna scegliere bene i tempi. Nella crisi precedente abbiamo avuto una doppia recessione perché abbiamo perseguito una stretta di bilancio troppo presto. La Commissione terrà conto dell’importanza di evitare lo stesso errore”. Gentiloni vorrebbe si seguisse “l’indicazione dello European Fiscal Board di usare come valore di riferimento per prendere decisioni sul Patto di stabilità il momento in cui la Ue tornerà ai livelli di Pil del dicembre 2019”.

Al ritmo attuale servirà qualche anno, almeno all’Italia, mentre ieri il vicepresidente della Commissione Valdis Dombrovskis, uno dei “falchi” di Bruxelles, ha detto al Financial Times che “le regole sui bilanci nazionali rimarranno sospese anche l’anno prossimo”. In sostanza, nella manovra d’autunno non bisognerà iniziare a programmare il rientro all’interno dei parametri europei, che invece – quanto alla fase programmatica – saranno già operativi per il Documento di economia e finanza di aprile 2021: se l’applicazione sarà rigida, l’effetto del Recovery plan su Paesi come l’Italia sarà sostanzialmente indifferente.

Veronesi jr contro “Matteo”: “Sull’antifascismo non transigo”

Sabato, quando ha visto il palco di Matteo Salvini e Susanna Ceccardi sul lungomare di Vareggio e la folla acclamante senza mascherina, Alberto Veronesi non ci ha visto più. Il direttore d’orchestra e figlio dell’oncologo Umberto è salito su una fioriera e ha iniziato a contestare il leader del Carroccio e la candidata Susanna Ceccardi. Veronesi è candidato alle regionali nelle file del Pd e in quel momento stava distribuendo volantini ai passanti. Cosa le è passato in mente? “Nella terra dell’eccidio di Stazzema – racconta oggi, due giorni dopo – il valore dell’antifascismo non può essere messo in discussione come fanno Salvini e Ceccardi. Mia madre è sopravvissuta al campo di concentramento di Bergen Belsen e so cosa vuol dire”. Mentre parlava Salvini, Veronesi ha inziato a urlare: “Vergogna! Non si scherza con i valori dell’antifascismo”. Molti militanti leghisti gli hanno imposto di andarsene, spintonandolo dalla fioriera su cui era salito. “Ero molto preso perché ci tengo a questi valori e non transigo”. Ma di una cosa si è molto dispiaciuto: dopo la vicenda, nessuno dal Pd lo ha chiamato per dimostrargli solidarietà o per complimentarsi con lui. “Mi sono sentito molto solo, d’altronde sono un indipendente e anche nel mio partito sono isolato”. Non è la prima discesa in campo di Veronesi in politica: già nel 2016 era stato eletto in consiglio comunale a Milano con il Pd di Beppe Sala ma aveva rinunciato per la carriera. Adesso, dopo la direzione alla Filarmonica di Vienna e del Festival pucciniano, ha deciso di impegnarsi in prima persona: “Lo faccio per evitare che in Toscana vinca l’autoritarismo”.

Chi imbroglia e arraffa non è mai un “furbetto”

A proposito dei cinque “bonus malus” di Montecitorio cerco sul dizionario i sinonimi dell’aggettivo “furbetto” e trovo: birichino, impertinente, malizioso, insolente, disobbediente, dispettoso, cattivello, e così via. Prima di entrare nel merito c’è da domandarsi, infatti, perché mai nella titolazione giornalistica si insista nell’accomunare i protagonisti di qualsiasi porcata e/o mascalzonata a simpatici bricconcelli da sanzionare tuttalpiù con uno scappellotto o una pedata nel sedere. Quando invece negli articoli successivi saranno dipinti come porci e mascalzoni. L’assuefazione pigra dei titoli (questo giornale usa la parola “furbastri”, più confacente in quanto sinonimo di briccone e imbroglione) precede le reazioni della politica, tutte così prevedibili e scontate da risultare perfino spassose.

Prevale, naturalmente, l’effetto codone di paglia. Pianto e stridor di denti nei partiti (Lega, M5S, Italia Viva) indiziati di essersi accompagnati a quei rifiuti umani. Rispetto ai quali un Matteo Salvini “incazzato e deluso”, prima si para le terga (“ma la responsabilità è dei singoli non della Lega”). Per poi retrocedere l’eventuale sanzione da comminare ai reietti verdi, dalla espulsione alla semplice “sospensione” (metti che nel mazzo ci sia qualche amichetto suo). Nel complesso un indignatissimo coro di sdegno che sulle spiagge e i resort dove il Palazzo riposa prorompe nel grido: “Fuori i nomi” (principalmente onde allontanare da sé l’orrido sospetto). Effetto chissà cosa c’è dietro. “Regolamento di conti”, sentenzia il Giornale, poiché “il fatto che Di Maio sia stato il più lesto a saltare nello scandalo è un indizio in tal senso” (eh Sallusti ne sa una più del diavolo). Sulla possibile manina del ministro grillino si esercita anche Repubblica secondo cui “certo” il M5S userà lo scandalo “spudoratamente per la campagna per il taglio dei parlamentari” (molto peggio lui dei mariuoli). Effetto modeste proposte. Per esempio, pubblicare i nomi di tutti i percettori del bonus partita Iva (sono appena alcuni milioni). Strepitosa l’ipotesi di autodenuncia virtuosa di tutti i parlamentari non “furbetti”, cosicché quelli che non si dichiarano avranno fatto l’uovo. Effetto odio vigilante. Chi diavolo è il “presentatore tv di successo” accomunato ai cinque farabutti? Alta e forte si leva la voce di questa implacabile rubrica: fuori il nome!