Pranzo con Silvio e due sventole, cena con Rambo e due boyscout (arrosto)

E per la serie “Chiudi gli occhi e apri la bocca”, eccovi i migliori programmi tv della settimana:

Rete 4, 10.20: Benvenuti a tavola, fiction. Durante una cena al ristorante, Silvio vede Francesca, una sua presunta ex, baciare Paola.

Paramount Network, 21.10: Il genio della truffa, film-commedia. Roy è un truffatore abilissimo nel suo lavoro, nonostante sia afflitto da tic e nevrosi di ogni tipo. Quando incontra una ragazzina che dice di essere sua figlia, i tic aumentano.

Rai 1, 10.15: La Santa Messa, fiction. L’ambiguo figlio di Dio, Gesù, viene trovato morto su una croce. Un sacerdote racconta in esclusiva i retroscena che mettono in discussione la causa ufficiale del decesso, ovvero il suicidio.

Rai 1, 21.25: Superquark, documentario. Il servizio di apertura realizzato dalla Bbc è dedicato allo sperma. Lo sperma viene eiaculato a circa 40 km/h. Che è anche la velocità con cui Usain Bolt corre i 100 metri. Questo significa che se Bolt eiaculasse durante i 100 metri, il suo sperma resterebbe dentro.

Real Time, 21.10: The Facchinettis, reality. Francesco Facchinetti sta per scoprire il segreto nascosto nel passato della moglie Wilma, bellissima influencer e fashion blogger brasiliana, nonché dentista con specializzazione in chirurgia facciale, che dopo aver lavorato in un ospedale in Brasile ha cambiato vita e si è trasferita a New York, dove ha lavorato nell’ufficio comunicazione e marketing della stilista Vera Wang. Lei, ignara, è convinta di essere stata finalmente accettata dal marito.

Canale 5, 14.10: Una vita, soap. Con la scusa di incrementare gli affari, ma in realtà mosso dal desiderio di rivedere Cinta, Emilio propone alla madre di organizzare sequestri di persona.

Sky Cinema Uno, 21.15: Yesterday, film-thriller. A causa di un strano incidente, Jack, mediocre cantautore, si risveglia in un mondo che non ha mai sentito parlare dei Beatles, e decide di raggiungere il successo cantando le loro canzoni. Ma un giorno un fan, Mark Chapman, gli chiede di autografargli un suo Lp…

Rai 3, 13.15: Passato e Presente, documentario. 31 gennaio 1991: si apre a Rimini l’ultimo congresso del Pci, rimasto famoso perché il primo giorno, fra i dirigenti, accanto a Occhetto era seduto Gasparri, che non si accorse del suo sbaglio finché Natta, da dietro, non gli bussò su una spalla.

Rai 1, 20.35: Techetechetè, varietà. La puntata del martedì è sempre dedicata a Sanremo. “Sanremo fotografa meglio dell’Istat. Ché quel sipario, come sempre, non si alzerà su uno show più o meno riuscito. Ma su una cartina del Paese, un grande punto rosso, con la solita e definitiva didascalia: voi siete qui” (Luca Bottura, Robinson, 01.02.20). “Pensare il festival di Sanremo come ‘specchio dell’Italia di oggi’, sia pure contraddittorio e approssimativo, è una baggianata” (Luigi Manconi, Robinson, 01.o2.20).

Real Time, 18.30: Cortesie per gli ospiti, docu-reality. Se stai in accappatoio di spugna dentro casa sembri ricco, se stai in accappatoio di spugna fuori casa sembri povero.

Rete 4, 10.10: I Cesaroni, sit-com. Il pomeriggio del 7 agosto 1990, Simonetta si reca al lavoro in un appartamento al terzo piano del complesso di via Carlo Poma n. 2 a Roma.

Sky Cinema Action, 19.45: Rambo, film-azione. Accusato ingiustamente di omicidio, Rambo, un veterano della guerra del Vietnam, viene braccato dalla Guardia Nazionale. Si rifugia nel bosco, dove, non avendo fiammiferi, strofina insieme due boyscout e accende il falò per la cena.

 

L’analisi – Serve chiarezza e rispetto dei fatti, non polvere su quelle macerie

Se è vero che il virus è arrivato come un treno, che piano piano ha preso sempre più velocità, stazione dopo stazione, fino a deflagrare all’improvviso, le polemiche a cui stiamo assistendo in questi giorni non fanno altro che alzare polvere tra le macerie, sui luoghi di quella tragedia. Oltre a mancare di rispetto ai tanti cittadini, riuniti o meno in un comitato, che chiedono e si aspettano chiarezza sui fatti e le responsabilità. “Penso ci prendano in giro”, dice Consuelo Locati, di “Noi denunceremo”. “Credo che questi verbali desecretati siano uno specchietto per le allodole. Erano tutte cose note. Noi quello che chiediamo sono gli atti precedenti al 3 marzo, quelli a partire dal 22 gennaio”, e da quella prima circolare del ministero della Salute in cui si parlava delle polmoniti da Sars-Cov-2 da Wuhan. Anche per Jacopo Scandella, consigliere regionale lombardo del Pd, che aveva fatto proprio mesi fa la richiesta di accesso al famoso verbale del Cts del 3 marzo, “sono informazioni note almeno da giugno. A emergere allora come oggi è che non era vero che Regione Lombardia avesse richiesto la zona rossa in Val Seriana e che, a conti fatti, avevano i dati e il potere, non la prontezza e il coraggio di farlo”. Il 3 marzo, quando il Cts propose al premier Conte di adottare per Alzano e Nembro “le opportune misure restrittive” già in atto per i dieci comuni della provincia di Lodi, era già tardi. Troppo tardi. Perché il virus – quel treno che viaggiava sfrecciando nelle valli del Bergamasco, oltreché del Lodigiano – era già sfuggito. Dalla notte tra il 22 e il 23 febbraio, all’ospedale di Alzano, e a Lodi. Da allora fino al 3 marzo, in soli 9 giorni, i contagi e i decessi in quell’area aumentarono in modo esponenziale. Il 25 febbraio i casi riscontrati di Covid nella Bergamasca erano 10: sei erano persone passate dal pronto soccorso di Alzano. Il 28, i positivi erano saliti a 20 in 24 ore (+100%). La situazione precipita. E siamo a marzo. I sindaci aspettano la Regione, la Regione aspetta il governo, il governo aspetta “il parere più articolato” del Comitato. E intanto “Bergamo is running”.

Il leader e Ceccardi inaugurano la pista col buco in mezzo

Di Matteo Salvini si può dir tutto, meno che non si dia da fare per il suo partito. Promuove sagre, pubblicizza banchetti, inaugura piste ciclabili in giro per l’Italia, a maggior ragione durante la campagna elettorale. Domani, per dirne una, sarà a Pisa con la candidata alle Regionali in Toscana Susanna Ceccardi, e difficilmente si farà sfuggire l’occasione di presenziare all’apertura della nuova ciclopista che collega la città al mare.

Chissà però se Salvini è a conoscenza di una particolarità della ciclabile, costruita seguendo il percorso dei vecchi binari di un tram: a un certo punto, anziché seguire le rotaie (e il progetto originario), la pista devia bruscamente. Il motivo? Bisogna aggirare i tavoli di un ristorante che, per stessa ammissione dell’assessore ai Trasporti pisano Massimo Drignoli, si allarga “in parte su un terreno demaniale”, cioè quello dei vecchi binari. E invece di avanzare pretese su quegli spazi, il Comune e i tecnici del progetto hanno preferito legittimare lo status quo e cambiare percorso, motivo per cui il Pd locale ha presentato un esposto in Procura.

Mettiamo ordine. A Pisa un tempo esisteva il “trammino”, ovvero un comodo collegamento su rotaia che portava fino a Marina e a Tirrenia. La linea fu chiusa nel 1960 e da allora dei binari non se n’è occupato nessuno, finché la giunta di Marco Filippeschi – sindaco di centrosinistra dal 2008 al 2018 – ha approvato un progetto di pista ciclabile sul percorso del vecchio tram (tutto di proprietà del demanio), facendosi finanziare dall’Unione europea e dalla Regione Toscana. Un’iniziativa che adesso arriva a compimento e su cui Salvini, Ceccardi e la nuova giunta di destra guidata da Michele Conte si apprestano a mettere il cappello, senza far menzione del piccolo imprevisto all’altezza di via Ivizza, a Marina di Pisa. È qui infatti che il ristorante “La Pineta” dal 1978 ha in gestione gli spazi della vecchia biglietteria del trammino, cui nel tempo ha aggiunto altri tavoli posizionati proprio sui binari.

In un sopralluogo dello scorso giugno, l’assessore Drignoli accompagnò la commissione trasporti sulla ciclopista. All’arrivo di fronte al ristorante, come detto, la ciclabile è costretta a fare il giro largo, riallacciandosi poi agli ex binari una volta passato il fabbricato. A dar conto di quel sopralluogo c’è una registrazione audio: “È stata data in concessione una parte della stazione – ammette Drignoli con i consiglieri – per farci un ristorante e a dire la verità un tantino si era ampliato. Ma bisognava farne una questione e a quest’ora si era sempre a litigare col ristorante, quindi…”. Per evitare lungaggini e bisticci coi ristoratori, si è preferito soprassedere. Il concetto è ribadito poco dopo, alla richiesta di chiarimenti dei presenti: “Se l’amministrazione si mette a fare un contenzioso… un pezzo è demaniale, ma passano degli anni”.

Di tempo invece ce n’è poco, soprattutto con le Regionali alle porte. Il locale è gestito da Maria Fabozzi, che nega anche solo di aver trattato col Comune: “A noi non è stato detto niente. Noi siamo qui dal 1978, cosa fanno mi ripagano di tutti i soldi che abbiamo investito? Non è che perché una mattina gli viene voglia di fare una pista ciclabile mi possono venire a dire di spostarmi”. E infatti nessuno ha imposto nulla, per la gioia non solo della signora Fabozzi ma anche di Johnatan e Dario Barontini, gli altri titolari della locanda. Lo stesso Dario che, peraltro, sui social non nasconde simpatie leghiste con foto e like.

Così il Pd pisano ha voluto vederci chiaro, presentando un esposto alla Procura di Pisa: “Ci siamo accorti subito di questa anomalia – dice il capogruppo Matteo Trapani –, un’anomalia rispetto al tracciato che non viene registrata nella documentazione allegata alla progettazione. Abbiamo studiato le carte e chiesto delucidazione in commissione, ma le risposte sono state confuse e hanno alimentato i nostri dubbi. Per questo ci siamo rivolti alle autorità preposte per un approfondimento”.

Ai dem non va giù non solo la variante, ma anche la strumentalizzazione dell’opera: “Quello che i leghisti non riescono a fare – accusa il consigliere regionale Antonio Mazzeo – è colpa ‘di quelli di prima’, ma quando c’è da tagliare un nastro su cose progettate e finanziate da ‘quelli di prima’, il merito vorrebbero prenderselo loro”.

Se non altro, Salvini e Ceccardi avranno un’occasione pubblica per chiarire la decisione della giunta e del direttore dei lavori.

 

Matteo imbarca anche la Capuozzo di Quarto

“Cosa insegna la vicenda Quarto? Che bisogna scegliere molto bene: la fedina penale a volte non serve”. E ancora: “Mi spiace per i cittadini di Quarto e della Campania, mi spiace che i 5stelle parlino di onestà e poi abbiano problemi di camorra”. Gennaio 2016. Il leader della Lega Matteo Salvini, in piena onda anti-M5S, era tra i principali accusatori della sindaca M5S di Quarto (Napoli) Rosa Capuozzo, coinvolta in un caso di abuso edilizio nella casa del suocero, che fece emergere anche le pressioni ricevute dal consigliere pentastellato Giovanni De Robbio (su cui pesa un recente rinvio a giudizio sulla vicenda).

Per giorni Salvini e la Lega chiesero il passo indietro della prima sindaca grillina in Campania con tanto di flash mob sotto al Comune di Quarto, con cori e striscioni: “Dal vostro Movimento ipocrisia e omertà, il vostro moralismo un mucchio di falsità” cantavano gli attivisti. La sindaca di Quarto poi fu espulsa dal Movimento 5 Stelle e rimase in Comune per altri due anni, fino a fine consiliatura, sostenuta da una serie di liste civiche di centrodestra e con l’appoggio esterno del Partito democratico.

Oggi però, dopo un avvicinamento temporaneo a Fratelli d’Italia, chissà cosa diranno Matteo Salvini e gli attivisti della Lega che quattro anni fa manifestavano sotto il Comune, dell’ennesima giravolta dell’ex sindaca di Quarto: Capuozzo si candiderà alle prossime Regionali campane proprio nelle file del Carroccio, appoggiando il candidato di Fratelli d’Italia, Stefano Caldoro. Dopo giorni di rumors, a confermarlo è lei stessa al Fatto Quotidiano: “L’ufficialità non c’è ancora, ma sarò candidata con la Lega alle Regionali del 20-21 settembre in Campania – spiega – e sono molto contenta che il partito di Salvini mi abbia dato fiducia”. Se le si chiede delle sue tante giravolte politiche, Capuozzo però risponde irritata: “Non c’è nessuna giravolta, sono sempre stata coerente con me stessa: ovvero sono una donna di centrodestra”. Ma se si era candidata con il Movimento 5 Stelle: “Certo, ma infatti ho un’idea molto precisa degli ultimi anni: il governo gialloverde è stato uno dei migliori di sempre e adesso la nuova maggioranza M5S-Pd sta smantellando tutto quello che avevano fatto Di Maio e Salvini insieme. Una vera delusione: ora sto convintamente con Matteo Salvini. Pensi che quando ero nei 5stelle organizzavo banchetti per raccogliere le firme per far uscire l’Italia dall’euro”.

L’avvicinamento dell’ex sindaca grillina al Carroccio è arrivato passando per Fratelli d’Italia: il 9 settembre scorso, a pochi giorni dalla formazione del Conte 2, Capuozzo era scesa in piazza a Roma con Giorgia Meloni per dire no al governo giallorosa appena insediato. “Parteciperò per un avvicinamento di idee al partito e al progetto – diceva pochi giorni prima via social – Per il futuro potrebbe sfociare anche una mia adesione al partito della Meloni”. Invece, alla fine, ha optato per l’altro leader del centrodestra, Matteo Salvini. “Ce lo ha chiesto lei – ha detto al Mattino Mario Massimiliano Cutolo, fedelissimo del segretario regionale del Carroccio Gianluca Cantalamessa – e dopo aver valutato e discusso abbiamo accettato”. A intercedere per la Capuozzo sarebbe stato anche il commissario regionale della Lega vicinissimo a Matteo Salvini, Nicola Molteni. Ora Capuozzo dovrà iniziare la campagna elettorale e cercare di conquistare anche quei voti di elettori grillini che l’avevano eletta nel 2015 a Quarto. Chissà se le daranno ancora fiducia, nonostante il cambio di casacca.

“La crisi di Salvini è seria ed è cominciata un anno fa”

“Il trend è quello: Matteo Salvini cala e Giorgia Meloni cresce. Ma non ho la sfera di cristallo, non so se ci sarà il sorpasso. Quel che posso dire, però, è che un leghista su tre (il 32,5%) considera la crisi del Carroccio molto seria e destinata a continuare”. Alessandra Ghisleri, direttrice di Euromedia Research, conferma le difficoltà per il partito di Salvini, anche se, secondo i suoi sondaggi (l’ultimo pubblicato sulla Stampa tre giorni fa), Meloni è ancora lontana di 10 punti. Secondo Ghisleri, infatti, la Lega è al 24,9% (contro il 26,5 del 21 luglio), FdI al 14,9% (13,5) e Forza Italia al 6,8% (6). Mentre il 61,5% del totale degli elettori considera la crisi della Lega irreversibile.

Ghisleri, Salvini non funziona più?

Quello che riscontriamo è che si tratta di un momento di difficoltà più di Salvini che della Lega. Il calo dei consensi è iniziato dopo la crisi di governo dell’anno scorso. Non poter più realizzare promesse come la flat tax hanno scoraggiato molti elettori: lì il sogno ha iniziato a sgretolarsi. Salvini ha pagato non esser più nella stanza dei bottoni.

Poi è arrivato il Covid e il conseguente lockdown…

È in quel periodo che il leader leghista ha perso più punti. Da una parte perché in un momento drammatico gli elettori tendono a stringersi attorno al governo in carica. Poi Salvini ha pagato il mancato contatto con la gente, non poter andare nelle piazze.

Ora ha ripreso a farlo, ma i voti continuano a scendere…

Se i voti diminuiscono, si sta sbagliando qualcosa. A mio parere forse le persone, che sono molto spaventate dai dati economici e temono la crisi, vorrebbero sentire parole più precise, nette e magari anche rassicuranti su quel che potrà accadere. Insomma, questo è più il tempo delle proposte che delle polemiche, dei pompieri più che degli incendiari.

Perché Meloni guadagna voti?

Prima di tutto per la sua coerenza: è ferma sulle proprie posizioni, lineare, non deve farsi perdonare alleanze coi 5 Stelle. In secondo luogo FdI fa una buona politica sul territorio, dove riesce ad attrarre esponenti locali da altri partiti che portano voti. Meloni ha un consenso più territoriale, Salvini è più bravo nel conquistare il voto d’opinione.

Ci sarà il sorpasso?

È difficile dirlo. Tra Salvini e Meloni c’è stato un passaggio di 1 punto e mezzo in una ventina di giorni: parecchio se si considera lo stallo delle forze politiche. Sono voti, però, che restano nel centrodestra, che sfiora il 47,4% dei consensi e si attesta, al momento, come coalizione vincente. Non ci sono voti in fuga verso la maggioranza. Quel poco che si muove è verso Azione di Carlo Calenda (che Euromedia dà al 3,8%, ndr).

Appunto Calenda. Berlusconi teme che gli svuoti Forza Italia.

Calenda è stato bravo a mettersi al centro in una posizione liberaldemocratica e non andare al governo. Ha fatto quello che avrebbe dovuto fare Renzi. Tra gli elettori moderati di centrodestra è attrattivo. Ma c’è un altro dato molto importante.

Quale?

Il 40% degli italiani alle Regionali non andrà a votare o non sa ancora per chi votare. Un numero molto alto che potrebbe sparigliare i giochi in elezioni che saranno decisive. Basti pensare che a settembre molti italiani torneranno nelle loro prime abitazioni, riapriranno le scuole, bisognerà decidere come usare le risorse europee.

Torniamo a Salvini: non pensa che il suo modo di comunicare abbia stufato gli italiani?

Guardi, quel che piace di più agli elettori leghisti è proprio il Salvini che fa i selfie, sorridente, che cerca il contatto e il dialogo con le persone. Lui è fatto così e non si deve snaturare.

Zaia, però, inizia a dargli fastidio…

Non ho sondaggi per dire se i leghisti in questo momento preferiscano il governatore veneto al leader. Zaia è stato avvantaggiato dall’emergenza, che gli ha portato consenso e fiducia. Ha dimostrato di essere un amministratore affidabile. Ma Salvini è ancora molto forte. La competizione potrebbe essere un bene per entrambi.

Chi vince in Toscana?

La partita è aperta. E la Lega prenderà molti voti al Sud.

Noi, i “medici” dei ghiacciai in viaggio al termine delle Alpi

Cominciamo con la buona notizia: l’allarme per il rischio di crollo del ghiacciaio di Planpincieux è un ottimo esempio di prevenzione. In passato questi eventi colpivano di sorpresa, per disinteresse, per mancanza di conoscenza e di mezzi tecnici di monitoraggio, e potevano fare strage. È successo in Svizzera nel triste episodio del ghiacciaio di Allalin il 30 agosto 1965, precipitato sul cantiere di costruzione della diga di Mattmark con 88 vittime.

Ora invece il Planpincieux è un sorvegliato speciale, radar, droni e Gps tengono conto di ogni suo piccolo spostamento in modo da dare il tempo alle istituzioni di evacuare le persone e mettere in sicurezza la zona sotto rischio di valanga di ghiaccio. Ma il comportamento particolare di questo ghiacciaio con fronte sospesa, non è che uno dei tanti segnali di sofferenza del nostro capitale glaciale.

Fa più caldo, sia d’inverno, sia d’estate. Più acque di fusione scorrono tra i crepacci, e arrivano a lubrificare il contatto tra ghiaccio e roccia, agevolando lo scivolamento di importanti settori del ghiacciaio con rischio di collasso. Gli inverni miti riducono la durata del freddo intenso anche alle alte quote, gelo che un tempo penetrava a fondo dentro il ghiaccio cementandolo solidamente alla roccia e oggi lo lascia in balia dell’acqua che lo scava e lo destabilizza. Così cambia il paesaggio, il ghiaccio si riduce, si scoprono superfici di roccia che prive di sostegno e copertura si disgregano e franano, si formano nuovi laghi talora fonte anch’essi di rischio alluvione per i territori sottostanti. È ancora vivo il ricordo della crisi del Lago Effimero nell’estate 2002 al Ghiacciaio del Belvedere sopra Macugnaga, il gigante di ghiaccio che un tempo adornava la mitica parete est del Rosa e oggi è ridotto a un serpente di detriti grigiastri.

Da trent’anni i ghiacciai alpini sono in sofferenza. Ho iniziato a misurarli nel 1986, quando erano ancora ben pasciuti, un’eredità del freddo e delle nevi degli anni Settanta. Poi dal 1988 c’è stata l’inversione di tendenza, è iniziato il ritiro, sempre più accelerato. Rispetto a un secolo e mezzo fa le Alpi hanno perso il sessanta per cento della superficie glaciale. Ogni anno la comunità dei glaciologi documenta come medici al capezzale di malati terminali lo stato di salute di alcuni ghiacciai campione.

Visito il Ciardoney, in Valle Soana, Parco Nazionale del Gran Paradiso, a fine primavera, per valutare quanta neve ha ricevuto nell’inverno, e in autunno, per fare il bilancio di quanto ha guadagnato o ha perduto. Dal 1991, anno di inizio di queste misure di dettaglio, abbiamo sempre chiuso il bilancio con un segno meno, come un conto in banca in rosso, l’unico più – ma per pochi centimetri – è stato nel 2001, un caso isolato. In media i nostri ghiacciai perdono un metro e mezzo di spessore ogni estate.

Sul Ciardoney cammino ora circa quaranta metri più in basso rispetto all’inizio degli anni Novanta. Con il georadar abbiamo misurato la profondità del ghiaccio che resta: una ventina di metri. Il calcolo è presto fatto: verso il 2040 il ghiacciaio sarà pressoché estinto.

Questi dati confluiscono all’Università di Zurigo dove ha sede il World Glacier Monitoring Service, l’archivio internazionale di tutte le variazioni glaciali. Con queste misure Harry Zekollari, Matthias Huss e Daniel Farinotti del Politecnico Federale di Zurigo hanno calcolato che in assenza di provvedimenti di limitazione delle emissioni, il riscaldamento globale farà fuori praticamente tutto il patrimonio glaciale alpino entro il 2100, quando resterà il cinque per cento del ghiaccio che c’è oggi, praticamente solo sulla vetta del Monte Bianco e del Monte Rosa, oltre i 4000 metri.

Se invece applicheremo in fretta l’accordo di Parigi, possiamo ancora sperare che i bambini di oggi possano ancora vedere a fine secolo circa il trenta per cento dei ghiacci attuali.

Il ghiaccio ovviamente non è solo un elemento estetico del paesaggio montano, è soprattutto riserva d’acqua strategica per i periodi di siccità estiva, sia per l’agricoltura sia per la produzione idroelettrica, ed è un ambiente ecologico specifico che ospita ai suoi margini piante e animali minacciati di estinzione.

Il glaciologo misura, calcola, prevede, ma pure soffre nel vedere l’oggetto delle sue cure andarsene a poco a poco in mare, di cui provoca tra l’altro l’aumento di livello. Ci sono piccoli ghiacciai che nel giro di soli trent’anni si sono estinti, un fatto scientifico ma pure culturale.

Il rapporto tra uomini e ghiacci è infatti radicalmente mutato negli ultimi secoli: ce lo racconta l’alpinista scrittore Enrico Camanni con Il grande libro del ghiaccio (Laterza, 2020), una narrazione corposa e ben documentata a cavallo tra antropologia, scienza ed esplorazione: dal terrore della piccola glaciazione che nel Seicento inghiottiva pascoli e alpeggi, alla fascinazione romantica dei viaggiatori dell’Ottocento sulle Alpi, fino alle preoccupazioni attuali degli scienziati per il ghiaccio che se ne va, quasi sempre in silenzio, a volte con clamore.

“Non ti pago e ti rovino”: lo stile da “boss” di Montella

Peggio di Bonny e Clyde. Per l’appuntato Giuseppe Montella e la compagna Maria Luisa Cattaneo, tutti a Piacenza dovevano fare quello che volevano. Anche lavorare gratuitamente. Si arricchisce di particolari inquietanti la vita del carabiniere di Piacenza, arrestato insieme a cinque colleghi della stazione Levante perché avrebbe taglieggiato, e torturato, i pusher locali per ricavarne informazioni, soldi o sostanze stupefacenti da passare agli spacciatori amici. L’avvocato Stefano Germini ha presentato una querela per un suo assistito piacentino, un artigiano che nell’estate del 2016 lavorò per Cattaneo per un totale di 20mila euro fatturati. La compagna dell’appuntato si sarebbe presentata nell’ufficio dell’artigiano chiedendogli di “condonarle” l’importo dovuto e di accontentarsi di 1.000 euro. Al rifiuto dell’uomo, la donna avrebbe iniziato a urlare accusandolo di averle messo le mani addosso. Sul posto, secondo il racconto di diversi testimoni, arrivarono quasi in contemporanea due carabinieri di un’altra stazione, la Pontenure, e lo stesso Montella che urlando si scagliò contro l’artigiano, sbattendolo contro una ringhiera. I militari presenti non fecero nulla, nemmeno quando il loro collega gli sbraitò contro “hai pestato la merda sbagliata, sarò la tua ombra e non la passerai liscia”. L’artigiano avrebbe provato nei giorni successivi a denunciare alla stazione Levante quanto accaduto, ma sarebbe stato allontanato e respinto in malo modo, invitato in sostanza a lasciar perdere. L’episodio getta un’ennesima luce sinistra sulle abitudini del clan dell’appuntato Montella, fin dal 2016. Ieri è stato sentito, come persona informata dei fatti, Michele Piras, ex comandante provinciale dei carabinieri di Piacenza fino all’autunno del 2019 e oggi nella segreteria dell’attuale ministro, la piacentina Paola De Micheli.

Sfuma ancora il regalo ai Benetton: no alla quarta pista dell’aeroporto Fiumicino

La quarta pista dell’aeroporto di Fiumicino non si farà. Dopo il parere negativo della commissione Via-Vas (Valutazione impatto ambientale e Valutazione Ambientale Strategica), ieri il progetto di ampliamento presentato dall’Enac è stato nuovamente respinto dal ministro dell’Ambiente Sergio Costa che, condiviso il parere con il ministro dei Bene culturali e turismo Dario Franceschini, ha firmato il decreto in cui è riportato il giudizio negativo sulla compatibilità ambientale del “Master Plan 2030” dello scalo romano. Nell’ottobre 2019 lo stesso ministero dell’Ambiente aveva già bocciato la versione del progetto di ampliamento di Fiumicino, perché ritenuto incompatibile con la Riserva statale naturale del litorale romano circostante. La società Aeroporti di Roma, controllata al 98% dal gruppo Atlantia della famiglia Benetton, si era quindi attivata con Enac per una nuova soluzione che coniugasse la necessità di aumentare la capacità del traffico aereo sul Leonardo da Vinci al profondo rispetto dell’ambiente.

Ma anche questa proposta, ha sentenziato Costa, “avrebbe impattato in maniera imponente su una parte della riserva del litorale romano, violando una serie di vincoli ambientali”. I Benetton sono i proprietari della riserva di Maccarese, cioè di 900 dei 1.300 ettari che dovrebbero essere occupati dalle nuove piste e dai nuovi terminal. Quei 900 ettari sarebbero espropriati dallo Stato, presumibilmente ben pagati, visto che dovrebbero servire per la realizzazione di una’opera di interesse nazionale. Così è da un decennio – il progetto fu presentato per la prima volta nell’ottobre 2009 all’allora premier Berlusconi – che i Benetton insistono per la costruzione di una quarta pista e di una nuova stazione aeroportuale a Nord di quella attuale sui terreni della Riserva naturale del litorale romano, istituita con un decreto addirittura quasi mezzo secolo fa.

La quarta pista prevederebbe investimenti giganteschi: 12 miliardi e mezzo di euro da parte di AdR fino al 2044 (anno di scadenza della concessione aeroportuale) e 5 miliardi e mezzo da parte di società pubbliche come Ferrovie e Anas. Da quando alla vigilia di Natale del 2012 i Benetton hanno avuto dal governo di Mario Monti il via libera all’aumento di 10 euro delle tariffe aeroportuali, Fiumicino è diventato il secondo bancomat della famiglia dopo Autostrade per l’Italia, in attesa della loro uscita.

Lazio, il piano rifiuti fa infuriare il Comune di Roma

La città di Roma dovrà costruire la discarica di Malagrotta 2, ma non potrà usare gli impianti di trattamento della propria provincia. In caso contrario, il Campidoglio sarà costretto a pagare un “ristoro” ai comuni interessati. È di nuovo bagarre sui rifiuti fra M5S e Pd a Roma. Incalzato dai consiglieri regionali non romani – che minacciavano la sfiducia – il presidente del Lazio, Nicola Zingaretti, e il suo assessore Massimiliano Valeriani, hanno varato un emendamento al nuovo piano rifiuti regionale – atteso dal 2012 – che ha fatto infuriare non poco la sindaca Virginia Raggi.

Pur mantenendo l’ambito territoriale ottimale esteso a tutta la provincia di Roma, alcuni paragrafi parlano di “autosufficienza” della Capitale e obbligano il Campidoglio a costruire “una o più discariche” e “uno e più tmb” sul proprio territorio. Tutto ciò nonostante i 6 impianti di trattamento presenti nel Lazio siano sufficienti ad accogliere l’indifferenziato raccolto in tutta la Regione, come si precisa nello stesso emendamento di Giunta. Tutto ciò con 52 Comuni dell’hinterland che conferiscono i loro rifiuti negli impianti capitolini; secondo l’Ispra, inoltre, pendolari e “non residenti” (molti fittizi) pesano circa il 10% sulla produzione dei rifiuti in città.

Il cavillo rappresenta, in parte, il tradimento del patto fra Comune e Regione che aveva portato Raggi, il 31 dicembre scorso, ad dare l’ok alla nuova mega-discarica della città, nella parte ovest della città. La sindaca fu rassicurata del fatto che non sarebbe stato introdotto l’Ato di Roma, in effetti non presente in delibera. Un accordo oggi oggetto di un fascicolo aperto dalla Procura di Roma, per ora senza indagati. Ieri Raggi ha minacciato il blocco i conferimenti dall’esterno sul territorio romano. Non solo. Seguendo alla lettera il piano, l’hinterland romano dovrebbe dotarsi di almeno altre due discariche, una a nord e una a sud della Capitale.

Allarme azzurro, Berlusconi teme Calenda

Forza Italia sempre più nella bufera. Non si prevedono facili queste Regionali per il partito di Silvio Berlusconi, dove quasi ogni giorno qualcuno se ne va o minaccia di andarsene. Chi verso Italia Viva, chi verso la Lega, chi in Fdi e adesso, per non farsi mancare nulla, pure verso Carlo Calenda. Che, soprattutto alla Camera, è diventato assai attrattivo per i berluscones scontenti, specialmente dopo l’addio in quella direzione di Enrico Costa. Tanto attrattivo che Maria Stella Gelmini ha tentato un’operazione di avvicinamento naufragata solo perché alla fine Calenda ha detto no: si voleva ribattezzare il gruppo azzurro a Montecitorio Forza Italia-Azione. Alcune fonti, invece, raccontano che lo stesso Calenda stia tentando in tutti i modi di portare con sé Mara Carfagna, addirittura offrendole la presidenza di Azione.

La vice presidente della Camera per ora ha declinato, ma è tentata. “A Montecitorio lo scontento è ai massimi livelli, quasi tutti se ne vogliono andare e lavorano per trovare altri approdi”, racconta un deputato. Ma le fibrillazioni arrivano anche sul territorio, il malcontento in vista delle Regionali aumenta. Molti consiglieri regionali, per esempio, non verranno ricandidati. Uno di questi è Marco Stella, consigliere uscente in Toscana. Mentre a Trento si è lasciato andar via, verso la Meloni, Cristian Zanetti. Altre tre rischiano di andarsene in Lombardia. Tornando a Montecitorio, sono con un piede fuori Micaela Biancofiore, Maurizio Carrara e Simona Vietina. E in Senato non va meglio. Molti ce l’hanno con il gruppo dirigente, considerato sempre più un circolo chiuso. Immortalato da uno scatto postato da Berlusconi in occasione del primo vertice a Villa Certosa post lockdown. Giacomi, Galliani, Ghedini, Ronzulli, Tajani, Bernini, Gelmini e Letta. Con la new entry: Andrea Orsini, deputato milanese, da tempo, raccontano, è il vero ghost writer di B., colui che gli scrive interventi e discorsi.