Geografia Covid. Al Nord, tutti in mascherina. A Sud invece baci e abbracci: fino a quando?

 

“Ho 25 anni e sogno gli amori estivi, ma la pandemia fa paura”

Cara Selvaggia, partirò per il mare fra pochi giorni dopo aver passato la quarantena (e la fase due, e pure tutta la fase tre) in un monolocale con vista su uno dei paesi più colpiti dal Covid. Uno di quelli dove ancora oggi stringersi la mano è un gesto scellerato, dove la mascherina non sarà più obbligatoria ma è difficile vedere due persone a passeggio che non la indossino anche fuori dai locali. Non ho ancora smesso di disinfettare le melanzane e i tubetti di dentifricio presi al supermercato, di lasciare le scarpe fuori dall’uscio, di lavare i vestiti una volta rientrata a casa. Ho prenotato una vacanza al mare con pochi amici per pura sopravvivenza, ma anche per abitudine. Sono single e ancora in quella fase della vita in cui l’estate è la stagione degli amori, di una notte o anche di qualche settimana, da riporre poi in valigia come un souvenir dell’anima. Ho venticinque anni e la stessa voglia di vivere quell’estate adolescenziale, di muretti e vasche per il corso di una piccola città sulla riviera adriatica. Eppure, so che non sarà così. Perché ho ancora paura di fare due chiacchiere con la vicina di casa sul pianerottolo, senza mascherina, figurati con uno sconosciuto in un locale affollato. Non bevo più dai bicchieri dei miei amici, e non vedo come riuscirò a condividere un’eventuale intimità con un ragazzo conosciuto in spiaggia. Ho ancora paura di vivere, e vedere che per tutti la normalità sembra tornata di casa non riesce a convincere anche me, non ho nessuno spirito di emulazione. Le cose che il Covid ci ha portato via hanno riempito liste, classifiche, articoli di giornale. Ha portato via parenti, amici, vicini. Ha portato via il lavoro a molti, la casa a qualcuno, ha portato via il sole a chi non ha un terrazzo e l’ossigeno a chi non ha un tapis roulant. Ha portato via un anno di vita a tutti i sopravvissuti, bambini e anziani, giovani e vecchi ma, con tutto il rispetto, perdere i venticinque anni non è come perdere i sessantadue. Perdere uno degli anni che, per antonomasia, “nessuno indietro riporterà” è una perdita atroce che, nel più grande dolore dei morti, scompare, ma nei baci che non darò, negli sguardi che non lancerò, nell’amore che non farò quest’estate io sento che sia morta una parte di me.

Serena

 

Cara Serena, capisco il tuo dolore ma quest’anno, noi che abbiamo la fortuna di vivere ancora, abbiamo tutti perso un anno. Basta mettersi d’accordo, non aprire la carta d’identità e ripartire da venticinque anche il prossimo agosto.

 

“In Puglia il virus non è mai esistito”

Ciao Selvaggia, vedo che sei in Puglia come me. Non so come tu sia arrivata alla tua meta di vacanze, ma ti dico come ci sono arrivato io. In macchina, dopo tanti anni, per ridurre al minimo i rischi di contagio e anche per godere di maggiore autonomia. Eppure, attraversando l’Italia, non mi sembra di essermi spostato tanto nello spazio, quanto nel tempo. O meglio, da Torino a Brindisi devo essere incappato in un tunnel nello spazio-tempo capace di portarmi in una dimensione parallela, in cui questa pandemia non è mai esistita e la vita è uguale a prima. Nella prima sosta in autogrill, appena dopo Bologna, in realtà il virus c’era ancora. Mia moglie è stata subito richiamata all’ordine quando, distratta, si è avvicinata alla cassa senza mascherina, e lo scaffale dei prodotti igienizzanti era ben rifornito a fianco dell’uscita. Più tardi, nei pressi di Pescara, una situazione decisamente più rilassata: portatori di mascherina e persone a volto scoperto in una percentuale di 80-20, ma senza che a nessuno desse troppo fastidio. Usciti dall’autostrada nei dintorni di Bari per una piccola deviazione legata al traffico le mascherine erano sempre meno, fino ad arrivare alla nostra destinazione nell’entroterra tra Brindisi e Lecce. Intanto, una bella stretta di mano con il proprietario di casa e poi, il giorno dopo, la nostra prima passeggiata in centro. Affollata come può esserlo di sabato sera in una regione letteralmente presa d’assalto, e noi e gli altri sparuti portatori di mascherina quasi a salutarci come adepti di una setta. Il cartello con l’obbligo di mascherina e igienizzante per le mani è appeso all’ingresso di ogni negozio, ma nessuno sembra farci troppo caso. Qualche negoziante più serio redarguisce i clienti negligenti, ma altri abbozzano solo un timido richiamo, mentre qualcuno proprio lascia direttamente perdere. Vedo incontri tra compagnie di amici suggellati da baci e abbracci, panini afferrati senza incarto e sbranati dopo aver toccato ben bene la mascherina per togliersela, e non ti racconto la prima mattinata in spiaggia, che immagino tu sappia bene come funziona. Io, quando vedevo i video delle discoteche, pensavo fossero casi isolati e negligenze occasionali. Ora, purtroppo, mi devo ricredere. Sono arrivato in un posto in cui il Covid non è mai esistito, a quanto pare. Ma se da un lato sono preoccupato, dall’altro, un po’, mi sembra di tornare a respirare, e di essermi preso una vacanza, più che dal lavoro, da un presente cupo e asfissiante. Qui tutto è vita, e non pensavo che esistesse più.

Giuseppe

 

Mi piacerebbe condividere il tuo senso di liberazione, Giuseppe, ma da quello che vedo temo che sarà un sollievo ad orologeria. Speriamo che il sud non diventi il nuovo nord, quest’inverno, perché ho come l’impressione che nessuno, stavolta, si fermerà ad aspettarlo.

 

Omofobia. I clericali italiani che amano Duda invocano la libertà di rogo contro i “sodomiti”

Nel frastagliato network dei clericali di destra la violenza verbale contro i “sodomiti” e “l’ideologia satanista Lgbt” è purtroppo un tratto quotidiano o quasi. Ma con la conferma a metà luglio della presidenza catto-sovranista di Andrzej Duda in Polonia si è andati ben oltre. Al punto da invocare la libertà di rogo contro gli omosessuali. Lo scorso 29 luglio è infatti apparso un post a dir poco aberrante su Messa in latino, uno dei siti di riferimento dei tradizionalisti italiani.

Fino a ieri il post era nell’home page e nessuno l’ha rimosso. Questo il testo delirante e sgrammaticato: “Dopo la bella notizia del presidente Duda che, dopo aver vinto il secondo mandato alla Presidenza della Polonia, è andato ad inginocchiarsi dinnanzi alla Madonna di Czestochowa come atto di ringraziamento, oggi proponiamo un’altra bella notizia dalla terra di S. Stanislao: un arcobaleno, che era stato piazzato, (dal movimento Lgbt polacco), di fronte alla cattedrale di una città polacca, dopo poche ore è stato bruciato dai cittadini, indignati e scontenti di questo gesto evidentemente oltraggioso e provocatorio”. Conclusione: “Essi hanno potuto farlo perché sono ancora liberi e non c’è nessuna legge liberticida che punisca il reato di opinione. Fosse successo in Italia (ove si applica già il non-ancora-approvato #ddlZan)?”.

Capito? La libertà di opinione comprende anche quella di bruciare ciò che non piace e si odia. E in questo caso si mette in mezzo, ancora una volta, il ddl Zan contro l’omofobia, vera ossessione del bigottismo fariseo che detesta pure la misericordia di papa Bergoglio. Ma non è tutto. Il sito spaccia per nuova una notizia che risale a sette anni fa. Ché fu nel 2013 che un arcobaleno Lgbt fatto di fiori venne bruciato a Varsavia, in piazza Zbawiciela. A comporlo l’artista Julita Wojcik. In seguito venne rifatto e poi bruciato per altro cinque volte, finché l’arcobaleno non è diventato un ologramma a prova d’incendio.

Insieme con l’Ungheria di Viktor Orbán, la Polonia nazionalista intrisa di un cattolicesimo cupo e senza pietà “è una speranza e una luce per tutta l’Europa”, per citare l’ex deputato centrista e ciellino Luca Volontè (peraltro a processo per una vicenda di corruzione). Non solo. In piena emergenza pandemica, nello scorso marzo, l’arcivescovo Carlo Maria Viganò, implacabile avversario di Francesco, ha detto in un’intervista che il Coronavirus è stato causato “da sodomia e matrimoni gay” e in Polonia ha colpito di meno grazie al governo clerical-sovranista, che considera “l’ideologia Lgbt più aggressiva del comunismo sovietico”.

A fare questo paragone è stato lo stesso presidente Duda, allievo di Jaroslaw Kaczynski, tuttora leader di Diritto e Giustizia (Pis). Nato a Cracovia, la città di San Giovanni Paolo II, Duda incarna ancora più di Orbán la “speranza luminosa” dei cattolici in guerra con il mondo. Benedetto e coccolato dalla Chiesa polacca (la sera del lunedì post-elettorale è andato appunto a Jasna Góra, al santuario della Madonna nera di Czestochowa) è però stato rieletto con il 51 per cento dei voti al ballottaggio. Non proprio un plebiscito.

 

Per “la Repubblica” 2.0 i ribelli neri sono l’Isis

Me ne infischio se qualche zoticone mi accuserà di fare il censore o il sacerdote del “politicamente corretto”.

Trasecolo ugualmente imbattendomi sulla prima pagina di Repubblica, con seguito nel suo paginone culturale, di un testo che in altri tempi su quel giornale mai sarebbe stato pubblicato senza prenderne le dovute distanze; magari tra i commenti e sottoposto a contraddittorio. Il titolo suona vagamente spengleriano, sulla scia del tramonto dell’Occidente: “Dalla mia finestra osservo New York cancellare la Storia”.

A cancellare, niente meno, la storia americana sarebbe il movimento di protesta antirazzista Black lives matter. E la finestra da cui viene osservato cotanto scempio è quella del designer Gaetano Pesce, autore delle “riflessioni d’artista” che seguono.

Pesce manifesta ribrezzo nei confronti della “prepotente protesta di certa minoranza afroamericana”, fomentata da “bande di professionisti della ribellione” – poteva mancare? – “probabilmente finanziati da misteriosi sostenitori”. Manca il solito nome di Soros, agitato continuamente a mo’ di spauracchio da Trump, ma l’insinuazione basta e avanza.

Pur riconoscendo deprecabile l’omicidio di George Floyd ad opera di “un poliziotto con gravi problemi psico-fisici” (poverino, ndr), Pesce non esita a far suo un paragone infamante: “Le gravi proteste-sommosse e relative distruzioni accomunano i loro fautori ai reazionari dell’Isis… e ai talebani quando fecero esplodere le grandi statue di Buddha”. Un bel modo di etichettare sulla progressista Repubblica il nuovo movimento per i diritti civili. Accusato di abbattere monumenti eretti in onore non solo degli eroi americani, ma anche di Gesù Cristo e di Santa Maria.

Lanciato in un’ardita contrapposizione tra “i malanni e le ingiustizie” che colpiscono la minoranza afroamericana e la sopraffazione maschile sulle donne, Pesce rincara la dose: la componente femminile è oppressa anche nella minoranza afroamericana e “sicuramente nel continente Africa”. Come dire: a che titolo protestate voi neri, proprio voi che in Africa opprimete le donne? Ennesimo stereotipo di matrice colonialista travestito da denuncia sociale.

Non manca, ovviamente, la più diffusa storpiatura del pensiero di Pier Paolo Pasolini che avrebbe scelto di stare dalla parte dei poliziotti contro “le orde di giovani europei”, dei quali “la stragrande maggioranza trovava un passatempo nel bruciare, rompere, demolire, rubare, ecc.”. Roba da neurodeliri.

Orbene. Qui non si contesta al nuovo corso di Repubblica di mettere in pagina simili corbellerie, se le ritiene interessanti nel contenuto o per l’autorevolezza del firmatario. Ma che senso ha farlo così, alla chetichella?

Siamo al corrente delle aspre polemiche seguite alla pubblicazione nella (più adatta) pagina delle opinioni del New York Times di un intervento del senatore Tom Cotton che invocava l’uso dell’esercito contro i manifestanti. Tale scelta portò alle dimissioni del responsabile di quella pagina e, in seguito, di un’editorialista filo-Trump. Un grande quotidiano d’opinione definisce il suo profilo non solo con quel che pubblica, ma anche per come lo pubblica. Per intenderci, dubito che La Repubblica che conoscevo io avrebbe messo in pagina le tesi islamofobe di Oriana Fallaci senza sottoporle a obiezioni di pari rilievo.

Pregherei di non invocare a difesa di quella che spero di poter considerare solo una (grave) leggerezza il recente manifesto di 150 intellettuali americani contro il conformismo censorio della cosiddetta cancel culture. Per carità, nel mio piccolo, lo avrei firmato anch’io. Ma tra il rivendicare la libertà d’espressione con la sua inevitabile, scomoda ma necessaria pluralità dei linguaggi, e lasciare libero sfogo a farneticazioni grossolane elevate alla dignità della pagina culturale, ce ne corre.

Grazie al cielo possiamo condannare l’abbattimento delle statue pur riconoscendo che Black lives matter non è cancellazione bensì passaggio fondamentale della storia americana.

La sai l’ultima?

 

Bologna, proietta film porno in piazza e paga la multa da 3.300 euro con una colletta online

È stata una delle storie più appassionanti della settimana. Un simpatico goliarda bolognese – lo studente di ingegneria 24enne Carlo Ferretti – ha proiettato un film porno sul gigantesco telo del maxi schermo di Piazza Maggiore, allestito per una rassegna estiva. Per lunghi minuti il centro di Bologna si è trasformato in un cinema hard all’aperto, fino all’intervento censorio, inevitabile, delle forze dell’ordine, che hanno interrotto la trasmissione e rifilato una multa da 3.300 euro al coraggioso “esteta”. È però una storia a lieto fine: il giovane Ferretti – solo omonimo del cantautore dei CCCP che negli anni 80 infiammava Bologna con altrettanto spirito punk (e oggi fa l’eremita in montagna e vota Meloni) – ha lanciato una colletta online per farsi aiutare a pagare la multa. Non è riuscito a raccogliere i 3.300 euro richiesti: ne ha ottenuti addirittura 5mila. I soldi che avanzano li ha donati alla Cineteca di Bologna. Capolavoro.

 

Roma, si dimentica l’eroina sul treno e chiede alla polizia di andargliela a prendere: arrestato

Poteva giocarsela meglio, diciamo. Un 34enne italiano è sceso dal treno a Roma e dopo qualche minuto s’è reso conto di essersi dimenticato qualcosa nel vagone: un pacchetto, per lui, di vitale importanza. L’uomo si è subito rivolto alla polizia ferroviaria, giurando di aver lasciato in carrozza dei farmaci fondamentali per la sua salute. Così gli agenti della Polfer sono andati a recuperare le medicine, ma hanno trovato un astuccio con 5 involucri di una sostanza un po’ diversa da quella che aveva dichiarato lo smemorato pendolare. Sembrava eroina. E infatti era proprio eroina, come risultato dalle prime analisi. I “farmaci salvavita” sono stati sequestrati e il 34enne denunciato a piede libero per detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti. Quanto può essere pesante una droga che ti fa chiedere aiuto alla polizia quando l’hai dimenticata sul treno?

 

Il titolo della settimana – Il Messaggero: “Jonathan la tartaruga ha 188 anni e si accoppia regolarmente”

Una notizia imporante, di ampio respiro: ci dice che l’amore non ha età, non è mai troppo tardi, si può dare di più. Il titolo della settimana è del Messaggero: “Jonathan, la tartaruga più vecchia ha 188 anni e si accoppia regolarmente”. Ci sono tutti gli elementi della grande storia. L’esotismo: Jonathan è una testuggine gigante delle Seychelles, portata sull’isola (già cinquantenne) nel lontano 1882. L’erotismo: Jonathan, malgrado alcuni handicap non da poco, è ancora un mandrillone. La speranza: il nostro tartarugone ha quasi due secoli di vita e non molla un centimetro. “È diventato cieco per le cataratte – ci dice Il Messaggero – e ha perso il senso dell’olfatto, ma, secondo gli esperti, è ancora in ottima salute e si accoppierebbe anche con regolarità”. Come nella favola della lepre e della tartaruga, Jonathan va piano ma arriva in fondo. Tutto bellissimo, un solo piccolo appunto al Messaggero: forse non era il caso di piazzare questo grande racconto di vita proprio accanto ai necrologi.

 

Bonnie e Clyde a Trento non riescono a rapinare nemmeno due ragazzini. E la coppia finisce in galera

Li chiamavano Bonnie e Clyde: la coppia di ladri più scalcagnata del mondo è di Trento, come racconta Il Dolomiti. Hanno fallito non una, ma ben due rapine al bancomat. Umiliati prima da due ragazzini, poi da un uomo: hanno fallito miseramente e si sono fatti arrestare. Bonnie e Clyde si erano appostati nei pressi di una banca, incappuciati e armati di pistole a salve. La prima aggressione è stata alle spese di due giovani, paralizzati dal terrore. Talmente paralizzati da non riuscire nemmeno a prelevare il denaro. Bonnie e Clyde, infuriati, hanno iniziato a sparare a salve in aria e i due ragazzini sono scappati via. La seconda rapina è andata ancora peggio: la vittima è riuscita a disarmare uno dei due criminali e a darsi alla macchia. Bonnie e Clyde non si erano nemmeno bardati bene: sono stati riconosciuti grazie ai circuiti di videosorveglianza. In casa loro la polizia ha trovato coltelli e altre armi finte. È scattato l’arresto ed è calato il sipario su un grande amore criminale.

 

Spagna, a Pamplona denunciato e multato l’organizzatore del “Derby del Covid”: la partita di calcio sani contro infetti

Pamplona è la culla dei grandi eventi. Non c’è solo la festa di San Firmino, quella in cui orde di turisti esaltati e indigeni apparentemente sotto anfetamine si fanno inseguire e spesso incornare da una mandria di tori incazzati nei vicoli del centro. Stavolta nella capitale della Navarra si sarebbe dovuto disputare una specie di “Derby del Covid”, una partita di calcio geniale: sani contro infetti. Il nome era già pronto: “Patxanga Mendillori”, l’appuntamento era fissato al 20 luglio. Una causa nobile: “Incontro benefico per i malati di Covid-19”. Ma l’idea era talmente imbecille che non poteva finire bene. L’organizzatore, un ragazzo di Pamplona di 23 anni, è stato denunciato per violazione dell’ordinanza sulle condotte civiche da mantenere durante la pandemia. È la stessa persona identificata a giugno come organizzatore di un Covid-party ancora nella zona del lago Mendillori, dove si erano assembrati centinaia di giovani spagnoli. In entrambi i casi il 23enne giocherellone è stato multato per diverse migliaia di euro.

 

L’eroe che ci meritiamo: un uomo con la maschera di Spiderman tenta un furto in gelateria (e fallisce)

I romani sono un popolo che ha bisogno di eroi. L’ultimo è quello che si è materializzato vestito da Spiderman in una gelateria della Garbatella per tentare un’improbabile rapina. L’uomo ha varcato l’uscio del negozio di piazza Biffi indossando una maschera dell’uomo ragno e brandendo un coltellaccio. Il titolare della gelateria, chissà come mai, non è riuscito a prenderlo sul serio e si è rifiutato di consegnare i soldi che aveva in cassa. Spiderman è passato dalle parole ai fatti e ha tirato un paio di fendenti verso il commerciante, ferendolo due volte al braccio. Poi si è dato alla fuga. Ora immaginate la scena, oggettivamente surreale: in mezzo agli storici lotti popolari della Garbatella, di domenica notte, un tizio in calzamaglia travestito da uomo ragno scappa a perdifiato, inseguito dallo stesso gelataio che aveva ferito e pure da una pattuglia della polizia. La corsa è breve, Spiderman finisce in manette. Sotto la maschera c’era un 26enne italiano, l’eroe di cui abbiamo bisogno. È stato arrestato per tentata rapina aggravata, resistenza e lesioni.

 

Torino, mamma 80enne coltiva le piante di marijuana del figlio: era convinta che fosse il luppolo per fare la birra

Pare che uno dei passatempi più in voga tra gli spacciatori italiani sia quello di abusare crudelmente di parenti e genitori anziani. Dopo il simpatico ragazzo che aveva nascosto l’erba in casa della nonna approfittando dell’operazione al naso che le aveva tolto l’olfatto, questa settimana Repubblica Torino ci racconta la storia di un altro burlone, che faceva coltivare la marijuana alla mamma 80enne, avendola convinta che fossero piante di luppolo per fare la birra in casa. L’anziana signora col pollice verde continuava ad annaffiare ignara, fin quando all’uscio di casa si sono presentati gli agenti di polizia. “Sono intervenuti dopo una segnalazione e quando alla porta hanno trovato la gentile signora che li ha invitati a entrare sono rimasti sorpresi – racconta Repubblica –. Poi la verità: il figlio, due settimane prima, quando aveva portato le piantine a casa della mamma, le aveva detto che servivano a produrre birra e che doveva annaffiarle con cura per farle crescere”. Il discolo è stato arrestato per detenzione e coltivazione della marijuana.

Applausi per Ciavardini dai fascisti negazionisti

Mancano pochi minuti alle dieci quando Luigi Ciavardini, 57 anni, con alle spalle la condanna definitiva a 30 anni per la strage di Bologna e uscito in semilibertà nel 2009, appare tra i tavolini dei bar che si affacciano su piazza del Popolo. Strette di mano, una certa compiacenza, lo sguardo sorridente. Si sfiora con il gotha del mondo neofascista, riemerso per l’occasione. C’è Mario Merlino, già Ordine nuovo, poi Avanguardia nazionale, uno dei grandi vecchi rimasti su piazza. Gira tra i gruppetti che arrivano alla spicciolata Andrea Insabato, il neofascista che mise la bomba alla redazione del manifesto vent’anni fa. Appare in prima fila Vincenzo Nardulli, anche lui avanguardista, condannato in primo grado per l’aggressione ai giornalisti dell’Espresso. Arriva, un po’ sudato, anche Giuliano Castellino, l’uomo delle piazze di Forza nuova a Roma. E poi i giovanissimi, inquadrati tra gli skins e gli ultras delle curve.

Sono passati 40 anni dalla bomba nella sala d’aspetto di seconda classe della stazione di Bologna. Il nero Ciavardini, insieme a Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, erano lì, parte di un commando stragista che ha ucciso 85 persone, ferendone 200. Fascisti, sì, ma al soldo dell’eversione piduista, secondo le ultimi indagini. Amavano definirsi «spontaneisti». Erano killer, dei peggiori. Ciavardini, prima di Bologna aveva partecipato all’omicidio del pm Mario Amato, guidando la moto usata nell’agguato. Un colpo solo, vigliacco, alla nuca, sparato da un altro Nar, Gilberto Cavallini, anche lui condannato, in primo grado, per la bomba del 2 agosto 1980.

Piazza del Popolo, ieri. È l’appuntamento principale per la kermesse nera, organizzata per cercare di allontanare lo spettro della strage del 2 agosto. “Nessuno di noi era a Bologna”, lo slogan che da anni ripetono i più o meno ex ordinovisti, avanguardisti, evoliani, identitari. “La strage è palestinese”. Anzi no, “organizzata da Carlos, con sotterranee alleanze rosse”. L’importante è allontanare quella colpa. Tornare presentabili. Per il quarantesimo anniversario hanno voluto fare le cose in grande, con una decina di piazze, da Milano a Catania. Tutti schierati, con i gilet gialli. E a Roma, dove la strage venne pensata, programmata, la guest star è lui, il nero Ciavardini. Nessun comizio, solo “due minuti di silenzio, uno per le vittime e l’altro per la verità negata”.

La preparazione è stata meticolosa, con un discreto tam-tam. Tra gli organizzatori nessuna sigla nota della galassia nera. A chiedere la piazza è stata “Azione frontale”, gruppo semisconosciuto, ma particolarmente attivo nei gesti provocatori, come la scritta “Partigiano assassino” lasciata sulla porta della sede dell’Anpi di Genova qualche mese fa. Il gruppo Facebook creato per l’evento (“L’ora della verità”) aveva poche centinaia di follower ed è stato chiuso qualche giorno fa. A Napoli gli organizzatori sono però riusciti ad incassare il patrocinio dell’Ordine degli Avvocati, mentre la lettera di Fioravanti e Mambro apriva il sito dell’agenzia Adnkronos. “I Nar liberi trattati da star”, ha commentato ieri l’Associazione delle vittime. Liberi, sorridenti e pronti a scendere n piazza.

Romolo, Virgilio e Leopardi: la nostra storia in una grotta

L’agosto che si è appena aperto ha cinque lunedì: prima di riprendere a sgranare, in questa pagina, il rosario di manomissioni e omissioni che ogni giorno colpiscono paesaggio e patrimonio, proviamo a usarli per suggerire un itinerario ricreante, tra pietre e popolo.

“Felice Napoli, io dico, e degna d’invidia, sede augustissima delle lettere, se già sembrasti sì dolce a Virgilio”: l’esclamazione di Francesco Petrarca è il miglior viatico a una mezza giornata d’estate passata nel piccolo parco che – a Piedigrotta, alle pendici orientali della collina di Posillipo, ormai nel cuore della caotica città moderna – accoglie la tomba di Virgilio, e quella di Giacomo Leopardi. Poco importa se, sulla prima, la tradizione risale giusto all’epoca di Petrarca, e se, quanto alla seconda, c’è più d’una ragione per credere che l’amico Antonio Ranieri mentisse pietosamente quando affermò d’aver salvato la salma di Giacomo alle fosse comuni che ingoiavano i corpi di un’altra epidemia. Non si tratta, infatti, di andare a verificare quelle reliquie con la meticolosità contabile di un ragioniere della morte, ma di godere per qualche ora di ciò che davvero rende unico tra tutti il nostro Paese: quella comunione tra natura, storia, letteratura, arte che formano, abbracciandosi fino a confondersi, i luoghi in cui si dipana oggi la nostra vita.

Siamo, per la precisione, all’imboccatura di una Grande Opera dell’antichità: quella Crypta Neapolitana che altro non è che una galleria stradale realizzata in età augustea che, perforando il colle di Posillipo per 700 metri, permetteva di giungere assai più velocemente dalla metropoli partenopea alle delizie dei Campi Flegrei. Grazie a un incantesimo diametralmente opposto a quello che avvince le Grandi Opere dei nostri Sblocca Italia, o Decreti Semplificazione che siano, in quella galleria, benché oscurissima, non poteva avvenire alcun delitto: tal “che in niuno tempo non di guerra e non di pace fo fatto mai atto disonesto, né per omicidio, né per robaria, né per sforzamento di femmene, senza timore né suspizione a quelli che ce passano e non se nce po’ ordinare imboscamento e questo è provato et indu[bita]to perfino a’ nostri tempi”. Così sostiene la trecentesca Cronaca di Partenope: presentando con la consueta, assertiva sicurezza una leggenda tipicamente medioevale. Interessante è conoscere l’artefice di tanto incantesimo: che almeno dal 1190 (quando a scriverlo è un chierico inglese, Gervasio di Tilbury, che possedeva una villa a Nola) si riteneva essere lo stesso autore della galleria (“si vera vox populi est”, chiosava maligno il solito Petrarca), e cioè nientemeno che il poeta Virgilio, nell’Età di Mezzo trasfigurato in meraviglioso mago.

Non mancavano, come sempre, altre ipotesi sulla genesi di un simile prodigio di ingegneria civile: la più fascinosa essendo forse quella del rabbino Beniamino di Tudela, che la voleva costruita da Romolo per difendere l’Italia da un possibile attacco del biblico David, re d’Israele.

Ma è Virgilio, va da sé, a far breccia nell’immaginario collettivo: e fu così che si iniziò a credere che il sepolcro a colombario con tamburo cilindrico su un basamento quadrangolare, edificato in opus reticulatum, agli inizi dell’età imperiale, nei pressi della Crypta fosse proprio la tomba di Virgilio, rimasto in qualche modo a guardia e a garanzia del suo capolavoro.

Da quando vi vennero pellegrini, forse increduli ma certo commossi, Petrarca e Boccaccio, generazioni di poeti, viaggiatori, turisti sono salite tra la vegetazione per ricordare, celebrare, ringraziare Virgilio: mago se non altro della parola.

Finché, nel 1939, quando si ebbe la pessima idea di demolire la chiesa di San Vitale nel cui portico era stato sepolto Giacomo Leopardi (“scrittore di filosofia e di poesia altissimo, da paragonare solamente coi greci” secondo l’ispirata epigrafe dettata da Ranieri), si pensò – felicissimamente – di portarne le spoglie qua a Posillipo (cioè nel luogo che, secondo il nome greco, “lenisce il dolore”), affiancando le tombe dei due poeti in un itinerario che ancor’oggi toglie il fiato. Al punto di da farci rileggere, una volta tanto senza l’inevitabile cupo pessimismo, il celeberrimo incipit della sua Canzone all’Italia: “O patria mia, vedo le mura e gli archi / E le colonne e i simulacri e l’erme / Torri degli avi nostri, / Ma la gloria non vedo”. Perché, c’è poco da fare, la gloria dell’Italia è proprio questa, se non la distruggiamo: la struggente bellezza che, appena siamo disposti ad accoglierla, sa farci umani, e farci felici.

Lo aveva ben capito Goethe, che nel suo Viaggio in Italia annotò: “Questa sera ci siamo recati alla grotta di Posillipo, nel momento in cui il sole, tramontando, passa con i suoi raggi fino alla parte opposta. Ho perdonato tutti quelli che perdono la testa per questa città”.

“La supremazia degli stupidi: è l’era della banalità dilagante”

“La democrazia è definita anche dal diritto ad essere stupidi. Esiste la libertà di dire stupidaggini e in qualche modo dobbiamo tutelarla”.

Roberto Escobar, filosofo della politica, è pieno di compassione verso le castronerie del nostro tempo, già drammatico di suo.

Le castronerie sono il frutto di una selezione capovolta della classe dirigente. Se manca un pensiero, un orizzonte positivo cioè a cui tendere, resta l’azione quotidiana del nulla, la banalità quotidiana dentro la quale la classe dirigente trova un suo sistema virtuoso di galleggiamento.

Scegliamo i peggiori, votiamo i peggiori, e poi ci rammarichiamo che siano tali.

A uno che ieri l’altro chiedeva i pieni poteri e oggi denuncia il sequestro della democrazia per via del coronavirus cosa vuole rispondere? Bisogna essere pazienti e spiegargli che i pompieri esistono per spegnere gli incendi. Nondimeno i pompieri restano anche se non c’è fuoco da spegnere. Lo stato di emergenza è una clausola di salvaguardia dai rischi potenziali della pandemia non la messa in mora della nostra libertà. È così banale, non dovrebbe essere difficile per nessuno capirlo.

Lei ha insegnato per tutta la vita filosofia, e ha idee di sinistra. Adesso che il virus ha messo in crisi il liberismo la sinistra sembra una vedova inconsolabile.

I peggiori si trovano ovunque, mica solo da quella parte? Il capitalismo si è rotto e noi, grazie alla insussistenza di un pensiero alternativo, non sappiamo che pesci prendere.

Non ci sono i filosofi di un tempo, caro professore.

Il tempo del pensiero è rubato dalle ospitate televisive. Con l’effetto collaterale di liberare parole senza possedere un telaio politico e culturale che le sostenga.

Smart working, per esempio.

Che bestialità! Cosa ci sia di smart in questo working è davvero un mistero. Riprendano i libri di storia e rileggano il Seicento. Si chiamava lavoro a domicilio. Nel settore della tessitura i padroni, gli odierni capitalisti, ritennero più fruttuoso spostare i telai, il mezzo di produzione, dalla fabbrica alle case dei contadini. I contadini divennero operai, ma il loro costo fu abbattuto. Tutto torna.

Temo che per parecchio tempo faremo i conti col lavoro a domicilio.

La prima cosa che mi viene in mente, magari non la più importante: chi mangerà a pranzo in trattoria?

Lei è catastrofista.

Ho scritto un libro che ha per titolo Il buono del mondo. Una frase di Giacomo Leopardi che peraltro diceva: “Quando vedo un ramo spezzato soffro”. Io credo che il mondo abbia energie positive e la solidarietà sia un’attitudine umana dal valore inestimabile. Certo, non devo volgere lo sguardo a ciò che leggo. L’ultima di Trump per esempio: invalidare le elezioni presidenziali. Sarebbe un segnale catastrofico, un attentato alla democrazia. Spero che sia una boutade, ma so, valutando la personalità di chi ha pronunciato questa frase, che assume la forma di una proposta plausibile, possibile.

Restiamo alle disgrazie italiane.

Con raccapriccio ho ascoltato il presidente della Regione Lombardia dire che negli anni settanta era di moda portare i soldi all’estero. Sono convinto che questa sua efferata dichiarazione non sarà censurata dall’opinione pubblica che anzi apprezzerà la furbizia dell’uomo. Noi italiani crediamo di essere tutti assai furbi. Invece non sappiamo che dei sessanta milioni che siamo magari un milione sarà costituito da gente scaltra. Resta a piede libero l’assoluta maggioranza formata da stupidi che si credono furbi.

Se il mondo è governato dai peggiori, il peggio arriverà.

Ho riletto La peste di Camus, come credo in tanti abbiano fatto in questo tempo di paura. Camus non chiedeva eroi ma medici che sapessero, fatica dopo fatica, insuccesso dopo insuccesso, costruire un domani. Noi dobbiamo provare l’umiltà della cura.

Saremo più poveri. Più incavolati. E uindi più infelici.

Più poveri forse sì. Anzi, tolgo il forse. Però non è ancora detto che saremo più infelici.

“Sulle autostrade troppi anni di incuria: il ponte non va in prescrizione”

A guardare dal basso il nuovo Ponte di Genova, inaugurato oggi a quasi due anni dal crollo del Morandi, ci sarà anche il procuratore capo Francesco Cozzi. L’inchiesta sul disastro del 14 agosto 2018 è in mano alla sua procura e ai pm Massimo Terrile e Walter Cotugno: Cozzi fu il primo a escludere l’ipotesi di una tragica “casualità” e adesso, dopo ispezioni, indagini e perizie relative anche ad altri tratti, è convinto che per decenni l’intera rete autostradale abbia sofferto gravi mancanze di “attenzione”.

Procuratore Cozzi, a che punto è l’inchiesta sul crollo del Ponte Morandi?

A fine ottobre sarà consegnata la perizia sulle cause del crollo, poi dall’1 dicembre inizierà la discussione. La perizia sarà fondamentale perché darà indicazioni sulle condotte che possono aver avuto rilevanza nel disastro. E intanto la procura deve portare avanti la gestione dell’enorme mole di dati raccolta, così da mettere in connessione le informazioni.

Indagine complessa.

Nei momenti successivi al crollo c’è stata un’attività gigantesca da parte dei Vigili del fuoco e della Polizia, che hanno prodotto una quantità formidabile di video e foto lavorando tra le macerie e durante le operazioni di soccorso, catalogando poi i reperti in modo che potessimo con precisione sapere cosa fossero e dove fossero crollati. Poi c’è stata l’identificazione di tutti i testimoni e dei soggetti con ruoli di responsabilità nella gestione del ponte.

Avete potuto contare solo su filmati amatoriali?

Mi ha aiutato l’esperienza dell’indagine sulla Torre dei Piloti (il crollo di una torre al porto di Genova, colpita da una nave il 7 maggio 2013, ndr) quando per puro caso ci venne in aiuto il filmato di una sorveglianza privata. Polizia e Guardia di Finanza hanno fatto di tutto per raccogliere ogni possibile filmato sul ponte. Uno in particolare, girato da una società di videosorveglianza, ci è utilissimo per l’incidente probatorio. Preferimmo tenerlo riservato fino al luglio del 2019 per evitare di condizionare il racconto dei testimoni.

Dopo il crollo lei disse che non avreste cercato capri espiatori, ma che non poteva essere stata una casualità. Perché ne era convinto?

Mi sono occupato di diversi disastri che hanno coinvolto opere umane ed è sempre arduo ipotizzare che sia un caso. Può esserci un fattore naturale che agevola un processo – pensiamo alle alluvioni del 2011 o del 2014 – o comportamenti che diventano concausa del disastro, ma in questo caso bastava rifarsi a Renzo Piano: un ponte non ha margini di aleatorietà o insicurezza, un ponte è un’opera di ingegneria basata su calcoli e che deve rispettare norme di progettazione, costruzione e manutenzione. Se così è, non può crollare. Aspettiamo l’esito dell’incidente probatorio, ma le risultanze di indagine fino a questo momento non ci hanno fatto convincere del contrario.

C’è un pregiudizio contro Autostrade?

Fin dall’inizio la procura ha vagliato tutte le possibili ipotesi, senza escluderne nessuna. Dal fulmine al cedimento del terreno, posso assicurare che è stato dato incarico ai nostri consulenti di valutarle.

Il forte coinvolgimento dell’opinione pubblica influisce sull’inchiesta?

Per nulla. Abbiamo massima attenzione per l’aspetto umano, nel rispetto delle vittime ma anche degli indagati, i quali potrebbero risultare estranei alle accuse. Ma non ci dobbiamo far minimamente coinvolgere dall’emotività, per quanto non nego che il crollo di un ponte colpisca tutti nel profondo.

L’indagine sul Morandi non è la sola sulle autostrade. La preoccupa che non sia un caso isolato?

Andando a vedere gli obblighi di manutenzione ci sono piovute addosso, come un effetto domino, altre indagini. Segnalando al ministero dei Trasporti alcuni casi sospetti sono stati avviati più controlli. Le ispezioni hanno rilevato uno stato di non adeguatezza diffuso, per esempio sulla Genova-Alessandria o sulla Genova-Savona. La stessa società concessionaria ha ammesso che alcuni viadotti avevano indice di deterioramento 70, ovvero il massimo, quando pochi mesi prima quegli stessi tratti erano stati classificati come sicuri. Per non dire delle gallerie, perché per 15 anni in tutta Italia si sono disattese le regole di una direttiva europea del 2004 per gestire vie di fuga, allarmi e misure di sicurezza. E coi nuovi crolli partivano altre inchieste…

Che conclusione ne trae?

Si sono accumulati anni di ritardi nelle ispezioni. Dal quadro complessivo emerge che l’infrastruttura autostradale negli ultimi 50 o 60 anni aveva necessità di una cura e un’attenzione probabilmente superiore, altrimenti non si spiega come all’improvviso le ispezioni abbiano dato certi risultati o perché Placido Migliorino, il perito del Mit, abbia parlato del 95% di gallerie a rischio in Liguria. Perlomeno le indagini, a prescindere da come finiranno, hanno spinto nella direzione dei maggiori controlli.

È legittimo che la politica non aspetti i tempi della giustizia per decidere sulla concessione?

Non entro nel merito della revoca. Posso dire che la messa in sicurezza e l’adempimenti degli obblighi delle concessioni non possono aspettare i due, tre (o quanti saranno) gradi di giudizio.

Oggi sarà all’inaugurazione del nuovo ponte?

Andrò di certo, in posizione defilata come nel nostro costume. Però il lavoro fatto per la ricostruzione, che ha coinvolto anche i miei colleghi, la Guardia di Finanza e la Polizia, mi rende orgoglioso e merita un riconoscimento. Andrò per loro o per il rispetto delle vittime.

Teme che la prescrizione vanificherà l’indagine?

Nei casi delle altre tragedie di cui mi sono occupato si sono completati i gradi di merito nei tempi. L’esito del processo è un altro discorso, ma è un nostro obiettivo evitare che l’indagine sul ponte si concluda con una denegata giustizia: è inaccettabile, soprattutto in vicende delicate come questa.

L’Abruzzo brucia e Marsilio è al ristorante

È affranto e pure indignato. Ma il presidente della regione Abruzzo, Marco Marsilio non perde l’appetito. E così mentre da giovedì le fiamme divorano la provincia dell’Aquila, lui si concede una cenetta sul lungomare di Pescara. “Vorrei ringraziare gli uomini e le donne che stanno lavorando ininterrottamente” ha detto ieri mattina reduce dal banchetto a due al ristorante Apollo, noto ai buongustai della città di Gabriele D’Annunzio anche per l’atmosfera romantica vista ponte sul mare.

Uno scenario che pare ammaliare pure Marsilio arrivato in giacca e poi, di portata in portata, rimasto in maglietta giallo optical. Che non fa velo al suo appello affinché “la magistratura faccia uno sforzo investigativo del massimo livello per individuare e stroncare definitivamente queste bande criminali che a intervalli regolari devastano i nostri boschi e i nostri parchi, mettendo in pericolo anche i centri abitati”.

Intanto il comune dell’Aquila ha chiesto al governo la dichiarazione dello stato di emergenza: sono 700 gli ettari di area boschiva finora interessati dagli incendi.

Sono stati finora impiegati 4 Canadair e tre elicotteri (che hanno effettuato 500 lanci d’acqua), 80 vigili del fuoco, 56 volontari di protezione civile, 35 alpini. Secondo Coldiretti “per ricostituire i boschi ridotti in cenere dal fuoco ci vorranno fino a 15 anni con danni all’ambiente, all’economia, al lavoro e al turismo”.

“Sembriamo l’Ncd: ora basta con la guerra a Casaleggio”

Bisogna parlarsi chiaro, e farlo in fretta, perché il tempo sta finendo: “Il Movimento si sta facendo impalpabile, non si può più rinviare un confronto, che si chiami Stati generali o altro”. Max Bugani, veterano dei Cinque Stelle, capo-staff della sindaca di Roma Virginia Raggi, suona la campanella per i 5Stelle.

Risse sulle commissioni, manifesti contro Casaleggio: cosa accade nei 5S?

Sta accadendo quello che era prevedibile già da tempo, visto che navigavamo a vista senza fare chiarezza al nostro interno. Ma una forza che prende il 33 per cento unendo persone (molto diverse tra loro) su due o tre temi fondamentali, e poi li realizza stando al governo, deve per forza darsi una nuova rotta. Altrimenti resta una zattera in balia delle onde.

Perché la rotta non è stata ancora data?

Perché nessuna delle persone al comando vuole farlo. Tutti sanno che darsi una forma chiara e un perimetro preciso significa perdere molti parlamentari. E questo potrebbe far cadere il governo o portare a una nuova maggioranza.

Se il M5S fa chiarezza al suo interno condanna l’esecutivo?

Non è automatico, ma è probabile. Di sicuro invece restare nell’immobilismo favorirà il ritorno al governo delle destre. In questi anni il Movimento è sembrato guidato da una vecchia canzone di Franco Battiato, quella dove un verso recitava: “Ti muovi sulla destra poi sulla sinistra, resti immobile sul centro” (Il ballo del potere, ndr). Ma certi nodi vanno sciolti, altrimenti la tela si strappa.

Quanto è forte il rischio di una scissione?

Mah, più che altro sono evidenti le differenze. Alcuni vorrebbero farci diventare un partitino di centro del 6-7 per cento, per galleggiare e fare da stampella alle coalizioni di volta in volta. Su molti temi ci sono divisioni nette. Conosco un esponente del M5S per cui i gay sono malati da curare e un’altra che invece sta provando con la moglie ad adottare un bambino. E poi c’è la questione dei migranti. C’è chi parteggia per la posizione di Matteo Salvini e chi invece soffre leggendo dichiarazioni come quelle di Luigi Di Maio sui barconi da affondare.

Ormai Davide Casaleggio e diversi big del M5S sono in guerra tra loro.

La guerra a Davide proprio non la capisco. E comunque sarebbe ora di giocare a carte scoperte con nomi e cognomi, invece alcuni sono diventati campioni mondiali di off (retroscena anonimi, ndr) passati ai giornali.

I parlamentari rimproverano a Casaleggio di essere un privato che gestisce la piattaforma web di un partito e sono stufi di versare 300 euro al mese per Rousseau. Potrebbero avere ragione, no?

Rousseau è un progetto a cui ha lavorato Gianroberto Casaleggio fino a dieci giorni prima di morire. È il suo lascito al Movimento. Davide invece è uno dei primi attivisti, che lavora a un progetto di partecipazione e non a giochi di palazzo. Gli stessi parlamentari che attaccano Rousseau sono stati eletti grazie alla piattaforma.

Gli Stati generali?

Io li avrei fatti già due anni fa, appena siamo andati al governo. Il M5S è spaccato in mille rivoli: dobbiamo guardarci in faccia e metterci a costruire qualcosa di nuovo, altrimenti finiremo per somigliare all’Ncd.

Sul Fatto Paola Taverna ha proposto di eleggere un organo collegiale prima degli Stati generali. Lei preferirebbe un capo politico, magari Di Battista?

Dell’organo collegiale non mi interessa nulla: mi pare l’ennesimo tentativo di nascondere i nostri problemi. Dobbiamo confrontarci sui temi, a partire dalla crisi economica alle porte, dall’ambiente e dalla promozione culturale del Paese. Il punto non sono segreterie o capi politici.

Beppe Grillo per lo più tace. Non sa cosa dire e soprattutto cosa fare?

Ogni tanto lancia una frase di rottura con il passato e auspica un’unione solida con il Pd e il sostegno a Conte. Ma a queste frasi non segue un percorso costruttivo. La politica è sudore e certi processi passano dalla fatica. Confrontiamoci. Miglioriamoci noi, migliori il Pd, nascano nuove forze e poi sediamoci e parliamo. Altrimenti certe frasi non significano niente. Ci si allea condividendo idee e progetti, non per la paura che vincano altri.