Lo studio delle procedure cognitive, pragmatiche e interpretative della comicità è già una critica delle pratiche dominanti: aiuta a dare significato alle dialettiche della razionalità (quella fra razionalità logica e razionalità analogica, quella fra razionale e irrazionale, quella fra ragione e istinto) con cui le comunità umane costruiscono la propria immagine del mondo, che danno per scontata; allena, insomma, alla libertà di pensiero. Conoscere a fondo le leggi nascoste della comunicazione aumenta l’arsenale di cui un comico può disporre per i suoi atti di sabotaggio dell’immaginario. Cominciamo a esplorarle.
Elementi di semiotica. La semiotica, teoria dei segni e della comunicazione, considera la parola un segno creato per comunicare, cioè per mettere in relazione un significante (l’espressione fonica o grafica) con un significato (un concetto). Il concetto si riferisce a un elemento extra-linguistico, detto referente. La relazione fra significante e significato è una denotazione; l’integrazione di un segno come significato in un altro segno è una connotazione. Per esempio, la parola cazzo denota l’organo maschile della minzione e della copula, e connota la sede dei sentimenti maschili.
Le tre parti della semiotica. La semiotica si compone di tre parti: sintattica (studia la relazione fra i segni); semantica (studia la relazione fra segni e referenti); pragmatica (studia la relazione fra segni e utenti di una lingua).
Il segno. Tutto può diventare un segno, anche un gesto o un oggetto. Nel caso dei segni intenzionali (segni artificiali come la scrittura, o come il foulard fucsia che, esposto alla finestra da una casalinga, avverte il postino che il marito non c’è; e segni storico-naturali come le lingue, o il gesto dell’ombrello), per interpretarli basta mettersi d’accordo prima (è il motivo per cui, se la mucca fa mu, il merlo non fa me, enigma su cui si arrovellavano per scherzo Elio & le Storie Tese). Nel caso dei segni naturali (le tracce di rossetto su un bicchiere, i gemiti che provengono dalla stanza accanto, il rossore sulle guance di una donna che ha appena avuto un orgasmo), la loro interpretazione dipende dall’enciclopedia personale (cultura, esperienza) e dalla capacità di capire il contesto. I segni naturali sono detti indici. Quando un indice, per essere interpretato, richiede una serie di ragionamenti (all’ora in cui la donna è stata assassinata, il marito era in casa), si parla di indizio. L’interpretazione di un segno è un processo di inferenza.
Poiché anche gli animali producono segni, cui altri animali (della stessa specie o di altre) rispondono, si tratta di intenzionalità (quindi di interpretazione) o di istinto? Si consideri questa differenza: per un cavallo, il fluire di un liquido denso, viscoso, giallognolo, di odore pungente, dalla vulva tumida e rossa di una cavalla, è segno di calore (invito alla monta); per il semiotico lo stesso liquido è segno del segno di calore. Ovvero, i segni animali sono solo richiami. Lo studioso di semiotica, di fronte a quel liquido equino, non si sente spinto a scopare la cavalla. (Meglio non indagare). Inoltre, i segni intenzionali umani possono parlare dei segni, una funzione metalinguistica che i richiami animali non possiedono.
La significatività del segno è nella sua pragmatica: afferrare il significato di un termine non vuol dire conoscere le sue associazioni familiari (isotopie), ma sapere la regola sociale che determina cosa sia e cosa non sia rilevante all’applicazione di quel termine.
La retorica generale del Gruppo di Liegi (1970) analizza le tecniche di trasformazione del linguaggio, le loro specie e i loro oggetti. Il modello di riferimento è quello semiotico-comunicativo, secondo cui un messaggio a proposito di un referente è prodotto da un mittente per un destinatario, in contatto tramite un codice. Per decodificare un messaggio è essenziale un contesto.
Ridondanza e scarto. Ogni messaggio presenta un certo tasso di ridondanza, cioè di prevedibilità. Le figure retoriche (metabole) modificano il tasso di ridondanza di un messaggio. Questa modifica è una non-pertinenza, detta scarto. Lo scarto è percepito rispetto a una norma (grado zero). Il grado zero è ciò che il destinatario si attende, in base a quanto conosce: del codice linguistico (ortografia, grammatica, lessico, sintassi, semantica, pragmatica, tasso di ridondanza); del codice logico (veridicità); dell’universo semantico (cultura); del codice sociale (pratiche); del contesto in cui si trova la metabola. Le norme del codice linguistico sono dette isotopie. Le norme del codice sociale sono dette convenzioni. Quando pure lo scarto diventa convenzionale, si rende possibile lo scarto dallo scarto, come fa Mel Brooks nel film muto Silent movie, quando il mimo Marcel Marceau è l’unico di cui sentiamo pronunciare una parola (“Non!”).
La metabola è una trasformazione di un qualunque aspetto di un codice. Gli scarti dal codice linguistico (metabole grammaticali) sono di tre specie: metaplasmi, metatassi, metasememi. Le trasformazioni del contenuto referenziale, invece, sono dette metalogismi. Metaplasmi e metatassi sono metabole del significante. I metaplasmi trasformano l’unità (figure formali, come la sincope e l’allitterazione), le metatassi trasformano la frase (figure sintattiche, come lo zeugma e il polisindeto). Metasememi e metalogismi sono metabole del significato. I metasememi trasformano l’unità (figure semantiche o tropi, come la sineddoche e l’antonomasia), i metalogismi trasformano la frase (figure del pensiero, come l’ironia e l’iperbole). Esistono metabole del supporto: sono variazioni del medium grafico e tipografico. Sono possibili anche metabole del mittente, del destinatario e del contatto.
Quattro operazioni logiche rendono possibile la generazione delle metabole: sottrazione (-), aggiunzione (+), sostituzione (-+) e permutazione (modifica dell’ordine lineare delle unità). Vediamone alcuni esempi divertenti.
Metaplasmi. Per sottrazione: fema (eliminazione sonorità della fricativa labio-dentale, come nel pastiche del tedesco usato da Bonvi per le sue Sturmtruppen: “Foi non afete folontà”); apocope (era usata nelle canzoni dell’avanspettacolo, perché allude a una segmentazione alternativa e licenziosa: Cile-Calcu’/Cile-Calcu’/Cile-Calcutta; anche con aferesi: Taci dunque/dunque taci/taci dunque/ ‘tacci tu’ di Aldo Fabrizi). Per aggiunzione: infisso (asanisimasa di Fellini; dyna-fucking-mite di Terry Southern); parola-valigia (i modi “familionari” del barone Rothschild, in Freud); allitterazione (acciughe, salacche, baccalà in Palazzeschi); assonanza (“I leghisti sono… aspetta, come si dice… dai, quelli che si chiamano come quello strumento musicale che si suona con le bacchette…” “Xilofono?” “Xenofobi!”).
(16. continua)