Facebook cancella il fake di Trump sul Covid. E Twitter blocca il suo account elettorale

Per la prima volta Facebook ha rimosso un contenuto postato da Donald Trump, considerato contario alla policy del social sulle “informazioni dannose”. Si trattava di un video di Fox News, in cui il presidente Usa afferma che i bambini sono “praticamente immuni” al Covid-19: in realtà gli studi si limitano a suggerire, senza dimostrarlo, che i bambini hanno meno probabilità di contrarre l’infezione e più probabilità di sviluppare solo sintomi lievi. In passato il social aveva già definito “non appropriati” alcuni post di Trump, senza arrivare a eliminarli del tutto.

Poche ore dopo un provvedimento simile è arrivato da Twitter, che ha sospeso l’account della campagna elettorale del tycoon (@TeamTrump) ordinando di rimuovere un tweet che conteneva lo stesso estratto dell’intervista a Fox. Un portavoce del social network ha riferito che il contenuto “è in violazione delle regole di Twitter sulla disinformazione relativa al Covid-19”. Dopo la cancellazione del tweet, l’account è stato riaperto.

Mail Box

 

Non sprecare le risorse: questo fa uno Stato sano

Non capisco i piagnistei di certa imprenditoria che, dopo anni di aiuti e assistenzialismo pubblico, è sempre in crisi. Uno Stato sano non spreca le sue risorse. Chi non restituisce non va finanziato.

Livio Artusi

 

Davigo viene osteggiato per via della sua onestà

Il giudice Davigo dovrebbe essere messo a riposo per paura di un presunto giudizio onesto che dovrebbe rispecchiare il lavoro di una vita. Tutto questo – secondo la discutibile proposta di Nello Rossi, direttore di Md, che vuole Davigo in borghese prima del tempo – mette la questione su una bilancia che pesa i danni fatti da Palamara alla magistratura e al Csm.

Omero Muzzu

 

DIRITTO DI REPLICA

Egregio direttore, la prego pubblicare la mia risposta alla lettera del sig. Lerner uscita lunedì sul suo giornale. Sapevo che la mia nota su Repubblica avrebbe fatto reagire con ragli i molti ritardati reazionari che ancora vivono nel nostro Paese. Questo conformista ha cambiato le mie parole per spiegare quello che non è riuscito a fare con il suo lungo scritto: purtroppo molti cosiddetti giornalisti del mondo non informano più, ma cercano di formare i lettori alle loro idee, anche quando queste sono frutto di ideologie ormai obsolete. Il sig. Lerner, che non ho mai sentito nominare, mi ricorda coloro che usano l’intelletto per scopi nostalgici e reazionari, quelli che esaltano la mediocrità perché in essa possono emergere. L’immagine che mi viene in mente è quella di non so più quale girone dell’Inferno di Dante dove, forse gli invidiosi, sono immersi fino alla bocca nella m… liquida e la regola tra gli immersi è non muoversi e non fare l’onda, perché con essa la m… entra loro in bocca. Quel che è certo è che il sig. Lerner non ama il futuro né i nuovi valori che il Tempo attuale veicola. Vorrei ricordare L’Italia in Croce, un mio progetto (nella foto, e relativo scritto) del 2011 per la Triennale di Milano: “L’Italia in Croce riguarda le responsabilità di un certo mondo politico che ama passare il tempo parlando invece di proporre progetti utili al Paese e consentirgli di avanzare nel futuro e far fronte alla competizione internazionale. L’Italia ha bisogno di una classe politica attiva, giovane, attenta ai cambiamenti del Tempo. Una classe politica che onori il valore della creatività e del lavoro. Quello che mi aspetto da questa installazione è che sia capace di sollevare un dibattito tra personalità ‘sane’ della vita pubblica e non, evitando i ‘mediocri’, i parolai, i vecchi combattenti di partito, i conformisti, i burocrati e tutti quelli che con la loro inattività, moralismo, egoismo e conservatorismo hanno ‘messo in Croce’ il Paese”.

Gaetano Pesce

 

Non raglierò ulteriormente, sebbene l’asino sia tra i miei animali prediletti insieme al cammello, perché mi pare che lo scritto dell’architetto Pesce si commenti da sé. Solo gradirei indicasse dove e in quali termini avrei cambiato le sue parole, riportate ampiamente e con estrema cura tra virgolette per darne conto ai lettori. Ma temo che in proposito resterà muto come un pesce.

Gad Lerner

 

Gentile Direttore, in riferimento all’articolo “Camera di Commercio, il bando clandestino”, pubblicato ieri sul Fatto, ci preme evidenziare che la notizia è destituita di ogni fondamento. La Camera di Commercio di Roma ha dato puntuali indicazioni all’Azienda Forma Camera di dare la massima trasparenza possibile all’avviso di selezione. Indicazioni che l’Azienda ha pienamente recepito. Infatti, l’avviso di selezione per l’assunzione di un dirigente per il ruolo di Direttore generale, oltre a essere pubblicato sul sito di Forma Camera, è stato altresì pubblicato su Il Messaggero e Il Tempo il 28 luglio. Non solo. L’azienda Forma Camera, nell’intento di dare ancora maggiore visibilità, ha anche richiesto al concessionario dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato la possibilità di pubblicazione del bando sulla Gazzetta Ufficiale. Pubblicazione che lo stesso ha affermato di non poter effettuare in quanto Forma Camera non rientra tra le amministrazioni pubbliche e applica, per il personale, un contratto di diritto privato. In seguito è stato richiesto un ulteriore parere al ministero della Giustizia, che ha confermato, per iscritto, quanto già indicato dal concessionario dell’Istituto Poligrafico. Ricordiamo, inoltre, che l’ufficio stampa della Camera di Commercio di Roma è sempre a disposizione degli organi di informazione per eventuali chiarimenti.

Ufficio Stampa CCIAA Roma

Umbria. “Cara presidente, la delibera sull’aborto spinge alla clandestinità”

Gentile presidente Tesei, lei, insieme alla Giunta regionale umbra, è riuscita a far diventare il “caso umbro” un caso nazionale, siamo la sola regione ad aver fatto un passo indietro: invece di favorire, specie in epoca Covid, la territorializzazione dei Servizi e anche delle Interruzioni Volontarie di Gravidanza (IVG), ha ricondotto queste ultime alle Linee di indirizzo di 10 anni fa, che obbligano le donne a tre giorni di ricovero.

A livello nazionale il caso è così “esploso”, tanto che il Consiglio Superiore di Sanità (Css) e l’Associazione Italiana del Farmaco (Aifa) sono stati investiti del compito di rivedere le Linee di Indirizzo del ministero della Sanità, al fine di renderle, si spera, simili a quelle del resto d’Europa.

Chiediamo da tempo di permettere l’uso della Ru486 e delle prostaglandine nei consultori (vedi Toscana) e fino a 9 settimane (come in Irlanda e in Portogallo o addirittura fino a 10 settimane come negli Usa).

Certo, per fare questo i Consultori non dovrebbero essere nello stato di abbandono in cui versano ora, dovrebbero avere personale formato e strumentazione adeguata, dovrebbero essere aperti e facilmente raggiungibili. Lei e la sua Giunta state rendendo ormai tutti i servizi socio-sanitari in Umbria gusci vuoti allo scopo di favorire il privato.

Dove sta il rispetto dell’art. 2 della 194 nel quale si parla di contraccezione gratuita? Da anni ci battiamo affinché la contraccezione diventi gratuita, invece in Umbria è solo a pagamento, anche nei consultori. Sappiamo che il suo partito politico appoggia Paesi sovranisti come l’Ungheria, che recentemente ha deciso di non ratificare la Convenzione di Istanbul, strumento internazionale giuridicamente vincolante per la prevenzione e il contrasto della violenza contro le donne, ma noi speriamo che per l’Italia così non sarà. Questa lettera non vuole essere solo un tentativo di mantenere alta l’attenzione sui diritti delle donne, ma vuol essere anche un appello ad Aifa e alle componenti del Css affinché comprendano che nei mesi estivi, e in particolare ad agosto, diventa davvero difficile per le donne trovare un servizio per la Ivg, anche chirurgica: la scarsità di reparti e di personale non obiettore (che ha diritto alle ferie) fa sì che alcune donne si trovino con interventi prenotati e poi disdetti e reparti chiusi, come quello di Umbertide, chiuso per malattia dell’unico medico non obiettore presente.

Abbiamo assistito alla strumentalizzazione del dibattito sulle poche nascite in Umbria e ci sentiamo di dirle che le culle non si riempiono vietando l’interruzione volontaria di gravidanza o rendendo difficile la contraccezione, così facendo le donne torneranno a praticare l’aborto in clandestinità come hanno sempre fatto quando sono rimaste sole. Solo politiche sociali che diano lavoro sicuro alle donne e posti negli asili nido per tutti e tutte potranno favorire davvero la natalità. No work? No children!

 

L’assurdo teatrino dem sui migranti

L’altra sera chiedo a Marco Minniti, che esprime (In Onda) una posizione equilibrata sugli sbarchi e una visione europea sul grande caos Mediterraneo, Libano compreso, come mai lui che è stato ministro dell’Interno (2016-2018), per la sua esperienza consultato a livello internazionale, come mai dunque egli non faccia parte della squadra del Pd nel governo giallorosso. “Un problema di distanziamento”, prova a scherzarci sopra. “Paganini non ripete”, aggiunge, con una punta di orgogliosa amarezza. Noi invece pensiamo che posizioni chiare e nette (e dunque esposte a critiche legittime e corrosive) come quelle di Minniti non si addicano all’odierno Pd. Che (anche e soprattutto) sui temi dell’immigrazione, dalla chiarezza e dalla nettezza volentieri rifugge preferendo inabissarsi là dove le acque delle scelte politiche si fanno più scure e insondabili. Difficile infatti orientarsi nella labirintite di un partito che, nel giugno 2019, saliva a bordo della Sea Watch3 di Carola Rackete, con una folta e agguerrita delegazione guidata dal capogruppo alla Camera, Graziano Delrio, per stare a fianco dei 42 migranti bloccati da due settimane in mare aperto dai raus lanciati al Viminale da Matteo Salvini. Lo stesso Pd che a un anno da quei toccanti eventi, il 16 luglio scorso, vota in Parlamento i fondi per l’addestramento e l’appoggio di quella feroce milizia camuffata da Guardia costiera libica, responsabile giusto dodici giorni dopo dell’uccisione di tre migranti nel porto libico di Homs. Un voto non poco contestato tra i Democratici, e che Zingaretti così commenta su Facebook: “Il governo e i gruppi parlamentari, che certamente partono dagli stessi presupposti del Pd, hanno ritenuto nella loro responsabilità di interpretare al meglio idee e valori del Pd con la risoluzione approvata dalla maggioranza in Parlamento”. Un testo partorito da un amplesso tra Ponzio Pilato e Ionesco e che la dice lunga sulla confusione di una sinistra che, a novembre – mentre, assediato da Salvini, nella vigilia elettorale, Stefano Bonaccini cercava di non spaventare i moderati dell’Emilia-Romagna – tuonava: “Lo ius culturae e lo ius soli sono una scelta di campo del Pd” (sempre il segretario). E cosa dire dei decreti Sicurezza che a un anno preciso dalla catastrofe salviniana del Papeete, sono ancora lì come se l’ex capitano fosse ancora al governo? Perfetto ritratto dell’ipocrisia politica nel quale Minniti, non essendo ipocrita, non compare.

Viva Francesca Pascale, libera da B. e di baciare Paola Turci

Premessa: sono eterosessuale, ma se avessi trascorso 15 anni con Silvio Berlusconi, oggi piacerebbero le donne anche a me. In realtà mi piacerebbero anche i lampadari e gli gnu, qualsiasi cosa tranne gli uomini, ma queste sono considerazioni personali.

La premessa è necessaria per dire che se davvero Francesca Pascale e Paola Turci vivono una storia d’amore come si vocifera, non si capisce cosa debba destare stupore. Vorrei sapere chi tra un ottuagenario liftato che racconta barzellette sconce come l’ubriacone al bar e una cantante sexy che dimostra 20 anni di meno e racconta la vita con la sua voce strepitosa, sceglierebbe l’ubriacone al bar. Io, se fosse vero, la capirei la Pascale. E dico la verità: capirei ancor di più la Turci. Voi che “Una comunista che fa le vacanze su uno yacht pagato da Berlusconi!”, dovreste aprire la mente: è la prima donna over 50 a cui Berlusconi paga qualcosa nella vita, ed è pure comunista. Non c’è peggior sfregio, per uno come lui. È come se dovesse pagare le rate dell’auto alla Boccassini. In più, la Pascale adotta sottili strategie per prendersi le sue rivincite: mantiene i suoi benefit milionari, ma se ne sta lontana dalle mete pettinate care a Berlusconi e se ne va in Cilento, appoggia le Sardine, bastona Salvini, si espone sui social, insomma fa tutto quello che non poteva fare quando stava con lui. E non solo: s’è risparmiata l’incubo di farsi 4 mesi di quarantena nella villa di Nizza con Silvio, assieme ai fantasmi della servitù morta di “The Others” e ai poltergeist comunisti che infestano le residenze di famiglia. Roba che la povera Marta Fascina, chiusa in villa con lui, deve essersi fatta due palle così grandi che ora si fidanzerà con Fiorella Mannoia. Insomma, non so voi ma io tifo spudoratamente per la coppia Turci-Pascale. E chi è così bigotto da giudicare la presunta relazione della Pascale con una donna, è perché ha dimenticato quella lunghissima e neanche troppo clandestina di Berlusconi con un uomo: Massimo D’Alema.

La norma per Lotito senatore ribalta il voto degli elettori

Durante la dichiarazione di voto sulla Open Arms ho voluto ricordare che le scelte degli organi di garanzia, tanto più se parlamentari, dovrebbero basarsi su considerazioni esclusivamente giuridiche. Interpreto così il mio ruolo nella giunta del Senato. Il mio accenno in aula alla possibilità che si intervenisse per consegnare un seggio a Lotito poteva apparire criptico, ma aveva lo scopo di fotografare con anticipo la situazione che poi la giunta ha sancito. Martedì infatti, durante una seduta notturna, la giunta a maggioranza ha votato per far diventare senatore Lotito al posto del senatore Carbone. Ambedue candidati di Forza Italia, anche se Carbone è transitato recentemente in Italia Viva, con perfetto tempismo. Deciderà l’aula, ma è bene che questa scelta avvenga nella consapevolezza dell’opinione pubblica, che di questa storia poco conosce.

I termini della questione sono semplici. Già l’Ufficio elettorale regionale aveva corretto i dati di 72 sezioni selezionando, con una motivazione arbitraria, i “verbali in cui è risultato molto basso il risultato della lista Movimento Forza Italia”. La giunta in ben oltre due anni di verifiche sulle circa 5 mila sezioni della Campania, ha notato anomalie e difformità in ben 457 sezioni, che ha poi controllato con scrupolo. Addirittura ha rilevato che le schede di alcune sezioni sono state erroneamente distrutte, ma per fortuna sono ancora consultabili le relative tabelle e i verbali di scrutinio. Ha quindi rettificato i dati anche procedendo al riconteggio di oltre 2.600 schede. La giunta ha doverosamente ricontrollato tutto accertando inequivocabilmente che i dati di proclamazione non sono corretti. La prima relazione sulla Regione Campania, presentata dal senatore Malan (FI) sancisce prevede la giusta conseguenza del nuovo calcolo. Sembrerebbe pacifico procedere alla rettifica dei dati e quindi ripristinare la corretta rappresentazione del voto. Il fatto è che né il senatore Carbone né Lotito sono gli assegnatari del seggio: con i dati rettificati spetta a De Cristofaro di Liberi e Uguali.

La legge elettorale – che non ho condiviso nel merito e nel metodo di approvazione – definisce precisamente i meccanismi di assegnazione dei seggi. Non ci sono possibilità di interpretazioni à la carte. Può non piacere, ma è legge. E qui entrano in gioco gli interessi di parte e i trasversalismi che niente hanno a che fare con la politica: il centrodestra – che dopo il passaggio di alcuni senatori 5 Stelle alla Lega ha la maggioranza in giunta – affossa la relazione del proprio senatore Malan, al quale va riconosciuta la correttezza di aver sostenuto che il seggio di Forza Italia va attribuito a Leu, individua un nuovo relatore (sempre di FI, il sen. Paroli) e approva l’accoglimento del ricorso Lotito. Un ricorso che disegna una modalità di calcolo estranea alla legge, anche se corredata di pareri autorevoli. Per accettare quelle motivazioni dovrebbe esserci una norma che non c’è. Quello che cozza con la legge e con il buon senso è che tutta Italia utilizzi un metodo e che per Lotito se ne usi un altro. Come se al Rosatellum si affiancasse una “norma Lotito” valida solo in Campania e non ad esempio in Puglia, visto che la giunta dieci giorni fa ha votato esattamente l’opposto proponendo la sostituzione della senatrice Minuto con il ricorrente Boccardi. Se si applicasse la norma Lotito a tutte le Regioni si dovrebbe ridisegnare la composizione del Senato!

Spero in un sussulto di dignità del Senato e quindi nel riconoscimento dei dati frutto del lavoro di attenta verifica svolto, nel ripristino della legalità e nel rispetto del voto popolare. Lavorerò per dare all’aula questa possibilità. Torniamo alla relazione Malan, rispettiamo il voto degli elettori!

* Senatore di LeU

Confindustria tace sui suoi (troppi) associati disonesti

Da qualche anno a questa parte, ogni volta che nella Pubblica amministrazione scatta un blitz contro i furbetti del cartellino, sui tavoli delle redazioni piomba un comunicato. Lo firmano i sindacati più importanti. Le parole e i concetti sono quasi standard. C’è la “ferma condanna” degli assenteisti. C’è la richiesta di processi rapidi per “punire chi, col suo comportamento, danneggia i cittadini e la maggioranza di lavoratori onesti”. C’è l’auspicio che vengano accertate le eventuali responsabilità dei dirigenti. Per i dipendenti pubblici coinvolti scatta la sospensione dalle rispettive organizzazioni sindacali. E nei rari casi in cui una sigla invita alla prudenza o addirittura difende chi ritiene accusato ingiustamente, scattano dure reprimende a reti e giornali unificati.

Ogni episodio, va detto, fa storia a sé. Spesso le critiche allo spirito corporativo e alla connivenza del sindacato sono meritate, altre volte no. Basta però una semplice ricerca su Google per rendersi conto di come, almeno in anni recenti, nessun importante leader dei lavoratori abbia mai provato a respingerle sostenendo che fossero frutto di “un pregiudizio anti-sindacale”.

La musica invece cambia se si guarda all’altro sindacato. A quello padronale di Confindustria. Quando il 9 giugno il presidente dell’Inps Pasquale Tridico afferma di vedere “un Paese con molte zone grigie” in cui “stiamo sovvenzionando con la Cassa integrazione anche aziende che potrebbero ripartire, magari al 50 per cento, e grazie agli aiuti di Stato, per pigrizia od opportunismo, preferiscono non farlo”, la reazione dei vertici di Viale dell’Astronomia è violenta. “Insinuazione”, “pregiudizio anti-imprese”, “dichiarazioni qualunquistiche”, “parole sconcertanti”, “ingenerose”, “diametralmente opposte ai fatti”, dicono le varie associazioni imprenditoriali. Quando poi, il 17 giugno, si scopre che l’Inps ha bloccato l’erogazione della cassa ai dipendenti di 2.549 aziende perché considerate a rischio frode (c’erano persino imprenditori-prenditori che avevano assunto durante il lockdown i propri parenti pur di ottenere gli ammortizzatori sociali), i vertici di Confindustria non proferiscono verbo. E tacciono pure per qualche giorno quando l’Ufficio studi di Banca d’Italia e l’Ufficio parlamentare di bilancio certificano che oltre un quarto delle ore pagate di cassa integrazione riguarda imprese sane nonostante il Covid. Aziende che non hanno subito riduzioni di fatturato rispetto all’anno precedente. Fatti due calcoli salta fuori che le somme impropriamente erogate potrebbero ammontare addirittura a 2,7 miliardi di euro.

Ma la presa di distanze di Confindustria dai furbetti non arriva. E anzi il vicepresidente, Maurizio Marchesini, insiste sul “sentimento anti-industriale che cresce nella politica e nella società civile”. Intendiamoci, Marchesini forse non ha torto quando spiega che non tutti quei 2,7 miliardi di euro vanno considerati frutto di un magheggio. Ma la verità, come emerge dalle tante segnalazioni arrivate al Fatto Quotidiano, è una sola. Ci sono in Italia migliaia di dipendenti che per settimane hanno continuato a lavorare pur essendo stati messi in cassa integrazione. Se ci pensate è un’ovvietà. Così come tra i lavoratori esistono i disonesti, allo stesso modo non vanno considerati corretti a prescindere gli imprenditori. Per questo sarebbe bene che i nuovi vertici di Confindustria imparassero a dire la verità, rispettando sia gli italiani sia la maggioranza dei loro associati (quelli onesti). Perché il sentimento anti-imprese non esiste. Quello anti-balle sì.

La vile rinuncia a gestire i flussi migratori in Italia

Il partito xenofobo in Italia ha già vinto: per il secondo anno di fila l’immigrazione di stranieri nel nostro Paese è in netto calo (-8,6 per cento) contribuendo, insieme al crollo delle nascite, a un decremento della popolazione che dal 2015 ha già visto sparire più di 550mila abitanti della penisola. Naturalmente da questo Paese poco accogliente se ne vanno all’estero sempre più italiani. Secondo l’Istat i connazionali emigranti (+8,6 per cento) sono aumentati nella stessa robusta percentuale del calo degli stranieri immigrati. I propagandisti del “siamo in pericolo d’invasione” dovrebbero esultare. Hanno raggiunto il loro risultato. Gli piacerà sapere che anche gli stranieri residenti in Italia si sono messi a fare meno figli.

Le persone ragionevoli, invece, sanno che questa non è affatto una buona notizia. A questo ritmo la nostra penisola, dai 60 milioni attuali, non ci metterebbe molto a tornare al numero di abitanti che aveva un secolo fa, cioè 40 milioni. Chi alimenta l’ostilità nei confronti degli stranieri potrebbe sostenere che ciò non sarebbe un male. Ma sottovaluta un paio di dettagli. Non solo diventeremmo una popolazione di vecchi, ma a differenza di un secolo fa questi 40 milioni di abitanti si concentrerebbero in aree metropolitane sempre più degradate, lasciando spopolate vaste regioni del Paese. È in questo quadro che l’ennesima campagna estiva dei giornali e delle televisioni di destra rilancia un clima di falsa emergenza, riuscendo puntualmente a far cadere il governo nella trappola.

“Non possiamo tollerare che si entri in Italia in modo irregolare”, dichiara il premier Giuseppe Conte. Dimenticandosi di precisare se il governo intenda fornire in alternativa dei canali di immigrazione regolare o se invece condivida lo “stop immigrazione” di Salvini e Meloni. Così il segretario leghista ha buon gioco a ripubblicare il manifesto elettorale 2018 del M5S che recitava così: “Immigrazione: obiettivo sbarchi zero. L’Italia non è il campo profughi d’Europa”. Il tutto, si badi bene, in seguito allo sbarco di 6mila migranti irregolari in tutto dall’inizio dell’anno, in un Paese che nel nuovo secolo ne ha assorbiti una media annua di 300mila.

L’assenza di percorsi d’immigrazione programmata e controllata – inibiti di fatto dalla vigente legge Bossi-Fini – ha fatto sì che il flusso degli irregolari, monopolizzato dagli scafisti in assenza di alternative, converga a collo d’imbuto in massima parte sull’isola di Lampedusa. Basterebbe guardare una carta geografica per capire il perché: la distanza di Lampedusa dalla Tunisia è un terzo da quella che la separa dal siciliano Porto Empedocle. Dove volete che vadano i barconi ormai diventati barchini? Nell’isola prosegue normalmente la stagione turistica, ma intanto ne vengono diffuse immagini d’invasione che alimentano la falsa sensazione di una calamità nazionale.

La Tunisia ha meno di 12 milioni di abitanti di cui 98mila emigrati in Italia. Il posto ponte sui traghetti Tunisi-Palermo in alta stagione costa 100 euro. Spesso i traghetti viaggiano semivuoti mentre gli scafisti intascano dieci volte tanto da gente disposta a rischiare la vita per sbarcare in Europa. Programmarne una partenza contingentata garantirebbe dapprima verifiche sanitarie e identificazione, poi di evitare l’ammasso incivile a Lampedusa. Impauriti da questa prospettiva che, a loro dire, “farebbe il gioco di Salvini”, i nostri governanti preferiscono prendere in giro l’opinione pubblica garantendole che fin da questo mese metteremo in atto i rimpatri forzati. Suona benissimo, e peraltro nessuno vuole tenersi in casa eventuali delinquenti, anche se rifiutiamo di considerare delinquente una persona che tenta di emigrare senza il visto. Ma se vai a vedere, scopri che inevitabilmente questi rimpatri consistono in due voli settimanali per un totale di 320 irregolari al mese. Uno specchietto per le allodole.

Anche la nostra politica estera viene danneggiata dalla vile rinuncia a programmare i flussi migratori. La Tunisia è una democrazia fragile che si è data una Costituzione laica, messa a repentaglio dalla crisi economica e dalla guerra in Libia. Sarebbe nostro interesse stringere le relazioni anziché minacciare il blocco della collaborazione. Infine, il blocco dell’immigrazione regolare sembra fatto apposta, avvicinandosi le elezioni regionali, per rimettervi al centro il bersaglio straniero. Gli stessi che hanno chiuso gli Sprar dell’accoglienza diffusa, concentrando i richiedenti asilo in grandi e incivili centri di raccolta, ora li additano come pericolosi focolai di contagio Covid. Ma il governo rinvia ancora la modifica dei decreti sicurezza.

Abbiamo già visto dove porta scimmiottare Salvini per non “fare un favore a Salvini”. A furia di fare la faccia cattiva abbiamo finito per chiudere gli occhi. E a brindare, insieme alla destra xenofoba, sono solo gli scafisti.

Aspi-Cdp: la trattativa segreta tra il persiano, la giraffa e l’ippopotamo

 

Aspi, trattativa ferma sul prezzo. “I Benetton ora perdono tempo” (FQ, 31 luglio 2020).

 

Come scrivevamo il 15 luglio scorso, il gatto dei Benetton, un persiano bianco che è la mente diabolica dietro ogni decisione della Spectre (Atlantia-Autostrade-Ponte Morandi-Aeroporti di Roma-Mapuche), ha consigliato il suo boss, che se lo accarezzava in grembo, di approfittare della congiuntura politica italiana per temporeggiare. Così, durante le trattative con Cassa depositi e prestiti (Cdp), gli emissari di Atlantia hanno cambiato idea tre volte in dieci giorni. “La Spectre dovrà uscire da Autostrade per l’Italia (Aspi), ma prima deve entrarci Cdp”, ha spiegato il persiano agli emissari di Aspi (una giraffa, un ippopotamo e un pinguino). “Gli direte che vi sta bene l’ingresso di Cdp con un aumento di capitale”. La giraffa: “Con scissione di Aspi da Atlantia?”. Il persiano: “Sì”. L’ippopotamo: “E con quotazione di Aspi?”. Il persiano: “Sì”. Il pinguino: “E con trattativa sul prezzo dell’ingresso di Cdp e del valore di Autostrade?”. Il persiano: “Sì. Ma poi, tre giorni dopo, chiederete di cambiare l’operazione per motivi fiscali”. La giraffa: “Eh?”. L’ippopotamo: “Cosa?”. Il pinguino: “Con quale scusa?”. Il persiano: “Direte che i fondi azionisti hanno alzato le barricate”. La giraffa: “Credo di capire. A quel punto, Cdp manderà una bozza di accordo che prevede l’ingresso in Aspi e insieme la sua quotazione”. L’ippopotamo: “E il prezzo lo farà direttamente la Borsa!”. Il pinguino: “E la Spectre ne uscirà senza perdite a bilancio, e perfino con una plusvalenza! Geniale!”. L’ippopotamo: “Geniale!”. La giraffa: “Geniale!”. Il persiano: “Ma poi, tre giorni dopo, proporrete a Cdp di scindersi in due holding, di cui una avrà in pancia Autostrade”. La giraffa: “Eh?”. L’ippopotamo: “Cosa?”. Il pinguino: “Perché?”. Il persiano: “Perché così Cdp dovrà pagare un prezzo di controllo per avere in mano Aspi direttamente sul mercato”. La giraffa: “Geniale!”. L’ippopotamo: “Geniale!”. Il pinguino: “Geniale! Questa proposta farebbe la fortuna della Spectre! Ma Cdp non si opporrà?”. La giraffa: “Chiederanno pure la manleva per evitare il contenzioso giudiziario!”. L’ippopotamo: “E vorranno poter abbandonare la partita senza penali in qualunque momento se non sarà ceduto il 22 per cento a investitori graditi!”. Il pinguino: “E torneranno a rinfacciarci la mancata manutenzione e gli omicidi!”. Il persiano: “Ma poi, tre giorni dopo, parlerò col persiano della De Micheli, la ministra dei Trasporti. L’ho conosciuto anni fa, a un VeDrò”. La giraffa: “Cos’è un vedrò?”. L’ippopotamo. “Era il pensatoio bipartisan di Enrico Letta”. Il pinguino: “Fra i finanziatori, c’eravamo noi con Aspi. La De Micheli all’epoca era nella corrente di Letta”. L’ippopotamo: “Ti ricordi quando Letta si era messo in testa di voler privatizzare pezzi di Eni, Enel e Finmeccanica?”. Il pinguino: “Sì, bei tempi”. Il persiano: “E secondo voi chi è che gliel’aveva messa in testa, quell’idea?”. La giraffa: “Geniale!”. L’ippopotamo: “Insomma, puntiamo allo stallo. Giusto?”. Il persiano: “Sì. Ma poi, tre giorni dopo, sparigliate, avviando un processo competitivo per la vendita dell’intero 88 per cento detenuto in Autostrade”. Il pinguino: “Un’asta internazionale!”. Il persiano: “Aperta anche a Cdp”. La giraffa: “Ah ah ah!”. L’ippopotamo: “Ah ah ah!”. Il pinguino: “Ah ah ah! Li prendiamo pure per il culo! Quest’anno faremo una festa di ferragosto coi controfiocchi!”. Il persiano: “Sì. Ma poi, tre giorni dopo…”.

 

Portofino radical chic, ma non se ci va Salvini

Il Papeete edizione 2020 è un po’ sbiadito, ma gli effetti del mojito sembrano non essersi alleggeriti neanche un po’. Matteo Salvini, impegnato nella non facile campagna elettorale simultanea per le sei regionali, due giorni fa l’ha sparata grossa. Cercando di attaccare Ferruccio Sansa, candidato unitario di centrosinistra e M5S in Liguria, il leghista l’ha liquidato così: “Sansa è il classico candidato radical chic da piazzetta di Portofino”. Un vecchio mantra salviniano – si dirà – e in effetti il leitmotiv del “comunista col Rolex” entra spesso nell’eloquio del nostro. Peccato che stavolta Salvini abbia scelto l’esempio meno adatto, come dimostrano decine di foto ancora presenti sul web. Basta una rapida ricerca (“salvini portofino”, “salvini toti portofino”) per trovare le immagini del leghista a pranzo col candidato di centrodestra Giovanni Toti prima delle consultazioni post-voto del 2012. Luogo? “Piazzetta di Portofino”, ovviamente. Ma forse all’epoca non era da radical chic.