Scuola: nuove regole, poco tempo

Un lunedì quanto meno confuso per dirigenti, docenti, studenti e famiglie tutti presi a conteggiare e capire come si applicano le nuove regole per le quarantene a scuola allo status quo. Se la “novità” è ormai è tradizione consolidata e ciclica, la retroattività è invece una new entry.

“Prevediamo che domani non tutte le situazioni possano essere in regola – ha detto ieri il presidente dell’Associazione Nazionale dei Presidi, Antonello Giannelli – : il nuovo decreto è stato pubblicato venerdì sera, sabato è stato letto in tutte le scuole ma quelle che il sabato sono chiuse non hanno potuto avvertire le famiglie. Serve sempre qualche giorno prima di adeguare i provvedimenti che riguardano le quarantene, la dad e la didattica integrata; col week end di mezzo non escludo disservizi soprattutto relativamente a classi che dovevano tornare in presenza e non lo saranno”.

Le nuove regole, infatti, valgono anche per gli alunni già in Dad per contatti con i positivi al Covid in classe. Dovranno rientrare a scuola tutti gli studenti delle scuole elementari che avevano in classe fino a cinque compagni positivi, indossando le Ffp2 per dieci giorni dall’ultimo contatto così come gli alunni delle scuole secondarie inferiori e superiori che avevano almeno due positivi in classe. I bambini della scuola dell’Infanzia resteranno invece aula fino a un massimo di cinque bambini positivi (mentre fino alla settimana scorsa andavano in quarantena anche con un solo caso positivo).

Cambia anche il numero dei giorni della quarantena che per tutti scende da dieci a cinque: chi li ha già fatti potrà uscire dall’isolamento con un tampone negativo. Ed è dunque qui che parte il riconteggio nonché la corsa last minute alla ricerca di un tampone: “Le misure già disposte dalla scuola ai sensi della previgente normativa sono ridefinite in relazione a quanto previsto dalla nuova norma” si legge infatti nelle Faq del ministero dell’Istruzione.

Non bastasse, “ci sono alcuni aspetti critici che secondo noi potrebbero essere migliorati – ha detto ieri Elvira Serafini, che guida il sindacato Snals – . Ad esempio rileviamo che la possibilità del test autosomministrato è prevista solo per chi sia in auto sorveglianza e manifesti dei sintomi e viene data la possibilità di autocertificare il relativo esito, mentre non è chiaro se la disposizione, prevista per la primaria, sia valida pure per le secondarie”.

In alcune Regioni, aggiunge Serafini, pare sia già così o comunque che tutto avvenga sulla base di disposizioni locali. “È necessario promuovere da subito un coordinamento nazionale” conclude. Più critica la Cgil: “Vedremo se questa scelta sarà confermata da una ulteriore decrescita della curva nei contagi . ha detto il segretario Francesco Sinopoli – . Per noi semplificare non vuol dire diminuire le tutele, ma rendere omogenee le regole per tutti gli studenti della classe, indicando misure chiare per tutti, non farraginosi conteggi. Infine, continuiamo a ritenere sbagliata la differenziazione fra alunni vaccinati e non vaccinati”.

Gli studenti contro Bianchi. “Ci convoca a giochi fatti”

“Se il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi pensa di disinnescare la rabbia degli studenti con una lettera a Repubblica e la convocazione di un tavolo (martedì 8 febbraio ndr) al quale ha chiamato solo i ragazzi delle Consulte si sbaglia. Ci ha ignorati fino ad oggi e continua a farlo ma noi non ci fermiamo”. A rispondere all’inquilino di viale Trastevere che ieri ha pubblicato una lettera a sua firma sul giornale diretto da Maurizio Molinari, è Tommaso Biancuzzi, il coordinatore nazionale della Rete degli Studenti Medi.

Il leader dell’associazione delle scuole superiori si sente preso in giro dalle parole del professore ferrarese sul Ptco (i Percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento, ovvero l’ex alternanza scuola-lavoro) sulla riforma degli Istituti tecnici superiori (Its) e sulla maturità.

Gli studenti sanno che l’incontro di domani in viale Trastevere servirà a poco o nulla e puntano gli occhi sulla riunione che stamattina alle dieci il Consiglio superiore dell’istruzione terrà per dare il parere (non vincolante) sull’esame di Stato. Per tutta la giornata di ieri le diverse anime del Cspi hanno trattato per portare al tavolo una proposta che non spacchi l’assemblea: ciò che sembra ormai chiaro è che, in ogni caso, al ministro sarà chiesto di rimettere mano alla seconda prova, quella di indirizzo. “Il ministro è un furbacchione. Perché convoca solo le consulte e non le altre rappresentanze che sono scese in piazza? A ottobre – spiega Biancuzzi – durante l’unico incontro che abbiamo fatto con lui, aveva promesso di istituire un tavolo per dialogare sull’esame di Stato. Da allora, non l’abbiamo più visto”. Biancuzzi guarda al passato: “Almeno l’ex ministra Lucia Azzolina ci aveva incontrati; discutemmo con lei della maturità, anche della questione bocciatura e la nostra proposta di non fermare nessuno il primo anno di pandemia fu accolta”.

Gli studenti non chiedono la luna. Non vogliono l’abolizione della prova di Stato e nemmeno togliere il primo scritto ma vorrebbero eliminare la seconda prova: “Pensi solo a una cosa: per i tecnici, quella parte d’esame è pratica ma per due anni, in molte scuole, i laboratori sono stati chiusi”. Nel pomeriggio sul tavolo del ministro arriverà il parere del Cspi nettamente diviso sulla questione della seconda prova tra chi difende la scelta dell’ex rettore universitario e chi cerca una strada diversa che possa andare incontro ai ragazzi. Nel frattempo, gli studenti annunciano altre manifestazioni: oggi a Cagliari; mercoledì a Potenza e venerdì 11 di nuovo tutti insieme in piazza contemporaneamente.

A Biancuzzi non sono piaciute nemmeno le considerazioni fatte dal ministro, nella missiva a Repubblica, sui Ptco, l’ex alternanza scuola lavoro: “Dice di voler creare con il ministro del Lavoro Andrea Orlando un gruppo che approfondirà questi temi e verificherà tutte le circostanze e le condizioni delle nostre esperienze formative. Ma non siamo stati ancora coinvolti, nemmeno questa volta”. Si tratta di una osservazione che arriva dopo le proteste per la morte dello studente di 18 anni durante l’ultimo giorno di stage del suo percorso professionale formativo.

Il coordinatore della Rete pone l’accento su un altro aspetto: “Pensare di mandare gli studenti in cantiere in un Paese dove muoiono 1.400 lavoratori all’anno è folle. C’è da fare una seria formazione sulla sicurezza”. Infine, nella lettera, l’uomo di Draghi, rivolgendosi agli studenti scrive: “Con loro vorrei parlare anche di molto altro”. E specifica cosa: le riforme strutturali del nostro sistema educativo, Its, istruzione tecnica e professionale, orientamento, reclutamento e formazione iniziale dei docenti, numerosità e dimensionamento delle istituzioni scolastiche, scuola di alta formazione.

“Sul Pnrr si è confrontato con noi la sola e unica volta che ci ha incontrato. Ci viene a parlare di Its quando ormai il percorso è alla fine. Che ci debba essere un rapporto tra scuola e mondo del lavoro è sacrosanto ma non si può prescindere dal dialogo con la componente studentesca. Senza confrontarsi con chi vive la scuola, non si potranno mai fare riforme positive”. Parole che arrivano proprio nel giorno in cui il presidente della Commissione Istruzione del Senato, Riccardo Nencini, sul Sole 24 Ore spiega: “Son certo che la riforma degli Its sarà Legge per fine febbraio, massimo primi di marzo”. Un annuncio che conferma i dubbi di Biancuzzi: “Vede, il ministro ha deciso scientemente di ignorarci. È il suo stile: non ci coinvolge ma ci informa a giochi fatti. Così non si va avanti”.

“Il sogno dei partiti senza voti: governare anche se non li vuole nessuno”

“Esiste il partito che diffida degli italiani (PdI, in sigla), che è già maggioranza in Parlamento e farà di tutto per rimanere tale anche dopo il voto. Conosce le regole del pugilato? Prima ti pesi e poi combatti. Questi qua hanno sfiducia nella capacità dei loro concittadini di votare perché pensano (e in effetti non sbagliano) che loro non sarebbero mai premiati. Quindi devono cercarsi il sostituto funzionale dell’urna”.

Il giurista Geminello Preterossi ritiene che teorizzare l’emergenza, come elemento tipico del paesaggio politico, dia la possibilità di fare un po’ quel cavolo che si vuole.

La premessa della rielezione di Sergio Mattarella quale è stata? Il conflitto perenne, lo stallo, l’incapacità di dare al Paese quel che il Paese attende ansioso. Il Parlamento non riusciva a trovare un nome decente come capo dello Stato? Magnifico! Ecco la soluzione! E l’anno scorso l’emergenza – sanitaria e sociale – costituì la premessa per l’edificazione del governo tecnocratico. Mica potevamo permetterci di far votare gli italiani? Chissà quale altra sciagura avrebbero combinato. E già siamo in attesa di conoscere la prossima emergenza per ridurre nel prossimo Parlamento l’effetto delle urne.

Quale sarà, professore?

L’emergenza istituzionale. Si dirà che è assolutamente necessario rimodulare la legge elettorale per rendere governabile l’Italia. E questa sarà il traino per il coagulo delle forze che non vogliono misurare il potere con il consenso ma ambiscono a misurare il potere attraverso il potere. Sono i trombi nel sistema venoso della democrazia. Ha visto quante sigle ai nastri di partenza? Coraggio Italia, Italia Viva, Alternativa Italia…. Azione, poi Europa, più Europa, poi quell’altra che non ricordo…

C’è anche Casini, persino Mastella, Tabacci eccetera.

Questa nebulosa centrista che sta venendo all’orizzonte fa già parte integrante del partito sistema, così chiamo io il Partito democratico, che è al potere malgrado il voto, nonostante il voto, anzi contro il voto popolare. Poi l’elezione di Mattarella produce altri effetti enormemente critici.

Perché il suo discorso torna sempre su Mattarella?

Rieleggerlo significa aprire la strada all’elezione diretta. Perché è chiaro che d’ora in avanti la non rielezione significherà sfiducia per chi occuperà quello scranno. Quattordici anni poi, e si è detto, è il tempo di un monarca. Ma sa qual è la questione più acuta?

Il rapporto gravemente squilibrato tra Quirinale e Parlamento, oggi a favore del primo.

L’aumento del peso del potere quirinalizio, che già finora si è spinto fino a sindacare gli indirizzi politici governativi (ricordate il rifiuto di nominare ministro il professor Savona nel Conte 1?) e poi a rifiutare le urne per dare invece corso al governo Draghi, ora acquisisce altro potere mentre il Parlamento pare un consesso di figuranti, di corpi plaudenti ma inabili ad esercitare la sovranità nazionale. Un ornamento, diciamo.

Il prossimo Parlamento sarà più piccino nei suoi numeri e quindi più debole nella sua capacità di rappresentanza.

I bischeri dei Cinque Stelle hanno fatto un pastrocchio. Loro, teorici della centralità parlamentare, hanno cavalcato la tigre stupida della riduzione dei suoi membri per ridurne i costi provocando però l’effetto opposto rispetto ai loro propositi, quello di un downgrade costituzionale.

E quindi?

Quindi ci potremo trovare, nel prossimo futuro, nel convincimento diffuso che solo un Palazzo conti davvero: il Quirinale. L’elezione diretta del presidente formalizzerà il fuggi fuggi verso il Colle. È lì che si comanda, lì che si decide, lì che si garantisce l’unità nazionale. Il Parlamento è solo tappezzeria.

Invece tappezzeria non sarà.

Perciò i gruppetti centristi, quelli che urlano tanto ma non hanno mezzo voto, sono felicissimi della svolta proporzionale e affatto rabbuiati se l’astensione avanzerà ancora di più. Un modo per continuare a contare malgrado gli italiani.

Ora Luttwak esalta Di Maio e Guerini: abili e arruolati nella guerra ucraina

Verranno sentiti domani alle 13, dalle commissioni congiunte Esteri e Difesa di Senato e Camera, i ministri Luigi Di Maio e Lorenzo Guerini, sui cui tavoli pesa la crisi tra Russia e Ucraina. E proprio nel giorno in cui il commissario europeo agli Affari economici Paolo Gentiloni, su Raitre, invita a “puntare sulla diplomazia”, ovvero a “aiutare i Paesi Nato confinanti con la Russia e rafforzarli anche dal punto di vista militare, e prepararci a eventuali sanzioni, se saranno inevitabili”, al governo italiano arriva un “pizzino” dell’analista strategico statunitense Edward Luttwak: “Il governo Draghi – ha scritto sabato su Twitter – ha un ministro degli Esteri inizialmente sconosciuto che si è guadagnato il rispetto delle sue controparti dovunque, e un ministro della Difesa che ormai è un esperto dei problemi piani e programmi delle forze armato e Nato. Con loro l’Italia può e deve agire in Ucraina”.

Invitato a chiarire il suo punto di vista, Luttwak spiega che “il silenzio dell’Italia sull’Ucraina sta diventando pesante” e proprio perché “il governo italiano è competente, non è il caso di rimanere passivi e silenziosi”. Anche perché, ricorda Luttwak, “la solidarietà atlantica non è unidirezionale: se l’Italia non si esprime, non agisce, non prende posizione, diventa un altro tipo di alleato”. Un messaggio piuttosto chiaro, tanto più che inviato all’indirizzo di due dei ministri più “draghiani” dell’intero esecutivo. E che si incrocia con le “previsioni apocalittiche” – a definirle così è il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba – filtrate ieri dagli Stati Uniti attraverso le colonne del New York Times: l’allarme per una possibile invasione russa dell’Ucraina che potrebbe portare alla caduta di Kiev in due giorni e provocherebbe fino a 50.000 morti civili.

Proprio ieri sera sono atterrati in Polonia, al confine con l’Ucraina, altri 1700 soldati americani. L’intelligence Usa sostiene che la Russia – completato al 70% il dispiegamento militare per l’invasione del Paese – sia pronta ad agire “in qualsiasi momento”. Versione smentita da Mosca, che continua a ribadire di non intendere procedere con l’intervento in Ucraina. Oggi il presidente francese Emmanuele Macron incontrerà il leader russo Vladimir Putin. Sempre oggi, invece, il cancelliere tedesco Olaf Scholz è atteso alla Casa Bianca: la Germania finora si è rifiutata di fornire armi a Kiev, così come non ha voluto rafforzare la propria presenza nell’est europeo o dire quali sanzioni appoggerebbe. In compenso ha detto che, se dovesse procedere con l’invasione, Mosca la “pagherà caro”.

Consip, Open, aziende fallite: tutti i guai giudiziari in famiglia

Iniziamo dalle buone notizie per Matteo Renzi: viaggia verso l’archiviazione l’indagine per le presunte false fatturazioni intorno agli speech dell’ex premier ad Abu Dhabi. L’ha chiesta a dicembre il pm di Firenze Luca Turco ed ora il fascicolo è sul tavolo del Gip.

Ma i guai giudiziari di Renzi e della sua vasta famiglia rimangono ottimi e abbondanti. A cominciare da quelli scaturiti da Open, la fondazione che per anni ha organizzato la Leopolda ricevendo generose donazioni. Così a Firenze Renzi è finito indagato per concorso in finanziamento illecito con gli ex ministri Maria Elena Boschi e Luca Lotti. Secondo i pm Open doveva ritenersi una “articolazione della corrente renziana” del Pd. Finanziamento illecito è il reato contestato a Renzi nell’ambito di un’altra inchiesta (stavolta a Roma) che riguarda invece i rapporti economici con Lucio Presta. Per i pm romani tra l’agente e l’ex premier, vi sono stati “rapporti contrattuali fittizi” dietro i quali si nasconderebbe un presunto finanziamento alla politica.

C’è poi il capitolo genitori. È in corso a Firenze il processo in cui sono imputati il papà Tiziano Renzi e la mamma Laura Bovoli, insieme ad altre 13 persone, per la bancarotta di Marmodiv, Delivery ed Europe Service, tre cooperative che si occupavano in particolare di diffusione di materiale pubblicitario e volantinaggio. Renzi sr. e la signora Bovoli sono ritenuti dagli inquirenti gli amministratori di fatto delle tre coop. Il 2 novembre il Tribunale ha riunito questo procedimento a quello per le false fatture emesse, secondo i pm, a vantaggio di Eventi 6 srl, accuse per le quali Tiziano Renzi e sua moglie a maggio 2021 sono stati rinviati a giudizio insieme a Matilde Renzi, sorella di Matteo, legale rappresentante della società nel 2018.

L’accusa di fatturazioni false ricorre spesso per i genitori di Renzi ed è già costata loro una condanna in primo grado a Firenze. Si tratta delle fatture collegate al progetto di sviluppo dell’outlet The Mall di Leccio Reggello, conclusosi il 7 novembre 2019 con una condanna a un anno e nove mesi per Renzi sr. e signora Bovoli, e due anni per il loro ex socio Luigi Dagostino. L’appello doveva iniziare il 16 dicembre ma è slittato al prossimo 22 aprile a causa di un legittimo impedimento per ragioni di salute di Renzi senior.

Sempre a Firenze è in corso un altro processo che riguarda familiari di Renzi. È a carico dei fratelli Alessandro e Luca Conticini, imputati di appropriazione indebita e autoriciclaggio, e Andrea, imputato di riciclaggio. I pm li accusano di aver utilizzato per investimenti immobiliari in tutto il mondo il denaro raccolto da associazioni no profit per i bambini africani. Circa 6,6 milioni di dollari su circa 10 ricevuti da varie organizzazioni umanitarie internazionali come l’Unicef e la Fondazione Pulitzer, sarebbero transitati sui conti personali di Alessandro Conticini. Andrea Conticini è il marito di Matilde Renzi, e quindi cognato di Matteo: avrebbe acquistato quote in tre società e una di queste, sulle quali ha investito 188 mila euro, era la Eventi 6 della famiglia Renzi.

Infine, a Roma Tiziano Renzi è stato rinviato a giudizio per traffico d’influenze illecite nel caso Consip. Secondo il pm Mario Palazzi un amico dei Renzi, Carlo Russo, “in accordo con Tiziano Renzi” si sarebbe fatto promettere denaro in nero da Alfredo Romeo per sé e per Renzi sr., in cambio della propria mediazione sull’ex ad di Consip, Luigi Marroni affinché favorisse le società dell’imprenditore campano. In questo caso il processo è in corso in primo grado.

Renzi a gettone, non solo Arabia. Lo paga anche una società cinese

Non ci sono solo i soldi provenienti dall’Arabia Saudita. Ad alimentare il conto di Matteo Renzi c’è anche una società cinese per la quale il leader di Italia Viva ha svolto conferenze. Si tratta della Matai’ao, che per questo ha pagato l’ex premier per alcuni mesi la somma di poco più di 8 mila euro. Non è la prima volta che Renzi va in Cina per alcuni speech, ma stavolta la società cinese è citata in una segnalazione per operazioni sospette (Sos) dell’Unità di informazione finanziaria della Banca d’Italia, che sarebbe scattata però per altre ragioni, ossia un “girofondo” tra due rapporti bancari entrambi di Matteo Renzi. La Sos è stata ieri rivelata dal Corriere e da La Stampa.

E così i compensi del senatore tornano al centro delle polemiche, come era già successo a novembre scorso quando Il Fatto ha rivelato che tra gli allegati degli atti dell’indagine fiorentina sulla Fondazione Open (Renzi è indagato, con altri, per concorso in finanziamento illecito) era stato “accluso” anche l’estratto dal giugno 2018 al marzo 2020 del conto corrente di Renzi aperto alla Bnl del Senato. Oggi come allora, le consulenze del senatore non sono oggetto di indagine.

Secondo i conti della Finanza, comunque, nel periodo 2018-2020 sul conto di Renzi erano stati accreditati bonifici per circa 2,6 milioni di euro in totale, la maggior parte compensi per speech. Tra questi ad esempio c’erano i denari sauditi, sempre per le conferenze: 43.800 euro dal ministero della finanza dell’Arabia Saudita e poi altri 39.930 euro dal “Saudi commission for tourism”.

Nel 2020 le finanze di Renzi subiscono una frenata, con il suo reddito che si assesta a 517 mila e 319 euro (189 mila e 885 euro invece le imposte pagate). Cifre dimezzate rispetto al 2019 quando il reddito del senatore ammontava a 1 milione e 92 mila euro. Se con il Covid molte conferenze sono saltate, nel 2021 Renzi ha ripreso la sua attività di speaker.

Il “girofondo”. Alcuni dei suoi guadagni si possono ricostruire dalla Sos rivelata ieri dai quotidiani. Gli esperti di Bankitalia rilevano la seguente operatività su un conto del senatore: “In data 13 dicembre 2021 – è la Sos riportata dal Corriere –, un bonifico in accredito di un milione e 100 mila euro dal cliente stesso con causale “girofondi”. “Relativamente a quanto rilevato, – continua la segnalazione riportata dal quotidiano – il cliente ha dichiarato al nostro consulente finanziario di riferimento che l’origine dei fondi sarebbe riferibile a delle prestazioni fornite, in qualità di consulente, all’Arabia Saudita, finalizzate a sostenere la nascita di una città green, a scopo turistico, negli Emirati Arabi”.

soldi sauditi. Gli analisti dell’Uif ricostruiscono l’origine di alcuni bonifici. Ci sono “66.090” dal “Founder Future Inv Initiative Est”. Era già nota la partecipazione di Renzi nel board della Fondazione saudita creata nel 2020 per decreto di Re Salman. Per questo ruolo, Renzi percepiva 80 mila dollari all’anno. Nel 2021, secondo la Sos, a Renzi arrivano altri 570mila euro dalla “Royal Commission For Alula”. Era stato Arab news a presentare l’ex premier come “membro del Cda della Commissione reale per AlUla”.

La società cinese. Nella Sos poi vengono citati “bonifici ripetitivi in accredito di 8.333 dalla Mataio International Pubblic”. Secondo quanto ricostruito dal Fatto, si tratta di una società cinese che ha pagato Renzi, a fronte di conferenze, per “circa tre mesi”, spiegano fonti vicine al senatore. Che aggiungono come a questa società Renzi sarebbe arrivato tramite la Celebrity Speakers Ltd, agenzia internazionale che promuove relatori famosi per le conferenze. La Matai’ao avrebbe organizzato anche una conferenza di settembre 2019. Renzi il 21 settembre 2019 aveva pubblicato, senza specificare il nome della società, una foto su Instagra: c’erano lui e l’ex primo ministro spagnolo Mariano Rajoy, entrambi vestiti di rosso. “Con il mio amico ed ex collega Mariano Rajoy, (…) pronti per un convegno su Economia e Ambiente a Pechino. Non male le giacche vero?”, scriveva. Ieri l’ex premier ha ribadito che le “attività professionali (…) sono lecite, trasparenti” e “perfettamente legali”. Per Renzi è “illegale la pubblicazione di questo materiale che esce scientificamente da uffici pubblici e (…) in redazioni diverse (…) con l’unico obiettivo di attaccare mediaticamente”.

Ma mi faccia il piacere

Grasso che copia. “’Report’… questo modo di fare inchiesta è perlopiù una performance emozionale” (Linkiesta, 17.4.2017). “’Report’. Se l’inchiesta assume l’aspetto di una performance emozionale” (Aldo Grasso, Corriere della sera, 21.12.2021). “Filmare Renzi. Report e la tragicommedia del giornalismo complottista in prima serata” (Mario Lavia, Linkiesta, 4.5.2021). “Il metodo Report, gestione Ranucci, lo conosciamo: c’è un teorema da dimostrare per rafforzare il quale si usano spezzoni d’intervista, interlocutori come Lele Mora (almeno sincero), un Emilio Fede malato, un agente delle olgettine, filmati rubati, intercettazioni telefoniche, cose del genere: ‘la tragicommedia del giornalismo complottista’, com’è stato definito questo tipo d’inchieste” (Aldo Grasso, Corriere della sera, 2.2.2022). Che fa, copia?

Antivirus. “Ranucci è il virus che divora la Rai” (Libero, 2.2). Fa troppi ascolti, mettendo in cattiva luce tutti gli altri.

Identità di genere. “Questa Italia ha bisogno di donne. Basta con le congreghe dei maschi” (Giuliano Amato, neopresidente Consulta, Stampa, 6.2). Per questo, in 83 anni, ha occupato 78 poltrone: perchè si sente tanto Giuliana Amata.

Normalità. “Figliuolo: ‘Il virus arretra. Ora negli ospedali torni la normalità’” (Repubblica, 6.2). Per gli obitori invece c’è tempo.

Arrivedooorci! “Legge per il proporzionale: i centristi pronti a partire” (Messaggero, 2.2). Espatriano?

Sonni agitati/1. “Saranno i ‘centristi’ a porre quanto prima il quesito tutto politico: quale sarà il destino di Draghi nel ’23 e soprattutto dopo il ’23?” (Stefano Folli, Repubblica, 2.2). La gente non ci dorme la notte.

Sonni agitati/2. “Quel sollievo all’estero per la conferma di Mattarella” (Beppe Severgnini, Corriere della sera, 2.2). Ma non ci avevano assicurato che all’estero volevano tutti Draghi?

Criticoni. “Mattarella sceglie i social per parlare ai cittadini: ‘Grazie anche delle critiche’” (Messaggero, 1.2). Quali?

Chi cambia cosa. “Mattarella non ha cambiato idea. Ma gli è stato chiesto di evitare un disastro” (Francesco Merlo, Repubblica, 1.2). E’ l’idea che ha cambiato lui.

Icona pomp.“Mattarella è una rockstar” (Severgnini, Ottoemezzo, La7, 3.2). “Composto. Severo, Malinconico. Il corpo di Mattarella evoca il secolo scorso. Eppure è diventato un’icona pop” (Marco Belpoliti, Espresso, 6.2). Tipo Achille Lauro, ecco.

Luigi Di Mario. “Di Maio è cresciuto notevolmente dal punto di vista politico“ (Carlo De Benedetti, Ottoemezzo, La7, 31.1). “Così Di Maio è diventato politico, e Conte no” (Foglio, 1.2). “Tajani: ‘Di Maio ha giocato bene’” (Foglio, 2.2). “Il centro corteggia Di Maio” (Corriere, 2.2). “Il governo Draghi ha un Min Aff Est inizialmente sconosciuto che si è guadagnato il rispetto delle sue controparti dovunque, e un ministro della Difesa che ormai è un esperto dei piani e programmi delle Ffaa et Nato. Con loro l’Italia può e deve agire in Ucraina” (Edward Luttwak, Twitter, 5.2). Sono soddisfazioni.

Smart. “Chi sta in smart working finge di lavorare” (Renato Brunetta, ministro FI della Pa, 4.2). Lui invece, purtroppo, lavora per davvero.

I Migliori. “Mattarella al Colle e Draghi a Chigi sono la migliore soluzione che potesse capitare all’Italia” (Carlo Nordio, ex pm, Foglio, 2.2). Visto che abbiamo rischiato Nordio.

I Peggiori. “Letta: via il Rosatellum, la legge peggiore” (manifesto, 31.1). Infatti l’ha voluta il Pd.

L’autobiografia. “Come dicono al Sud, cchiù longa ‘a pensata, cchiù grossa ‘a strunzata” (Gennaro Migliore, deputato Iv, Corriere.it, 28.1). Per prendere coscienza di sé, c’è sempre tempo.

Senti chi parla/1. “La sottile arte di manipolare l’informazione” (Gianni Riotta, Repubblica, 28.1). La parola all’esperto.

Senti chi parla/2. “La diaspora 5S ci preoccupa” (Debora Serracchiani, capogruppo Pd alla Camera, Stampa, 6.2). Fortuna che il Pd è un monolite.

Vasto programma/1. “È giunto il momento di fermare l’epidemia di colpi di stato in Africa” (Mario Giro, Domani, 25.1). Ok, mo’ me lo segno.

Vasto programma/2. “In piazza i ragazzi del Presidente. Ispirati da Mattarella: ‘Vogliamo prenderci il futuro’” (Viola Giannoli, Repubblica, 5.2). Ah, ecco per cosa manifestano gli studenti: per riprendersi il futuro, cioè per il Mattarella bis.

Il titolo della settimana/1. “Berlusconi non è più di destra” (Piero Sansonetti, Riformista, 2.2). Uahahahahah.

Il titolo della settimana/2. “Booster solo con Moderna. Pfizer per giovani e No vax” (Messaggero, 31.1). Il famoso vaccino per chi non si vaccina.

Il titolo della settimana/3. “Tajani: ‘Il Cav avrebbe vinto se fosse andato al voto’” (Giornale, 31.1). E se avesse votato da solo.

Il titolo della settimana/4. “Più forte di chi l’ha fatto a pezzi: la rivincita di Mario” (Riformista, 3.2). Tranquilli: è Balotelli.

Il titolo della settimana/5. “La Disney ‘alza’ i nani per tenere tutti buoni” (Libero, 27.1). Ma niente da fare: Berlusconi ha rinunciato lo stesso.

Per il kolossal su “Napoleone” Scott ingaggia il “re” Phoenix

Ridley Scott ha iniziato a girare nella contea inglese di Oxfordshire Napoleon, un kolossal targato Apple, di cui è protagonista Joaquin Phoenix, incentrato sulla rapida ascesa di Bonaparte e raccontato dal punto di vista della sua turbolenta relazione con Giuseppina (Vanessa Kirby, già principessa Margaret nelle prime due stagioni di The Crown).

 

Dopo il recente On the Rocks, in cui è tornata a dirigere il suo attore feticcio Bill Murray, arriva per Sofia Coppola un nuovo progetto di Apple Tv+, la miniserie Custom of the Country, che la regista ha sceneggiato dal romanzo omonimo di Edith Wharton nel 1913. La protagonista Undine, una ragazza del Midwest bella e ambiziosa che si trasferisce con la sua famiglia a New York dove sposa l’aspirante poeta Ralph, tenta di farsi strada e integrarsi nell’alta società cittadina.

 

Le vicende personali e professionali dell’imprenditore Raoul Gardini saranno al centro di un docu-film per Rai1 intitolato Gardini, interpretato da Fabrizio Bentivoglio e diretto da Francesco Miccichè, anche sceneggiatore (con Giovanni Filippetto e Denise Pardo): il progetto nasce da un’idea di Gianandrea Pecorelli e ha il supporto delle famiglie Gardini e Ferruzzi. Le riprese inizieranno a marzo tra Ravenna e Roma a cura di Aurora Film e Rai Fiction.

 

Le recenti vicissitudini private e di salute (oggi felicemente archiviate) del giovane attore Filippo Laganà, figlio del comico Rodolfo, sono al centro di Amici per la pelle, in cui il 27enne Filippo recita la parte di se stesso e Massimo Ghini e Nancy Brilli quella dei suoi genitori. Diretto in questi giorni tra Roma e Pescara da Pierluigi Di Lallo e prodotto da Digilife Movie con Rai Cinema, il film è interpretato anche da Caterina Gonnelli, Giampiero Ingrassia, Milena Miconi e Gianfranco Iannuzzo.

Sanremo, sipario in trionfo tra leggerezza e Costituzione

La sostenibile leggerezza dell’Ariston. Delle canzoni, certo: il pas de deux libertario e fluido di Mahmood & Blanco, il giovanilismo agonistico di Morandi, la grazia fiabesca di Elisa. Tanta voglia di rimuovere l’angoscia pandemica: con le ballate, il soul, le marcette, la discoteca. È la colonna sonora del Paese che scollina dal plateau. Ha stravinto di nuovo il made in Italy musicale, divenuto eccellenza grazie ai Måneskin. Dunque occhio a Spotify, dove gli streaming di Mahmood & Blanco per Brividi sono già arrivati a 7 milioni e mezzo, quote da Adele o Dua Lipa. È il merito di Amadeus: aver pescato jolly che portano Sanremo e la nostra asfittica discografia al centro del villaggio. In attesa dell’Ama IV, V, ad libitum: solo allora, ammette la Rai, si studierà una direzione artistica-conduzione al femminile. E magari saranno introdotti meccanismi di voto al passo coi tempi, computando anche gli streaming nel sistema delle giurie.

Ci vorrebbe un superamico. I numeri non ammettono obiezioni: la quarta serata ha superato il 60% di share, roba da mono-canale Filogamo. È stato il Sanremo dell’apoteosi dell’ormai autocratico Amadeus, l’antistar che ha dimostrato di poter fare a meno, entro certi limiti, anche dei “superamici”: Fiorello l’ha mollato dopo la prima, Jovanotti è sbucato in Riviera a miracol mostrare, pro domo sua, anzi pro-Gianni. È innegabile che la sua presenza nel medley venerdì abbia sparato Morandi verso l’infinito e oltre. Poi, da superospite, ha recitato poesie e regalato pennarelli ad Ama. Gli autori non l’avevano indicato in scaletta e la Rai ha ignorato le proprie norme scritte: cioè che gli ospiti debbano essere formalmente concordati entro il 24 gennaio. Jova si è presentato alla porta carraia venerdì mattina, Ama giura che non ne sapeva nulla (peccato che nei corridoi lo smentiscano, sostenendo che la sorpresa fosse nota da giorni). Il direttore artistico si è imbizzarrito contro i cronisti che gli facevano notare certi slalom procedurali in cui si era prodotto in nome del “superamico” Lorenzo. Detto questo: alzi la mano chi avrebbe impedito a Jovanotti di fare la sua parte in quello che Coletta ha definito “un duetto straordinario che resterà nelle teche Rai”.

Beata l’ultima. L’ultima co-conduttrice è naturalmente la regina. Sabrina Ferilli si prende il palco che già fu suo quando ancora si usava la parola valletta, anno 1996, regnante Baudo. In questi giorni si sono sprecati aggettivi per chiunque, nel caso di Sabrina però è tutto vero: bella, intelligente, simpaticissima. Stravince dal mattino, quando spiega che non intende né ballare né cantare né fare monologhi “sennò vi facevo due coglioni così”: “Avevo proposto ad Ama di spogliarci entrambi e fare un trenino brasiliano, ma il Festival non è ancora così avanti”. Come è andato l’ingaggio? “M’hanno chiamata, ho detto subito di sì. Ma stavo prendendo farmaci per la cervicale, di solito non prendo mai niente, ero un po’ stonata. Per giorni ho pensato: vuoi vedere che me lo sono sognato?”. Poi ha fatto sognare l’Ariston, splendida in rosa cipria.

Secondo Marco. Mengoni è tornato per ricantare L’essenziale e per la nuova canzone Mi fiderò (stavolta senza Madame). Ma soprattutto per un dialogo con Filippo Scotti, protagonista di È stata la mano di Dio. Il cantautore ha parlato degli articoli 3 e 21 della Costituzione: “Dobbiamo”, ci aveva spiegato prima delle prove, “tornare alla tenerezza e alla gentilezza. Abbassare i toni, non cedere all’istintività come abbiamo fatto in questi anni. La libertà di parola è sacra, però si sono oltrepassati i limiti. Torni il tempo della condivisione, della delicatezza. Degli abbracci”. Mengoni, che fu tra i primi a chiedere il bis a Mattarella.

Alla carriera, o quasi. Un riconoscimento non si nega a nessuno, soprattutto se hai una certa età e sei venuto a rischiare femore e carotidi all’Ariston. La Sala stampa ha attribuito il Premio della Critica a Ranieri, quella delle Radio e Tv ha optato per Morandi. Segnale per i ragazzini: fatevi il mazzo, tra cinquant’anni ne riparliamo.

“La maga di Patty Pravo. La tuta leopardata di Zero. E la dura crisi di Morandi”

Mimma Gaspari non è un dietro le quinte dello spettacolo.

Lei è dentro le quinte.

Dalla fine degli anni Cinquanta ha attraversato note e rime; ha difeso, rilanciato, (soprattutto) scoperto, esaltato il talento altrui; ha sentito l’odore del palco, ha celebrato la liturgia dei dischi; ha visto Domenico Modugno “tremare prima di cantare a Sanremo”; ha conosciuto Renato Zero quando era già vestito di tute leopardate, ma di cognome faceva solo Fiacchini (“che scena quando è arrivato nei nostri uffici”); ha riso con Jannacci, ha assistito Antonello Venditti e Francesco De Gregori mentre affinavano il loro cantautorato, ha creduto in Gianni Morandi quando le spalle girate erano diventate la sua quotidianità.

Lei, dalla metà del secolo scorso, è diventata uno dei più importanti punti di riferimento della discografia italiana e la sua vita è diventata un libro: La musica è cambiata?!. Quando racconta spesso si diverte: utilizza storie, esperienze, bei momenti e meno belli con la forza di un’orchestra ben diretta.

Sanremo: chi l’ha colpita?

Morandi resta la più bella voce italiana, mentre Blanco è il più bravo tra gli emergenti; (pausa) tra i giovani, anche se non è al Festival, il migliore resta Ultimo e lo apprezzo per due ragioni: primo, è un artista sincero nelle sue composizioni; secondo, per lanciarsi, non si è mai appoggiato a Renato Zero nonostante lo conoscesse per ragioni famigliari.

È stata tra le prime a lavorare con Renato Zero.

(Ride) Una delle prime volte che lo vidi fu all’inizio del 1968. Non aveva ancora 18 anni. Ma entrò al bar della RCA come se fosse già un grande personaggio, uno noto a tutti, coperto da una tuta leopardata di velluto aderente, con le piume intorno al collo.

Sobrissimo.

Era l’ora di pranzo, accanto avevo tre muratori in pausa: a uno di loro cadde dalle mani la michetta con la mortadella (le squilla il cellulare. Lo prende da un mobile dove c’è una foto inseme a Valeria Golino).

E lei?

È mia nipote; il suo primo film è arrivato grazie a una mia telefonata alla Wertmüller.

Cioè?

Valeria aveva solo 16 anni ma già una forte passione per il cinema: un giorno mi disse che la sera stessa avrebbe incontrato un produttore, un tizio che conoscevo bene e non mi piaceva; uno con una pessima fama.

Quale?

Simile a quella di Weinstein.

Insomma?

Doveva accompagnarla un fratello di mio marito, fino a quando il produttore stesso specificò: “Meglio se sei sola”. A quel punto le ho detto di “no”, poi ho chiamato Lina e le ho chiesto di incontrare Valeria.

Ed è andata bene.

Valeria già da ragazzina dimostrava una tenacia, una forza, una caparbietà ammirevoli: dopo un incidente di cavallo è rimasta a letto, immobile, per tre mesi; così ha chiesto gli occhiali prismatici, e da sdraiata ha imparato il francese insieme a un’insegnante.

Mentre di solito gli artisti vengono definiti “fragili”…

E lo sono: prima di salire sul palco di Sanremo ho visto Modugno tremare. Eppure era già Modugno.

Tra i “fragili” c’è la Ferri.

Con Gabriella ho passato anni bellissimi, intensi sul piano umano e artistico, ma lei è sempre stata un soggetto incline agli stati di depressione; se avesse continuato a lavorare non si sarebbe buttata di sotto. (Pausa) Quando cantava era felice e poi aveva una dote introvabile, un istinto primordiale: con lei non serviva mai provare una canzone due volte, era perfetta alla prima; come la Ferri ho visto solo Frank Sinatra.

Temeva il palco.

Una volta mi disse: “Il pubblico mi vuole mangiare”.

È una sensazione sua o comune tra gli artisti?

Il successo è una malattia; la paura di perderlo è un’altra malattia. Queste due forze creano una tensione tremenda.

Come la Ferri anche Mia Martini.

Intorno a lei c’è stato il vero orrore; (cambia tono) negli anni Ottanta stavo in Fonit Cetra e lei era una delle artiste del gruppo; un giorno la vado a trovare: viveva nell’appartamento del suo parrucchiere, un luogo molto modesto, spoglio; lei giù di morale, senza soldi né voglia di ragionare sulle prospettive. Poi andammo a Sanremo con Almeno tu nell’universo, ma per portarla fu una lotta incredibile: non la volevano.

Per anni nessuno ha voluto Gianni Morandi.

Canzoni stonate l’ho scovata io e quel brano l’ha salvato; (pausa) non trovavo qualcuno che scrivesse per lui.

Cioè?

Si tiravano tutti indietro; lo stesso Lucio Dalla veniva da me e pensava di dovermi sollecitare: “Mimma trova un repertorio per Gianni”. “Mi dai una tua canzone?”. Macché. Erano tutti bravi a parole, e poi c’era De Gregori che era in causa con Gianni…

E allora?

Un giorno arriva Aldo Donati con questo brano e io obtorto collo lo prendo.

Che vuol dire?

Donati era con la Schola Cantorum e li avevo coinvolti in Senza rete, trasmissione della Rai: grazie alla tv erano riusciti a entrare in classifica; così Aldo era in debito con me, quindi azzardai: “Il pezzo è bello, ma devi lasciarmi la possibilità di far intervenire Mogol sul testo”; (sorride) eppure non ci crede.

Chi?

Morandi! È ancora convinto che il merito sia di Mogol e Donati, nonostante le spiegazioni dello stesso Donati.

Insomma, Morandi ha passato anni difficili…

Già nel 1968 era convinto di aver finito, mentre io lo vedevo come il crooner italiano; lui non ci credeva e ripeteva: “Ormai ci sono i cantautori”.

Com’è la storia della causa con De Gregori?

Gianni incise un medley con dentro un minuto di un pezzo di Francesco che per questo lo ha portato in tribunale: “I miei brani vanno cantati interi”.

De Gregori ha un po’ il caratterino…

(Sospira ma non risponde) Il giudice s’incazzò: “Non ho tempo da perdere”.

La vita in RCA.

C’era sempre il conflitto tra noi e il reparto vendite: per loro ovviamente contavano solo i risultati immediati, così volevano cacciare Lucio Dalla, oppure arrivavano pessimi feedback su Rimmel di De Gregori e Margherita di Cocciante. Per loro Vengo anch’io non era una canzone.

I primi quattro dischi di Dalla non sono stati grandi successi…

Vendevano circa 3 mila copie ciascuno, eppure Melis (il grande patron della RCA) non lo ha mollato, anzi è stato lui a obbligarlo a scriversi le canzoni: “O lo fai o sei fuori”.

E Dalla?

Temeva di offendere Roversi (il paroliere dei primi lavori); dopo una settimana si è presentato con Com’è profondo il mare.

De Gregori e Venditti…

(Ride) Ognuno controllava quanto vendeva l’altro.

Si marcavano.

Erano diventati una leggenda eppure non fu semplice portarli in RCA…

Come mai?

Erano di estrema sinistra, quindi non rappresentavamo il loro ideale; anche in quel caso fu fondamentale Melis: “Ci penso io, basta un pranzo”. Al caffè avevano firmato.

Un talento da considerare “sprecato”.

Piero Ciampi, artista che ho amato tantissimo, ma impossibile: la prima volta che l’ho visto era nell’ufficio di Melis. Entro. Saluto. E Piero rivolto proprio a Melis: “Chi è questa puttana?”.

Buongiorno.

Era ubriaco. E Melis lo cacciò dalla stanza.

Per il libro ha chiesto a una serie di artisti qual è la canzone italiana migliore. Vince Senza fine

Gino Paoli l’ho conosciuto al Cantagiro, cantava Sapore di mare: quel giorno indossavo un bel vestito rosa, molto apprezzato da Dalla.

E Paoli?

(Sorride) Non l’ho mai raccontato a mio marito: Gino, prima di salire sul palco, mi assestò una pacca sul sedere. Sosteneva che gli portavo fortuna.

No, ci provava.

La prima volta mi sono scocciata, ma Paoli niente: mi beccava di soppiatto e “pac”: per tutto il Cantagiro siamo andati avanti così.

Ci provava.

Mai avuto una storia con un cantante.

Mai, mai?

Dorelli è stato il primo che ho conosciuto: una sera stavo in ufficio, arrivò lui: “Ceniamo insieme?”. “Mi spiace, non esco con gli artisti”. Con Johnny ci abbiamo riso per anni.

Da Gino Paoli a Ornella Vanoni è un attimo.

Donna fantastica, una pazza scatenata; innamorata di Gino come non ho mai visto nessun altro; (ride) una volta è scappata a metà dal parrucchiere perché i tempi erano diventati troppo lunghi e lei temeva di arrivare tardi da Paoli; (pausa) in quegli anni c’era un gran bel gruppo di musicisti genovesi, e mi dispiace solo si parli poco di Umberto Bindi.


Il nostro concerto è un capolavoro.

E lui una persona meravigliosa, ma avvolta nella “questione omosessualità”, tanto da sballargli tutti i parametri, compreso quello economico. A un certo punto si rovinò.

Rispetto ai soldi Bindi non è l’unico…

Negli anni Sessanta ho visto Patty Pravo spendere un milione e mezzo tra rossetti e occhiali da sole.

Lei ha fatto moda.

Patty possedeva già allora una incredibile capacità di scovare l’abbigliamento giusto a creare una tendenza.

Ha mai protetto un suo artista da qualcuno che si approfittava di loro?

Proprio per la Pravo ho rischiato il licenziamento; (pausa) dopo aver conquistato la classifica, iniziò ad affidarsi a una maga-astrologa. Tutto passava da questo soggetto, ogni decisione, pure quotidiana; (pausa) i cantanti, specialmente le donne, sono molto soli e si affidano a soggetti strani.

Quindi la Pravo?

Per lei era pronto un grosso contratto pubblicitario ma a patto che partecipasse a Canzonissima. Vado da lei, con la maga presente, le spiego la situazione e la saluto. Il giorno dopo mi chiama Melis: “La Pravo ha inviato un telegramma e sostiene che l’hai ricattata”.

Come ne è uscita?

Con la verità, ma da allora non ho più lavorato con lei; per molti anni non ci siamo neanche salutate.

Cantanti che si sono montati la testa?

Capitava, stava a me rimetterli al loro posto; vede, da noi certe carriere sono molto differenti rispetto agli Stati Uniti: quando ho conosciuto Nancy Sinatra ho scoperto che aveva passato quattro anni in accademia prima di poter incidere una canzone con suo padre; quattro anni a studiare musica, canto e ballo. Da noi figuriamoci.

Ha conosciuto pure Frank Sinatra.

Pessimo carattere, faticammo anche a riempire la sala per il concerto. Ma una volta sul palco capii perché era il numero uno.

L’artista con il quale si è maggiormente divertita.

Assolutamente Jannacci. Per anni non ha dormito: il giorno studiava Medicina, la sera suonava e, in ospedale, se qualcuno lo riconosceva per averlo visto su un palco, negava. Temeva gli compromettesse la carriera; Enzo era un vero genio.

L’artista più completo.

Paolo Conte. E lo è ancora.

La voce più bella.

Morandi.

Più di Baglioni e Dalla?

Le loro sono bellissime, particolari; quella di Gianni è più versatile.

Il più determinato.

Renato Zero.

Un rimpianto.

Non aver lavorato con Samuele Bersani, per me non è stato supportato come merita; Dalla lo accusava di essere pigro.

Sesso, droga e rock…

Di droga qualcosa so, ma non trovo giusto parlarne.

Ha avuto più problemi per il sesso o per la droga?

Con il sesso no; (sorride) anzi, quando Patty Pravo e Riccardo Fogli si sono messi insieme ho visto l’amore, ho visto Patty presa come mai prima.

Lei ha visto cose…

(Ride) Io ho visto lettere di fan offrire realmente un occhio a Dino: per un malinteso si era diffusa la voce che aveva problemi di vista e quindi si era scatenata la corsa ad aiutarlo.

Quanto si è divertita?

Moltissimo.

Lei chi è?

Uno spiritaz.