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Pur con i suoi errori, Draghi era inevitabile?

Mi pare opportuno rilevare che ben prima delle tre emergenze indicate dal presidente della Repubblica, vi è il colossale sfaldamento dei partiti che incombe sul nostro Paese da parecchio tempo, con nefaste conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti. Avrei preferito che Mattarella, invece della rituale predica solenne innanzi a un Parlamento di ipocriti, avesse parlato di responsabilità e irresponsabilità. Ma per farlo avrebbe dovuto cominciare dal presidente del Consiglio: un tizio che si era rotto le scatole e ha chiesto di occupare un posto tranquillo, insindacabile, aggiungendo altro caos a quello solito. In occasione della caduta del Conte II, il presidente si è trovato di fronte al caos e si è inventato la soluzione Draghi. Continuo a ritenere che non vi fosse altra soluzione, posto che in quelle condizioni Conte non poteva continuare con una raccogliticcia pattuglia di volenterosi fra cui la moglie di Mastella.

Salvatore Giallongo

 

Caro Salvatore, con Draghi i raccogliticci voltagabbana sono diventati l’intera maggioranza, visto che tutti quelli che ora governano insieme avevano giurato fino al giorno prima che mai l’avrebbero fatto. E non creda all’eterna leggenda del “non ci sono alternative”. Ce ne sono sempre, basta leggere la Costituzione.

M. Trav.

 

Le nuove generazioni sono la nostra speranza

Scosso dal susseguirsi delle faccende riguardanti Lorenzo Parelli, e le successive manifestazioni, ho deciso di farmi carico della raccolta di voci e pensieri delle generazioni emergenti, che si trovano impantanate in una società che vive di piattume emotivo e culturale e che si erge su brutali dinamiche didattico-lavorative. In particolare a coloro che hanno manovrato e tirato le fila di questo splendido spettacolino che è l’istruzione e la libertà intellettuale italiana, dico questo: chi può sapere dove si celano il talento, le idee e l’innovazione? Loro, che ormai hanno disossato anche le carogne e non contenti, riversate le budella della terra, hanno ingollato anche i vermi!

Massimo Poli

 

Distinzioni fra vaccinati e no, anche a scuola

In Italia, pur avendone tutto il diritto, non hanno avuto il coraggio di introdurre l’obbligo vaccinale generalizzato, decidendo di voler proseguire il cammino in modo graduale, ma questa gradualità altro non ha fatto che favorire discriminazioni potenziali. La vaccinazione contro il Coronavirus è fondamentale per debellare la pandemia, ma come ha ripetuto l’Oms più volte, senza equità vaccinale nessuno al mondo potrà dirsi al sicuro. Andava quindi rafforzata la sicurezza nelle scuole e potenziate le strutture sanitarie: ma ciò costa, quindi meglio puntare tutto sui vaccini. Questo è stato il ragionamento fatto in Italia. E ora rischiano di pagare il prezzo i più piccoli. Con cinque casi di positività potranno rimanere in classe in presenza solo i vaccinati entro i 120 giorni. Per gli altri, tutti a casa in Dad per cinque giorni. Visto che i numeri dei vaccinati è basso, è facile immaginare cosa accadrà.

Marco Barone

 

I nostri errori

Nell’articolo pubblicato il 4 febbraio 2022, “Il Consiglio d’Europa boccia i lasciapassare: ‘Sono discriminatori’”, si confondono per errore due diversi rapporti approvati dal Consiglio d’Europa. Il 27 gennaio 2022 è stato approvato un rapporto (https://pace.coe/en/files/29796/html) che conferma nella sostanza un precedente rapporto approvato nel gennaio 2021. Nell’articolo suddetto, abbiamo pubblicato alcuni estratti attribuendoli per sbaglio al rapporto più recente. Ci scusiamo per la svista (e ringraziamo i lettori per avercela segnalata). L’essenza della notizia resta tuttavia intatta poiché è un fatto che il Consiglio d’Europa, nel suo rapporto 2022, conferma la sua contrarietà all’utilizzo delle certificazioni vaccinali, esortando ancora una volta i governi a farne uso “solo per lo scopo designato di monitorare l’efficacia del vaccino, i potenziali effetti collaterali e gli eventi avversi, come richiesto dall’Assemblea nella sua risoluzione 2361 (ossia il rapporto votato nel gennaio 2021, ndr)”.

Stefano Valentino

 

Nell’articolo di venerdì – “Corte costituzionale, il ricambio (infinito) dei presidenti in serie” –, per un refuso di digitazione di cui mi scuso, è uscito come “Mario Rosario Roselli” anziché “Mario Rosario Morelli” il nome di un presidente in carica per 2 mesi e 26 giorni. Dal 1° gennaio 2014 inoltre, come spiegano le note al bilancio sul sito della Corte, la retribuzione dei giudici costituzionali non è cumulabile con pensioni a carico dello Stato. Dalla fine del 1999 a oggi i presidenti in carica (facenti funzione esclusi) sono stati 23, di cui ben 14 (non 15 come avevo scritto) per meno di un anno.

Corrado Giustiniani

La sacrosanta protesta dei giovani

 

 

“È doveroso ascoltare la voce degli studenti che avvertono tutte le difficoltà del loro domani”.

Sergio Mattarella

 

 

Meno male che si mobilitano, che scendono in piazza, che protestano vien voglia di dire leggendo le diagnosi sul “malessere dei ragazzi”, sulla loro apatia, rassegnazione. Sul “loro stato di salute psichica causato non direttamente dal virus ma dalla cattiva gestione della pandemia che ha compromesso la credibilità di genitori e istituzioni come modello” (la psicologa Stefania Andreoli). Molto si è scritto sugli scontri tra le bande giovanili che si affrontano con forme di estrema violenza. Non solo nelle periferie degradate, e altri luoghi comuni, ma dappertutto: centri storici, quartieri alto borghesi, borghi sperduti e località alla moda. Del resto, perché sorprendersi se trascorsi due anni di restrizioni, proibizioni, sanzioni abbiamo di fronte un contenitore adolescenziale super-compresso la cui energia vitale andrebbe liberata e non repressa. Come ha fatto la polizia del governo dei Migliori manganellando a più non posso nelle manifestazioni (Torino) contro il progetto scuola-lavoro, dopo la morte in fabbrica dello studente Lorenzo Parelli. Eh sì, “la voce degli studenti” andrebbe ascoltata e non soltanto quando vengono sollevate questioni per così dire “corporative”, come le prove di maturità o i programmi ministeriali. Prestare orecchio, spesso distrattamente, ai rumori che provengono da un mondo sconosciuto per poi lasciare tutto come prima?

Quella giovanile dovrebbe essere da anni la “questione nazionale”, e su di essa avrebbero dovuto dirci qualcosa di serio, di fattuale i ministri che lavorano sui temi sensibili della Next Generation Eu: dalla Pubblica istruzione, alla Innovazione, alla Transizione ecologica, alle Politiche giovanili. Per caso, qualcuno li ha sentiti? In quell’Araba Fenice chiamato Pnrr (che vi sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa) c’è scritto che le misure rivolte ai giovani ammontano a 15,55 miliardi di euro, pari all’8,1% sul totale. Un fiume di denaro dagli sbocchi al momento sconosciuti. Nessuno ne sa nulla, a cominciare dai destinatari. Che però se parlano si beccano una manganellata. Mentre chi parla di loro si merita l’applauso.

Antonio Padellaro

I pettegolezzi piccanti delle donne sussurrati da labbra nascoste

Il re assiro Shamshi-Adad, pacificate Damasco, Tiro e Sidone, trascorreva buona parte del suo tempo con la concubina preferita, Semiramide, mai sazio del suo corpo e dei suoi pettegolezzi piccanti sulle donne di corte; “ma c’è un vecchio eremita” gli rivelò una notte “che ne sa molti più di me”. Si chiamava Mumufa, e il re, incuriosito, andò a trovarlo nella sua caverna. La conversazione col vecchio lo lasciò allibito. Come sapeva tutti quei segreti? Mumufa gli diede il suo anello: “Quando lo girerai attorno al dito in presenza di una donna, lei comincerà a parlare con franchezza. Dalle sue labbra nascoste”.

Tornato a palazzo, il re decise di dare una grande festa: non vedeva l’ora di provare l’anello magico sulle convitate. La prima vittima dell’anello fu Ishtar, la bellissima, sontuosa moglie del turtanu Laqep, il generale in capo, della quale, in quanto Sommo Sacerdote, il re aveva approfittato nella cerimonia della prostituzione sacra che precedeva il matrimonio in ogni regione dell’impero. Tutti, con grande sorpresa, udirono la voce che proveniva da sotto la gonna di Ishtar: “La mia padrona è nata in Egitto, dove era una danzatrice presso la corte del faraone Padibastet. I dignitari, locali e stranieri, la coprivano di gioielli per assaggiarmi. Una spia d’Israele, in particolare, pareva non stancarsi mai di me, finché un giorno morì di gioia mentre mi montava, e per evitare complicazioni la mia padrona fuggì raggiungendo Assur, dove si sposò col generale in capo, che fra le lenzuola batte spesso in ritirata, ma pazienza: ha un titolo, e lei vive negli agi, godendosi ufficiali più vogliosi”. Il marito, paonazzo di vergogna, sguainò la spada: l’avrebbe uccisa lì per lì, se il re, ridendo, non lo avesse convinto che si era trattato di uno scherzo con cui aveva voluto dimostrare la sua abilità di ventriloquo. Tutti i presenti, compreso il generale, non poterono che rallegrarsene, congratulandosi col re per l’illusione perfetta. Anche Ishtar si unì al divertimento, ma con un certo imbarazzo: come faceva il re a sapere i suoi segreti?

Il Gran coppiere, a questo punto, accennò a sua moglie, e invitò il re a esibire il suo talento con lei. Prima che questa potesse schermirsi, da sotto la sua veste una voce diceva: “Senza di me, la mia padrona non potrebbe permettersi tutti gioielli che indossa. Giace ogni giorno con un nobile diverso, e credo mi farà raggrinzire anzitempo”. La risata fu fragorosa, ma la donna sbiancò e svenne. Mentre riprendeva i sensi, accudita dalle amiche che sapevano tutto, dunque si guardavano l’un l’altra interdette, poiché non capivano cosa stesse accadendo, un governatore burlone chiese al re di far parlare una delle cantanti che allietavano la serata, su cui aveva messo gli occhi. La ragazza ammutolì, ma dalla sua veste si alzò una melodia soave: “Oh, no, non per la dodicesima volta! Ma chi mi sta prendendo? Sei tu, Haluli?”. Il quale Haluli era l’ingegnere capo dell’esercito. Ideava congegni prendendo spunto dalla natura: il carro di ferro, per esempio, dalla testuggine. Mentre gli altri ridevano della cantante, e il re lo guardava, Haluli si insospettì: sapeva, dai propri studi anatomici, che l’organo femminile ha molte analogie con la trachea. Che potesse dunque parlare? E addirittura cantare? Fingendosi divertito, invitò dunque il re a provare il suo talento con la sua concubina, Semiramide. Il re trasalì, ma il clima era così allegro che rifiutarsi sarebbe parso strano. Di nascosto, girò l’anello e la indicò. Stavolta, la voce non raccontò avventure illecite: disse solo del suo grande amore per il re. Tutti brindarono, e poco dopo Shamshi-Adad la sposò. Ma prima Semiramide gli fece gettare l’anello nell’Eufrate.

 

Soffia un vento caldo che alimenta incendi sulle cime rinsecchite

In Italia – Il passaggio da gennaio a febbraio è avvenuto all’insegna di impetuosi venti da Nord. In Valpadana il foehn di lunedì 31 ha rimosso l’aria inquinata ma ha pure alimentato incendi sulle montagne rinsecchite e senza neve, dal Genovesato, alla Val d’Aosta e al Bresciano. Sempre il vento di favonio – per usare la dizione di origine latina – ha fatto registrare anomale temperature di ben 24 °C domenica 30 gennaio in bassa Val Susa e 21 °C mercoledì 2 febbraio nell’hinterland milanese, inoltre a Parma, con 20,3 °C, è stata la Candelora più calda nella serie di misure dal 1878. Piogge moderate lunedì 31 e martedì 1 al Centro-Sud, molta neve in arrivo dal versante austriaco, anche più di mezzo metro, è scesa sulle Alpi di confine intorno al Brennero, ma per il resto ha prevalso la siccità, che al Nord-Ovest persiste da 60 giorni. L’Autorità di bacino del fiume Po segnala che la portata a Pontelagoscuro (Ferrara) è ridotta a 765 metri cubi al secondo (-32% rispetto alla media del periodo) e il volume d’acqua immagazzinato sotto forma di neve sulle Alpi italiane è inferiore a metà del normale. Situazione anomala, ma è pur vero che le piogge primaverili, che in genere arrivano copiose, hanno ancora tempo di ripianare il deficit. Approda a Verona con l’inaugurazione dell’11 febbraio alla scuola Engim di Chievo la mostra itinerante Goodbye glaciers, ideata dall’agenzia per la Protezione civile della Provincia autonoma di Bolzano nel quadro del progetto Glistt, e che tramite confronti fotografici, strumenti di misura e oggetti emersi dal ghiaccio in ritiro racconta la massiccia deglaciazione degli ultimi due secoli tra Alto Adige e Tirolo.

Nel mondo – Ostinati venti settentrionali hanno scaricato grandi nevicate, talora da un metro, sulle montagne tra Svizzera e Austria; cinque vittime venerdì sotto una valanga a Spiss, al confine tra Tirolo e Grigioni, mentre in Canton Ticino è durato quasi una settimana il grande incendio alimentato dal foehn sul Monte Gambarogno di fronte a Locarno. Nello scorso weekend la tempesta “Kenan” ha colpito il Nord-Est americano paralizzando i trasporti e lasciando al buio 120 mila utenze elettriche nel solo Massachussets; sabato 29 gennaio 60 cm di neve a Boston, nevicata più intensa in un giorno pari merito con il caso del 17 febbraio 2003, e il freddo è arrivato fino in Florida con inconsuete temperature di -6 °C. Nuova incursione invernale giovedì-venerdì dal Midwest al Texas, altre bufere di neve, caos nel traffico e punte di -22 °C in Kansas. Fa di nuovo molto caldo invece non solo nell’estate del Sudamerica (42 °C in Argentina), ma anche nell’inverno di Marocco (32 °C ad Agadir), Francia e Spagna (28 °C intorno a Valencia). Il ciclone tropicale “Batsirai” ha prodotto venti a 130 km/h e piogge fino a 832 mm in 36 ore alla Réunion e ieri ha investito anche il Madagascar, drammatico inoltre il bilancio di alluvioni e frane nella capitale ecuadoregna Quito e a San Paolo del Brasile, 30 vittime totali. Venerdì sono cominciate in pompa magna le Olimpiadi invernali di Pechino, ma la grande assente era la neve, almeno quella naturale. Non è stata un’idea geniale scegliere come sede una zona che riceve in media pochi centimetri di neve all’anno… Ma a imbiancare le località ha provveduto un esercito di oltre 400 cannoni sparaneve con gran dispendio di acqua ed elettricità prodotta per lo più a carbone, primo evento a neve 100% artificiale nella storia dei Giochi. Con il riscaldamento globale diventerà sempre più difficile trovare città che garantiscano innevamento sufficiente (Sapporo, in Giappone, sembra una delle poche, tra quelle che hanno già ospitato le olimpiadi), e sarà opportuno adattarsi con scelte più oculate. Ne parla il rapporto Slippery Slopes appena pubblicato dall’Università di Loughborough, Regno Unito.

 

Pesca abbondante Il miracolo tocca la vita dell’uomo, non la sua ambizione

C’era folla. Lo sguardo dell’evangelista Luca resta colpito dalla ressa che faceva attorno a Gesù per ascoltarlo. Si sente solamente il rumore della gente. Il Maestro quasi resta sullo sfondo. Lui è presso le rive del lago di Gennèsaret, non più al chiuso in una sinagoga, dunque, ma all’aperto.

Sulle acque calme del lago, Gesù vede due barche accostate alla sponda. Luca per un istante riprende in soggettiva: noi vediamo con i suoi occhi. Le barche erano state sul lago per la pesca e i pescatori erano scesi e lavavano le reti dopo il lavoro notturno. Gesù riconosce Simone e sale sulla sua barca. Gli chiede di scostarsi un poco da terra. Da seduto, Gesù comincia a rivolgersi alla folla, insegnando. Che cosa? Non lo sappiamo. Luca qui è interessato ai movimenti e alle azioni. Il sonoro resta spento. Ritorna distinto l’audio appena Gesù finisce di insegnare. Si rivolge a Simone e dice: “Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca”. Assurdo! Era appena tornato dalla pesca e stava pulendo le reti. Perché tornare in mare? Esplode così l’amarezza. Quel gesto di lavare gli strumenti del lavoro quotidiano era accompagnato dalla delusione. Infatti, Simone risponde: “Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla”. Dietro quei gesti lenti e quotidiani c’è il peso della fatica inutile. Non avevano pescato nulla. Erano a mani vuote. Prendere il largo al mattino non aveva alcun senso. Gesù tocca la delusione e chiede l’assurdo. Simone però si butta, com’è suo carattere, e dice: “Ma sulla tua parola getterò le reti”. Lo chiama Maestro e mette da parte la logica. Immaginiamo un gesto spavaldo e forse di sfida del destino. Con uno scatto vediamo la barca già al largo: ed ecco che presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano. Le reti, che erano già quasi pronte per essere riposte, adesso si rompono per la quantità dei pesci pescati. Non c’è contenitore in grado di tenere il frutto di un miracolo inatteso. I pescatori cominciano a sbracciarsi e a far cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Sopraffatti, chiamano gli altri che vengono e riempiono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare. Non solamente le reti si rompono, ma anche le barche stanno per calare a picco per il peso. La delusione e la tristezza sono rotte dall’abbondanza. Manca il fiato, mancano gli strumenti per contenere il miracolo per il quale non si è pronti perché sorprende alle spalle e sovrasta l’animo. Luca ora si fa introspettivo. Simon Pietro non riesce più a star dritto e in piedi. Si getta alle ginocchia di Gesù, dicendo: “Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore”. Vuol porre una distanza tra sé e Gesù perché si sente inadeguato a vivere quel che sta vivendo. Infatti, lo stupore aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, cioè i suoi soci Giacomo e Giovanni, figli di Zebedèo. Finalmente anche loro sono chiamati per nome, come se lo stupore per il miracolo avesse dato loro tratti precisi e un nome. Allora Gesù dice a Simone: “Non temere”. Il suo animo, come le reti e la barca, stava per spaccarsi. E Gesù prosegue: “D’ora in poi sarai pescatore di uomini”. Luca spegne i riflettori sul dialogo tra Simone e Gesù.

Ecco che li riaccende di colpo sulla riva. Pietro, Giacomo e Giovanni, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono. Assurdo. Sì, i tre capiscono che quel che era accaduto non aveva il senso di renderli ricchi per un giorno. Così lasciano tutto quel ben di Dio lì, e seguono Gesù. Quel miracolo ha toccato la loro vita, non la loro ambizione di successo.

 

L’Europa e la maledizione dei migranti (invisibili)

La nobile parola “dignità” – che è stata l’aquilone con cui il presidente Sergio Mattarella ha volato più volte con forte persuasione nel discorso del suo secondo mandato – era già stata rubata, rovesciata e interpretata come una chiamata alle armi contro i migranti dal capo tribù leghista Matteo Salvini.

Cito le parole di Salvini dal Fatto Quotidiano del 29 dicembre 2021: “Nave norvegese con 558 clandestini a bordo in arrivo. Dove? In Italia, ovviamente… Che il 2022 riporti dignità e sovranità al nostro Paese. Ps: il 21 gennaio, a processo per avere bloccato gli sbarchi ci vado io…”. Continuo la citazione dal Fatto: “Questa è la reazione di Matteo Salvini (alleato di governo di Draghi e del Pd, ndr ) alla notizia della assegnazione di Augusta (Siracusa) come “porto sicuro” della nave Geo Barents di Medici senza frontiere con 558 profughi a bordo (145 minori non accompagnati e tre donne incinte). A bordo della Sea Watch – l’altra nave in attesa nell’area – in totale i migranti sono 446 raccolti in tre operazioni di cinque giorni: ‘Hanno bisogno e diritto di sbarcare in un porto sicuro perché sono esposti al freddo, al vento, al mare mosso’. Msf ha fatto sapere che 27 cadaveri sono stati trovati a terra in Libia dopo i diversi naufragi dei giorni scorsi”.

Ora, per completare le notizie sulla maledizione migranti (una febbre ossessiva che ha trasformato popoli civili e cristiani, dall’Europa all’Australia, in assassini), mi rivolgo a una fonte che sul tremendo argomento si batte da sempre senza sosta. Cito da L’Avvenire (il giornale della Cei) del 3 febbraio: “Oggi, quinto anniversario degli accordi di cooperazione fra Italia e Libia finalizzati all’intercettamento dei migranti e dei rifugiati durante la traversata del Mediterraneo, e al loro ritorno forzato nell’inferno libico… è tempo di agire. Detenzione arbitraria, tortura, trattamenti disumani, stupri, violenze sessuali, lavori forzati, uccisioni arbitrarie, questo è l’atroce destino a cui sono andati incontro negli ultimi cinque anni 82 mila uomini, donne e bambini intercettati in mare e riportati in Libia (32 mila solo nel 2021) grazie alla collaborazione della Unione Europea con la Libia, in cui l’Italia è in prima linea”. Accanto all’articolo, Avvenire “pubblica un documento, la storia segreta della nave Salph”. È una nave respinta in mare dalla marina libica, secondo ordini (dicono i testimoni al giornale) concordati con Roma ed eseguiti dal comandante Bija, nome di battaglia di un alto ufficiale libico, accusato dalle Nazioni Unite di essere uno “specialista nel traffico di esseri umani” oltre che di petrolio, che ha usato per il sequestro un rimorchiatore italiano, e che avrebbe agito dopo una visita segreta a Roma.

Come si vede, non ci sono notizie pulite sul rapporto tra Italia e Libia. Tutto è infettato dalla “Maledizione Migranti”, una ossessiva infezione mentale e politica in cui il pipistrello che ha contagiato molti cittadini dei Paesi democratici è l’adorazione di tre divinità sanguinarie che inducono al delitto: la nazione, l’identità e la razza, travestita spesso da religione. È un male che appartiene allo stesso ceppo, difficilmente guaribile, dei no-vax e dei no-pass, fondato allo stesso modo su superstizioni, notizie false, falsi guru e vuoto di cultura.

Ma la tragica storia continua. Nella notte del 3 febbraio, mentre Mattarella sta rivedendo le frasi più alte e forti del suo secondo discorso di accettazione, guardie di frontiere greche, dunque di una polizia anche italiana, perché sorvegliano i confini europei, hanno respinto otto profughi che avevano tentato di passare un fiume fra Turchia e Grecia, e li hanno abbandonati nudi a morire nel gelo. Lo sdegno dovrebbe essere immenso e non c’è. Ogni voce dei leader europei avrebbe dovuto far sentire l’orrore e l’offesa che segna per sempre ciò che credevamo fosse la civiltà europea o occidentale.

C’è però anche il risvolto assurdo della barbarie. In data 27 dicembre 2021 (cioè pochi giorni prima) il Corriere della Sera titolava a piena pagina: “Migranti (sarebbe necessario, ndr), un boom dei permessi di lavoro, con la spinta degli imprenditori leghisti”. Salvini dovrebbe dimettersi subito. Non per i suoi sentimenti, che sono la sua natura. Ma per la sua incapacità di sapere e capire che cosa succede nel Paese in cui voleva avere “tutti i poteri”.

 

Ma ai suoi tempi il ministro si sarebbe espulso da solo

Di Maio sente di avere “idee” diverse dalla linea ufficiale (di Conte) e per esprimerle liberamente si dimette dal Comitato di Garanzia, per rispetto degli iscritti. Giusto. Ricordiamo che una volta, quando Di Maio era “capo politico”, uno che aveva idee diverse dalla linea ufficiale veniva espulso. Domanda: si dimette anche da ministro? Perché è sempre grazie ai voti di iscritti ed elettori che ricopre quel ruolo. Ma piuttosto: perché Conte e Di Maio devono rimanere insieme? Di Maio è una colonna del partito di Draghi, con Giorgetti e altri. Conte è stato chiamato per riformare il M5S, non per portare l’acqua a Draghi (già assistito da innumeri e solerti volontari). Davvero credono che a parte i guardoni dei giornali, che non vedevano l’ora di gustarsi lo spettacolo della loro corruzione dentro le “logiche di partito” contro cui sono nati, alla gente interessino le beghe, le correnti, i contiani, i fraccariani, i taverniani? Se Conte parla di temi sociali, la natura farà il suo corso: non è un caso che Di Maio abbia reagito 24 ore dopo che Conte è andato a parlare con Draghi di sanità, precarietà, bollette.

Forse brucia la regola dei due mandati, che azzopperebbe molti parlamentari dimaiani. Grillo interviene scrivendo che il M5S deve “passare dai suoi ardori giovanili alla sua maturità” e propone di mettere “limiti alla durata delle cariche, anche per favorire una visione della politica come vocazione e non come professione”. Di Maio è sicuramente diventato un professionista, se lo scrivono gongolanti i giornali dell’establishment

. Ma il disprezzo del M5S per “la politica come professione” è proprio uno dei segni della sua immaturità. Nel libro omonimo, del 1919, Max Weber sottolineava piuttosto un’altra distinzione: quella tra vivere “di” politica, cioè per lo stipendio, e vivere “per” la politica, cioè per passione e per il bene comune. Chi, lì, dentro, vive ancora “per”?

Il buco più grande resta per Poste (ma paga lo Stato)

Le operazioni contro le truffe sul Superbonus e sui vari incentivi fiscali all’edilizia hanno fatto venire a galla di colpo il buco che si è creato nel bilancio di Poste Italiane. La società a controllo pubblico guidata da Matteo Del Fante è la più esposta sul mercato. Una scelta precisa, fatta sulla scorta dell’approvazione del Superbonus nel 2020 da parte del governo Conte 2. Poste ha fin da subito sbaragliato la concorrenza, offrendo costi inferiori rispetto alle altre banche, ed è diventata in poco tempo la regina del settore. L’ultimo dato comunicato dalla società racconta che nei primi nove mesi del 2021 Poste aveva in pancia crediti d’imposta su bonus edilizi per 4,5 miliardi di euro. Le notizie delle ultime settimane – sequestri da parte della Guardia di finanza in tutta Italia per un totale di quasi 2 miliardi di euro su Superbonus, Sisma bonus e altri incentivi edilizi – hanno mostrato che il gioco è molto rischioso: venerdì il titolo di Poste Italiane a fine giornata ha perso il 6,2%.

I casi scoperchiati dalle Procure di Roma, Napoli, Perugia e Rimini, Campobasso e Trieste hanno mostrato le falle del sistema. Ai gruppi indagati per truffa bastava inserire le cifre della ristrutturazione (fittizia) sull’apposito sito creato dall’Agenzia delle Entrate, in qualche caso trasferendo il credito una o due volte, da una società all’altra, per rendere meno identificabile il beneficiario. A quel punto la banca comprava, e il gruppo in poco tempo sparpagliava l’incasso tra società offshore e criptovalute. Vittima principale è stata Poste, almeno stando ai casi svelati finora dalle inchieste giudiziarie, ma in teoria potrebbe essere capitato a qualsiasi società, perché fino a tre mesi fa era la legge a non incentivare i controlli. Tutto parte dal decreto Rilancio, maggio 2020, tre mesi dopo l’inizio ufficiale della pandemia. Il provvedimento prevede che la banca acquirente debba svolgere le verifiche antiriciclaggio, ma non che sia tenuta a rifiutare di comprare il credito, se il cliente è sospetto. Se quindi l’addetto ai controlli sente puzza di bruciato, magari perché la società cliente è registrata alle Cayman o a Malta, può acquistare comunque il credito. È il contrario di quello che farebbe normalmente, cioè evitare di dare soldi a chi potrebbe non restituirli, ma in questo caso sono garantiti dallo Stato. Che paga addirittura il 110%. Per le banche private c’è solo da guadagnare, perché ogni operazione ha un costo, e infatti ci si buttano tutte. Intesa Sanpaolo, Unicredit, Mediobanca, ma anche assicurazioni come Groupama o società energetiche come Enel. Nonostante la norma lasci spazio alle truffe, nel settore entrano anche le due banche pubbliche italiane: Cdp e Poste, entrambe in ultima istanza controllate dal ministero delle Finanze. Contattata, Cdp dice di aver investito attualmente nel settore tra 600 e 800 milioni, Poste non fornisce dati aggiornati. Secondo gli ultimi numeri comunicati dal gruppo al mercato, alla fine di settembre dell’anno scorso Poste era esposta verso il settore per 4,5 miliardi di euro, con l’obiettivo di arrivare a breve a 9-10 miliardi, pari al limite del 15% sui depositi.

Di sicuro nell’inchiesta della Procura di Roma, che ha portato al sequestro di crediti edilizi per 1,2 miliardi di euro – il più rilevante finora – la banca più esposta è Poste. Venerdì ha sospeso gli acquisti di crediti fiscali legati ai bonus edilizi, seguita dalla controllante Cdp. Per spiegare il crollo del titolo a Piazza Affari, le banche d’affari hanno citato i timori legati al fatto che la società possa non essere considerata “terza in buona fede”, così come previsto dalla norma. In altre parole, che alla fine a pagare per quei crediti finti debba essere la banca. La differenza con il passato è che a novembre dell’anno scorso è stato approvato dal governo Draghi il decreto anti-frodi, che impone di “non procedere all’acquisizione del credito” se è sospetto. Di sicuro, comunque finirà per Poste, sarà lo Stato a pagare.

Stretta superbonus: partiti anti-draghi e banche già in fuga

Il Superbonus 110% sulle ristrutturazioni edilizie non è sostenibile. È questa la tesi di Mario Draghi e del ministro dell’Economia Daniele Franco, che vogliono fermare la misura di cui non sono riusciti a bloccarne la proroga in manovra. E così, in extremis e senza che i partiti ne fossero al corrente, il 21 gennaio il Tesoro ha infilato nel decreto “Sostegni ter” un paletto, la limitazione a una sola cessione della circolazione dei crediti fiscali, che ha bloccato di fatto la misura. La misura, nelle intenzioni del ministero, dovrebbe ridurre le truffe (arrivate a 5 miliardi), ma rischia di bloccare il mercato delle costruzioni, il cui boom innescato dalla norma ha contribuito non poco alla ripresa. In pratica, è stato previsto il divieto di cessione multipla dei crediti fiscali legati ai bonus edilizi. Quindi una volta che viene ceduto lo sconto in fattura, chi lo accetta potrà solo utilizzarlo per pagare meno tasse.

Intanto Poste Italiane e Cassa depositi e prestiti hanno disattivato la piattaforma per il servizio di acquisto di crediti d’imposta (ne leggete qui accanto), mentre la maggior parte delle banche più piccole non sa più come disfarsi dei miliardi accumulati. E poi c’è Mps che ha mollato i clienti non dando spiegazioni a migliaia di imprenditori disperati che si trovano milioni bloccati e attività che rischiano di fallire. Per Confartigianato sarebbero a rischio le assunzioni di 127 mila lavoratori previste dalle imprese del settore nel primo trimestre del 2022. Ma la stretta retroattiva sul Superbonus non scontenta solo imprese e banche. La scelta di Draghi e Franco ha contro maggioranza e opposizione, da M5S al Pd, da Fratelli d’Italia a Forza Italia, tutti hanno chiesto al governo un passo indietro urgente: un nuovo decreto per allentare la stretta sulle cessioni dei crediti introdotta dal dl, ora in discussione al Senato.

“Il governo deve mettere subito in campo un provvedimento in grado di correggere il blocco della cessione del credito – spiega Riccardo Fraccaro (M5S), padre del Superbonus al 110% – Non possiamo permettere che una misura che ha sostenuto la ripresa dell’economia italiana venga compressa in questo modo”. A presentare dei rilievi sono stati anche i tecnici del Servizio Bilancio del Senato che hanno segnalato che la stretta potrebbe ridurre sensibilmente gli investimenti e incidere negativamente, oltre che sulla crescita del Pil, anche sul gettito per l’erario in termini di Iva, Irpef, Ires e Irap.

M5S ha così già pronti diversi emendamenti da presentare durante la discussione in Senato del dl Sostegni ter per tornare alla cedibilità illimitata dei crediti d’imposta e abolire lo step intermedio del 30% dei lavori realizzati al 30 giugno sulle villette. Per Alessandro Cattaneo di Forza Italia “va bene l’esigenza sacrosanta di ripristinare la legalità, ma non può e non deve trasformarsi in burocrazia inutile e sprechi di tempo, soprattutto, in fallimenti e buchi nei bilanci delle aziende dovuti a norme perfino retroattive”. Appello condiviso da Fratelli d’Italia. “Abbiamo ricevuto nella giornata di oggi (ieri, ndr) centinaia di segnalazioni tra telefonate, messaggi ed email di imprenditori sull’orlo della disperazione”, spiega il vicepresidente della Camera Fabio Rampelli. Il Pd, con un emendamento a prima firma di Andrea Ferrazzi, ha già depositato un testo per la soppressione della norma. Ma il Pd chiede anche un intervento per decreto del governo. Il pressing del Parlamento è insomma fortissimo anche perché se gli emendamenti riuscissero a essere approvati, servirebbero comunque un paio di mesi prima che si concluda l’iter alle Camere per la conversione in legge. Tempo che imprenditori, intermediari e clienti non hanno.

I maggiori istituti di credito nazionali intanto vanno in ordine sparso. Per alcune banche, come Intesa Sanpaolo, che continuano a comprare i crediti, altre invece hanno fermato le acquisizioni. UniCredit “conferma l’operatività aggiornata e adeguata alle più recenti modifiche normative del servizio di cessione dei crediti derivanti da bonus edilizi per gli acquisti tramite il canale banca”. Per contro, “alla luce delle limitazioni al numero di cessioni dei crediti fiscali, contenute nel dl Sostegni ter”, Banco Bpm rende noto di aver “temporaneamente sospeso l’acquisizione di nuove pratiche da privati, condomini e imprese che applicano lo sconto in fattura, in attesa di adeguare il proprio modello di servizio alle nuove disposizioni di legge e riprendere a operare con la clientela. Nel frattempo prosegue la finalizzazione delle pratiche con crediti fiscali già maturati e cedibili, nel rispetto delle scadenze fissate dal Dl, e l’acquisizione di crediti fiscali dai soggetti aggregatori che operano tramite sconto in fattura. L’obiettivo è comunque quello di limitare, per quanto possibile, impatto sui propri clienti”. Contattata, Mps – che lasciava ai clienti la scelta di trasferire volontariamente il controllo delle pratiche sulla piattaforma della società di consulenza EY per il rilascio del visto di conformità – non ha risposto, ma dagli sportelli arrivano segnalazioni di clienti e imprenditori in grandissima difficoltà per l’improvvisa decisione del Monte di bloccare l’acquisto dei crediti fiscali.

L’analisi dei valori di cessione mostra il perfetto allineamento (casuale?) delle condizioni ufficiali. Ai consumatori clienti di Mps, secondo le condizioni aggiornate l’ultima volta il 4 maggio dell’anno scorso, la cessione del credito fiscale del Superbonus 110% con detrazione in cinque anni avveniva al prezzo minimo di 92,73% del valore nominale (92,73 euro ogni 100 di credito ceduto). Banco Bpm al 6 ottobre pagava il 92,73% del valore nominale, esattamente come Mps. Anche in UniCredit, nel foglio informativo aggiornato al 27 ottobre, l’acquisto dei crediti di imposta per persone fisiche (compresi Iacp, cooperative di abitazione, Onlus, associazioni e società sportive dilettantistiche) e condomìni era di 102 euro ogni 110€di credito fiscale acquistato (il 92,73%). Invece Intesa Sanpaolo, in base ai dati aggiornati al 23 dicembre, pagava il 90,91% del valore nominale. Solo queste due ultime banche continuano ancora l’operatività su questo fronte.

Da Etruria&C. alle due venete: ecco l’uomo che decide su Mps

Sarà pur vero che tutte le colpe producono da sé la propria punizione, ma l’alta burocrazia del Tesoro riesce a smentire anche le convinzioni più antiche. I disastri si susseguono, ma restano orfani. Prendiamo il dramma Montepaschi: si possono fare e disfare i destini della quarta banca del Paese senza spendere una parola o renderne conto, nemmeno se la banca è controllata dallo Stato. Si può anche mentire al Parlamento.

Migliaia di azionisti assistono a una scena grottesca. Il ministro Daniele Franco, o chi per lui, ha deciso di cacciare l’ad di Mps Guido Bastianini. Il momento scelto è il cda che domani deve approvare i conti 2021 (in utile dopo anni): su ordine del Tesoro, azionista col 64%, 9 consiglieri dovrebbero ritirare le deleghe al manager nominato a maggio 2020 in quota M5S. Il motivo? Nessuno lo sa, Franco non lo dice, ma sui giornali filtrano oscure minacce: “È facile arrivare a verifiche giudiziarie…” (Il Messaggero ieri).

A gestire la partita ci sono i tecnici del Tesoro, i maggiori responsabili della malagestione delle crisi bancarie. Un bagno di sangue finanziario costato miliardi. A guidarli c’è Alessandro Rivera, direttore generale del dicastero, che solo a novembre aveva spiegato in audizione alle Camere che non c’era nessuna intenzione di cacciare Bastianini (“Non mi risulta… Bisognerebbe chiedere ai giornalisti che riportano queste notizie che non ci constano”). Due mesi dopo ha convocato Bastianini e gli ha ordinato di dimettersi perché, fallita la trattativa per regalare Mps a Unicredit, la fase “è cambiata”.

Rivera, però, è anche l’uomo che, per conto di Franco, ha gestito quella trattativa, finita a settembre in un flop disastroso. Lo staff del Tesoro si era presentato al tavolo con le mani legate dall’esclusiva data alla banca milanese e l’ad Andrea Orcel ha avuto buon gioco a porre condizioni capestro ipotecando qualsiasi trattativa con futuri acquirenti. Non solo: a quel tavolo c’era pure Pier Carlo Padoan, oggi presidente Unicredit, ieri il ministro che tanto contribuì all’ascesa di Rivera.

Non è il primo fallimento nella carriera del “Maratoneta negoziatore” (copyright del CorSera). Rivera, aquilano, 52 anni, di lignaggio nobilissimo (con tanto di castello di famiglia a San Sisto) ha fatto una carriera tutta interna al ministero, all’ombra di sponsor importanti come l’ex nume tutelare delle fondazioni bancarie Giuseppe Guzzetti. Protetto dai vertici della Banca d’Italia, con cui la sintonia è totale, Rivera è arrivato al vertice del Tesoro ad agosto 2018 chiamato da Giovanni Tria contro il volere degli azionisti politici del suo governo (Lega e 5Stelle).

D’altra parte i suoi precedenti non erano granché. Rivera dal 2008 era infatti alla guida della Direzione sistema bancario, poltrona da cui è stato protagonista negli anni di Padoan di mille, tutte sfortunate, trattative con Bruxelles: dalle norme sugli aiuti di Stato nei salvataggi (bail-in) fino alle banche mandate in risoluzione in serie. Infruttuosi kamasutra diplomatici costati miliardi. Con lui al ministero, a novembre 2015, arrivò la dilettantesca liquidazione di Etruria, Banca Marche, CariChieti, e CariFerrara, con annessa tosatura dei risparmiatori, mossa che ha terremotato il settore bancario (-60% in Borsa in pochi mesi). Poi nell’estate 2017 è toccato prima alle due Popolari venete – liquidate e regalate con 5 miliardi di dote e 5 in garanzie a Intesa Sanpaolo – e poi a Mps. Per salvare la banca senese – lasciata a bagnomaria per un anno per non disturbare la campagna referendaria di Matteo Renzi – il Tesoro ha speso 5,7 miliardi, cifra oggi quasi interamente bruciata.

I metodi opachi usati nella vicenda Bastianini ricordano la telefonata con cui Padoan a settembre 2016 cacciò l’ad Fabrizio Viola per non scontentare lo statista di Rignano, che si era speso in promesse col capo di Jp Morgan Jamie Dimon. Quattro anni dopo, Franco nemmeno ci mette la faccia e manda avanti Rivera. Nella stagione bancaria 2015-2017 (e qui vanno citati pure Popolare Bari e Carige) sono andati in fumo circa 70 miliardi di valore. E questo a non dire dei tanti dossier economici gestiti (male) in questi anni dai vertici del Tesoro: da Ilva ad Alitalia fino alla società unica della rete tra Tim e Open Fiber. Rivera è sopravvissuto a tutti i ministri, silenzioso esecutore dei diktat di una classe dirigente che distrugge valore senza mai un’autocritica. Le scelte opache di oggi non sono un bel viatico per le 350 poltrone pubbliche da assegnare in primavera.