Di associazioni farlocche me ne intendo. Ho conosciuto quelle fatte da una persona sola. Quelle che usano la maggior parte dei finanziamenti per pranzi che in università offriamo a nostre spese. Quelle che si fanno fama abusiva aderendo alle manifestazioni altrui, senza muovere un braccino. Quelle pensate come rampa di lancio verso la politica. Quelle che procurano stipendi ai senza lavoro. Un campionario sterminato che mi mette in crisi quando sento parlare di terzo settore come fosse l’eden in terra. Ma certo non avrei mai pensato di vedere bocciata la domanda di accreditamento come Centro di servizio al volontariato di una associazione che si chiama “Sardegna solidale”. Il Fatto ne parlò tempo fa. Basti dire che in un’isola dove le comunicazioni non brillano garantisce coesione e relazioni grazie a 40 punti di servizio sparsi in tutta la Sardegna.
L’ho incontrata nelle scuole, sui beni confiscati, nella promozione sociale, nei corsi di formazione. L’ho vista organizzare incontri con centinaia di persone. Una impronta evangelica ma laicissima nei suoi progetti. E ho pure toccato con mano di che pasta sono i suoi animatori: generosi, creativi, faticatori e naturalmente fieri e talora aspri come devono essere i sardi. Sicché mi domando come sia possibile che su 49 domande di accreditamento a livello nazionale solo la loro sia stata bocciata da un comitato che, essendo presieduto da una persona per bene, deve essere stato informato male assai. Un piccolo imbroglio burocratico che qualunque mente bennata risolverebbe in un minuto. È una storia strana quella di questa associazione che ciclicamente qualche esponente del potere sardo tiene per nulla in gran dispetto.
Nata nel 1998 con l’obiettivo di potenziare organizzativamente e culturalmente il volontariato sardo, è stata costretta già due volte a rivolgersi (vincendo) alla giustizia per difendersi dalle pulsioni a escluderla dal panorama ufficiale del volontariato. Anomala la storia del suo presidente Giampiero Farru, insegnante dell’Istituto industriale Buccari-Marconi di Cagliari, appassionato di questione morale, che ho visto personalmente accendere di entusiasmo verso le buone cause quegli adolescenti che secondo gli eterni cliché “non credono più a niente”. Chi conosce gli sforzi titanici che rinomate associazioni professionali fanno per trovare pubblico per i propri corsi di formazione, non può non sbalordire davanti a un’associazione che attualmente vanta quasi quattromila iscritti ai suoi corsi. C’è bisogno di elencare altro? Nel 2019 sono stati 135 gli istituti superiori sardi, per oltre 5mila studenti, che hanno aderito e partecipato ai progetti dell’associazione. Nei primi mesi della pandemia Sardegna Solidale ha dato il via a un progetto innovativo con la facoltà di Scienze economiche, giuridiche e politiche dell’Università di Cagliari. Titolo: “Le parole dell’economia civile”, per ripensare un’economia all’angolo e dribblando il lockdown con una serie di webinar.
Di più: lavora ufficialmente con la giustizia minorile sarda promuovendo la giustizia riparativa e percorsi di reinserimento dei minori. Ha costruito una formazione professionale permanente per chi opera nel volontariato, proprio per avere un volontariato sempre più qualificato e meno dilettantistico o approssimativo. E si potrebbe continuare perché i dati vengono sciorinati a richiesta, non sono certo da inventare. Mi piace invece riprendere un’immagine di alcuni anni fa. Protagonista, appunto, Giampiero Farru. Dopo un’assemblea nella sua scuola mi portò a vedere un bene confiscato su cui avevano lavorato i suoi studenti. Lì mi indicò con orgoglio una piantagione di fichi d’India. L’aveva voluta lui. Mi chiesi come mai. Poi conoscendolo meglio ho capito: i fichi d’India sono belli perché pungono. Ma, amici sardi, non è che hanno punto da qualche parte?