Banchi, 14 aziende in gara. Più soldi per aule e docenti

Quattordici offerte, alcune straniere, per i 2,4 milioni di banchi monoposto (2 milioni di tipo tradizionale e 400mila di tipo innovativo) che serviranno alle scuole a settembre. Ieri pomeriggio è scaduta la proroga di cinque giorni concessa dal Commissario straordinario, Domenico Arcuri, per aiutare le aziende a partecipare alla gara, che ha come requisito di accesso una produzione minima di 200mila pezzi. Alcune, come quelle rappresentate dall’associazione Assufficio di FederlegnoArredo, si sono consorziate o raggruppate in associazioni temporanee di imprese (Ati). Quest’ultima, però, ha fatto sapere di aver presentato una proposta con modalità e tempi diversi da quelli indicati nel bando, su cui dovrà esprimersi la commissione esaminatrice.

Per Arcuri è un buon segnale dopo settimane di previsioni di un bando “a vuoto” per colpa del poco tempo (la consegna è prevista per la riapertura delle scuole) e della capacità produttiva nazionale limitata. Il bando, però, era stato aperto anche alle società oltreconfine e l’interesse aveva raggiunto pure aziende non specializzate nell’arredo scolastico. La gara dovrà ora essere aggiudicata entro il 12 agosto.

La notizia ha momentaneamente disteso gli animi. Stamattina al ministero dell’Istruzione dovrebbe arrivare la firma con i sindacati del protocollo di sicurezza per il rientro a settembre, dopo lo slittamento di ieri per le ultime trattative. Si tratta di indicazioni basilari che dovranno poi essere integrate dal Comitato Tecnico Scientifico sulla gestione degli spazi e del personale: percorsi separati, help desk per i presidi, monitoraggio delle risorse e formazione sui dispositivi di protezione (sarà il commissario ad assicurarsi che il personale riceva gel e mascherine), turni in mense, al bar o ai distributori, finestre aperte il più possibile, sanificazione nei bagni, registrazione dettagliata di ogni visitatore e incontri solo su appuntamento, attivazione di protocolli per il supporto psicologico, referenti Covid e gestione dei casi positivi, presìdi sanitari ordinari e straordinari.

A rimanere fuori, temi fondamentali per i sindacati e i docenti, su cui poi si è trovata la quadra ovvero “la consapevolezza di trasformare l’organico aggiuntivo Covid in investimento strategico, in organico di diritto – spiega il responsabile scuola della Uil, Pino Turi –. Poi, la questione delle tutele per i lavoratori fragili (più esposti al contagio per malattie pregresse, ndr). Tema che merita una sessione speciale di confronto politico all’esito delle determinazioni del Cts”. Infine “l’impegno immediato per una contrattazione per il lavoro agile degli amministrativi e per il lavoro a distanza degli insegnanti”. La didattica a distanza, infatti, resta alternativa nei casi in cui non si riuscisse a garantire il distanziamento e richiederà una regolamentazione e una negoziazione contrattuale (finora è stata gestita da presidi e docenti).

Ieri, la ministra dell’Istruzione, Lucia Azzolina, ha firmato l’ordinanza che autorizza un aumento di organico di 40mila docenti e 10mila unità di personale tecnico-amministrativo “con una priorità per la scuola dell’infanzia e la primaria”. Dei 977 milioni già stanziati, la metà sarà distribuito in base al numero degli alunni sul territorio, l’altra metà sulle richieste delle scuole. Sono docenti a tempo determinato, in scadenza a giugno o prima in caso di lockdown. Si potrà cominciare a ridurre gli alunni per classe, ha detto ieri la Azzolina. Ma potrebbero servire altri docenti, tanto che nel decreto Agosto sono previsti fondi anche per un ulteriore aumento di personale oltre che per eventuali strutture extra-scolastiche dove “traslocare” le attività didattiche se necessario.

Perquisito Fico, il signor tamponi da 72mln d’euro in Lombardia

Il premio per la battuta lo vince il senatore Fdi, Antonio Iannone: “Poteva mancare il Limone sulla frittura di pesce”? Sintesi sarcastica delle ultimissime news riguardo le indagini sulla gestione dell’emergenza Covid nella Campania del governatore Vincenzo De Luca. Turbativa d’asta è ipotesi di reato che ricorre anche stavolta, dopo i quattro indagati per i tre ospedali modulari costruiti in fretta e furia, due non collaudati, in un’inchiesta che in questo caso riguarda l’aggiudicazione dei tamponi per la ricerca del coronavirus.

La Procura di Napoli ha iscritto nel registro degli indagati il direttore dell’Istituto Zooprofilattico di Portici, Antonio Limone, e il direttore del laboratorio diagnostico privato Ames di Casalnuovo, Antonio Fico, vincitore a giugno di una maxi-commessa in Lombardia da 72 milioni di euro per eseguire fino a 20mila tamponi al giorno per la sanità pubblica lombarda (vicenda estranea all’inchiesta napoletana).

Ieri, istituto pubblico e centro diagnostico hanno ricevuto la visita dei carabinieri, delegati dal pm Mariella Di Mauro, che hanno perquisito uffici e supporti informatici. Gli inquirenti cercano tracce del percorso che ha portato Zooprofilattico e Ames a collaborare per l’analisi dei tamponi in Campania. Una partnership iniziata ad aprile, nella fase acuta della pandemia, grazie alla quale i tamponi giornalieri schizzarono da circa 50 a quasi 700. “Collaborazione gratuita e disinteressata”, dissero i manager coinvolti, “Ames ha solo messo a disposizione spazi e supporto scientifico”. Avviata però senza un bando pubblico e nelle stesse settimane in cui, da un lato, Ames firmava un piano di monitoraggio sulla terra dei fuochi per lo Zooprofilattico, di circa 10mila test di sangue e urina e dall’importo di circa 750mila euro, e dall’altro la Soresa (centrale acquisti della Campania) apriva e chiudeva in poche ore un bando per allargare ai laboratori privati l’analisi dei tamponi. Ames risultò tra i pochi centri diagnostici a possedere i requisiti richiesti. Poi non se ne fece più nulla, la sanità pubblica campana ha continuato a effettuare i tamponi solo attraverso la dozzina di laboratori ricavati in ospedali e strutture pubbliche.

Addio al De Luca cabarettista: riecco l’odio per pm e giornali

La parabola di Vincenzo De Luca – da governatore a meme – sembrava un’idea geniale. Durante l’emergenza il resto dell’Italia rantolava tra governatori nel panico e altri quieti che incrociavano le dita, De Luca si prendeva la scena e con una narrazione alla Felice Caccamo (gli mancava solo il golfo di Napoli sulla cravatta), lui recitava testi da cabaret.

Testi che preparava con cura, una cura alla Franca Leosini che conosce bene la potenza delle parole nell’era dei social e dice, rendendo la frase virale, “frenò gli ardori lombari inforcando le mutande” anziché “s’è rivestito”. Solo che la Leosini fa tv, De Luca dovrebbe fare politica.

Ecco, De Luca è andato avanti per mesi, mentre al Nord si moriva come mosche, a cercare il guizzo virale. A prepararsi la frase a effetto che occupasse le home page, che entrasse in trend topic, che diventasse l’ennesimo tormentone social. Perfino la tv giapponese, in quel periodo, gli ha dedicato un servizio presentandolo come una sorta di governatore alla Mai dire Banzai, come quel qualcosa che fa sbellicare dal ridere mentre qualcuno si fa male sul serio. E così sono diventate cult le frasi sul lanciafiamme, sui “vecchi cinghialoni della mia età che vanno a correre” e così via, rendendolo senza ombra di dubbio il personaggio che più ha guadagnato in termini di consenso dal Covid insieme a Luca Zaia.

Solo che Luca Zaia studiava da virologo, lui da cabarettista. E se non fosse che questa narrazione ha creato uno strato di nebbiolina fitta su quello che stava realmente accadendo in Campania, sarebbe anche tutto molto divertente. Anzi, per un po’ lo è stato. Non a caso c’è più The best of su Vincenzo De Luca su YouTube che su Vasco Rossi. Solo che poi De Luca ha smesso di fare battute e basta. Ha iniziato anche a bullarsi sulla Campania virtuosa che ha battuto il Nord nella gestione dell’emergenza, che ha spiccato per rigore, che “Non accettiamo lezioni dal Nord, anzi le diamo” e nel mezzo ci infilava “Queste mascherine sono buone solo per fare Bunny il Coniglietto!”, roba che alla fine gli credevi sulla fiducia o comunque l’attenzione ormai era da un’altra parte.

Roba che “Come mai ha tirato su tutti ’sti ospedali in pochi giorni e la Circumvesuviana sta conciata così da decenni?”, non se lo domandava più nessuno. Poi i tempi dell’emergenza più dura finiscono, le terapie intensive e il “teatro cabaret De Luca” si svuotano lentamente. Quella nebbiolina fitta si dirada e si torna vedere la realtà per quella che è: quattro suoi fedelissimi finiscono indagati. “Io avevo immaginato che la crisi del Coronavirus potesse cambiare più in profondità le abitudini del nostro paese. Per i primi tre mesi mi era parso di respirare un clima diverso di solidarietà, di compostezza”, commenta De Luca, abbandonando il cabaret. Come no.

È fuor di dubbio che De Luca, di questa compostezza, sia stato in quei tre mesi uno degli indiscussi protagonisti. La compostezza di cui sopra, quella dei lanciafiamme e dei vecchi cinghialoni, per intenderci. Una compostezza alla Vittorio Sgarbi. Ma poi l’illusione si è sgretolata davanti ai suoi occhi. “Mi ero illuso, e invece siamo tornati ai vecchi vizi del nostro paese, al pollaio nazionale, una cosa deprimente”.

Mannaggia, i vecchi vizi del giornalismo d’inchiesta o delle inchieste giudiziarie. Il pollaio nazionale delle perquisizioni ai dirigenti delle Asl indagati per turbativa d’asta e frode in pubbliche forniture. Quel clima di solidarietà e di unità nazionale se n’è andato, è tornato il vecchio vizio di appurare se siano state effettuate frodi ai danni della pubblica amministrazione. Roba da matti.

De Luca afferma piccato “abbiamo fatto miracoli” e in effetti è un miracolo che i prefabbricati dell’ospedale Covid di Salerno riescano a reggersi su dei mattoni messi lì sotto ai moduli, come quando ti rubano le ruote della macchina. È miracoloso che un’azienda inizi a lavorare per la costruzione dell’unità Covid dell’Ospedale del Mare di Napoli 5 giorni prima che gli venga affidato l’appalto. È come quando prenoti la masseria in Puglia per il tuo matrimonio con cinque anni d’anticipo perchè c’è tanta richiesta e tu nel frattempo sei ancora single.

De Luca parla del lockdown come il nonno racconta ai nipoti dei bei tempi quando dovevi lavarti il culo in cortile e bere l’acqua del pozzo, con quella dolcezza di chi nel passato più duro era comunque felice perché era giovane e pieno di bei sentimenti. Perché ormai, purtroppo, è chiaro che il “clima diverso di solidarietà” sta scomparendo assieme ai ricoverati in terapia intensiva, e i vecchi vizi sono dietro l’angolo e fanno paura.

Tipo il vecchio vizio dei giornalisti di considerare De Luca poco meno di un impresentabile, habitué del linguaggio aggressivo (“Quello che fece Rosy Bindi fu una cosa infame, da ucciderla”, i 5 stelle “che vi possano ammazzare tutti”, a Travaglio “vorrei incontrarlo di notte, da solo, al buio”), condannato dalla Corte dei Conti in vari procedimenti contabili, gentile sì, ma con i figli e le loro ambizioni politiche. Un vizio terribile: molto meglio la quarantena.

Csm, Bonafede presenta la riforma “spazzacorrenti”

Dopo la Spazzacorrotti, la spazzacorrenti della magistratura. Oggi approda in Consiglio dei ministri la riforma del Csm del ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede. Elezione dei togati con maggioritario a doppio turno, sorteggio se mancano candidati. Niente laici governativi, ci saranno le quote rosa. Obblighi e divieti dentro al Csm, per evitare le famigerate nomine a pacchetto dei correntocrati. La via della politica è senza ritorno. Tramonta la gerarchizzazione delle procure introdotta con le riforme Castelli-Mastella, che ha dato la stura pure al carrierismo delle toghe. Paletti più rigidi per il cambio di funzioni. La bozza di riforma del governo giallo-rosa dovrà poi essere approvata dal Parlamento, vedremo se e con quali modifiche.

Elezione dei consiglieri

I magistrati voteranno 20 togati, invece dei 16 attuali, con un sistema maggioritario. Previsti 19 collegi e doppio turno. Ogni collegio deve esprimere almeno 10 candidati, 5 per genere. Se sono meno di 10 o non è rispettato il genere, l’ufficio elettorale sorteggia le candidature mancanti in seduta pubblica. Al primo turno si possono esprimere fino a 4 preferenze. Oltre una, si deve alternare il genere. Viene eletto al primo turno il candidato che ha ottenuto almeno il 65% dei voti validi, una percentuale altissima. In caso contrario si va al secondo turno “il secondo giorno successivo” allo spoglio. Secondo tanti magistrati i collegi favoriscono gli accordi correntizi, ma Anm e Pd non hanno voluto il sorteggio, a differenza del ministro, che ha dovuto accettare la mediazione. Quanto ai laici, passano da 8 a 10. Non possono essere eletti i membri attuali del governo o di governi dei due anni precedenti, anche delle Regioni o delle province autonome di Trento e Bolzano. Giovanni Legnini insomma, ex sottosegretario all’economia del governo Renzi non sarebbe potuto diventare vicepresidente dello scorso Consiglio, ma David Ermini, attuale vicepresidente, ex deputato del Pd, sì. I consiglieri non potranno guadagnare complessivamente più di 240mila euro l’anno.

L’argine alle correnti

Pensando allo strapotere delle correnti e alle nomine cosiddette a pacchetto (“uno a te, uno a me”) la riforma prova a mettere un argine. “Non possono essere costituiti gruppi tra i suoi componenti e ogni membro esercita le proprie funzioni in piena indipendenza ed imparzialità”. Per le nomine previsto l’ordine cronologico dei posti vacanti, obbligatorie le audizioni dei candidati se almeno 3 componenti della Commissione lo richiedono, introdotte le fasce di anzianità, anche per i semidirettivi, che riduce ulteriormente la discrezionalità del Csm. Gli ex consiglieri non potranno concorrere a incarichi direttivi per 4 anni. Per 2 anni chi ha ricoperto incarichi fuori ruolo. I membri delle Commissioni saranno estratti ogni anno per sorteggio e cosa molto importante, chi sta in Disciplinare non potrà far parte delle Commissioni che si occupano di trasferimento per incompatibilità ambientale e funzionale, di nomine e di valutazioni di professionalità.

No ai super procuratori

Non ci saranno più procuratori con “super poteri” rispetto ai pm. I progetti di organizzazione dovranno essere vagliati dal Csm “introducendo limiti alla discrezionalità del capo dell’ufficio e rendendo più pregnante il ruolo del Csm. Si attribuisce, infatti, a un provvedimento adottato dal Csm l’individuazione dei principi generali, di contenuti imprescindibili, al fine di una gestione più omogenea dell’ufficio”. Altra novità è la previsione di un controllo successivo delle scelte organizzative così come avviene già per gli uffici giudicanti.

Accesso in Cassazione

Per diventare consigliere di Cassazione si dovrà essere giudice di merito almeno da 14 anni. Acquisisce un punteggio più alto chi proviene dalla Corte d’appello o come giudice o come sostituto pg

Cambio di funzioni

Nessuna separazione delle carriere, ma il passaggio da giudice a pm e viceversa si può fare solo 2 volte e non più 4.

Toga al chiodo

I magistrati che entrano in politica non potranno più indossare la toga se eletti come parlamentari, parlamentari europei e consiglieri regionali almeno per 6 mesi. Stesso divieto se si ricoprono incarichi di governo o in amministrazioni locali a partire da Comuni con oltre 100mila abitanti. Alla fine del mandato i magistrati saranno ricollocati come funzionari del ministero della Giustizia o di altri ministeri. Il magistrato che non viene eletto non potrà lavorare nella sua circoscrizione elettorale e per 3 anni non potrà fare nè il gip nè il pm o ricoprire incarichi direttivi. I magistrati possono candidarsi se sono in aspettativa almeno da due mesi, ma non nella circoscrizione dove si trova l’ufficio in cui hanno operato negli ultimi due anni, ora è 6 mesi.

Referendum e proporzionale: rischio sconfitta doppia per il Pd

Il Pd si appresta a un’estate da equilibristi, con sconfitta incorporata: un “ni” al Referendum costituzionale che taglia i parlamentari nel nome della mancata riforma della legge elettorale e una battaglia per un accordo su un proporzionale, che è praticamente impossibile blindare prima del 20 settembre.

Astenersi sul testo base del proporzionale per permettere di iniziare a lavorare: è la proposta che gli sherpa del Pd stanno portando a Matteo Renzi. Lui prende tempo e si crogiola nel ruolo di ago della bilancia (con uno sguardo a Berlusconi che può contenderglielo). L’obiettivo è ottenere che la soglia passi dal 5% al 3%. Potrebbe spuntarla. Ma comunque, è tutto rimandato a dopo la pausa estiva. Nel frattempo, il Pd comincia ad accarezzare l’idea di boicottare il referendum. Se al Nazareno parlano di libertà di coscienza, in molti cominciano a mobilitarsi per il no. Hanno iniziato i senatori Tommaso Nannicini e Gianni Pittella. Ma il fronte si allarga. Si sono espressi per il no Matteo Orfini e Giorgio Gori, sindaco di Bergamo, esponente di Base Riformista. Sono in arrivo alla causa una serie di intellettuali. Molti dem nel segreto dell’urna diranno no. Posizione pericolosa: rischiano di accusare una sconfitta, senza aver neanche combattuto la battaglia. Mentre dentro il partito c’è chi considera le barricate sul proporzionale il segno evidente che il Pd, nato nel segno della vocazione maggioritaria, ha abdicato al suo ruolo.

I Benetton: “Vendiamo, ma alle nostre condizioni”

Le notizie contenute nel comunicato della holding Edizione, il braccio attraverso cui la famiglia Benetton controlla il suo vasto e profittevole impero, sono due: per la prima volta si annuncia esplicitamente l’uscita da Autostrade per l’Italia, ma al contempo si ribadisce che il clan veneto lo farà solo alle sue condizioni (sì, ovviamente si parla di soldi).

In attesa dell’ennesimo incontro, stamattina, tra Atlantia e Cassa depositi e prestiti conviene ripartire dall’inizio di questa vicenda ormai ingarbugliata. A metà luglio un accordo tra il governo e Atlantia – la società che controlla Autostrade per l’Italia, a sua volta controllata dalla holding Edizione – sembrava avviare a conclusione il contenzioso apertosi con la tragedia del Ponte Morandi due anni fa: l’ingresso di Cdp in Autostrade con almeno il 33% tramite un aumento di capitale, la cessione di almeno un altro 22% di Aspi da parte di Atlantia a investitori istituzionali graditi alla stessa Cassa, scindere Aspi dalla holding consegnando le quote residue agli azionisti di Atlantia, quotazione in Borsa di Autostrade. In cambio il governo avrebbe rinunciato alle revoca della concessione e, nel frattempo, il ministero avrebbe approvato il nuovo Piano economico finanziario di Aspi, cioè in soldoni le regole per la nuova concessione: quanti investimenti, quanta manutenzione, quanti pedaggi. La vecchia convenzione, com’è noto, era scandalosamente favorevole al concessionario, quella nuova porterà meno utili riducendo anche il valore dell’azienda.

Da allora, però, la trattativa si è impantanata soprattutto su due grossi punti: il valore da assegnare ad Autostrade per l’Italia, la manleva che Atlantia dovrebbe concedere alla Cdp su eventuali contenziosi giudiziari (diciamo che lo “storico”, Morandi in testa, non lascia tranquilla la società del Tesoro).

E qui si arriva alla nuova offensiva dei Benetton e degli altri azionisti di Atlantia culminata con la proposta del cda di martedì: in pratica la vendita in blocco dell’intero 88% di Aspi in mano ad Atlantia o via “processo competitivo internazionale” o attraverso la quotazione in Borsa di una società con dentro le quote di Autostrade. In sostanza, un’asta a cui Cassa depositi “potrà partecipare”, dice gentilmente Atlantia.

Una evidente violazione dell’accordo di luglio – peraltro spalleggiata dalle azioni legali degli azionisti di minoranza (il fondo Tci in testa) – che ieri è stata sposata in pieno e pubblicamente dalla famiglia Benetton. In un comunicato, infatti, la holding Edizione “dichiara di condividere le operazioni proposte” e benedice le “modalità di mercato” e il “rispetto dei diritti di tutti gli azionisti e stakeholders” (cioè tutti quei soggetti che non si erano accorti, per distrazione, che per avere quei profitti bisognava tagliare sulle manutenzioni).

Quanto al futuro, per la prima volta i Benetton annunciano ufficialmente che usciranno da Autostrade: “La quota in Aspi attribuibile a Edizione dopo l’eventuale scissione non sarà considerata strategica e quindi verrà posta in vendita a condizioni di mercato entro 18 mesi”. Se ne andranno, ma solo guadagnandoci.

Stop licenziamenti: il governo diviso vara la “mezza proroga”

Il Consiglio dei ministri era ufficiosamente convocato per stasera, ma non è detto che si tenga: le trattative nella maggioranza attorno al cosiddetto “decreto Agosto” non sono affatto terminate. La questione che divide di più (tra loro e al loro interno) i partiti che sostengono il governo Conte è la proroga del blocco dei licenziamenti da affiancare al prolungamento per altre 18 settimane della Cassa integrazione “Covid-19”: la ratio del provvedimento è tenere bloccata la situazione fin quando l’economia non sarà ripartita del tutto, presumibilmente all’inizio dell’anno prossimo. Venendo alle squadre in campo: M5S, LeU e un pezzo del Pd sono a favore della proroga, il resto dei dem (maggioranza in Parlamento e al governo) e i renziani sono contrari. Mentre andiamo in stampa, è in corso l’ennesimo vertice giallorosa sul decreto.

Il problema è che ormai sull’impossibilità di cacciare i lavoratori dalla sera alla mattina s’è scatenata una campagna a metà tra l’ideologico e l’interessato che vede, ovviamente, in prima fila Confindustria. Citeremo, a titolo di esempio, solo il parere dell’economista Tito Boeri, che ieri su Repubblica ha sostenuto – nominando en passant la “Nord Corea” – che il blocco dei licenziamenti blocca in realtà le nuove assunzioni perché gli imprenditori non sanno se potranno licenziare e quando: può essere che sia così, anche se la gelata piovuta sull’economia non induce all’ottimismo su futuribili aumenti degli organici, oppure che in molti finiscano per licenziare i costosi e rigidi vecchi contratti per assumere, con calma, dipendenti più giovani, meno pagati e sacrificabili a prezzi modici (vedi la modifica all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori del Jobs Act). In sostanza, tante ristrutturazioni aziendali pagate dai redditi da lavoro e dalla fiscalità generale via sussidi.

Come che sia, questa spaccatura politica e sociale si riflette anche nel governo producendo bizzarri cortocircuiti. La ministra del Lavoro, Nunzia Catalfo (M5S) martedì sera ha garantito ai sindacati la proroga del blocco dei licenziamenti fino al 31 dicembre, negli stessi minuti veniva prodotta una bozza del decreto in cui, col guizzo dell’artista, la proroga rimaneva, ma a metà: una sorta di compromesso che, tecnicamente, allunga il blocco al 15 ottobre e poi fino al 31 dicembre, come da proposta delle imprese, ma solo per chi usufruisce della Cassa “Covid-19”.

D’altronde è ora – ha scritto ieri il viceministro dell’Economia dem, Antonio Misiani, – di iniziare “il percorso di fuoriuscita dall’emergenza”, di “nuova normalità” anche quanto alla tutela dei lavoratori. E la mezza proroga, dicono, è farina del sacco del Tesoro, benedetta da Roberto Gualtieri. L’ex sindacalista Guglielmo Epifani, deputato di LeU, non pare però convinto dal ragionamento: “Preoccupano le notizie che vorrebbero limitare il blocco dei licenziamenti solo fino alla metà di ottobre, altre erano state le dichiarazioni delle settimane scorse: il blocco va allungato fino alla fine dell’anno”.

Silenziosii partiti, è toccato alle parti sociali impugnare la clava. Cgil, Cisl e Uil – dopo le rassicurazioni di Catalfo – non hanno preso bene la novità: “Se il governo non prorogasse il blocco dei licenziamenti sino a fine 2020, si assumerebbe tutta la responsabilità del rischio di uno scontro sociale” fino all’ipotesi che l’iniziativa unitaria già convocata per il 18 settembre si trasformi “in uno sciopero generale”.

Confindustria, in serata, vaticinava catastrofi: “Se l’esecutivo intende ancora protrarre il divieto dei licenziamenti, il costo per lo Stato sarà pesante” visto che “il divieto per legge assunto in Italia – unico tra i grandi paesi avanzati – non ha più ragione di essere ora che bisogna progettare la ripresa”. Quel divieto “impedisce ristrutturazioni d’impresa (corsivo nostro, ndr), investimenti e di conseguenza nuova occupazione. Pietrifica l’intera economia allo stato del lockdown”. Guai, nel caso, a pensare di mettere paletti sulla cassa integrazione ai “furbetti”, cioè a chi ne ha usufruito pur non avendo avuto cali di fatturato: “Sarebbero inaccettabili”.

Tra i litiganti sta, fino a notte silenzioso, il governo: la trattativa continua. “Nodo politico”, c’è scritto nella bozza.

Gran lotteria rimpasto: i tormenti di Zingaretti e la guerra a 5Stelle

Ora proprio no. Non a un anno esatto dalla caduta dell’esecutivo gialloverde, la prima vera crisi di governo in agosto dell’era repubblicana. Ma a settembre, dopo le elezioni regionali, anche Giuseppe Conte potrebbe dire sì al rimpasto. Quel riassetto che in queste ore il premier dovrebbe aver fermato congelando le ansie del ministro dello Sport, Vincenzo Spadafora. Aveva minacciato di restituire la delega, il dimaiano al cubo Spadafora, irritato per il no alla sua riforma dello Sport di tanti 5Stelle. Non ha neppure accennato a dimissioni. Ma martedì sera Conte, anche su richiesta del Movimento, ha ugualmente tamponato con un lungo colloquio serale con il ministro.

Il premier non voleva aprire un varco al rimpasto che parte del Pd e di Iv chiedono da settimane, e che anche tanti del M5S attendono speranzosi. Ma dopo le urne, tutto tornerà in gioco, soprattutto se dovesse prevalere il centrodestra. A quel punto Nicola Zingaretti potrebbe seguire il consiglio di Goffredo Bettini ed entrare nell’esecutivo. Molti nel Pd sono convinti che questo darebbe un diverso spessore politico all’operazione. E lui non sarebbe più un segretario fuori sia dal Parlamento che dal governo. La casella cerchiata è il Viminale, anche se ieri Zingaretti ha chiamato Luciano Lamorgese rassicurandola (“Nessun rimpasto”). Ma fonti 5Stelle dicono che il suo posto è nel mirino di Lorenzo Guerini.

il ministro della Difesa è abbastanza soddisfatto del lavoro che fa. Ma coltiva il sogno di arrivare al ministero dell’Interno sin da quando era a capo del Copasir. A quel punto, a Zingaretti potrebbe toccare il Lavoro. Di certo in tanti dovranno guardarsi le spalle. Anche Spadafora, sostiene qualche grillino. Perché ieri il ministro ha incontrato il capodelegazione Alfonso Bonafede e i parlamentari che si occupano di sport, e al tavolo gli hanno ribadito che la sua riforma pare troppo schiacciata sui desiderata del presidente del Coni Malagò. Soprattutto, Conte non ha gradito la milionesima grana. Chissà se peserà anche questo nella partita di settembre, dove le donne sembrano le più esposte. È il caso della ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina, che dem e renziani non cessano di lavorare ai fianchi, accusandola di aver provocato il caos sulla riapertura delle scuole. Ma dovrà difendersi anche la ministra ai Trasporti Paola De Micheli, a cui Conte e un bel pezzo del suo partito, il Pd, non hanno ancora perdonato la lettera di inizio luglio con cui restituì la gestione del ponte Morandi ad Autostrade. I problemi sulla viabilità in Liguria e le frizioni con il ministro alla Salute Speranza sulla gestione dei posti sui treni hanno fatto il resto. E così il Movimento è lì che aspetta, con l’attuale viceministro al Mit, Giancarlo Cancelleri, che salirebbe volentieri di grado. Ma quel posto l’ha puntato da tempo anche Matteo Renzi, che non a caso ha spinto come priorità assoluta il piano choc e lo sblocco dei cantieri. A sgomitare per un posto da ministro è la solita Maria Elena Boschi. C’è poi, appunto, il ministero del Lavoro, retto dalla 5Stelle Nunzia Catalfo. “Nunzia sta recuperando” racconta un grillino di peso. Ma il suo ministero, centrale in questa fase, è sotto assedio. E in fila ci sono i dem, ma anche parecchi 5S.

Perché il rimpasto sarebbe innanzitutto guerra di posizioni tra i partiti: ma c’è anche la necessità di chiudere le falle interne, soprattutto nel Movimento attraversato da mille fazioni in guerra tra loro. Nel Pd tra gli indiziati per entrare c’è Graziano Delrio, tra i più critici nei confronti del governo e anche tra i più sospettati di manovre.

Va detto che non solo l’interessato, ma anche molti dem smentiscono l’ipotesi. Voci pure su Andrea Orlando, che però preferirebbe la guida del partito. Mentre nel Movimento ci sono due viceministri come Stefano Buffagni e Laura Castelli, che Luigi Di Maio farebbe promuovere con piacere. Non solo. Da giorni nel M5S si sussurra di un inserimento della sindaca di Torino Chiara Appendino, ormai decisa a non ricandidarsi. Di Maio le propose già l’anno scorso lo Sviluppo economico. E nei 5Stelle continuano a considerarla una carta possibile.

La banda del bando

Addio scuola. “I sindacati alla Azzolina: ‘La scuola non riaprirà’” (il Giornale, 18.7).

Matta. “La scuola folle nella testa della Azzolina” (Michela Marzano, La Stampa, 21.7).

Flop. “Salta il banco. Disastro Arcuri-Azzolina. Caos scuola su tavoli e sedie. Rivolta delle aziende: ci chiedono di fare in 1 mese il lavoro di 5 anni”, “Scuola, è caos totale: ‘Ci vogliono 5 anni per 3,7 milioni di banchi’. Le imprese denunciano l’assurdità del bando. L’ennesimo flop del duo Azzolina-Arcuri” (Giornale, 23.7).

Buco nell’acqua. “Anche sui banchi, un nuovo buco nell’acqua del governo in attesa del prossimo” (Licia Ronzulli, senatrice FI, 23.7).

Mission impossible. “Emergenza banchi, corsa per trovarne 2,5 milioni. I presidi denunciano i ritardi del ministero: così non riusciamo a ripartire… I produttori hanno già definito il bando Arcuri ‘una missione impossibile’, si pretende ‘in 23 giorni la produzione di 5 anni… Entro fine agosto riusciremo a realizzarne solo 120 mila’. Assufficio e Assodidattica… han fatto i primi calcoli e commentato: ‘Qualcuno si è posto il problema se la gara andrà deserta?’… La Azzolina in crisi di panico” (Corrado Zunino, Repubblica, 24.7).

Gara deserta. “‘La gara andrà deserta’. Il pasticcio di Arcuri e Azzolina sui banchi. Socialisti in cattedra. Parla il presidente della più grande azienda di arredo scolastico: ‘Chi ha fatto il bando è un incompetente, non conosce il mercato. Numeri e tempi impossibili’” (Luciano Capone, Il Foglio, 24.7).

Fa acqua. “Arcuri e Azzolina dietro la lavagna per il pasticcio dei banchi. Pubblica (d)istruzione. Il bando per le attrezzature fa acqua da tutte le parti e il tempo intanto stringe” (Mario Giordano, La Verità, 25.7).

Salta il banco. “Azzolina fa saltare i banchi. Neppure la ministra sa usarli” (Libero, 25.7).

Disertiamo. “Scuola, rischio caos per settembre. I produttori: impossibile fornire 3 milioni di banchi. Assufficio: le condizioni di gara non sono accettabili. I produttori potrebbero disertare il bando. Salvatorelli (Vastoarredo): ‘Non c’è l’acciaio per fare tutte quelle sedie’” (Sole 24 Ore, 28.7).

Bando deserto. “Che succede se il bando va deserto?” (Elvira Savino, deputata FI, 28.7).

Non c’è tempo. “L’Europa ha già sciolto il nodo scuola. La Azzolina è rimasta sotto il banco… Gli arredi ‘futuristi’ per le aule non arriveranno mai in tempo” (La Verità, 29.7).

Scritto coi piedi. “Azzolina-Arcuri, due incapaci coperti da Conte. Il bando scadrà tra due giorni e con molta probabilità andrà deserto perché è stato scritto con i piedi” (Mario Giordano, La Verità, 29.7).

Incompetenti falliti. “I banchi e l’allievo Pinocchio… Un bando di gara che suscita non una ma diverse perplessità… Questi difetti del bando sono dovuti, crediamo, più a incompetenza che a convinzioni ideologiche o alla fretta… La nostra vera emergenza oggi è nelle scuole e il fallimento di chi è stato in questi mesi alla loro guida è sotto gli occhi di tutti” (Tito Boeri, Repubblica, 30.7).

Alla larga. “Il banco perde”, “Se le condizioni restano queste, le imprese continueranno a tenersi alla larga dal bando, sia quelle italiane sia quelle straniere” (Luciano Capone, Il Foglio, 30.7).

Caos. “Scuola, riapertura nel caos. Slitta l’appalto banchi. Arcuri allunga i termini dal 30 luglio al 5 agosto. I produttori protestano: una proroga così è inutile” (il Giornale, 30.7).

Improvvisati. “S’inventano pure le rotelle, tutto improvvisato, ogni giorno una nuova: che ci sta a fare il ministro?” (Carlo Cottarelli, ibidem).

Tutti cinesi. “Scommettiamo da quale Paese del mondo arriverà la maggioranza dei banchi a rotelle? Dallo stesso Paese che ci manda i monopattini? Altro regalo alle aziende cinesi?” (Matteo Salvini, segretario Lega, Twitter, 30.7).

Cagata. “Arcuri fa cagate di bandi. È riuscito a fare un bando per i banchi con le rotelle che prevedeva una fornitura minima di 200mila pezzi. Ma nessuna impresa italiana è in grado di produrli in così pochi giorni… Prima fa i bandi europei dove arriveranno solo i cinesi, poi si accorge della cagata che ha fatto e li cambia” (Nicola Porro, video condiviso dai social di Salvini e Lega, 30.7).

Bluff. “Sui banchi anche la Scavolini scarica Arcuri. Se non saranno gli stranieri né i ‘colossi’ italiani, chi salverà la scuola? …Un altro bluff, anche questo di breve durata. Le aziende non si sono fatte avanti, né quelle italiane né quelle straniere” (Capone, il Foglio, 31.7).

Incapaci. “Il governo ha nominato commissario un incapace come Arcuri” (Roberto Formigoni, collegato dagli arresti domiciliari alla festa di Tpi a Sabaudia, 31.7).

Altro flop. “Il bando per i banchi verso un altro flop. E stavolta l’Azzolina rischia di saltare. Oggi scade la nuova gara per gli arredi a rotelle: per le imprese, forniture e tempi restano proibitivi. Il ministro e Arcuri nei guai” (Daniele Capezzone, La Verità, 5.8).
Con sgomento e costernazione, apprendiamo che il bando impossibile del duo Arcuri-Azzolina è andato così deserto da ricevere 14 offerte da imprese italiane ed estere. Probabilmente saranno tutte aziende che fabbricano stuzzicadenti o banchi di pongo e sedie di fango e paglia. Ma anche quest’Apocalisse è rinviata a data da destinarsi. Confidiamo nella prossima.

Se mi lasci ti cancello: l’Università di Bologna ti resetta la memoria

E se potessimo cancellare l’impatto negativo di un ricordo? Eliminando definitivamente quella sensazione di paura che ci attanaglia quando riaffiora un evento traumatico? Non è il seguito del film Se mi lasci ti cancello, in cui Jim Carrey si struggeva per cancellare la sua amata Clementine, ma un nuovo paradigma sperimentale messo a punto dall’Università di Bologna. Lo studio, condotto per due anni su un campione di 84 persone presso il dipartimento di Psicologia di Cesena, ha dimostrato che con la stimolazione cerebrale si può dissociare la paura dal ricordo di ciò che l’ha provocata. “Nel primo step – spiega Giuseppe di Pellegrino, docente di neuroscienze cognitive – abbiamo indotto nei partecipanti un ricordo aversivo, ovvero spiacevole, con delle scariche elettriche. Il giorno dopo è stato rinnovato con richiami alla situazione vissuta, e per questo è stato sufficiente farli tornare nella stessa stanza. Poi li abbiamo sottoposti alla Stimolazione magnetica transcranica (Tms) che, grazie a una bobina posizionata sulla testa, permette di creare un campo magnetico in grado di modificare l’attività neurale di specifiche aree cerebrali”. In questo modo il ricordo dell’evento spiacevole viene modificato in modo tale da non generare più paura quando è richiamato alla memoria. Utilizzando questa procedura sperimentale, che abbina stimolazione cerebrale e riconsolidamento mnesico, i ricercatori di Bologna sono stati in grado di modificare un ricordo spiacevole che i soggetti avevano appreso il giorno precedente. L’innovativo protocollo sperimentale, pubblicato recentemente sulla rivista Current Biology, potrebbe essere applicato a individui affetti da stress post traumatico, vittime di terremoto o altre calamità o del Covid. Anche le fobie potrebbero essere un campo d’azione. “Grazie all’utilizzo di questa tecnica siamo stati in grado di alterare la funzionalità della corteccia prefrontale che è risultata cruciale per il riconsolidamento di un ricordo aversivo. Siamo solo all’inizio della ricerca, in futuro potremmo ragionare anche sull’abuso di sostanze”, spiega Sara Borgomaneri, prima autrice dello studio e vincitrice di un finanziamento del ministero della Salute per i giovani ricercatori. Chissà se, e quando, si potranno cancellare i traumi d’amore.