Putin , laggiù a Buenos Aires, “ha salvato vite” nel periodo più buio della pandemia e per questo il Paese è profondamente “agradecido”, grato. Inviando il vaccino russo, proprio “nel periodo in cui le dosi scarseggiavano”, il presidente di Mosca ha risollevato le sorti sudamericane. Un paio di giorni fa il presidente argentino Alberto Fernandez, ex avvocato dai baffi bianchi e un’indole non incline alle mosse sottotraccia, è arrivato al Cremlino per ringraziare il leader russo. Prima di volare a Pechino per assistere alle Olimpiadi e sedersi tra i capi di Stato che hanno deciso di non boicottarle come quelli di Washington e Londra, Fernandez ha incontrato Putin per proporgli di usare il suo Stato “come una porta d’entrata” in America Latina. I due Paesi vantano un’amicizia lunga almeno 150 anni, i buoni rapporti li mantengono per il rispetto dei reciproci interessi, ha ricordato il leader russo. Per questo Mosca, ha ribattuto Fernandez, può essere l’amica giusta per “ridurre la dipendenza dagli Stati Uniti e dal Fmi, Fondo monetario internazionale”, a cui Buenos Aires deve 44 miliardi di dollari.
Questa somma colossale Fernandez l’ha ereditata dal suo predecessore, il destrorso Mauricio Macri: “Nel 2015 il governo argentino ha rivolto lo sguardo agli Usa, generando l’enorme debito che abbiamo”. La morsa di Washington è “una camicia di forza” da cui i Kirchner, la coppia presidenziale di Nestor e Cristina, già provarono a liberarsi. Accompagnato dal ministro degli Esteri Santiago Cafiero ma soprattutto dal capo del suo dicastero economico, Martin Guzmàn, fondamentale per l’avvio di potenziali collaborazioni commerciali, Fernandez ha assicurato al vertice del Cremlino che questo è “il momento favorevole in cui si può avanzare insieme in molti campi”. Una stretta di avambracci e sorrisi, occhi negli occhi, ha blindato un nuovo patto d’amicizia stretto in un momento delicatissimo davanti alle telecamere. Le dichiarazioni dei due, raccolte in un comunicato congiunto “hanno inquietato” i maggiori creditori dell’Fmi, ovvero gli americani. La Casa Bianca è preoccupata, ma non meravigliata. Già quando il presidente venne eletto nel 2019, Mauricio Claver, il consigliere per l’America Latina dell’amministrazione Trump, chiese ad alta voce: “Vogliamo sapere se Fernandez sarà un avvocato per la democrazia o un apologeta delle dittature e dei signori della guerra come Maduro, Correa o Morales”. Anche in patria Fernandez ha ispirato stupore e malcontento. “Una mala idea”. Per l’opposizione del leader di Frente de Todos, Fronte di tutti, coalizione peronista nata per eleggerlo nel 2018, è stata “una cattiva idea” stringere la mano a Putin proprio nel pieno della crisi militare al confine di Kiev. Jorge Faurie, ex ministro degli Esteri argentino, ha detto che si tratta di un gesto “incomprensibile e ingiustificato” e la “porta verso il Sud America” potrebbe solo rendere l’Argentina un nuovo varco di confronto su scala globale. Dal binocolo di Mosca, invece, l’Argentina è stata il primo Paese dell’emisfero occidentale ad approvare lo Sputnik, il siero di Putin che transitò poi verso Perù, Ecuador e Paraguay. Nello scacchiere sudamericano, per l’esercito e l’industria bellica russa, l’Argentina potrebbe trasformarsi nel terzo potenziale avamposto dopo quelli storici di Cuba e Venezuela. Partito da Mosca, Fernandez ha raggiunto Pechino dove si stanno celebrando i grandi Giochi degli accordi politici più che quelli delle Olimpiadi invernali fatti di di podi e medaglie. I rapporti di forza tra le nazioni si evidenziano più nelle tribune che sulle piste delle gare e l’elenco delle delegazioni straniere assenti finisce nei titoli dei giornali più dei record degli atleti.
La Cina non si fa distrarre e ha già un piede in Argentina dove investe e avanza. Lo fa a Buenos Aires, specialmente nel settore delle infrastrutture, sviluppando centrali idroelettriche e progetti per le energie rinnovabili. Quattro giorni fa – dopo anni di stallo iniziati durante l’amministrazione dell’ex presidente e ora vice presidente Cristina Kirchner – la Cnnc, agenzia nucleare statale del Dragone, ha apposto la firma al contratto per la costruzione dell’Atucha III.
Si tratta di una centrale nucleare da 8 miliardi di dollari che Pechino tirerà su in pochi anni nelle lande argentine. Ci sono le radiazioni, ma anche soia e carne di manzo: quelle che Pechino importa in quintali lasciando allo Stato sudamericano valuta estera, che spesso scarseggia nei depositi come le riserve di grano di cui il Paese è produttore.