Istat: da febbraio l’Italia ha perso 600 mila occupati

“Da febbraio 2020 il livello dell’occupazione è sceso di circa 600mila unità e le persone in cerca di lavoro sono diminuite di 160mila, a fronte di un aumento degli inattivi di oltre 700mila unità”. È il riassunto della situazione nel mondo del lavoro a partire dal lockdown fatto ieri dall’Istat nel commento alla “Nota sull’occupazione” relativa a giugno: “In quattro mesi il tasso di occupazione perde un punto e mezzo, mentre quello di disoccupazione, col dato di giugno, si riavvicina ai livelli di febbraio”.

Le persone, in buona sostanza, tornano pian piano a cercare lavoro e passano da “inattivi” a “disoccupati”: una diversa definizione statistica che nasconde lo stesso dramma. Volendo vedere il bicchiere un po’ pieno (ché mezzo pieno sarebbe troppo), va registrato il fatto che a giugno il ritmo con cui l’Italia perde occupazione è “meno sostenuto” rispetto ai mesi precedenti: in numeri, comunque, fa 46mila occupati lasciati per strada il mese scorso.

Va tenuto presente, mentre si discute della proroga della cassa integrazione Covid-19 e del blocco dei licenziamenti nel prossimo decreto anti-crisi, che questo tipo di politiche – adottate un po’ ovunque in Europa – hanno finora salvato milioni di persone che altrimenti non avrebbero più un lavoro. Un calcolo a spanne in questo senso è contenuto nel Bollettino del Bce pubblicato ieri: in Italia, secondo stime preliminari, le varie forme di cassa integrazione hanno riguardato infatti 8,1 milioni di lavoratori (il 42% dei dipendenti), metà dei quali a zero ore. Calcolandoli come possibili “licenziati”, diciamo sul modello americano, la Bce stima che la disoccupazione in Italia a maggio sarebbe stata del 25% (anziché del 7,7). Con lo stesso sistema di calcolo, il tasso di senza lavoro sarebbe stato del 12,5% in Germania, del 30% in Francia, del 23% in Spagna e del 17,5% nei Paesi Bassi.

La strage nella discoteca di Corinaldo: pene tra i 10 e i 12 anni ai sei dello spray

I sei componenti della cosiddetta “Banda dello spray” che l’8 dicembre 2018 agirono nella discoteca Lanterna azzurra di Corinaldo, sono stati condannati a pene comprese tra i 10 e i 12 anni. “Aspettiamo anche l’altro processo, le persone coinvolte sono per me molto più colpevoli di queste qua”, ha affermato Paolo Curi, marito di Eleonora Girolomini, 39 anni, una delle sei vittime. Il riferimento è al procedimento parallelo che riguarda la carenza di sicurezza del locale con altri 20 indagati. “Se chi ha riaperto la discoteca nel 2017 non l’avesse fatto mia moglie sarebbe ancora qua – attacca –. Questi ragazzi hanno fatto le stesse cose in altre discoteche e non è morto nessuno, neanche un graffio. Io ero lì dentro, si respirava aria d’insicurezza al 200%”. Ugo Di Puorto, Raffaele Mormone, Badr Amouiyah, Andrea Cavallari, Moez Akari e Souhaib Haddada, hanno ottenuto pene significativamente inferiori alle iniziali richieste avanzate dai pm Paolo Gubinelli e Valentina Bavai, oltre allo sconto di un terzo previsto per il rito abbreviato. Il giudice non ha riconosciuto l’associazione a delinquere.

San Marino, sciolto il Pool anti-tangenti

Ricordate Sogno numero due, la canzone di De André? “Una volta un giudice come me / giudicò chi gli aveva dettato la legge: / prima cambiarono il giudice / e subito dopo la legge”. Nell’antica Repubblica di San Marino hanno preferito fare il contrario: prima la legge e poi il magistrato, anzi tutto un pool e segnatamente quello che aveva scoperchiato, tra le altre cose, il verminaio del “conto Giuseppe Mazzini” della Banca commerciale sammarinese, un’inchiesta sulle connessioni tra politica e finanza che ha portato alla luce milioni di euro di tangenti e messo sotto processo – e condannato – oltre ai singoli imputati, la maggioranza che governa il Titano a partire dall’eterna Democrazia cristiana (sì, qui c’è ancora).

A inizio luglio – dopo tre anni dalla sentenza di primo grado – è iniziato il processo d’appello e proprio negli stessi giorni i partiti che governano San Marino, grazie a una leggina interpretativa, hanno cambiato la composizione del Consiglio giudiziario, il Csm locale. Nonostante le proteste di giuristi e toghe, una settimana fa il nuovo Consiglio a maggioranza politica ha tolto di mezzo il magistrato dirigente del Tribunale Unico, Giovanni Guzzetta, e nominato al suo posto il giudice Valeria Pierfelici.

Quest’ultima è rimasta in carica giusto il tempo di “riorganizzare gli uffici” per “ripristinare la fiducia” nella giustizia. Come? Così: ha vietato le indagini in pool, poi ha destinato il coordinatore delle inchieste sulle tangenti, Alberto Buriani, alle controversie stradali e sottratto le funzioni inquirenti ad Antonella Volpinari e Laura Di Bona, quest’ultima destinata peraltro solo alle cause civili. I fascicoli aperti, fatto abbastanza inusuale, sono passati ad altri. Già che c’era la nuova dirigente ha fatto pure cambiare la serratura del tribunale, non sia mai che il suo predecessore volesse introdurvisi nottetempo. Dopodiché, a dimostrazione che non tiene alla poltrona, s’è dimessa.

Spagna 1884: così il medico anti-fake annotò la pandemia

Tutta la città ne parla: l’allarme per la pandemia asiatica corre dalle bocche dei signori “accomodati” sui tram a quelle delle signorine che al mercato impallidiscono al solo sentirla nominare. Corrono le fake news accanto alle teorie mediche più variegate che non riescono a mettere d’accordo la comunità scientifica. C’è chi giura che centinaia di viaggiatori stranieri arrivati sulle coste di Levante siano già in quarantena e che navi con a bordo casi sospetti veleggino senza meta in mezzo al Mediterraneo. Non mancano le teorie complottiste: a inoculare la malattia sono state le istituzioni a loro beneficio, salvo poi non riuscire a fermarne la diffusione per incompetenza.

Madrid, settembre 1884. Non il Covid-19 fa paura, ma il colera. Questa l’unica differenza. Per il resto, il resoconto del diario di Federico Olóriz, medico di Granada trasferitosi nella capitale spagnola, raccolto dal collega Manuel Guirao ne La vida de un cientifico en cuartos de hora, potrebbe essere quello di un medico del 2020. Originale nel metodo – la narrazione procede per quarti d’ora – il giovane medico premette di “non voler essere cronista del suo tempo”. Se non che il 1° settembre le voci sull’arrivo del colera gli impongono la cronaca. Ciò che prima era una somma di 15 minuti, anche gli appunti sulla morte del figlio – “raffreddandosi poco a poco e con un’agonia molto penosa, il povero bambino resiste fino alle 8 di mattina, quando, forse qualche minuto prima, muore in mia presenza” – richiede ora minuzia di dettagli. “Ho sentito molti racconti dei testimoni di altre epidemie e ne ho letto la descrizione scientifica e comprendo le emozioni che deve sperimentare, anche l’uomo più freddo, alla vista di una città sotto epidemia”. La Capitale spagnola è una discarica a cielo aperto, l’immondizia infetta anche il fiume Manzanarre: un luogo perfetto per il colera che “è arrivato a Tolone attraverso il mezzo militare francese Le Sarte, e da Tolone si diffonde a Marsiglia e per tutta la Francia centrale, insinuandosi ora tra i paesini dei Pirenei orientali, che ultimamente si è propagata in Italia” (…). “Ieri – appunta Olóriz – una nuova nave francese, il Tonkin proveniente dalla Cina ha sbarcato ad Algeri 400 malati”.

È il 2 settembre, “il colera è arrivato in Spagna, anche se per ora i casi sono localizzati tra Alicante e alcuni punti della provincia”. A Madrid non c’è pace: “Sul tram per Leganés, un letterato della Facoltà giurava che la colpa è tutta dell’odio dei francesi nei nostri confronti”. Olóriz non crede alle teorie complottiste, per tenersi informato legge il quotidiano El Imparcial, ma riporta le suggestioni. “La passione politica arriva a ispirare voci assurde come quella secondo cui sarebbe stato lo stesso governo a introdurre i fardelli contaminati da Marsiglia ad Alicante, per importare il colera e approfittarne come arma politica (…). Cito solo questa versione come dato per mettere in evidenza la facilità con cui si può portare alla pazzia un popolo fanatizzato”, constata. Circola il panico: “Poveri che mettono da parte ogni bene; altri, prudenti, di diversa classe, ritirano il denaro, abbandonano progetti, rimandano affari a lungo termine; (…), altri ancora, che avendo puntato tutto su un partito politico, calcolano freddamente le conseguenze che un’emergenza sanitaria potrebbe avere sulla durata dell’attuale governo, fino a pensare che l’epidemia potrebbe far fuori alcuni personaggi cambiando così radicalmente l’aspetto delle cose; c’è anche chi, disgraziato, senza lavoro, si augura di poter trovare rifugio in lazzaretti e ospedali durante la pandemia”. Il 10 settembre “a Madrid non c’è niente e in realtà il suo aspetto consueto non è cambiato, i teatri iniziano ad aprire, le strade sono affollate”, appunta Olóriz. Il colera arriverà in primavera e ucciderà 1.366 persone. Anche Olóriz si ammalerà, ma guarirà. I suoi appunti serviranno alle autorità per la prevenzione: come l’uso del disinfettante.

Dal “Pizzagate” a QAnon, tutti i falsi complotti dell’Alt-right

I complottisti dell’estrema destra americana bianca e suprematista sono tornati sul ring delle Presidenziali per dare manforte a Donald Trump. Durante la campagna elettorale del 2016, l’Alt-right, la “destra alternativa” orchestrata da Richard Spencer, Steve Bannon e Alex Jones, aveva diffuso sulla piattaforma Infowars fake news e attraverso i gruppi di discussione online su 4chan, 8chan e Reddit la teoria cospirazionista passata alla storia con il nome di “Pizzagate.” Per questa campagna 2020 invece gli spacciatori trumpiani di notizie false via Internet hanno messo a punto la trappola “QAnon” dove Anon è l’abbreviazione di Anonymous. A legare la precedente campagna cospirazionista a quella attuale è la falsa notizia che i mandanti sarebbero ancora una volta lo stesso gruppo di pedofili membri e sostenitori del Partito Democratico. QAnon ha come obiettivo convincere gli americani che il presidente Trump è vittima di un complotto ordito dallo “stato profondo” controllato da una rete di pedofili che appartiene al Partito Democratico. Secondo la destra alternativa, questi “orchi democratici” faranno di tutto da qui al giorno delle elezioni (3 novembre) per impedire che Trump venga rieletto. Per raggiungere l’obiettivo stabilito, chi si nasconde dietro QAnon ha prontamente strumentalizzato la pandemia in corso accusando Bill Gates e il Partito Democratico di aver creato e diffuso il Covid. I complottisti di QAnon sono, per l’appunto, gli eredi di coloro che accusarono Hillary Clinton e il manager della sua campagna elettorale John Podesta di far parte di un gruppo di potenti pedofili che si riunivano in una pizzeria di Washington per organizzare i loro osceni traffici. La notizia del tutto infondata, come dimostrato facilmente dai media più autorevoli, fu presa per vera da molti americani delle zone rurali che ascoltano Infowars, tanto che uno di loro si presentò in pizzeria con un fucile. Per fortuna il giovane idraulico non fece in tempo a uccidere nessuno perché intervennero subito alcuni poliziotti che stavano passando davanti al ristorante. La teoria QAnon si è diffusa a partire da un post pubblicato sulla piattaforma anonima imageboard di 4chan utilizzando lo pseudonimo Q. All’inizio si presumeva che dietro si celasse una sola persona, probabilmente il giornalista radiofonico Bill Mitchell, che due settimane fa ha partecipato a un vertice alla Casa Bianca sui social media. Ma ormai è certo si tratti di un gruppo di persone nascoste dietro la lettera Q.

Trump e il voto: la pazza idea. La tentazione del rinvio

Un tweet di Trump fa scattare l’allarme: l’Election Day del 3 novembre è a rischio. La grande paura del magnate presidente non è il contagio da coronavirus, ma il voto per posta: è convinto che lo sfavorisca e sostiene sia fonte di frodi. Non è la prima volta che un tweet di Donald Trump mette in subbuglio gli Stati Uniti. Ma il presidente, che nei sondaggi ha un ritardo in doppia cifra rispetto al suo rivale, Joe Biden, non era mai stato così netto nell’evocare un rinvio delle elezioni presidenziali: “Con il voto via posta – scrive Trump – le elezioni 2020 sarebbero le più inaccurate e fraudolente della storia. Sarebbe un grande imbarazzo per gli Usa. Ritardare il giorno delle elezioni fino a quando la gente potrà votare in modo appropriato e sicuro?”. La domanda alimenta subito polemiche, su più piani. Rinviare fino a quando? Non c’è certezza di quando andare alle urne sarà sicuro, potrebbero volerci mesi.

E c’è chi fa subito notare che fissare la data delle elezioni non è una prerogativa del presidente, ma del Congresso, e che le modalità del voto sono competenza degli Stati. Persino un fedelissimo repubblicano, Mitch McConnell, capogruppo della maggioranza al Senato, l’uomo che ha pilotato l’assoluzione del magnate dall’impeachment per il Kievgate, si mette di traverso: “La data delle elezioni è scolpita nella pietra”. Mugugni attraversano la compagine repubblicana al Congresso. Alcuni Stati hanno sperimentato, nella stagione delle primarie al tempo dell’epidemia, l’efficacia e la validità del voto per posta su larga scala. Gli Stati Uniti sono già andati alle urne con l’incubo del contagio: nel 1918 le elezioni di mid-term si svolsero durante la fase più acuta della spagnola, che, fra le sue prime vittime di New York s’era già portata via da un giorno all’altro Frederick Trump, il nonno del magnate presidente. A più riprese, nei giorni scorsi, Trump ha ventilato la possibilità di non accettare l’esito del voto, temendo una sconfitta, veicolata dal voto per posta. “Non mi piace perdere”, ha detto in un’intervista televisiva. Il timore sottinteso è che il nucleo degli elettori di Trump, rednecks, suprematisti, fondamentalisti, antigoverno, non siano mentalmente organizzati per votare per posta, mentre la base democratica di Biden saprebbe utilizzare meglio lo strumento. In vari Stati il voto per posta è già ammesso, come pure l’early voting, cioè la possibilità di votare prima dell’Election Day. Alcuni autorizzano anche il voto elettronico, via email, per i residenti all’estero. La prassi è anche consolidata per i militari in missione.

A incoraggiare l’ammodernamento del sistema elettorale degli Stati Uniti fu l’elezione del 2000 con la conta e riconta dei voti della Florida, inficiata dal sistema della punzonatura: le schede perdevano i coriandoli e diventava impossibile stabilire per chi, tra George W. Bush e Al Gore, avesse votato l’elettore. La sortita di Trump arriva alla confluenza di notizie negative per la sua candidatura. Il superamento, mercoledì, di quota 150mila vittime del coronavirus, un quarto dei morti mondiali: fra i decessi di ieri, quello di Herman Cain, che nel 2016 contese la nomination a Trump e che il 20 giugno era senza mascherina al comizio di Tulsa. E poi ci sono i dati di ieri sul crollo del Pil nel secondo trimestre, una caduta del 32,9% che fa aprire in rosso Wall Street e induce la Fed a tenere il tasso di interesse inalterato tra lo 0 e lo 0,25%. Il risultato del Pil è il peggiore da quando nel 1947 se ne tengono le statistiche. L’unico paragone possibile è quello con la Grande Depressione degli anni Trenta dopo il Lunedì Nero di Wall Street nel 1929, da cui gli Stati Uniti uscirono con il New Deal di Franklin D. Roosevelt. Il binomio epidemia-economia suona lugubre presagio per le prospettive elettorali del presidente, che, con il suo tweet, mette le mani avanti. Il suo predecessore Barack Obama, durante una raccolta di fondi a favore di Biden con l’attore George Clooney, dice che Trump “sfrutta le paure e la rabbia della gente e cerca di incanalarle in maniera nativista, razzista e sessista”.

A chi gli chiede cosa non lo faccia dormire di notte, Obama, che ancora non sapeva del tweet di Trump, rispondeva: “Temo che Trump faccia di tutto per escludere dalle urne il maggior numero di elettori e che si prepari a contestare la legittimità delle elezioni”.

Almirante-Berlinguer: la provocazione politica va in Piazza

Un anno fa, nel libro Il Gesto di Almirante e Berlinguer (PaperFirst) proponevo di dedicare una piazza alla battaglia comune condotta contro il terrorismo degli anni di piombo da due personaggi diversissimi e che militavano su fronti contrapposti, ostili. Due “nemici” che, come documentato da testimonianze dirette (quella di Massimo Magliaro, all’epoca dei fatti portavoce del segretario missino) decisero di incontrarsi più volte in segreto, tra il 1978 e il 1979, in una stanza di Palazzo Montecitorio, per condividere informazioni, e forse anche una condotta comune. Mentre un duplice nemico mortale – le Br e lo stragismo fascista – stava minacciando le basi stesse della democrazia repubblicana.

Che dire allora della mozione approvata dal consiglio comunale di Terracina di intitolare una piazza ad Almirante e Berlinguer? Quando pure fosse ispirata a un apprezzabile tentativo di pacificazione retrospettiva, appare tuttavia come un atto improvvisato che ha il difetto di fornire, nell’accostamento tra il fascista repubblichino e lo storico leader del Pci, una motivazione troppo generica. E dunque facilmente sospettabile di essere usata per finalità politiche di stampo locale.

Nella mia proposta invece l’accento era sul “gesto”, finalizzato a quel bene comune chiamato interesse nazionale in un momento tragico della nostra storia.

Si dice che quando la casa brucia non conta di che colore è la divisa dei pompieri: infatti, riportando alla luce quella antica vicenda volevo dimostrare che quel “gesto” – senza mettere minimamente sullo stesso piano fascisti e antifascisti, carnefici e vittime, valori e disvalori – testimoniava un modo nobile di intendere la politica di cui oggi, nell’era dell’insulto mediatico, non rimane più traccia.

A chi da sinistra parla di “indegno accostamento” vorrei ricordare che nel giorno dei funerali di Enrico Berlinguer la presenza di Giorgio Almirante alle Botteghe Oscure, il suo sostare in raccoglimento davanti alla salma del “nemico” non suscitò alcuno sdegno nel popolo rosso e ancora oggi viene ricordata come una manifestazione di rispetto e anche di coraggio. Omaggio ricambiato qualche anno dopo quando furono Nilde Iotti e Giancarlo Pajetta, nella sede del Msi, a sostare deferenti davanti alle salme di Almirante e di Pino Romualdi.

Ho scritto: “Perché non dedicare una via, una piazza a quanti presero seriamente la propria vita e quella degli altri? Sfidando il timore di non essere compresi? Di essere fraintesi? Mettendo al posto dell’odio, il rispetto. Della rivalità, la comprensione. Del sarcasmo, la lealtà. E forse, chissà, l’amicizia?”. Rilette oggi, illuminate dai bagliori di uno scontro politico sempre più rabbioso, suonano come le parole di un illuso.

 

L’Italia sta distruggendo il suo “capitale naturale”

L’uso che viene fatto del suolo naturale è il più evidente, diretto e immediato indicatore del tipo di civilizzazione. Il sottile strato di superficie che ricopre la faccia della Terra è la fonte primaria della riproduzione di ogni forma di vita. In un pugno di terra vivono miliardi di microorganismi in simbiosi con la vegetazione. Le piante regolano i cicli idrogeologici, mitigano le temperature, “catturano” e fissano il carbonio e le altre sostanze che rendono la terra fertile e abitabile. Vengono chiamati “servizi ecosistemici” che la natura dona gentilmente e gratuitamente all’umanità.

La varietà e la numerosità delle specie (biodiversità) dipendono dalle condizioni del suolo. Da qui l’importanza dei dati annualmente pubblicati dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra, Rapporto sul consumo di suolo 2020), definito da Luca Mercalli un “appuntamento doloroso”. Secondo gli studi della Intergovernment Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Service (Ipbs) il 75 per cento degli ecosistemi terrestri e il 65 di quelli marini sono stati modificati in modo significativo. L’Italia è tra i Paesi peggiori in Europa. Nonostante la costante diminuzione degli abitanti, solo nell’ultimo anno sono andati perduti – “consumati” – quasi 58 chilometri quadrati di terreno naturale, agricolo o semiagricolo; sbancati, edificati, permanentemente impermeabilizzati. Le più colpite sono le zone costiere, le aree urbane e periurbane – con la scomparsa delle poche aree verdi interne alle città – soprattutto in Pianura padana. Le classifiche del “consumo” del suolo vedono i primati di Veneto e Lombardia, tra le Regioni, e di Roma, Cagliari e Catania tra i Comuni. Dal 2012 a oggi in un terzo del Paese è aumentato il degrado del territorio. Una autentica follia anche solo considerando i danni economici indiretti, i “costi nascosti” conseguenti all’erosione del “capitale naturale” causata dall’abbandono di ogni politica di pianificazione urbanistica che espone il territorio a rischi idrogeologici, distrugge risorse agricole e paesaggistiche.

La mancanza di aree verdi nelle città crea “bolle di calore”. La scomparsa delle aree umide e la interruzione dei “corridoi ecologici” (dovuti alle barriere delle grandi opere) distrugge gli habitat e compromette la biodiversità. Se ci aggiungiamo le pratiche agricole industrializzate e chimicizzate otteniamo la perdita di fertilità e delle basi produttive agricole in un Paese che è già importatore netto di beni alimentari. Le aree a destinazione agricola si sono dimezzate in 50 anni. Ma, prima di tutto, andrebbero calcolati i costi sanitari. Alcuni ricercatori nel corso dell’epidemia si sono chiesti come mai l’Italia sia stata la prima e la più colpita. Tra le possibili cause della diffusione e letalità del virus hanno riscontrato: l’uso del suolo, l’inquinamento atmosferico, il clima e condizioni meteorologiche.

Con questi dati di casa nostra, indignarsi per la deforestazione delle aree pluviali amazzoniche è pura ipocrisia. Bolsonaro è tra noi! Fumo negli occhi sono anche i solenni impegni sottoscritti con l’Agenda 2030 dell’Onu sullo Sviluppo sostenibile, i cui obiettivi, calcola Ispra, “imporrebbero un saldo negativo del consumo di suolo”. Se vogliamo mettere al riparo la biodiversità dalla “sesta estinzione di massa” (la quinta fu quella dei dinosauri, 65 milioni di anni fa) l’unica strategia utile è quella indicata dall’etnologo Edward Osborne Wilson, Half Earth: riservare il 50 per cento del suolo all’evoluzione naturale degli ecosistemi. Nel frattempo, a scopo precauzionale, basterebbe una leggina di una riga: “Sono vietati i cambi di destinazione d’uso delle aree inedificate. Pertanto i diritti edificatori decadono”. Non c’è Green Deal se non parte da qui.

 

Le tre facce della Meloni per ottenere consenso

A un certo punto, in era ante-pandemia, quando non avevamo niente di serio a cui pensare, è diventato di moda elogiare Giorgia Meloni. Non lo facevano solo Rita dalla Chiesa e il Codacons, con le solite motivazioni (“Porta avanti i veri valori; conosce i problemi di Roma”), ma anche Le Monde, il giornale parigino della borghesia illuminata (“È dotata di un tasso di simpatia record”), e gente di sinistra: per Bertinotti “è corretta e leale”, per Roberto Vecchioni “è più a sinistra di Renzi” (e ci voleva poco), per l’archistar Fuksas “la coerenza di Giorgia Meloni è unica, è una persona profondamente legata al suo popolo”, quasi che elogiare la Meloni fosse diventato un distintivo di sciccheria da parte di gente talmente serena ideologicamente da potersi permettere di apprezzare una che condivide le idee di Ignazio La Russa, purché fosse contro il governo. Chissà cosa pensano, i fan, della performance che ha visto impegnata Giorgia alla Camera durante il voto per la proroga dello stato di emergenza, quando si è fisicamente trasfigurata, passando dall’immagine della sovranista popolana che capta gli umori del mercato della Garbatella e li porta nel palazzo del potere (a volte anche con derive un po’ così, coi toni della sora Giorgia che consiglia la fettina migliore al bancone macelleria), a quella furente e incendiaria della oppositrice che lancia l’allarme per la “vera e propria deriva liberticida” che “il governo ha messo in campo con la scusa del coronavirus”.

L’allocuzione di Giorgia est omnis divisa in partes tres: 1) Accusa al governo di voler prorogare lo stato d’emergenza per fare cose nocive e/o favori a non precisate entità: per esempio, per “consentire alla Azzolina di buttare qualche centinaio di milioni euro in banchi a rotelle con cui gli studenti potranno giocare all’autoscontro”, tasto molto battuto sui social; rovinare il turismo; costringere commercianti e imprenditori a chiudere. Non c’è chi non sappia, ormai, che lo stato di emergenza non ripristina il lockdown, ma è un assetto istituzionale e logistico dello Stato che si prepara a fronteggiare ogni evenienza. In questa fase del discorso Meloni è caricata a pallettoni, mischia un po’ di Cassese e un po’ di Agamben, ma non si sa quanto ci creda ella stessa.

2) Accusa al governo di volere poteri speciali per stare “abbarbicato alla poltrona”: in base a questo assunto, Meloni chiede elezioni subito, anche se ci sono state due anni fa. Peraltro giusto un anno fa Salvini provò a “capitalizzare il consenso” (cit. Conte) chiedendo i pieni poteri e le elezioni sulla base di quei sondaggi di cui oggi entrambi, siccome ora premiano Conte, disconoscono l’attendibilità (e si sa in che stato si aggira oggi Salvini per l’Italia). in questa fase Meloni tiene la mano in tasca, minacciosa e blasé. Non si respira nessun sentimento autentico verso “gli italiani”: è pura guasconeria.

3) Accusa al governo di aver fatto in 5 mesi cose che non c’entrano con la pandemia: dalla lotta contro l’omofobia (“Che, adesso il Covid aumenta i casi d’intolleranza verso gli orientamenti sessuali? ’N c’entra niente!”), alla sanatoria degli immigrati. Questo passaggio serve a ribadire i puntelli di Fratelli d’Italia, ad assecondare l’intolleranza quasi epidermica di certi elettori verso immigrati e gay, ciò che fa dire agli ammiratori di Giorgia che ella ha i valori ed è coerente.

Il climax è raggiunto con l’anafora di “Con quale faccia?!” ripetuto 5 volte, in cui si mischia tutto, le multe ai commercianti. gli inseguimenti coi droni, i “clandestini che violano i nostri confini” e poi vanno “a zonzo violando la quarantena”.

Al di là del merito politico, ci si chiede com’è successo che una ex missina e ministra di Berlusconi, ammiratrice devota di Almirante, abbia guadagnato una stima trasversale. Forse è stato anche per via delle parodie “simpatiche” che di lei sono state fatte sui social e nei programmi di satira Tv, con la messa in burletta del suo stile oratorio tra battaglia di Lepanto e televendite di Wanda Marchi, che Giorgia è diventata pop. Meloni ha marciato su questa popolarità e, mentre la sua faccia sui manifesti ringiovaniva, lei politicamente invecchiava, accontentandosi di scavarsi una nicchia di schiettezza popolana in contrasto con la torva facies da questurino del citofonatore. Adesso che egli è bastonato dai suoi numerosi guai, è lei a fare la faccia truce. Sotto Covid la destra ha perso il treno, non ha saputo farsi carico dell’istanza di protezione degli italiani, e mentre Salvini si è rifugiato nella negazione della realtà e nella libertà di contagio, alla Meloni, che la mascherina la indossa perché sa che c’è un’emergenza, è rimasto questo impopolarissimo spicchio di mercato, inteso per una volta in senso elettorale (fermo restando che farebbe bene a tornare in quello rionale, dove scoprirebbe che tra le paure dei cittadini non c’è la deriva liberticida).

 

Ripartenze È il Giro della speranza, come nel ’46: stupendo il tracciato

Buongiorno, ho sentito in radio che il nuovo Giro d’Italia partirà dalla Sicilia il 3.10 e si concluderà a Milano il 25. Quali e quante saranno le accortezze per la pandemia? Come è cambiato il percorso? Siamo sicuri, infine, che a ottobre il virus non torni a fare strage, e quindi il Giro non venga annullato?

Loredana Pelle

 

Gentile Loredana, domani si corre la Strade Bianche. Poi ci sarà la Milano Sanremo di quasi Ferragosto. Il Giro rinviato 2020 – il numero 103 – dovrebbe andare in scena sulle strade post pandemiche d’Italia dal 3 al 25.10, ma non è un ripiego. Offre infatti un tracciato a mio avviso più interessante e suggestivo di quello previsto prima del Covid. È saltata infatti la discutibile ma lucrosa trasferta nell’Ungheria di Orbán (si parla di 10 milioni di euro). Budapest ha ceduto la Grande partenza alla più bella Palermo, con una tappa a cronometro (appena 15 km in discesa) da Monreale a via della Libertà. Le pianure pannoniche lasciano il posto alla meravigliosa Sicilia e al Mongibello. Non c’è paragone. Il Sud ospita le prime 9 tappe. Poi si punta al Nord-est, dopo l’arrampicata a Roccaraso; in totale 3.496,7 km con sette arrivi in salita e altre due crono, l’ultima da Cernusco sul Naviglio a Milano, che accoglie i “girini” per la 78esima volta. Ci saranno Vincenzo Nibali, Richard Carapaz vincitore dell’ultimo Giro, Remco Evenepoel nuovo crac del ciclismo, Giulio Ciccone che in salita ha fatto sognare, e il vulcanico Peter Sagan, idolo dei giovani.

È il Giro della speranza. Del coraggio. L’organizzazione cercherà di tutelare la salute di chi corre e di chi assiste al loro passaggio, per quel che è possibile in uno sport di strada. Incombe, purtroppo, la spada di Damocle dell’eventuale seconda ondata, prevista in autunno. Il percorso, accortamente, evita le regioni più colpite dal Covid. Non ci sarà la carovana pubblicitaria perché, come ha spiegato Mauro Vegna, patron della corsa, è un aggregatore di pubblico difficile da gestire. Quanto al pubblico, ci si affida al buon senso della gente. Quello che purtroppo abbiamo visto mancare in questi giorni di negazionismi sfacciati e conclamati. Ottobre è un mese magnifico, e mi auguro che il Giro venga corso con lo stesso spirito che animò i concorrenti del Giro della Ricostruzione, nel 1946.

Leonardo Coen