Non è un caso che il presidente Michel Aoun abbia deciso di aprire all’ipotesi di un attacco missilistico proprio il giorno dopo la visita a Beirut del suo omologo francese Emmanuel Macron”, dice Saad Kiwan, giornalista e scrittore, già docente di Giornalismo e direttore della fondazione Samir Kassir, il noto intellettuale ucciso da un auto bomba a Beirut nel 2005, l’anno in cui fu fatto saltare in aria con lo stesso metodo il magnate e già premier Rafiq Hariri, padre di Saad, ex primo ministro e oggi a capo dell’opposizione.
Secondo Kiwan, il cristiano Aoun, dopo aver parlato con Macron, ha compreso che l’unico modo a sua disposizione per salvarsi politicamente è prendere le distanze dall’alleato Hezbollah scaricando la responsabilità di quanto accaduto su un attore straniero, tra parentesi Israele, per accusare indirettamente il partito armato sciita creato e sostenuto dall’Iran, da sempre in guerra per l’appunto con Tel Aviv, di quanto accaduto.
Alludere a un attacco missilistico significa infatti ammettere che nel porto di Beirut erano immagazzinate anche armi e munizioni del partito armato sciita che guida di fatto il neo esecutivo ed è stato determinante per la nomina di Aoun alla presidenza del Libano. “Far saltare il porto di Beirut è anche l’unica maniera efficace per bloccare il trasferimento di armi dall’Iran a Hezbollah e impedire il controllo dello scalo da parte degli uomini di Hassan Nasrallah. Ma tra Israele, Hezbollah e l’Iran fino a poche settimane fa era in corso una sorta di tacito accordo per evitare una nuova guerra in Libano. Il problema è che l’esercito paramilitare di Hezbollah nelle ultime settimane ha provocato continuamente Tel Aviv mandando i suoi miliziani oltre confine, in territorio israeliano. E proprio una settimana fa il ministro della Difesa israeliano aveva minacciato di far saltare le infrastrutture libanesi”, sottolinea Kiwan.
Lo sciismo politico ha come strategia la conquista del ruolo di unico attore politico nell’arena libanese. In seguito agli accordi di Taif – sottoscritti nel 1989 sotto l’egida dell’Arabia Saudita e degli Usa – Hezbollah, nato all’inizio degli anni 80, avrebbe dovuto sciogliere le milizie che costituiscono il suo braccio armato. Avviene invece il contrario e, grazie ai soldi e alle armi provenienti da Teheran, oltre ai proventi dell’hashish prodotto nella valle della Be’eka, Hezbollah si ritrova con un vero e proprio esercito. Due anni fa il sito americano investigativo Politico e in seguito anche quello francese Mediapart avevano documentato non solo il traffico di droga gestito da Hezbollah dal Libano, ma anche i legami con i cartelli dei narcos sudamericani attraverso la dispora libanese in Centro e Sudamerica. Persino l’attuale ministro venezuelano del Petrolio, Tareq el- Aissami che fu vicepresidente di Hugo Chavez è ricercato dalla magistratura statunitense per i suoi rapporti con i narcos colombiani e messicani.
Secondo la magistratura americana buona parte dei libanesi che hanno fatto fortuna in Sudamerica sono agenti di Hezbollah nonchè narcotrafficanti. Gli accordi di Taif avevano inoltre sancito “rapporti speciali” con la Siria che avrebbe esteso la propria autorità su tutto il Libano, disarmando le milizie e provvedendo alla sicurezza in attesa della ricostituzione dell’esercito nazionale. Hezbollah e l’Iran hanno sempre rifiutato le condizioni poste dall’accordo, ma anche la Siria del clan Assad di religione alawita (derivazione dello sciismo) ha sempre evitato di fare pressioni per lo smantellamento dell’esercito e degli arsenali di Hezbollah che ha contraccambiato il favore combattendo al fianco del presidente-dittatore siriano Bashar al-Assad oggi ancora al potere dopo nove anni di guerra civile.