“Fai approvare questa legge” E Grillo inoltrò all’on. Ruocco

Il 22 novembre 2017 la parlamentare Cinque stelle Carla Ruocco invia una email al fondatore del movimento Beppe Grillo e nel testo mette l’emendamento del senatore Pd Roberto Cociancich sugli sgravi fiscali rispetto a chi assume marittimi italiani. Poi illustra il senso al capo del suo movimento. Scrive: “Subordina il riconoscimento delle agevolazioni fiscali e previdenziali previste per le imprese armatoriali, che operano in rotte infracomunitarie, all’assunzione di personale a bordo esclusivamente italiano o comunitario (al fine di limitare il ricorso a occupazione di extracomunitari a basso costo)”. Il messaggio arriva dopo una serie di chat precedenti tra l’armatore Vincenzo Onorato e Grillo, il quale poi gira tutto al suo politico di riferimento. Le email sono contenute negli atti della Procura di Firenze che indaga sulla fondazione Open di Matteo Renzi, atti trasmessi alla Procura di Milano che a partire anche da questi ha iscritto Grillo e Onorato nel registro degli indagati con l’accusa di traffico di influenze illecite. I pm ipotizzano uno scambio di favori che però penalmente vede estranei i parlamentari. Sentita sul punto dal Fatto nei giorni scorsi l’onorevole Ruocco non ha risposto.

Secondo l’accusa, da un lato Grillo interessa i suoi politici per le tematiche che stanno a cuore a Onorato e dall’altro l’armatore campano paga l’ex comico attraverso un contratto da 240mila euro in due anni tra Moby e il blog di Grillo. Contratto che inizierà a marzo 2018 e dunque dopo lo scambio di email finito sotto la lente della Procura. Il carteggio inizia il 30 ottobre 2017 quando in serata Onorato scrive a Grillo: “Caro Beppe, in allegato ti rimetto una nota su quello che quelle m… dei miei colleghi armatori stanno combinando per finire di distruggere l’occupazione dei marittimi italiani. Se passa l’emendamento Cociancich, li abbiamo salvati”. Nella nota Onorato spiega a Grillo la necessità, legata “a motivi occupazionali” per i marittimi, di far approvare il testo. Grillo il 31 inoltra la email a Ruocco che gli risponde: “Visto. Mi informo e ti faccio sapere. Un abbraccio”. Il primo novembre Grillo invia a Onorato la risposta del suo politico. Poche ore dopo Onorato all’ex comico: “Grazie Comandante”. Il 2 novembre l’armatore manda a Grillo l’emendamento Cociancich. Scrive: “Caro Beppe, la presentazione del testo marittimi”. Il 22 novembre ci sarà la email di Ruocco con allegato l’emendamento e la sua spiegazione. Testo che a quella data non è stato ancora approvato. Lo si capisce da un’altra email che Onorato questa volta scambia con il manager di Publitalia Luigi Ciardiello. Si comprende che si sta organizzando per il 26 gennaio 2018 un incontro con diverse persone e Silvio Berlusconi. In quel momento è in carica il governo Gentiloni. Da lì a pochi mesi nascerà il primo governo Conte sostenuto da M5S e Lega, entrambi usciti vincitori dalle elezioni di marzo. Il 7 gennaio Onorato scrive a Ciardiello. Oggetto: “Riservato: questa non sarà una cena aziendale. Io sto combattendo una battaglia per l’occupazione dei marittimi italiani. Il ministro dei Trasporti (…) ha ritirato la legge del senatore Cociancich (…). Il Presidente (Berlusconi, ndr) mi ha più volte rassicurato che inserirà nel suo programma di governo una legge per proteggerli. Resto ai tuoi ordini”. Il 26 gennaio Onorato scrive all’allora vicepresidente della Camera Luigi Di Maio: “Caro Luigi, da martedì pomeriggio fino a venerdì sarò a Roma, hai 5 minuti per me?”. La email risulterà mandata in copia a Grillo. L’11 giugno 2018, in pieno primo governo Conte, la Cociancich diventa legge. Onorato si dichiara pubblicamente contento. Nei mesi a seguire si renderà conto che la legge non è del tutto rispettata. Si premura così di far arrivare lettere personali ai ministri pentastellati Luigi Di Maio, all’epoca allo Sviluppo economico (Mise) e Danilo Toninelli ai Trasporti (Mit) e al futuro suo vice, il leghista Edoardo Rixi. Nella lettera a Toninelli si comprende che i due si sono incontrati il 2 luglio 2018. Onorato: “Signor Ministro, è stato per me (…) un piacere conoscerla ieri ed avere avuto modo di confrontarmi con lei sulla necessità di riportare nel comparto marittimo il valore prezioso della dignità del lavoro”.

Insomma, Onorato, come è nella logica di un concessionario pubblico, cerca sponde politiche e si mostra generoso. Con Grillo ad esempio, per i passaggi gratis sulle sue navi. Il dato che non rientra nella contestazione penale, lo si riscontra dalle email che la moglie dell’ex comico Parvin Grillo scrive a Moby per avere i biglietti. Sono decine e tutte dello stesso tenore. Lady Grillo chiede a Moby di poter prenotare i biglietti per sé e la famiglia. Immancabile arriva la risposta di Onorato ai suoi dipendenti: “Trattamento vip e tutto gratis!”.

“Potenziali asintomatici in classe: sono a rischio i bimbi non vaccinabili”

Non è finita con la tragedia della piccola Ginevra, 2 anni, trasferita con un aereo militare al Bambin Gesù di Roma perché in Calabria non c’è la rianimazione pediatrica. In sette giorni, confrontando il rapporto del- l’Iss aggiornato al 26 gennaio e quello fino al 2 febbraio reso noto ieri, in Italia abbiamo avuto due decessi classificati come Covid sotto i 5 anni, due tra i 5 e gli 11 e uno tra 12 e 15 anni. I morti sotto i 15 anni sono stati 34 dall’inizio della pandemia; cinque in sette giorni sono il 17% in più; nell’intera fascia 0-19 siamo a 44, nessuno tra i 16-19enni nell’ultima settimana.

L’aumento dei decessi è al centro dell’allarme del Comitato nazionale IdeaScuola che riunisce docenti, giuristi e genitori impegnati per tutelare i bambini più fragili e garantire sicurezza nelle scuole. “Il governo, con le nuove regole sulle quarantene scolastiche che annullano screening&tracing e mandano in aula alunni potenzialmente positivi asintomatici anche in fasce d’età non vaccinabili o con percentuali di vaccinazioni ancora molto basse, non ha rispetto per queste giovani vite spezzate. Anche i bambini sono diventati numeri sacrificabili, e non ci propinate i confronti con influenza stagionale, non ci caschiamo. Ha vinto il parcheggio. Hanno perso i bambini”, scrive il Comitato. Dicono “potenzialmente positivi asintomatici” perché da domani c’è l’autosorveglianza per i vaccinati: “Al primo caso – sottolinea Stefania Sambataro di IdeaScuola, mamma di due bambini a Roma – non si testerà più tutta la classe ma solo i bambini sintomatici, i potenziali asintomatici resteranno in classe e nessuno ne saprà niente. Verrà a mancare lo screening, non vogliamo più farlo. Invece dobbiamo metterci nei panni dei genitori di bambini fragili, o di bambini autistici che non portano la mascherina. E dei genitori e dei docenti a loro volta malati oncologici o immunodepressi, che rischiano la malattia grave. Perché il vaccino protegge ma non al 100%. L’Oms raccomanda test, tracing, isolamento, distanziamento, ventilazione e vaccinazioni. Noi facciamo solo vaccinazioni”. Sambataro denuncia: “La fascia 0-9 anni è la più penalizzata. Alla materna si aspetta il quinto caso per chiudere e lì non c’è quasi nessun bimbo vaccinato. È un virus a trasmissione prevalentemente aerea ma il governo non ha fatto nulla sulla ventilazione nelle scuole. Alla materna peraltro non portano le mascherine. Anche nelle scuole primarie, dove c’è al massimo il 30% di vaccinati con una dose, andranno in Dad al quinto caso, indosseranno la Ffp2 ma non a mensa e in altri momenti. E invece alle superiori, dove c’è l’80% di vaccinati, i non vaccinati andranno in Dad con due soli positivi”.

IdeaScuola sottolinea il dato di 1.730 bambini tra 0 e 9 anni ricoverati per il Covid a gennaio, erano stati 745 a dicembre e andando indietro se ne trovano solo 547 nel novembre 2020, in piena seconda ondata. Tra i 10 e i 19 anni sono stati 847 a gennaio, 399 a dicembre e prima al massimo 470 nell’ottobre 2020. L’Iss conta 690 ricoveri tra 0 e 19 anni nella settimana conclusa il 2 febbraio nei reparti ordinari, più 12 in terapia intensiva su un totale di 312 dall’inizio della pandemia.

Omicron colpisce i più piccoli, sotto i 5 anni, come rilevato da un recente di Nature, con un tasso di ospedalizzazione che in Italia comincia a stabilizzarsi ma resta elevato. Al Bambin Gesù si è passati da 20 a 80 letti occupati in poche settimane. “È un’esperienza molto drammatica sia per il bambino sia per i genitori”, osserva Rino Agostiniani della Società italiana di pediatria, che snocciola una lunga lista di carenze dalle rianimazioni ai servizi territoriali. Con il Covid anche i bambini sani possono sviluppare la sindrome multi infiammatoria che colpisce tutti gli organi con conseguenze più rilevanti per il cuore. “Un recente studio francese – dice Agostiniani – ha dimostrato che non esiste nei bambini vaccinati. I ricoverati sono quasi sempre figli di genitori non vaccinati. E molti sono sotto i 5 anni, per loro è più difficile la gestione di importanti manifestazioni febbrili”.

La scuola appesa alle Faq: nuove quarantene da subito

Come di consueto il governo ha risolto con le Faq (le risposte alle domande frequenti) i “buchi” del decreto legge 4 febbraio (in vigore da ieri) che ha modificato le regole delle quarantene e la gestione delle positività nelle scuole dell’infanzia, primarie e secondarie. Il dubbio riguardava l’eventuale retroattività delle norme, quesito a cui il governo ha risposto affermativamente.

“La durata di cinque giorni della quarantena per contatto stretto prevista in ambito scolastico dal decreto-legge 4 febbraio 2022, n. 5 e disciplinata in termini generali dalla circolare del Ministero della salute del 4 febbraio 2022 – si legge nelle Faq – si applica anche a coloro per i quali è in corso la durata della quarantena di dieci giorni”.

Significa che le classi già in quarantena al momento dell’entrata in vigore del decreto possono rientrare a scuola già allo scadere del quinto giorno senza aspettare il decimo, fatto salvo “l’esito negativo di un test antigenico rapido o molecolare eseguito alla scadenza di detto periodo”.

Allo stesso modo agiscono retroattivamente anche le norme che, nella scuola primaria, aumentano a quattro i casi di positività “tollerabili” per la didattica in presenza: qualora una classe, alla data di entrata in vigore del decreto, fosse in quarantena per la precedente individuazione di due casi di positività, “l’attività didattica – spiegano le Faq – riprende in presenza a partire da lunedì 7 febbraio (domani, ndr) con l’utilizzo delle mascherine FFP2, considerato che nella scuola primaria fino a quattro casi di positività nella classe le attività continuano in presenza con l’utilizzo della mascherina FFP2 per 10 giorni a partire dall’ultimo caso accertato”.

I dati del sabato, intanto, confermano la tendenza alla contrazione della quarta ondata epidemica di Coronavirus. Sono infatti 93.157 i nuovi contagi da Covid registrati nelle ultime 24 ore, secondo i dati del ministero della Salute, ma con altre 375 vittime. Meno di ieri, quando i casi erano stati circa 99 mila con 433 morti, e soprattutto molti meno dello stesso giorno della scorsa settimana. Sabato 29 gennaio, infatti, i contagi erano stati 137.147.

Migliora la situazione anche sul fronte degli ospedali. Rispetto a venerdì, infatti, il numero dei ricoverati nei reparti ordinari è sceso di 385 unità e 29 in meno sono i pazienti nelle terapie intensive, con 104 ingressi giornalieri. Sono invece 846.480 i tamponi processati in 24 ore in Italia con un tasso di positività dell’11%.

Santalucia “La riforma? la politica agisca, è già tardi”

L’appello sulla necessità di “un profondo processo riformatore” che “deve interessare anche il versante della giustizia” pronunciato da Sergio Mattarella nel suo discorso di insediamento ha riacceso il dibattito e la riforma del Consiglio superiore della magistratura è tornata sul tavolo del comitato direttivo centrale dell’Anm. Il presidente del sindacato delle toghe, Giuseppe Santalucia, ha chiesto alla politica tempi rapidi per quella che definisce senza mezzi termini “la più attesa” delle riforme: “È forte e fondata la preoccupazione – aggiunge – che non potrà essere varata in tempo utile a consentire che la prossima composizione dell’organo di autogoverno sia formata da un meccanismo elettorale diverso dall’attuale”. A quanti attaccano la magistratura considerandola poco propensa al rinnovamento, Santalucia ha risposto: “A dispetto di qualche malevola voce, nessuno dentro l’Associazione nazionale magistrati ha brigato e briga per il mantenimento dello status quo”. “Ma cosa può fare l’Anm – ha domandato poi in via retorica – più che chiedere, sollecitare, insistere, cercando di contribuire alla discussione pubblica sulla necessità delle riforme? Null’altro che richiamare ancora una volta, sperando di non esser già fuori tempo massimo, l’attenzione della politica tutta sulla impellenza di un nuovo assetto normativo, che non sarà la panacea contro ogni male, ma che certo non può mancare in un disegno di ripresa che abbia a cuore l’Istituzione giudiziaria”.

Confessionale Csm: “Davigo e i verbali? Sappiamo tutto”

Iverbali dell’ex avvocato Eni Piero Amara su una loggia segreta chiamata “Ungheria” – forse una nuova P2, forse la più colossale delle menzogne, forse chissà entrambe le cose – hanno già prodotto più d’un effetto: non solo mandare in cortocircuito la Procura di Milano, ma scuotere altissime istituzioni della Repubblica. Lo si evince leggendo gli atti del fascicolo con indagati a Brescia Piercamillo Davigo e Paolo Storari per rivelazione del segreto istruttorio, con l’accusa di aver diffuso i verbali di Amara. In quelle pagine sono dipinte scene come quella del vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, David Ermini, che si presenta al Quirinale davanti al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, per riferirgli della superloggia di cui lo ha informato Davigo: “Il presidente mi ascoltò senza fare commenti”. Stop. La massima autorità dello Stato è descritta come una sfinge immobile e silenziosa, davanti a quello che potrebbe essere uno scandalo colossale.

Un altro quadro di questa collezione mostra Ermini che incontra Davigo nella sua stanza e riceve una copia dei verbali segreti di Amara riposti in una “cartellina arancione”. Ermini commenta: “Non avevo alcuna voglia di leggere quelle carte perché consegnate in modo irricevibile e totalmente inutilizzabile”. Anziché chiedere di riceverle in modo formale o cercare un’altra soluzione, Ermini risolve il problema con il cestino della carta straccia: “Appena uscito Davigo”, racconta ai pm bresciani Francesco Prete e Donato Greco, “presi la cartellina che mi aveva lasciato sul tavolo e, per i motivi sopra indicati (irritualità ed irricevibilità degli atti), la cestinai. Voglio sottolineare che io quei verbali non li ho mai voluti leggere e li buttai nel cestino senza aver preso conoscenza del loro contenuto”.

Non è l’unica scena paradossale di questa commedia. C’è anche un momento in cui lo strano caso dei verbali segreti usciti dalla Procura di Milano piomba sull’intero Csm: durante una riunione informale convocata nel maggio 2021 da Ermini che diventa un mix tra un interrogatorio e una seduta di autocoscienza. La racconta ai pm di Brescia l’avvocato Stefano Cavanna, membro laico (cioè non magistrato) del Csm: “Davigo mi parlò dei verbali a maggio 2020. Noi ci vedevamo tutte le mattine; avevamo un bel rapporto. Un giorno mi disse che doveva parlarmi di una cosa molto riservata: mi disse in particolare che c’era una indagine in corso (forse a Milano) molto vasta su una presunta loggia massonica. Mi disse espressamente: ‘In questa indagine è coinvolto Sebastiano Ardita’”. Ardita fino a pochi mesi prima era molto vicino a Davigo. Continua Cavanna: “Davigo aggiunse: ‘Si tratta di una indagine segreta, ti prego di non parlarne con nessuno’. Gli promisi che avrei mantenuto la riservatezza e così ho fatto”. Poi i pm gli chiedono “di chiarire la ragione per la quale Davigo ritenne di fare questa confidenza”: “Non so rispondere. Certamente il fine non era istituzionale o comunque collegato alle mie funzioni di consigliere, né Davigo mi chiarì qual era l’intendimento. Potevo immaginare che in quel momento mi stesse informando su un fatto riguardante il consigliere Ardita affinché io ne traessi delle conclusioni, ma non ho elementi oggettivi da offrire a riguardo”. Cavanna continua spiegando di non aver ricevuto verbali né documenti: “Raccolsi solo quelle dichiarazioni, né Davigo mi disse come era venuto a conoscenza di quelle informazioni. (…) Posso dire che mi pareva preoccupato della gravità e della vastità dell’oggetto dell’indagine”. Poi Cavanna racconta la riunione indetta da Ermini: “Nel corso di tale riunione Ardita si lamentò del fatto che molti colleghi lo avessero messo da parte. Ci esortò a rivelare l’eventuale informazione in nostro possesso circa la vicenda che lo riguardava. Ricordo che Cascini e Gigliotti dissero di essere stati informati da Davigo circa le dichiarazioni sulla loggia Ungheria”. Giuseppe Cascini e Fulvio Gigliotti sono due consiglieri del Csm che sapevano di Ungheria. “Il giorno successivo”, prosegue Cavanna, “Ardita mi prese in disparte e mi chiese se anche io fossi stato informato da Davigo sulla vicenda e gli confidai che mi era stato riferito da Davigo dell’esistenza di una indagine”. Anche la consigliera Ilaria Pepe racconta ai pm bresciani: “Davigo mi disse anche che avrei potuto leggere quelle dichiarazioni ma io declinai l’invito perché ritenevo che le determinazioni da assumere non spettassero a me ma eventualmente al Consiglio inteso come organo collegiale. (…) Davigo mi disse che al di là dei riscontri alle dichiarazioni di Amara, sarebbe stato opportuno prendere le distanze dal consigliere Ardita (…). Nel dubbio e in attesa di verifica”.

Pochi giorni prima, la Procura di Roma aveva perquisito gli uffici di Marcella Contrafatto, ex segretaria di Davigo al Csm, considerata colei che ha recapitato copie dei verbali segreti, in forma anonima, al Fatto, a Repubblica e al consigliere Csm Nino Di Matteo. E proprio Di Matteo racconta al plenumdel Csm di aver ricevuto quelle copie e le definisce un dossieraggio, con dichiarazioni su Ardita “palesemente calunniose”.

Così Ermini convoca la riunione che viene descritta ai pm di Brescia da Cavanna. Lo stesso Ermini ne parla a Prete e Greco: “Arrivo al giorno in cui Di Matteo prese la parola in plenum (…). Dopo tale intervento, si ripropose il problema di tutelare il buon nome del Consiglio e per far ciò ritenni di convocare, seppur informalmente, tutti i consiglieri al fine di cercare un confronto sincero su quello che stava emergendo. Nel corso di tale incontro, Ardita prese la parola e con una evidente partecipazione emotiva rifiutò l’idea di aver avuto comportamenti opachi e si lamentò del fatto che qualcuno potesse aver creduto a delle dichiarazioni calunniose addirittura togliendogli il saluto. Era molto alterato di ciò e molti consiglieri gli ribadirono la loro stima e fiducia. Emerse anche che qualcuno aveva già ricevuto da Davigo delle informazioni sulla cosiddetta loggia Ungheria”.

“I clan approfitteranno di questo bavaglio imposto ai magistrati”

“Le mafie potrebbero approfittare della recente legge sulla presunzione di innocenza che limita la comunicazione istituzionale sulle indagini giudiziarie mettendo di fatto un bavaglio ai magistrati”. Nicola Gratteri, procuratore capo di Catanzaro, non ha alcun dubbio sugli effetti della legge sulla presunzione di innocenza, tanto voluta da Enrico Costa (Azione), che vieta a pm e polizia giudiziaria di “indicare come colpevole” l’indagato o l’imputato fino a sentenza definitiva, e impone ai procuratori di parlare con la stampa solo tramite comunicati ufficiali.

Procuratore Gratteri, conseguenza del decreto legislativo di Costa è la nota del 19 gennaio del Procuratore capo di Roma, Francesco Lo Voi, il quale ha invitato le forze dell’ordine a ridurre le richieste di autorizzazione alla diffusione di comunicati stampa. La nuova legge sacrifica il diritto di cronaca e quello dei cittadini a essere informati?

Bisogna intanto ricordare che l’articolo 27 della Costituzione prevede già la presunzione di innocenza fino al terzo grado di giudizio, come valore primario da preservare. La direttiva europea, recepita dal legislatore italiano con il d.lgls. 188/2021, era rivolta principalmente agli Stati di più recente ingresso nell’Unione europea, nei quali non erano presenti adeguati strumenti di tutela dell’imputato. Il risultato finale conseguito dal legislatore italiano non aggiunge nulla di più, in termini effettivi, al rispetto della presunzione di innocenza, anzi limita solo fortemente la comunicazione istituzionale, che viene sostanzialmente vulnerata, a scapito del diritto di informazione dei cittadini e, se possibile, addirittura degli stessi imputati.

È un bavaglio vero e proprio?

Non vi è alcuna disciplina della comunicazione delle parti private, che restano libere di esprimere qualsiasi contenuto, anche non rappresentativo della realtà. Non vi è alcun controllo delle forme di comunicazione diffuse sui social o in tv, con la conseguenza che tutti gli strumenti di comunicazione diversi da quella istituzionale (di rilevanza sociale) trovano uno spazio più ampio e incontrollato, a scapito della verità e dell’informazione.

E ciò cosa comporta?

In assenza di una fonte istituzionale, la conseguenza sarà una circolazione di notizie incontrollate e incontrollabili, con danni collaterali inimmaginabili.

La legge riguarda tutte le indagini, anche quelle per mafia. Anche di queste si potrà parlare solo in termini generali e omettendo i nomi degli arrestati e i dettagli delle vostre indagini. Non si rischia di incidere in negativo sulla percezione che i cittadini hanno delle mafie e di altri reati?

La rilevanza sociale del diritto all’informazione e del diritto alla verità delle vittime di gravi reati rischia di essere offuscata da un sistema che impedisce di spiegare ai cittadini l’importanza dell’azione giudiziaria nei territori controllati dalle mafie, rendendo molto più difficile creare quel clima di fiducia che consente alle vittime di rompere il velo dell’omertà. Ma il mio timore è anche un altro: sembra quasi che non parlandone, la ’ndrangheta e Cosa Nostra non esistano. Ma non è così, e io ho molta paura che di questo “silenzio stampa” le mafie ne approfitteranno, perché le mafie da sempre proliferano nel silenzio. Se la ’ndrangheta oggi è la mafia più potente è perché per anni non se ne è parlato.

Molte notizie, anche su politici e funzionari pubblici, verranno così nascoste. È giusto che i cittadini non sappiano praticamente nulla fino a sentenza definitiva?

Proprio in relazione a queste tipologie di reati (da parte di amministratori, politici, imprenditori), la censura della comunicazione istituzionale finisce per diventare un vero e proprio vulnus al meccanismo virtuoso che si innesca a fronte di attività giudiziarie che, opportunamente comunicate, fanno sì che altri trovino il coraggio di denunciare. Ci si dimentica troppo spesso delle vittime e del principio di offensività del reato che a sua volta ha rilevanza costituzionale. Le regole, nella comunicazione, sono sacrosante, ma nel rispetto dei principi costituzionali.

La legge è stata approvata. Ora cosa si può fare?

Non saprei. Posso solo dire che bisognerebbe ricordare cosa è successo trenta anni fa. Riesce a immaginare una comunicazione istituzionale dell’arresto degli esecutori delle stragi, omissandone le generalità? Pochi giorni fa è stata celebrata la Giornata della Memoria. Faccio mia, indegnamente, una frase di Primo Levi: “Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario”.

Il presidente Mattarella ha incentrato parte del suo discorso di insediamento sulla giustizia e sulla riforma del Csm bloccata da mesi. Anche lei più volte ne ha sottolineato l’urgenza.

Ho apprezzato il discorso di Mattarella. Più volte ho detto che sono a favore di un sorteggio temperato dei membri togati del Csm. Del resto così si sono espressi anche molti colleghi votando un referendum indetto dall’Anm.

Silvio epurator colpisce ancora: via anche Crosetto da Mediaset

Sono già saltate tre ospitate e al momento il diktat di tenere fuori da Mediaset esponenti di Fratelli d’Italia non è ancora rientrato. Tutto inizia lunedì scorso. Giorgia Meloni, dopo la delusione per la rielezione di Mattarella che ha spaccato il centrodestra, partecipa a Quarta Repubblica, talk show condotto da Nicola Porro su Rete 4: “A Berlusconi non devo niente, non ho dato l’ok alla sua candidatura per sottomissione” attacca. Il leader di Forza Italia e fondatore di Mediaset ci resta malissimo: “Che ingrata”, è la reazione a caldo. A quel punto sarebbe stata Licia Ronzulli, fedelissima dell’ex premier, ad alzare il telefono e dare l’ordine: per un po’ niente esponenti di Fratelli d’Italia nei talk-show serali. Per i tg delle tre reti Mediaset, invece, non cambia nulla. A prendere una decisione del genere, a Cologno Monzese, può essere solo Mauro Crippa, direttore generale dell’informazione Mediaset che con Ronzulli ha ottimi rapporti.

Secondo alcuni la telefonata è stata ispirata proprio da Berlusconi, ma in Forza Italia accusano Ronzulli di essere stata “più realista del re”. La senatrice azzurra, contattata dal fattoquotidiano.it, ha negato che sia stata lei l’autrice della chiamata: “Non ho fatto quella telefonata perché non ho il potere di decidere le scalette dei programmi Mediaset. Se lo avessi – ha aggiunto – oggi non sarei una senatrice di Forza Italia, ma magari lavorerei a Fininvest o Mediaset”. Ma a quanto risulta al Fatto, sarebbe stata proprio lei ad alzare la cornetta. Una decisione che non è piaciuta per niente a Gianni Letta – che ha pessimi rapporti con il cerchio magico di Arcore – e che Fedele Confalonieri, presidente Mediaset, “ha accettato”.

Ma tant’è, restano i fatti: in poche ore salta la partecipazione del deputato meloniano Galeazzo Bignami a Zona Bianca condotto da Giuseppe Brindisi (mercoledì) e di Elisabetta Gardini a Diritto e Rovescio di Paolo Del Debbio (giovedì), entrambi su Rete 4. Il conduttore lucchese però ha smentito che sia arrivato un ordine dall’alto di questo genere. Venerdì sera invece viene annullata la presenza di Guido Crosetto a Stasera Italia, talk di Barbara Palombelli. Il motivo ufficiale delle tre esclusioni sarebbe la “contemporaneità con il festival di Sanremo” e le ospitate vengono rinviate: “Ci risentiamo presto”, si sono sentiti dire gli addetti stampa di Fratelli d’Italia.

Crosetto tornerà già mercoledì a Stasera Italia ma con una motivazione singolare: non viene considerato un esponente politico di FdI, ma in quota “commentatori e giornalisti” in quanto non è più parlamentare dal 2018. Insomma, il diktat di escludere esponenti meloniani dai talk Mediaset resta. Se l’esclusione andrà avanti anche la prossima settimana lo si scoprirà solo vivendo. Al momento però non ci sono passi indietro: a ieri sera FdI non aveva ricevuto alcun invito per Quarta Repubblica di domani sera da Porro, né per gli altri talk della settimana. “Vediamo come va – sussurra un dirigente meloniano – certo, i rapporti con Forza Italia sono praticamente nulli”. Intanto gli esponenti di FdI vanno a La7: giovedì Crosetto era a Piazzapulita di Corrado Formigli e stasera Meloni sarà a Non è l’Arena di Massimo Giletti.

Colle, Salvini vide Belloni E decreta: “Destra sciolta”

Da leader in grado di bruciare candidati su candidati, Matteo Salvini venerdì scorso poteva diventare, insieme a Giuseppe Conte, il queenmaker per la presidenza della Repubblica. Perché il patto a tre tra Conte, Salvini ed Enrico Letta sul nome della direttrice generale del Dis Elisabetta Belloni era così forte da portare il leader della Lega a incontrare la stessa responsabile dei Servizi segreti e annunciarle l’accordo: “Sarai la candidata di tutti al settimo scrutinio” le parole di Salvini. Poi, come noto, non è andata così. È saltato tutto dopo le resistenze di settori del Pd che facevano capo a Lorenzo Guerini (la corrente Base Riformista), Luigi Di Maio (M5S), Matteo Renzi (Italia Viva) e pezzi di Forza Italia. E dunque nella notte tra venerdì e sabato la candidatura di Belloni è morta e il pomeriggio successivo Salvini si è dovuto arrendere al bis di Mattarella.

Ma riavvolgiamo il nastro a venerdì scorso. Primo pomeriggio. Salvini ha appena mandato a schiantarsi in Aula Maria Elisabetta Alberti Casellati al quinto scrutinio: 382 voti, 71 in meno di quelli che il centrodestra aveva sulla carta. Dopo pranzo il leader della Lega incontra Antonio Tajani e Giorgia Meloni ed entrambi gli danno il mandato di andare a trattare con i leader del centrosinistra Letta e Conte. Sanno che non riusciranno a eleggere un candidato di centrodestra e quindi bisogna fare un accordo con gli avversari. A patto che, è la condizione di FdI, non si finisca sul Mattarella bis. Il leghista è d’accordo. Meloni sente Conte: “Questo è il momento in cui si può tornare su Belloni (nome già fatto dal leader M5S, ndr), gliene parlo io a Salvini”. L’ex premier è scettico sull’affidabilità del leghista che nel frattempo aveva già bruciato sei candidati, ma si va avanti.

Ore 16. Giro di telefonate con Letta e Conte: i giallorosa si fanno trovare pronti con una rosa di nomi che comprende Belloni e Paola Severino. Su Severino però c’è il veto di Forza Italia (è l’autrice della legge che portò alla decadenza di Berlusconi dal Senato). Più indietro Pier Ferdinando Casini che non piace a FdI, ai governatori leghisti e a parte del M5S. Resta in piedi l’ipotesi Draghi.

Salvini viene chiamato proprio dal premier che lo vuole incontrare: il faccia a faccia è organizzato dal capo di gabinetto di Draghi, Antonio Funiciello, e da Giancarlo Giorgetti, numero due della Lega che lavora per l’ascesa al Colle del premier. Si vedono in una dépendance del ministero dello Sviluppo Economico in via Veneto. Il segretario del Carroccio spiega che su di lui non può esserci il “sì” del M5S e che la Lega lo voterebbe solo se ci fosse un accordo sul governo: Salvini chiede di entrare nel prossimo esecutivo come ministro facendo fuori Giorgetti. Condizione che Draghi non può garantirgli. E così la trattativa sul premier si blocca. Su Casini invece è proprio il presidente del Consiglio a mettere il veto. Resta il nome di Belloni: Salvini lo fa al premier che accetta, anche se malvolentieri. Il leghista esce dall’incontro con Draghi con la consapevolezza di poter trovare la “quadra” sul capo dei servizi. Ma Salvini vuole conoscerla e quindi, tramite i suoi intermediari, le chiede un incontro. Prima è Conte a chiamarla e poi il leader della Lega e il capo del Dis, a quanto risulta al Fatto, si vedono in un appartamento nel centro di Roma. Convenevoli, qualche cenno alla politica estera ma poi si arriva al dunque: “Potresti essere la candidata di tutti” è la frase con cui si congeda Salvini. Lei dà la sua disponibilità e poi, secondo quanto raccontato ieri dal Corriere, sarebbe stato proprio Draghi a telefonarle per congratularsi visto che l’accordo sembrava fatto. Che ci fosse un patto lo dimostra anche la riunione a tre – Conte, Letta, Salvini – alla Camera delle ore 19. È tutto fatto. Salvini esce davanti alle telecamere prima dei tg delle 20 e annuncia una “presidente donna in gamba”, Conte si felicita per “un’apertura su un presidente donna”. Anche Meloni è convinta. Letta è cauto, sa che i primi nemici li ha in casa. E così è: da quel momento Guerini e Di Maio si esprimono contro la candidatura di Belloni, Renzi va in tutte le tv per sparare contro di lei e anche Forza Italia si stacca. Nella notte non basterà l’endorsement di Beppe Grillo: veti e controveti fanno cadere la candidatura di Belloni.

Su due donne – Casellati e Belloni – si è sciolto anche il centrodestra. Meloni nei giorni scorsi ha ripetuto che la coalizione non c’è più, Berlusconi guarda al centro: ha respinto l’idea di federazione di Salvini e ieri, dopo aver riunito ad Arcore lo stato maggiore azzurro, ha fatto sapere che FI sarà protagonista del “rinnovamento del centrodestra” con i valori del Ppe. Che i rapporti tra alleati siano ai minimi termini lo ha detto ieri Salvini: “Oggi il centrodestra non è una coalizione, si è sciolto come neve al sole”. Poi ha lanciato una stoccata a Berlusconi e ai centristi (“C’è chi fa esperimenti con Renzi e Mastella”) ma soprattutto a Meloni: “Il primo banco di prova del centrodestra saranno i referendum sulla giustizia, alcuni hanno firmato, altri no – ha concluso – lì vediamo chi sarà liberale, moderno, europeista, atlantista e chi invece giocherà per la conservazione, giocherà di rimessa”. Un attacco a FdI che ha firmato quattro quesiti su sei e non ha intenzione di fare campagna referendaria proprio per non fare un favore a Salvini.

“Luigi incomprensibile: critica Giuseppe e i 5S, ma lo scopo è centrato”

Il ministro contiano lo ripete più volte: “Il M5S ha una filiera che è stata coinvolta e consultata per tutto il percorso dell’elezione per il Quirinale”. Ergo, secondo Stefano Patuanelli “Luigi Di Maio ha posto un tema politico che io ritengo ingiustificato”.

Di Maio ha dato le dimissioni dal comitato di garanzia. Che ne pensa?

Credo che sia un atto giusto e obbligato rispetto alla scelta di sabato scorso di giudicare politicamente il percorso del M5S, rispetto all’elezione del presidente della Repubblica. Non poteva continuare a farlo, visto che lo Statuto ha scisso in modo molto netto la parte politica da quella di garanzia. Di Maio aveva scelto di far parte del comitato di garanzia: ma allora non avrebbe dovuto esporsi con una critica così forte rispetto alla linea di Conte e quindi del M5S.

Il ministro degli Esteri ha espresso una critica politica. Accade in tutti i partiti.

La dialettica interna c’è stata e ci sarà. Ma non capisco la critica, avendo Di Maio partecipato alla cabina di regia sul Colle con le proprie idee. Non riesco a comprendere la natura dei suoi rilievi, visto che l’unico leader che ha ottenuto l’obiettivo è stato Conte.

Il leader del M5S voleva far eleggere Elisabetta Belloni, ed è andata diversamente.

L’obiettivo principale, oltre quello di evitare Berlusconi al Colle, è stato raggiunto. Ma si è tentato di fare eleggere Elisabetta Belloni, e sarebbe stata una novità assoluta. Purtroppo ha trovato l’opposizione delle correnti di alcuni partiti, che si sono manifestate. Quello che è successo ha fatto uscire tutti dalla tana, anche chi stava bluffando.

L’obiettivo principale era evitare Draghi al Colle?

Era evitare che cadesse il governo. Nessuno nel M5S ha mai inteso ostacolarlo pensando che il premier non avesse le caratteristiche giuste. Ma se questa maggioranza non è riuscita a eleggere un presidente condiviso diverso da Mattarella dopo sette anni, come avrebbe potuto affrontare un quarto governo? Si sarebbe scivolati verso le elezioni. Per fortuna abbiamo avuto la possibilità di chiedere a Mattarella uno sforzo, seguendo il segnale del Parlamento.

Non basta per definire Conte un vincitore, no?

Io mi chiedo come Di Maio e altri possano metterlo tra gli sconfitti. Il centrodestra è deflagrato senza eleggere un presidente espressione della sua area, e di fatto non esiste più. Mentre il Pd aveva mille anime che hanno espresso le loro idee. Per esempio Dario Franceschini era vicino a Conte nel sottolineare la difficoltà di creare un nuovo governo senza Draghi a Palazzo Chigi. Mentre il segretario dem Enrico Letta non ha mai nascosto la sua preferenza per il premier. La linea del Pd era variegata, quella del M5S una e una sola. Dopodiché se qualcuno sperava in altro deve chiarire e dare risposte.

Sta dicendo che Di Maio voleva Draghi al Quirinale?

Questo bisogna chiederlo a lui. Alle cabine di regia ha partecipato, la linea dei gruppi la conosceva.

Ma quella nel M5S cos’è? Una guerra di correnti, che porterà a una scissione?

Le correnti sono vietate dallo Statuto, quindi una guerra così non può esistere.

La politica non è fatta di regole scritte, lo sa.

Io dico che la linea di Conte è quella del M5S, costruita con un’ampia filiera decisionale. Sul Colle c’è stata massima condivisione: anche nelle ore convulse della fase finale, il presidente si è sempre interfacciato con i due capigruppo. La struttura del Movimento funziona. Evidentemente dietro c’è qualcosa di altro.

Cosa? Le liste per le Politiche e la regola dei due mandati?

Mi auguro di no. E comunque mi sono ripromesso di non parlare dei due mandati, visto che siamo tutti in conflitto di interessi. Anche io, che pure sono alla prima legislatura in Parlamento.

Conte vuole un’assemblea in cui Di Maio dovrebbe rendere conto di “gravi condotte”. Ma il ministro non vuole gogne pubbliche. Ha ragione, non crede?

Non ci sarà alcuna gogna, come non c’è stato alcun nessun attacco personale di qualcuno a qualcun altro. Ripeto, Di Maio ha posto un tema per me non giustificato. Gli si chiede conto di alcune cose da chiarire. Ma il modo in cui si arriverà a un sereno confronto lo stabilirà Conte, non certo io.

A proposito del leader: il suo rapporto con il Pd pare sfibrato dalla partita del Colle.

Con il Pd e con LeU in questi giorni ci siamo ribaditi la fiducia reciproca. Il nostro percorso assieme continua e continuerà.

Invece Beppe Grillo ha lanciato una piattaforma di programma. Sembra un documento più da capo politico che da Garante.

No, è il contrario. Proprio come Garante, ha scritto un testo che ricorda come i principi del M5S non siano immutabili, ma piuttosto oggetto di transizione. Beppe ha individuato elementi molto importanti. L’importante è che tutti riconoscano il percorso che stiamo facendo. Abbiamo una segreteria, i comitati, i capigruppo: le stanze di compensazione per un dibattito ci sono.

Cosa pensa Grillo di questo scontro?

Ciò che pensa Beppe l’ha espresso in un post pochi giorni fa.

Di Maio lascia i garanti, ma Conte non cede. Grillo vuole una tregua

È il Movimento Cinque Stelle, ma sembra poker. Con il ministro, Luigi Di Maio, che gioca la carta delle dimissioni dal comitato di garanzia, prima che gliele chiedano in assemblea. Con il presidente e leader, Giuseppe Conte, che non sembra fidarsi e che rilancia, senza sorridere: “Un giusto e dovuto passo indietro”. E infine con il Garante Beppe Grillo, che vorrebbe una tregua. E che infatti spariglia con un programma in cinque punti, un documento da padre fondatore. È la galassia a 5Stelle, dove Di Maio resta il più rapido. Così ieri il ministro avverte Conte, Grillo e i capigruppo alle Camere, Davide Crippa e Mariolina Castellone: “Mi dimetto da presidente e membro del comitato, vi spiego tutto in una lettera”. Poco dopo, ecco il testo con cui lascia il ruolo che proprio il Garante gli aveva affidato, mettendogli accanto Virginia Raggi e Roberto Fico. È fondamentale, il comitato di garanzia, perché da lì devono passare regolamenti e liste elettorali, e ovviamente anche la probabilissima revisione della regola sui due mandati. Per questo Conte gli avrebbe rinfacciato di avere ignorato il suo ruolo di garanzia.

Voleva punirlo in un’assemblea in streaming con gli iscritti. Ma l’ex capo lo precede. “Dopo la rielezione del presidente Sergio Mattarella, ho proposto una riflessione interna al M5S. È fondamentale confrontarsi, perché il Movimento è casa nostra, ed è fondamentale ascoltare le tante voci esistenti, e mai reprimerle” scrive. E con quel “casa nostra” vuole precisare che non intende lasciare il M5S. “Mi rendo conto – continua – che per esprimere queste idee non posso ricoprire ruoli di garanzia, non lo ritengo corretto”. Però il clima non va bene, lamenta: “Il dibattito interno è degenerato, si è iniziato a parlare di scissioni, processi, gogne. Si è provato a colpire e screditare la persona”. Eppure, nota pungendo Conte, “il nuovo Statuto mette l’accento sul rispetto della persona”. Non l’unico messaggio in filigrana, visto che l’ex capo ringrazia “i capigruppo e Grillo, che hanno provato a favorire un dialogo sereno e super partes tra diverse linee”. Come a rimarcare che il Garante, Crippa e Castellone non gli sono certo ostili. E comunque, giura, “io sono tra le voci pronte a sostenere il nuovo corso”. Però “mantenendo la libertà di alzare la mano e dire cosa non va bene e cosa andrebbe migliorato”.

Così Di Maio, che ai suoi lo dice così: “Questo è un segnale di dialogo, ora sta a loro”. Cioè a Conte e ai vertici del M5S, che a stretto giro rispondono con una gelida nota: “Il passo indietro è giusto e doveroso, un elemento di chiarezza necessario rispetto alle gravi difficoltà a cui ha esposto la nostra comunità, che merita un momento di spiegazione in totale trasparenza”. Ergo, l’avvocato la vuole ancora, l’assemblea con Di Maio. “La pluralità delle opinioni non è mai stata in discussione – dicono dai piani alti – ma questo non significa permettere percorsi divisivi e personali, o tattiche di logoramento”.

Tradotto, l’accusa resta quella: Di Maio critica per poi rinculare, in attesa di sfruttare un nuovo tonfo elettorale nelle Amministrative in primavera. Di sicuro la risposta non piace ai dimaiani: “Quella di Luigi era una mano tesa, ma la loro non è certo un’apertura”. Invece le agenzie vengono riempite dai comunicati di sostegno al ministro di parlamentari a 5Stelle. È l’appello di una corrente, e va dal presidente della commissione per le Politiche Ue, Sergio Battelli, al questore della Camera Francesco D’Uva, per arrivare al senatore Primo Di Nicola, primo teorico della spinta del M5S in Parlamento per Sergio Mattarella: “Di Maio è stato coraggioso: ora non servono prove di forza, va aperto un confronto”. E batte un colpo anche Carla Ruocco: “Luigi è la storia del M5S”. Ma la temperatura non scende. In ballo ci sono innanzitutto le liste, quelle per le Politiche, e quindi il nodo dei due mandati. Così dalle parti di Conte rimarcano: “Il gesto di Di Maio non è una sorpresa, ha voluto evitare il giudizio della base che lo avrebbe sfiduciato, ma la questione non si risolve con un post”. Insistono, “sull’attacco sguaiato in tv del ministro, con tanto di esibizione di eletti fedelissimi”.

Vorrebbero che anche Grillo entrasse duro. E più d’uno sussurra: “Le dimissioni dal comitato gliele ha chieste Beppe”. Versione che i dimaiani respingono: “Assolutamente falso, il rapporto tra Grillo e Luigi resta ottimo”. Di certo il fondatore vorrebbe un armistizio. Anche per questo sforna sul suo blog cinque punti di programma, come a dire che a contare sono i temi. “Oggi il M5S è un giovane con le paure e le speranze della sua generazione” scrive il fondatore. Contento, del suo M5S: “Non tutto è andato come avremmo voluto, ma molti dei cambiamenti realizzati sono stati rivoluzionari”. Così lo difende: “Fra i tanti travisamenti c’è il teorema del nostro rifiuto della competenza”. E gli indica la strada: “La nostra rivoluzione democratica deve passare dagli ardori giovanili alla maturità”. A patto di non farsi molto male da sola.