Terzo settore. La via difficile del volontariato. Chi vuol male al gruppo Sardegna solidale?

Di associazioni farlocche me ne intendo. Ho conosciuto quelle fatte da una persona sola. Quelle che usano la maggior parte dei finanziamenti per pranzi che in università offriamo a nostre spese. Quelle che si fanno fama abusiva aderendo alle manifestazioni altrui, senza muovere un braccino. Quelle pensate come rampa di lancio verso la politica. Quelle che procurano stipendi ai senza lavoro. Un campionario sterminato che mi mette in crisi quando sento parlare di terzo settore come fosse l’eden in terra. Ma certo non avrei mai pensato di vedere bocciata la domanda di accreditamento come Centro di servizio al volontariato di una associazione che si chiama “Sardegna solidale”. Il Fatto ne parlò tempo fa. Basti dire che in un’isola dove le comunicazioni non brillano garantisce coesione e relazioni grazie a 40 punti di servizio sparsi in tutta la Sardegna.

L’ho incontrata nelle scuole, sui beni confiscati, nella promozione sociale, nei corsi di formazione. L’ho vista organizzare incontri con centinaia di persone. Una impronta evangelica ma laicissima nei suoi progetti. E ho pure toccato con mano di che pasta sono i suoi animatori: generosi, creativi, faticatori e naturalmente fieri e talora aspri come devono essere i sardi. Sicché mi domando come sia possibile che su 49 domande di accreditamento a livello nazionale solo la loro sia stata bocciata da un comitato che, essendo presieduto da una persona per bene, deve essere stato informato male assai. Un piccolo imbroglio burocratico che qualunque mente bennata risolverebbe in un minuto. È una storia strana quella di questa associazione che ciclicamente qualche esponente del potere sardo tiene per nulla in gran dispetto.

Nata nel 1998 con l’obiettivo di potenziare organizzativamente e culturalmente il volontariato sardo, è stata costretta già due volte a rivolgersi (vincendo) alla giustizia per difendersi dalle pulsioni a escluderla dal panorama ufficiale del volontariato. Anomala la storia del suo presidente Giampiero Farru, insegnante dell’Istituto industriale Buccari-Marconi di Cagliari, appassionato di questione morale, che ho visto personalmente accendere di entusiasmo verso le buone cause quegli adolescenti che secondo gli eterni cliché “non credono più a niente”. Chi conosce gli sforzi titanici che rinomate associazioni professionali fanno per trovare pubblico per i propri corsi di formazione, non può non sbalordire davanti a un’associazione che attualmente vanta quasi quattromila iscritti ai suoi corsi. C’è bisogno di elencare altro? Nel 2019 sono stati 135 gli istituti superiori sardi, per oltre 5mila studenti, che hanno aderito e partecipato ai progetti dell’associazione. Nei primi mesi della pandemia Sardegna Solidale ha dato il via a un progetto innovativo con la facoltà di Scienze economiche, giuridiche e politiche dell’Università di Cagliari. Titolo: “Le parole dell’economia civile”, per ripensare un’economia all’angolo e dribblando il lockdown con una serie di webinar.

Di più: lavora ufficialmente con la giustizia minorile sarda promuovendo la giustizia riparativa e percorsi di reinserimento dei minori. Ha costruito una formazione professionale permanente per chi opera nel volontariato, proprio per avere un volontariato sempre più qualificato e meno dilettantistico o approssimativo. E si potrebbe continuare perché i dati vengono sciorinati a richiesta, non sono certo da inventare. Mi piace invece riprendere un’immagine di alcuni anni fa. Protagonista, appunto, Giampiero Farru. Dopo un’assemblea nella sua scuola mi portò a vedere un bene confiscato su cui avevano lavorato i suoi studenti. Lì mi indicò con orgoglio una piantagione di fichi d’India. L’aveva voluta lui. Mi chiesi come mai. Poi conoscendolo meglio ho capito: i fichi d’India sono belli perché pungono. Ma, amici sardi, non è che hanno punto da qualche parte?

 

Amori al bivio. La libera scelta della Pascale e il dilemma : “Lui è (quasi) perfetto, lo lascio?”

 

“Il mio uomo è pigro e sedentario ma io senza viaggi non so vivere”

Cara Selvaggia, ho quasi 31 anni e sono fidanzata da 6 con un ragazzo più piccolo di me di 5 anni. Ci siamo conosciuti giovani, e siamo cresciuti e maturati insieme. La mia domanda è questa: può un solo aspetto di una persona portarti a decidere se è giusto continuare o meno una relazione? Amo viaggiare. Sono irrequieta, curiosa e iperattiva, e risparmio solo per borse firmate e per i viaggi. Che non faccio. Ho un quaderno dove scrivo tutti i luoghi che vorrei visitare, con le indicazioni per ogni posto su dove mangiare, dove dormire e cosa vedere (sia in Italia che all’estero). Il mio sogno è un safari in Africa, dormire in un lodge con gli elefanti che fanno colazione nel giardino, e un viaggio in India, e in Myanmar, e vorrei vedere Rovaniemi, ma anche le isole Faroe e Zhangjiajie National Forest Park e il lago di Braies, per dire. Lui no. Lui dice che gli piace viaggiare, ma nella realtà dei fatti non è così. Ci ho messo 6 anni a capirlo. L’ho conosciuto quando era appena tornato da un anno ad Amsterdam, aveva 20 anni. Parlava di esperienze nuove, culture diverse, del suo amico greco e di quello americano tanto simpatico. Credevo di aver trovato il mio compagno di viaggio. Intelligente, onesto, divertente, affidabile. In 6 anni sono stata 8 volte in Spagna, 3 volte in Olanda, 1 in Sardegna, tante volte in Toscana.

Non riesco a portarlo nemmeno a Civita di Bagnoregio, “la città che muore”, e ce l’abbiamo a 50 km di distanza! Sono molto amareggiata, ed è una sensazione che si sta consolidando dentro di me. Vedo il tempo scorrere e, oltre la consapevolezza di ciò che non ho fatto e visto, si sta rafforzando la consapevolezza di ciò che, è ormai chiaro, non farò e non vedrò mai. Sono triste. Guardo il mio ragazzo e provo rabbia, perché non riesco ad accettare questa situazione. La quarantena ha fatto scattare in me l’esigenza di vedere e viaggiare, è diventato un bisogno fisico in risposta a una privazione delle libertà che non credevo possibile. Ma lui non vuole andare neanche ad Alberobello, santa miseria! Quindi, sono qui a chiederti: secondo te può un aspetto di una relazione influire così tanto da definirne la fine stessa? Diciamo che oltre ad essere pigro, disordinato e inadatto alle faccende domestiche, non ha grandi difetti. Me lo sarei accollata volentieri per tutta la vita, ma non so che fare. Non è possibile coinvolgerlo nei viaggi, è chiaro che non gli interessano. Ora che ha scoperto il mare della Sardegna ha deciso che andrà lì in estate per tutta la vita… sono disperata. O sono superficiale? Meraviglioso il mare della Sardegna, ma io voglio andare anche in Perù! È da tre mesi che ci penso. Sono giunta alla conclusione che o abbandono il mio hobby, o abbandono lui. Esiste l’associazione Viaggiatori anonimi? Per chi vorrebbe viaggiare ma non ha soldi, e per chi potrebbe avendo i soldi, ma non ha con chi viaggiare?

N.

 

Cara N., la soluzione più semplice e meno traumatica è che tu inizia a viaggiare da sola o con le tue amiche. Nel primo caso, posso dirti che esistono anche agenzie apposite, nate proprio per organizzare viaggi di gruppo per persone “sole” (sole nel viaggiare, non necessariamente single). A parte, farei un’altra riflessione: al di là della sua reticenza a viaggiare, a cosa si estende la sua pigrizia? Ecco, direi che se almeno in un settore continua a voler esplorare, vale la pena di tenerselo e viaggiare con un’amica.

 

“Da Telecafone a Berlusconi Francesca non merita elogi”

Stimatissima Lucarelli, ho appena finito di leggere il suo articolo sul Fatto Quotidiano di venerdì 7 agosto, e mi viene da farle una domanda (scusi se uso il francese): ma che minchia scrive? Un elogio della Pascale? Oh, sia chiaro, non ho niente da dire sulla relazione con Paola Turci, ci mancherebbe (ama, e fai ciò che vuoi, diceva Sant’Agostino). Ma come fa una giornalista intelligente come lei a elogiare quello che “adesso” fa la Francesca senza minimamente accennare a quello che ha fatto “prima”? Si è scordata come ha fatto la “star di Telecafone” a diventare la fidanzata dell’anziano satiro? I circoli “Silvio ci manchi!”? L’essersi “concessa al drago” (come direbbe Veronica Lario) per ottenere la ricchezza che ha conseguito? Certo Francesca Pascale ha preso le condivisibili posizioni che lei cita nell’articolo, ma questo soltanto “dopo”. Ma come fa, una giornalista colta e illuminata come lei, sempre sensibile alle sacrosante rivendicazioni femministe, a titolare il pezzo in questione: “Evviva Francesca, libera da Silvio e di baciare Paola”? “Libera da Silvio”? Oh bella! Mi sembra di ricordare che non è stato mica Berlusconi a rapirla e a portarla, contro la sua volontà, nel suo “sinistro maniero”, anzi, mi risulta che sia stata piuttosto lei a far di tutto per diventare “la preferita”. Da quello che scrive di solito questo modo di comportarsi non dovrebbe andarle per niente a genio, non credo che giustifichi chi, in pratica, si vende, anima e corpo, per denaro, accettando chissà quali compromessi. O no?

Mauro Chiostri

 

Stimatissimo Chiostri, si decida: prima mi scrive che la Pascale ha scelto in piena libertà il suo destino, certo non obbligata da Silvio, e poi la giudica perché – secondo lei – si è venduta per denaro accettando presunti compromessi. Non sarebbe stata, nel caso, anche quest’ultima una sua libera scelta?

Selvaggia Lucarelli

Chiesa A salvare Bergoglio dai complotti sarà una donna cardinale (ma per ora è solo fiction)

È passato un lustro esatto da quando la misericordia rivoluzionaria di papa Francesco è al centro delle trame, per non dire complotti, della destra clericale e cattomassonica. Tutto cominciò nel 2015 con la bufala del tumore al cervello di Bergoglio. Indi, in ordine sparso, ci sono stati i manifesti anonimi a Roma; i Dubia contro l’Amoris laetitia; le accuse di eresia; l’affaire preservativi dei potenti Cavalieri di Malta; i dossier a scoppio ritardato sulla pedofilia.

Insomma un vasto fronte di fuoco per spingere Francesco a “dimettersi” come il predecessore Ratzinger oppure per indurre il collegio dei cardinali a dichiararlo apostata (si pensi alle polemiche sul sinodo per l’Amazzonia e alle aperture a donne e omosessuali). Tutto questo non è avvenuto (sinora) e così, in teoria, non resterebbe che una sola strada: fermare il pontefice argentino con un attentato.

A dare forma e voce a questa tremenda ipotesi è un giallo uscito da poco e che colpisce per l’autorevolezza della sua firma: Lucetta Scaraffia. Storica della Sapienza, Scaraffia è stata editorialista dell’Osservatore Romano, ai tempi di Giovanni Maria Vian, per cui ha anche diretto l’inserto mensile Donne Chiesa Mondo. E sono proprio le donne a salvare il papa nel suo La donna cardinale uscito per i tipi di Marsilio (142 pagine, 15 euro). Il protagonista iniziale è il tranquillo dottor Gregorio Cesi, che svolge il delicatissimo ruolo di medico personale di Ignazio: un guatemalteco francescano che ha scelto di chiamarsi come il fondatore dei gesuiti, una volta pontefice. Un artificio uguale e contrario per identificarlo con Bergoglio, gesuita sudamericano che viceversa ha voluto per sé il nome del santo dell’amore universale ed evangelico. Cesi è intimo di cardinali e monsignori e un giorno viene travolto dalla passione per un’avvenente e misteriosa francese studiosa di musica.

Pagina dopo pagina, il complotto svela il suo scontato e atavico obiettivo: impedire le riforme economiche e finanziarie e la conseguente rivelazione degli affari dello Ior, la banca vaticana che triangolava con la mafia e la P2 e dove transitò pure parte del tangentone Enimont. Secondo i congiurati, la Chiesa non reggerebbe alla trasparenza di Ignazio: i fedeli si allontanerebbero, disgustati dalla portata degli scandali. L’attentato però viene sventato all’ultimo minuto ma il papa si pone in auto-isolamento per fare una riforma ancora più clamorosa: nominare segretario di Stato, cioè il primo ministro del Vaticano, una donna laica della Corea del Sud. “È già accaduto nella storia della Chiesa, cardinali che non erano chierici”, dice Ignazio a Cesi. Le due fazioni curiali in lotta da sempre tra di loro – una è la lobby gay – si alleano per fermare quella che è più di una rivoluzione.

Stavolta si ordiscono dossier, non attentati, e a essere decisiva sarà la sorella del medico, Irene. Scaraffia denuncia in modo frontale la condizione di servitù assoluta delle donne di fede in Vaticano e non solo, siano esse consacrate o laiche, e sarà Violet, teologa stuprata in Africa dal suo vescovo diocesano e poi costretta all’aborto, il tassello finale di un giallo che per tanto versi si avvicina molto alla realtà.

 

“Ci chiamano eroi: la verità è che siamo carne da macello…”

Emozioni virali. Le voci dei medici dalla pandemia” nasce dal gruppo Fb “Coronavirus, Sars-CoV-2 e COVID-19” costituitosi a febbraio come luogo di scambio di esperienze, necessità, pareri: 37 racconti dedicati “a chi ha perso la vita, a chi non dimentica, a chi non sarà più lo stesso”, i cui diritti saranno devoluti alle famiglie dei medici deceduti. Ne pubblichiamo alcuni stralci.

Si impone una nuova vita, fatta di giornate intorno a pazienti difficili, colpiti da una patologia in larga parte sconosciuta, con pochissimi e dubbi mezzi per curarla. Un turbinio continuo tra visite, valutazioni di meccanica respiratoria, gestione dei presidi e delle terapie, consegne ai colleghi notturni. L’unico momento in cui ti ricordi dello scorrere del tempo, è quello delle chiamate dei familiari. Tutto d’un tratto ti accorgi che sono le 17:00. Nei pochi istanti prima di rispondere cerchi di ripescare le frasi giuste, quelle che non lasciano spazio a troppo entusiasmo ma che non oscurano totalmente la luce della speranza.

Erano giorni che Luisa non riusciva più a guardare la Tv, un po’ perché conosceva purtroppo per esperienza diretta quello che stava accadendo, un po’ perché le mettevano ansia tutti quei numeri e poi perché la innervosiva la retorica dell’“andrà tutto bene”, degli eroi… Come se prima lei non avesse fatto sempre il suo dovere di medico per il bene dei pazienti. Solo ora se ne accorgevano?

Sono i tipi umani che mi hanno richiamato alla mente il film Platoon, non tanto la medicina di guerra, i feriti senza speranza di sopravvivere, i moribondi e i morti. Ci sono i giovani sacrificati e alle volte messi subito fuori gioco […]. Ci sono i timorosi e pavidi, che fanno finta di essere feriti per farsi congedare e tornare subito a casa. Ci sono quelli troppo sicuri di sé, che dopo essere stati colpiti esclamano con meraviglia: “Che stronzo, pensavo di essere immortale!”. Ci sono gli anziani, resi furbi e cinici dagli anni, che sanno come muoversi e lo fanno guardinghi con spirito pratico, salvaguardando loro stessi ma proteggendo anche i propri soldati. Ci sono gli eroi veri, i buoni, che muoiono sul campo. Ci sono le meschinità degli esseri umani, gli egoismi, la furbizia, l’odio, la fame di gloria persino nel fango, nella giungla, nella guerra. Ci sono i rinforzi che tardano ad arrivare oppure continuamente promessi ma che non arrivano mai. C’è il fallimento di una strategia di guerra da parte degli alti Comandi.

La prima volta che mi è venuto da piangere è stata quando mi sono trovata davanti il primo morto, un esile vecchietto che indossava un pigiama marrone a rombi. […] La seconda volta è stata per via di una paziente che mi aveva chiamata per regalarmi il suo bavaglino pulito, portatole per il pranzo, dicendomi: “Lo prenda lei e lo porti al suo bambino, io sono vecchia, non mi serve”. […] La terza volta è stata quando un signore di 93 anni mi ha chiesto: “Per favore può darmi la mano per un po’?”. Un gesto che non ho avuto né avrò mai il cuore di negare.

Non conosci le vite dei pazienti quando fai i tamponi. Conosci solo la loro storia clinica ed epidemiologica, tutt’al più quali sono i loro contatti stretti. Forse questa ignoranza è anche un modo per difendermi da tutto quello che accade. Non senti nulla quando fai i tamponi. Quando il paziente tossisce a 20 centimetri dal mio viso, e chiudo gli occhi, e la visiera ferma quelle goccioline, non provo nulla: è una sorta di equilibrio interiore raggiunto tramite un grosso lavoro su stessi. Capita di abbattersi e anche di piangere, ma è essenziale rialzarsi. C’è tanto da fare e anche in fretta.

Da fine gennaio ho visitato ogni giorno, principalmente auscultazioni e saturimetrie per febbre e tosse persistente, fino a quando, l’11 marzo, l’Oms ha dichiarato la pandemia […]. Hanno preso corpo le diverse forme della paura e del diniego con le barzellette, l’assalto al cibo, all’acqua, all’alcol e alla candeggina, alla carta igienica, ma anche al proprio medico di base con domande sui sintomi più diversi: un mal di testa atipico; una febbre che va dai 35 ai 37,6 °C (“ma posso leggerle tutte le misurazioni di oggi, dottoressa?”); una dissenteria (“ma solo il mattino, la sera si normalizza”); uno strano peso al petto (“proprio lì in mezzo”); una difficoltà a respirare (“ma solo quando scende la sera”); una continua ansia; una specie di pelo in gola che non lascia respirare e provoca tosse; e poi “Non sento più i sapori, e neppure gli odori…”; e anche “C’è un signore nel condominio appena uscito dall’ospedale per covid e va in cortile: è pericoloso dottoressa, lei può chiamare l’Agenzia di tutela della salute [Ats]?”.

Lotto per i dispositivi di protezione individuale adatti al parto. Cerco nelle varie direttive quale sia la divisa adeguata al parto. Niente: il parto non c’è. C’è l’autista dell’ambulanza, l’impresa delle pulizie, l’aerosol, il tampone rinofaringeo ma il parto no. […] Faccio la diagnosi: sono in lutto ma non piango. Lutto per i colleghi morti e ammalati; per le infermiere con la faccia mangiata dalle mascherine; per la popolazione che se ne frega e si lamenta del parrucchiere e della corsa e si ammala e muore e ci fa morire; per i miei affetti che ho messo agli arresti domiciliari pena il non vedermi mai più; per mio padre segregato nel nucleo Alzheimer che chissà cosa pensa, se pensa; per l’incertezza; per quelli che sparano certezze alla televisione, mettendoci la faccia con la mascherina messa male per dare il buon esempio; per il decadimento dell’arte medica che lascia a casa, in solitudine, malati dispnoici e non solo; per il fatto che ci fanno combattere una guerra virale in mutande, perché siamo carne da macello.

I colleghi di reparto sono amici, lavoriamo insieme da anni, eppure sembriamo non riconoscerci nelle divise da lavoro, ormai obbligatorie sotto il camice. Dietro le mascherine che ci coprono il rossetto, ci cediamo il passo sulla porta per mantenere le distanze, quando fino a poco tempo fa ci lanciavamo di corsa per raggiungere rapidamente il bar prima di iniziare il giro visita o l’ambulatorio o la riunione d’équipe. Cediamo il passo per non sfiorarci, perché il tempo trascorso dall’ingresso di chiunque sia passato di qui venendo dal mondo esterno potrebbe non essere ancora sufficiente per scongiurare la possibilità che possa aver portato il veleno.

Il barocco come l’Ilva, e noi illusi che fosse un paradiso

“Quando si decise di costruire un altro stabilimento siderurgico nel Sud, dopo quello di Bagnoli, la scelta ricadde su Taranto in modo quasi naturale. … Il disfacimento della produzione bellica e il ridimensionamento dei cantieri navali avevano già segnato la città moderna sorta pochi decenni prima accanto alla città vecchia in cui per secoli la vita era stata racchiusa, proprio come in un’ostrica, in un dedalo di vicoli e in un gomitolo di case accatastate le une sulle altre. … Il centro siderurgico costò quasi quattrocento miliardi di lire. Finì con l’occupare prima 600 e poi 1500 ettari di superficie, per un’estensione pari al doppio dell’intera città … Il mito dell’industria – mentre il capoluogo mutava – si radicò e rafforzò ulteriormente. È stato così fino alla fine degli anni Ottanta, quando il sistema della partecipazioni statali, che reggeva l’industrializzazione di Stato, ha iniziato a mostrare le sue crepe. La percezione del disastro ambientale, invece, è divenuta cosa comune solo in seguito”.

Sono parole di Alessandro Leogrande, uno dei migliori intellettuali italiani della sua generazione (che è anche la mia). Alessandro se n’è andato, davvero troppo presto, ma attraverso le sue parole e il suo amore ci ha lasciato anche i suoi occhi. Che servono a guardare il mondo, l’Italia, il Mezzogiorno e la sua città: Taranto. Una città simbolo: perché inghiottita e come cancellata da un sogno industriale che si è rivelato un terrificante incubo, da cui non riesce a svegliarsi.

Dall’ingresso dell’Ilva al Cappellone di San Cataldo, in fondo al Duomo di Taranto, ci sono meno di quattro chilometri: quaranta minuti a piedi di buon passo. Si potrebbe pensare che a dividerli sia molto di più. Da una parte una straordinaria cappella ellittica, sul modello di quelle con cui Borromini aveva cambiato il corso della storia dell’arte, coperta di marmi colorati, popolata di statue di marmo e d’argento e coronata da un paradiso di affreschi. Dall’altra un enorme drago industriale che sbuffa veleni e mangia ambiente, salute, vite. La bellezza contro la distruzione, l’arte contro la morte.

A ben guardare, tuttavia, le cose stanno in modo un po’ diverso. Il barocco è un inganno. Un inganno dei sensi: portati, quasi per forza, a innalzarsi verso le rarefazioni del Cielo, a dimenticare la sofferenza del mondo. Quel meraviglioso Cappellone fu voluto da un vescovo napoletano che apparteneva a una importante famiglia aristocratica, e fu portato a termine da altri vescovi. Potenti paracadutati a Taranto che portavano una lingua lontana: meravigliosa, fluida, illusiva. Una lingua che doveva persuadere, dilettare, convincere. Entrando in questo luogo incantato, il cittadino di Taranto doveva sentirsi grato: e poi non pensare più, ma semmai ‘sentire’, emozionarsi, essere grato, e sperare di avere anche lui, un domani, posto in quel cielo che non gli era mai sembrato tanto vicino, tanto credibile.

Ebbene, con l’Ilva non è accaduta un po’ la stessa cosa?

Un paradiso artificiale deciso fuori, e offerto come un dono ai tarantini. La promessa di un benessere diffuso, l’invito a non pensare (e a non contestare): un paradiso in cui desiderare un posto anche per i figli.

Da secoli la macchina del potere gira per costruire consenso e farti sentire come la parte di un tutto: un tutto positivo, anzi salvifico. L’arte sacra del Barocco invitava i tarantini a uscire dal guscio della loro vita chiusa nelle strette vie della città storica per perdersi in un abisso di luce e colore: una promessa di felicità senza fine. L’industrializzazione di Stato ha invitato i loro discendenti a uscire dalla loro stessa storia, per perdersi in un’esperienza comune a milioni di uomini e donne del Novecento: anch’essa, a suo modo, una promessa di felicità senza fine. Oggi la domanda è: i tarantini che non si sono ribellati all’antico regime e ai suoi paradisi artificiali, sapranno ora alzare la testa e riprendersi il futuro?

Il Cappellone di San Cataldo, nel frattempo, ha cambiato ruolo. Oggi è parte di quella storia e di quel patrimonio la cui conoscenza alimenta il pensiero critico e la coscienza di sé. Oggi entriamo in quel luogo non solo per pregare o per ammirarne l’arte: ma anche per costruire noi stessi come cittadini consapevoli e attivi. Non più un luogo per sognare a occhi aperti, ma un luogo da cui uscire più determinati a cambiare il mondo di oggi. Quelle pietre preziose, quelle figure di marmo, quel caleidoscopio di colori possono oggi alimentare una rivoluzione fondata sulla conoscenza, sullo sviluppo della cultura. Sciogliendo così il piede dei pronipoti di quei tarantini che restavano lì estatici, a testa in su. E che oggi, se vogliono tornare a respirare, hanno solo una strada: contestare le promesse di paradiso, per riprendersi aria, cielo, mare.

La sai l’ultima?

 

Aeroporto di Monaco, nel bagaglio della signora c’è il cranio del marito morto

Un comodo bagaglio a mano. In Germania una donna di 74 anni è stata fermata in aeroporto perché nella valigia con cui viaggiava c’era il cranio del defunto marito. La simpatica scoperta è avvenuta ai controlli dell’aeroporto di Monaco, dove gli inservienti hanno notato qualche anomalia nel bagaglio e hanno ritrovato le ossa umane in una cassetta di legno. È stata subito allertata la polizia di frontiera, che ha sollecitato l’intervento di un medico legale e della procura competente. Le prime verifiche sono state tranquillizzanti: l’anziana signora, accompagnata da sua figlia di 52 anni, era in transito dalla Grecia verso Kiev. L’obiettivo finale della spedizione era infine l’Armenia, dovrebbe i resti del defunto sarebbero stati seppelliti nella sua terra d’origine. I documenti erano tutti a posto: l’uomo era morto nel 2008 ed era stato tumulato a Salonicco. La signora malgrado tutto non ha commesso alcun reato e ha potuto proseguire serenamente il suo viaggio.

 

Gran Bretagna 37enne a processo: faceva sesso con i polli. E intanto la moglie girava un filmato
Di pratiche sessuali bizzarre ne abbiamo sentite parecchie ma questa ancora ci mancava. E stavamo meglio prima. Ce la racconta The Sun: a Bradford, in Gran Bretagna, un uomo di 37 anni è andato a processo per possesso di materiale pornografico estremo e per avuto rapporti sessuali con gli animali. Il signore faceva sesso con i polli. E, non pago, si faceva pure riprendere dalla moglie durante l’atto. Se non bastasse questo, sul computer dell’imputato sono state ritrovate anche immagini indecenti di minori. Davvero un edificante quadretto familiare. Durante l’udienza Rehan Baig (questo il nome dell’illuminista) si è dichiarato colpevole per un totale di 11 accuse, di cui tre per aver compiuto atti di penetrazione sui polli, altri per aver scaricato immagini di atti sessuali con cani e polli (era proprio fissato) e altri ancora per reati di droga. Il suo avvocato ha ottenuto che l’uomo sia sottoposto a una perizia psichiatrica.

 

Sanremo, botte in piazza: una comitiva di finti muti che chiede l’elemosina aggredita da un gruppo di muti veri
Notizie che lasciano senza parole. A Sanremo è servito l’intervento di Polizia Municipale, Carabinieri e Croce Rossa per sedare una maxi rissa in piazza Eroi. Vittime dell’aggressione un gruppo di stranieri che chiedevano l’elemosina per strada fingendo di essere muti. Una pantomima odiosa che avrebbe fatto scatenare l’ira furibonda di una vera associazione di muti. L’indignazione si è presto trasformata in violenza: i muti veri hanno assalito fisicamente i muti finti. Sul posto – racconta il sito locale sanremonews.it – sono intervenuti a riportare l’ordine gli agenti della Polizia municipale, che sono riusciti a sedare la rissa e poi a ricostruire l’accaduto. A quanto pare a far scatenare il diverbio è stata proprio la messa in scena dei questuanti. Il sito primalariviera.it dà una versione dei fatti leggermente diversa: la rissa sarebbe scattata tra due associazioni onlus, una delle quali a tutela dei sordo muti. Entrambe erano in piazza per la raccolta firme. Di sicuro sono volati ceffoni.

 

Il titolo della settimana Corriere della Sera: “L’estate social della Canalis” i like e la bici rubata”
Stavolta il titolo della settimana ce lo regala il Corriere della Sera nell’edizione del 4 agosto. Parliamo di hard news. Un sacco hard. Una paginata interamente dedicata all’ex velina Elisabetta Canalis. “L’estate social di Elisabetta, il record di like su Instagram e la bici rubata (due volte)”. Sotto al titolo, il catenaccio ci dà altri elementi di riflessione: “Lo sfogo di Canalis: ‘Alghero bellissima, ma è pieno di ragazzini ubriachi’”. La pagina, come ovvio, è piacevolmente illustrata con una specie di set fotografico della sempre bellissima ex signora Clooney. Nulla da discutere, è estate per tutti, anche per il Corriere della Sera, pure se viene il dubbio che sia diretto in incognito da Alfonso Signorini. “Del resto – leggiamo nel prezioso articolo – non tutti hanno 2,6 milioni di followers su Instagram da ‘influenzare’”. E insomma, esuberanti ragazzini di Alghero, cercate di darvi una regolata.

 

Germania, diventa virale la foto dell’anziano nudista all’inseguimento del cinghiale che gli ha rubato il computer
A volte la natura regala degli scatti ipnotici, delle geometrie perfette ed emozionanti. Come definire altrimenti la foto, diventata virale, dell’anziano nudista sovrappeso che insegue (ovviamente in vestito adamitico) un grosso cinghiale che gli ha rubato la borsa con dentro il computer portatile? Succede a Teufelssee, in Germania: una popolare località balneare dove si pratica, a quanto pare, “la cultura del corpo libero”. Gli scatti in questione sono davvero fenomenali. Si vedono quattro mammiferi pelosi e sgraziati in movimento. Tre cinghiali – la mamma che ha rubato una borsa gialla con dentro il computer e due cuccioletti – e un quarto suino dalle fattezze umanoidi. Una scena tipo Benny Hill, però sotto Lsd. Esiste anche un video dell’impresa che però confessiamo non aver avuto il coraggio di guardare. Attorno all’uomo nudo ci sono gruppetti di persone vestite che osservano la rincorsa con grande divertimento. Non sappiamo se il computer sia stato recuperato o meno.

 

India, un insegnante entra nel guinness dei primati: risolve 6 volte il cubo di Rubik in apnea sott’acqua
Pensate che risolvere il cubo di Rubik sia una roba da nerd? Che ne dite di un ragazzo che risolve il cubo di Rubik sei volte consecutive in apnea sott’acqua? L’impresa appartiene a un giovane virtuoso indiano, il 25enne Illayaram Sekar, il quale evidentemente non aveva maggiori ambizioni nella vita che entrare nel Guinness dei primati con un gesto tanto significativo. Sekar ha composto sei cubi di Rubik con un unico, profondo respiro, rimanendo in apnea per 2 minuti e 17 secondi. Il record precedente era stato fatto segnare dallo statunitense Anthony Brooks nel 2014: solo 5 cubi di Rubik prima di risalire in superficie a respirare. Il nostro eroe Sekar insegna in una scuola della città di Chennai: “Voglio ispirare i miei studenti a fare di più – ha spiegato –. La pandemia può tornare e andarsene, ma la nostra mente e il nostro spirito devono raggiungere un livello alto per affrontare qualsiasi sfida nella vita”. Parole molto belle, che fanno venire voglia di immergersi sott’acqua con un cubo di Rubik in mano.

 

Questi gatti ci fanno vedere come si rispettano le norme: in 11 sullo stesso marciapiede, tutti a un metro di distanza
Dove non arriva l’uomo, arrivano i gatti. Se per tanta gente è complicato mantenere la distanza di sicurezza, questa foto inviataci da un lettore mostra che i felini sono assai più rispettosi delle cautele sanitarie. Undici micioni a riposo sul marciapiede, tutti rigorosamente a un metro di distanza l’uno dall’altro.

“La prima della classe non è la Germania. Però siamo più sobri”

La Germania è come quei compagni di scuola primi della classe. Sempre col ditino alzato, a dire cos’è giusto e cosa è sbagliato. Ambasciatore Viktor Elbling, lei è il rappresentante degli antipatici.

I tedeschi non si ritengono i primi della classe. La verità è che ci conosciamo meno bene di quel che crediamo. I pregiudizi a volte ci fanno trascurare la realtà.

La realtà sarebbe?

È vero che la società tedesca è critica, ma prima di tutto lo è verso il suo stesso Paese. Anche in Germania abbiamo problemi e li viviamo spesso con la medesima insoddisfazione. L’alta velocità per esempio funziona meglio in Italia che in Germania, non poche nostre infrastrutture sono antiquate, i ponti hanno urgente bisogno di cure. Non c’è il ditino alzato. Esiste un’organizzazione del sistema pubblico tutta nostra e forse un atteggiamento più sobrio verso la politica.

Noi siamo latini, umorali, e il nostro sentimento nazionale è figlio della contingenza.

Non penso che dobbiamo esagerare nell’angustiarci per le cose che non funzionano trascurando il positivo che c’è. L’Italia è uno dei Paesi più importanti al mondo, qui esistono grandi capacità ed eccellenze che tra l’altro si completano benissimo con la cultura, la politica, l’industria tedesca.

Papà tedesco, mamma italiana, Viktor Elbling ha preso casa nel Salento.

Sì certo, ho anche un cuore italiano. Rappresentare il mio Paese e vivere in Italia è un vero privilegio.

Lei teorizza la diplomazia della sincerità. In genere voi ambasciatori levigate ogni parola.

Accanto alle regole classiche della diplomazia (la riservatezza, la continenza nei giudizi), esiste secondo me la necessità di offrire all’opinione pubblica parole di verità, opinioni che servano a creare una relazione di stima e di fiducia. La fiducia è la moneta di scambio in assoluto più importante in tutte le relazioni.

La prendo in parola e le dico: la Germania ha goduto politicamente ed economicamente della sua posizione preminente in Europa. L’Italia ha invece patìto.

Certo, la Germania ha tratto grandi vantaggi dal mercato unico e dalla integrazione europea. Però non vedo svantaggiati a causa dell’unione monetaria. Non ci rendiamo conto che nell’Unione europea abbiamo realizzato, meglio che in tutte le altre regioni del mondo, un sistema di solidarietà sociale, di diritti individuali e di libertà economiche incomparabili e che dobbiamo continuare a rafforzarlo, tutti insieme.

La Germania senza l’Europa non avrebbe il potere che ha.

Singolarmente siamo tutti – anche la Germania – troppo piccoli e deboli per competere globalmente. Per questo l’Europa giova a tutti noi. Un’Europa ancora più forte, coesa e solidale ha bisogno dell’Italia, della Francia e della Germania.

La Germania si è fatta ricca con l’euro.

È chiaro che economie votate all’export come la Germania e l’Italia beneficiano molto della moneta unica, anche perché molti dei loro principali soci commerciali sono europei. Ma ripeto: l’integrazione europea rende benefici a tutti i suoi membri. Lo dimostra l’attrattività che l’Unione continua ad avere per coloro che non ne fanno parte, anche dopo la Brexit.

Noi italiani un po’ vi temiamo, un po’ vi stimiamo, un po’ però vi odiamo.

Devo dire che in Italia non avverto nessun odio verso la Germania. Germania e Italia sono due importanti Paesi con economie correlate, con industrie, per esempio quella automobilistica, profondamente integrate. Durante il lockdown alcune aziende tedesche hanno dovuto fermare la produzione perché dall’Italia non arrivavano pezzi di ricambio. I nostri valori e i nostri interessi coincidono, perciò abbiamo sostenuto questa grande e straordinaria misura del Recovery fund.

Voi tedeschi però non scherzate con gli stereotipi nei nostri confronti. La mafia, gli spaghetti, i fannulloni.

La visione che si ha dell’Italia in Germania è marcata da una grande simpatia e vicinanza. Nella crisi del Covid c’è stato un movimento enorme di solidarietà verso l’Italia. Non dico che non esistano anche voci critiche, ma sono una piccola minoranza.

Piccola?

Piccola.

É ufficiale: l’aspirante premier Salvini spara due balle ogni tre cose che dice

L’ultima l’ha detta ieri a Viareggio, dove passerà l’estate tra selfie (senza mascherina), paletta e secchiello per sostenere la candidatura di Susanna Ceccardi alle regionali toscane: “Anche i giornalisti fanno terrorismo quotidiano per tenere la gente in casa chiusa, non si sa aspettando cosa” ha gridato Matteo Salvini davanti a una folla di fan inferociti, tutti ammassa- ti e senza mascherina. I 250.000 contagi accertati e i 35.000 morti sono spariti in un attimo. E, dopo il premier Conte e tutto il governo, adesso nel mirino per la gestione dell’emergenza ci sono i giornalisti che dicono “fake news” per “tenere chiusa in casa la gente”. Peccato che il primo indiziato a sparare balle, o più educatamente “fake news”, sia proprio lui. E a dirlo non sono i suoi “oppositori” – governo, giornalisti e magistrati – ma i numeri: dall’inizio del lockdown a oggi ogni tre cose che Salvini dice, due sono false. È matematica.

Una proporzione che rimane invariata nell’ultimo anno, dalla crisi del Papeete ad oggi: su 38 dichiarazioni prese a campione daPagella Politica, sito che ogni giorno analizza una dichiarazione di un esponente politico, 26 oscillano tra la “Panzana Pazzesca”, il “Pinocchio Andante e il “Nì” (il 68%). Sulle 17 dichiarazioni di Matteo Salvini dall’inizio del lockdown, 12 sono false (71%). Si va dalle menzogne sui 300 mila tamponi fatti da Lombardia e Veneto (“più di tutto il resto d’Italia”, 07.04) all’Emilia Romagna che avrebbe “il primato di morti nelle Rsa” per scagionare la Lombardia leghista (24.04) fino a tutti i paesi Europei che avrebbero “riaperto le scuole a maggio” (12.05) e “rinviato le scadenze fiscali” (15.07). Tutte frottole ripetute da Matteo Salvini in comizi e interviste pubbliche.

Va detto che l’ultima dichiarazione del leader del Carroccio presa in analisi dal sito di fact-checking risale al 22 luglio e non è aggiornato alle sue ultime uscite, dopo la desecretazione dei verbali del Cts da cui emerge che gli esperti avevano proposto al governo di fare una zona rossa ad Alzano e Nembro già il 3 marzo sera mentre la decisione di chiudere tutta l’Italia era avvenuta solo il 9. “Se i verbali sono veri Conte è un criminale – va dicendo da giorni Salvini – ha sequestrato mezza Italia, portiamolo in tribunale”. Peccato che prima il 10 e poi il 12 marzo fosse lo stesso leghista a chiedere al governo “di chiudere tutto, prima che sia troppo tardi”. Un bell’esempio di coerenza.

Abbiamo preso in esame le dichiarazioni dei leader dei partiti ed emerge che in cima a questa speciale classifica dei ballisti dell’emergenza covid ci sono Matteo Salvini, Matteo Renzi e Giorgia Meloni. L’ex premier si posiziona al secondo posto con 5 bugie su 7 dichiarazioni prese a campione durante il lockdown (70%), mentre Giorgia Meloni conquista la medaglia di bronzo con il 54% delle uscite false (6 su 11). Poco più indietro Luigi Di Maio, non più capo politico del M5S ma ancora la voce più influente nel mondo pentastellato: raggiunge un 50% di dichiarazioni inesatte. In fondo alla classifica si posiziona il premier Giuseppe Conte: su 6 dichiarazioni analizzate, solo 2 (il 30%) sono imprecise o false del tutto. Il segretario del Pd Nicola Zingaretti, invece, non può essere preso in considerazione visto che durante i primi mesi di lockdown si è espresso pochissimo – anche perché positivo al covid-19 – e nessuna delle dichiarazioni analizzate da Pagella Politica riguarda strettamente l’emergenza.

Se allarghiamo il periodo temporale all’ultimo anno il podio cambia un po’: la palma d’oro del ballista dell’anno la guadagna Matteo Renzi con 13 dichiarazioni false su 18 (72%) mentre al secondo posto si trova Giorgia Meloni – 17 dichiarazioni inesatte su 24 (71%) – e Nicola Zingaretti con 7 balle su 10 (70%). Matteo Salvini perde posizioni ma di poco: conquista la medaglia di legno con il 68% delle frasi false. In fondo sempre Giuseppe Conte con solo tre balle su undici dichiarazioni (il 27%).

Conte: “Renderemo pubblici tutti i verbali della crisi Covid”

“Non abbiamo paura di niente, abbiamo agito correttamente: pubblicheremo tutti i verbali del Comitato tecnico scientifico (Cts) sulle decisioni prese a marzo”. Alla fine di una domenica estiva in cui il centrodestra arriva a chiedere le dimissioni del premier perché “ha mentito agli italiani” (Matteo Salvini) sulla mancata chiusura di Alzano e Nembro, Giuseppe Conte in serata fa una mossa per dimostrare la “trasparenza” del governo e replicare alle accuse di questi giorni. Da Ceglie Messapica (Brindisi), dove viene intervistato dal direttore di Affaritaliani.it Angelo Maria Perrino, il presidente del Consiglio annuncia: “In quel momento di grande pressione sociale era giusto rendere riservati i verbali, adesso possiamo divulgarli e noi non abbiamo paura di nulla: presto li pubblicheremo tutti”. Il premier, interrotto molte volte dagli applausi della platea, ha anche replicato alle accuse di aver mentito ai pm di Bergamo sulla mancata chiusura della Val Seriana: “In questi giorni su molti giornali si scrivono cose non vere, per esempio che avrei dichiarato il falso ai pm di Bergamo quando sono stato sentito: è una sciocchezza”.

Poi Conte ha ricostruito tutti i passaggi che hanno portato al lockdown della Lombardia e di tutta Italia: “Dopo il verbale del Cts del 3 marzo, il 4 il ministro Speranza ne parla con Gallera e Fontana ma il 5, al Consiglio dei ministri, valutiamo che istituire una cintura rossa ad Alzano e Nembro non abbia più senso perché ormai la curva in tutta la Lombardia è già scappata di mano. Il ministro della Salute Roberto Speranza chiede un ulteriore parere articolato che arriva la sera: così predisponiamo tutto per chiudere. Però la mattina dopo, il 6, chiedo al Cts di prendere una decisione più radicale e il 7 gli esperti condividono: quella sera facciamo il dpcm per chiudere tutta la Lombardia. Non credo di aver perso tempo”. Secondo il premier era necessario chiudere tutta l’Italia per “mettere in sicurezza il Sud” visto che nella sera tra il 7 e l’8 marzo molte persone si erano spostate dal Nord: “Se devo rispondere di questo ne sono orgoglioso”, ha detto Conte lanciando una frecciata a Matteo Salvini e Giorgia Meloni che da giorni lo accusano di aver “sequestrato” gli italiani.

Durante l’intervista, il premier ha anche parlato di come verranno investiti i soldi del Recovery Fund prospettando “un tunnel sottomarino” tra Calabria e Sicilia al posto del Ponte sullo Stretto e soffermandosi sul futuro del suo governo smentendo le ipotesi di rimpasto (“I ministri hanno lavorato bene”) e dandosi come orizzonte la fine della legislatura. Poi ha annunciato che voterà “sì” al referendum sul taglio del parlamentari e ha dedicato una postilla alle Regionali, pur senza fare riferimento alla sfida della sua Puglia dove Michele Emiliano cerca la riconferma contro Raffaele Fitto. “Porterei a cena Nicola Zingaretti e Vito Crimi per parlare di elezioni regionali”. Come dire: i giallorosa facciano squadra.

I furbastri del Covid: politici, star tv e ricchi

Sono tre leghisti, un Cinque Stelle e un renziano di Italia Viva i 5 deputati furbastri che nei mesi scorsi hanno chiesto e incassato dall’Inps il bonus da 600 e 1.000 euro erogato a partite Iva, co.co.co, liberi professionisti e lavoratori stagionali in difficoltà a causa dell’emergenza Covid. Lo stipendio netto da 12.439 euro e tutti i benefit e privilegi di cui già godono non sono stati ritenuti sufficienti dai politici, i cui nomi restano coperti dalla legge sulla privacy. E, soprattutto, dal loro stesso velo di omertà nel non autodenunciarsi.

A segnalare le vergognose richieste è stata la struttura antifrode, anticorruzione e trasparenza dell’Inps creata dal presidente Pasquale Tridico. Così, nei momenti di massima emergenza sanitaria, all’assalto dei furbetti delle aziende ad accaparrarsi gli ammortizzatori sociali senza aver registrato cali di fatturato, ora si aggiunge anche quest’altro caso che sta incendiando il Parlamento appena chiuso per ferie. Sebbene non rientri in nessun illecito (la richiesta del bonus non prevedeva requisiti di reddito, bastava solo il numero della partita Iva e l’indicazione della propria posizione professionale), la notizia ha scosso e indignato un Paese in cui ci sono lavoratori che ancora aspettano di ricevere gli ammortizzatori sociali.

Immediato il diluvio di reazioni politiche e non, tra richieste di scuse, di dimissioni e di restituzione dei soldi. Mentre su Twitter è diventato trend topic l’hashtag #Fuoriinomi con l’invocazione di rendere noti i nomi dei deputati coinvolti. In ogni caso, anche se venissero chieste ufficialmente le identità, l’Inps non è tenuta a rivelarle. Sono prestazioni legittime e non c’è alcun motivo di richiesta istituzionale che comporti un obbligo di risposta.

Resta aperta la questione morale che abbraccia tutti gli schieramenti. I 5 deputati non sono gli unici ad aver richiesto il bonus previsto dai decreti Cura Italia e Rilancio. Sono 2.000 i politici coinvolti tra governatori di Regione, sindaci, consiglieri e assessori sia regionali che comunali. Un elenco sterminato in cui rientra anche la peggiore società civile. Oltre al conduttore tv già rivelato ieri da Repubblica, nella lista dei furbastri compaiono altri volti noti del piccolo e grande schermo e una marea di riccastri professionisti, tra notai, avvocati, ingegneri e commercialisti che hanno goduto di un sostegno economico pur senza averne effettivamente bisogno.

Il presidente della Camera Roberto Fico ha definito la faccenda “una vergogna” chiedendo ai 5 di restituire quanto percepito, “è una questione di dignità e di opportunità”. I capigruppo a Montecitorio hanno iniziato presto ieri mattina a compulsare i deputati nelle chat di Whatsapp, chiedendo di accertarsi dai propri commercialisti di non essere tra i colpevoli.

E non manca chi ha parlato di “un sistema bonus sbagliato”, perché ha permesso di richiedere e ricevere un sussidio anche a chi non ne aveva assolutamente necessità. “Avremmo dovuto varare un provvedimento ad hoc per escludere parlamentari e consiglieri regionali, per esempio. Si sarebbe evitato tutto questo”, hanno fatto trapelare dalle segreterie. Dal Cinque Stelle Vito Crimi al dem Nicola Zingaretti, passando per il leghista Matteo Salvini, Giorgia Meloni di Fratelli d’Italia e la forzista Maria Stella Gelmini, tutti i leader hanno chiesto di cacciare i 5 dal Parlamento, ma nessuna conferma sugli indiziati. Ora la paura per i leader è tanta, soprattutto a un mese dal referendum sul taglio dei parlamentari del 20 settembre voluto fortemente dal M5S. Intanto la caccia ai furbetti continua.