In questi tempi folli in cui imperversa l’estetica a dispetto dell’etica, la scelta di Alessandro Spanò, che appena promosso in B con la Reggiana ha detto addio al calcio, ai riflettori e ai soldi per studiare, è incoraggiante e dimostra che si può andare controcorrente. Spanò ha deciso di inseguire il suo sogno che nulla ha a che fare con la popolarità del calcio. Un messaggio forte per tanti giovani.
Gabriele Salini
La prima cosa da dire, uscendo dal cliché dello stupore per una scelta insolita e apparentemente autolesionista (il calciatore che lascia fama e soldi per i libri), è che Alessandro Spanò, nato a Giussano, Milano, il 19.06.94, è un ragazzo intelligente che ha semplicemente compiuto la scelta migliore, e più conveniente, per la sua vita. Spanò ha 26 anni e ha appena raggiunto il picco della sua carriera, la Serie B con la Reggiana, dopo una carriera trascorsa in D e C tra Vercelli, Busto Arsizio e Reggio Emilia (il suo valore di mercato, secondo il sito Transfermarkt, era di 450mila euro). Ebbene, a 26 anni i margini di crescita per un calciatore non ci sono più. Ci sono invece, eccome, per un giovane uomo che ha continuato a vivere nel mondo anche dando calci a un pallone (per dire, invece di fare vacanze a Ibiza, Spanò le faceva in Africa dando una mano a costruire ospedali) e che dopo la laurea in Economia, ottenuta all’indomani della promozione, ha conseguito una borsa di studio per frequentare la Hult Business School, che ha sedi a Cambridge, Londra, New York e Dubai (costo d’iscrizione annua: 60mila euro) ove studiare marketing, management, metodi quantitativi. Ebbene, sapete come ha fatto Alessandro a ottenere la preziosa borsa di studio? Ha sfruttato l’esperienza fatta nel calcio “che si è rivelata determinante: nelle fasi di ammissione – ha raccontato – gli altri ragazzi avevano percorsi molto diversi dal mio; ma l’esperienza di gestione della pressione anche in pubblico e quella di essere stato punto di riferimento di una collettività, anzi di un’intera città, com’è stato per me da capitano della Reggiana, sono state l’atout che ha fatto la differenza”. Insomma: c’era uno Spanò di 26 anni che avrebbe potuto continuare a giocare a pallone altri 6-7 anni sapendo di non poter più scorgere alcun orizzonte di gloria e c’era uno Spanò con una laurea e una borsa di studio in tasca e il mondo e la vita che gli si spalancavano davanti. Alessandro ha aperto la busta 2. Forse ci troverà dentro la sua vita vera e, perché no, anche più fama e più soldi. È sveglio. Lui sa quel che fa.
Paolo Ziliani