Il Fai si deve anche a Renato Bazzoni
Caro direttore, nelle tante rievocazioni e biografie che hanno avuto quale protagonista Giulia Maria Crespi fondatrice del Fai non è mai comparso, mi pare, l’architetto Renato Bazzoni, milanese, per anni colonna di Italia Nostra a Milano (dalla quale veniva anche Giulia Maria che conobbi come presidente regionale). Ora, Bazzoni, architetto e fotografo importante, fu quello che, ispirandosi al National Trust inglese, elaborò e attuò intelligentemente con la Crespi tutta la prima parte di vita del Fai. A partire, se non erro, dal recupero del Castello di Avio nel Trentino. Volevo ricordarlo perché questo è un merito che spetta storicamente a Renato Bazzoni.
Vittorio Emiliani
Non mandiamo Laura Castelli alla ghigliottina
Forse la viceministra dell’Economia e delle Finanze, Laura Castelli, ha dei sostenitori che le hanno aggiustato e modificato quanto ha dichiarato a Post, rubrica di approfondimento del Tg2. Ma se è vero quello che, non avendo sentito la trasmissione, mi viene riferito, non riesco a trovare nelle sue parole niente di scandaloso. Le riporto: “Questa crisi ha spostato la domanda e l’offerta. Le persone hanno cambiato il modo di vivere e bisogna tenerne conto. Bisogna aiutare le imprese e gli imprenditori creativi a muoversi sui nuovi business che sono nati in questo periodo, perché ce lo possiamo dire che sono cambiati. Sono processi di lungo periodo, certo, ma se una persona decide di non andare più a sedersi al ristorante bisogna aiutare l’imprenditore a fare magari un’altra attività e a non perdere l’occupazione…”. Se l’intento è quello di screditare sempre e comunque i poveri grillini, ok, ma dichiarare che è una malvagia e paragonare la sua frase a quella di Maria Antonietta, ossia S’ils n’ont plus de pain, qu’ils mangent de la brioche”, ce ne corre. Evitiamo di mandare Laura Castelli alla ghigliottina.
Antonio Fadda
La polizia è violenta e il palazzo corrotto
L’Italia è un Paese in cui si discute e ci si divide sul rinnovare o meno la concessione a chi, per incuria e per guadagnare di più, ha fatto crollare un ponte causando una strage. Vuoi che ci si possa stupire se un presidio di polizia diventa un covo di delinquenti? Non è la prima volta e non sarà l’ultima: qualcuno ricorda la “banda del Pilastro”? Le forze di polizia sono le uniche formazioni autorizzate a usare la violenza, purché in modo rispettoso della legge (legittimo): se non sono ben addestrate e controllate, possono facilmente sottrarsi a questo obbligo e delinquere. Gli Usa ce lo dimostrano. Il fatto è che in una società non esistono corpi separati: se la corruzione dilaga e viene assecondata a livello politico e sociale, anche chi è deputato a perseguirla e a sanzionarla può essere tentato e irretito nelle sue trame. Urge la ripresa immediata della discussione sull’etica pubblica e privata.
Sergio Torcinovich
Il caso di Piacenza come Floyd e Regeni
Perché il caso di George Floyd in America ha scatenato proteste e rivolte mentre invece qui, in Italia, il caso dei carabinieri di Piacenza sta passando quasi inosservato? Si parla molto del caso Regeni e della responsabilità del governo egiziano; ma come si può pretendere di esigere dal governo egiziano ciò che noi stessi non siamo in grado di pretendere per i casi che accadono in Italia?
Michele Lenti
L’omertà si è fatta spazio nell’Arma dei carabinieri
Quanto successo nella caserma di Piacenza è di inaudita gravità. Non solo per i reati commessi, che vanno dai pestaggi all’abuso di potere, ma per il sintomo che questa inchiesta manifesta: corruzione delle forze dell’ordine. Perché, parliamoci chiaro, se un’intera caserma è sotto sequestro non si parla più di mele marce. Perché con grande probabilità molti, anche ai vertici, sapevano ma hanno taciuto. Dopo il caso Cucchi, certi abusi e violenze non dovrebbero più esistere. Purtroppo la corruzione pare essersi infiltrata anche nella prestigiosa Arma dei carabinieri. Dove anche l’omertà si è ritagliata troppo spazio.
Cristian Carbognani
Nelle culture nordiche debito e colpa pari sono
L’ostinazione manifestata dal premier olandese non è stata frutto di gretti calcoli contabili, ma rispecchia la cultura dei Paesi protestanti. Non è un caso che “schuld”, sia in olandese sia in tedesco, significhi contemporaneamente “debito” e “colpa”. L’equazione è intuitiva: chi è debitore è anche colpevole. Anche nella Bibbia il debito è morale. L’Umanesimo protestante ha, però, accentuato la “cultura della colpa”, mentre da noi domina ancora la “cultura della vergogna”. Ci vergogniamo dei nostri debiti, solo se sono conosciuti dai terzi, ma avvertiamo meno il senso di colpa. Mentre a Ginevra Calvino proibiva i balli e la musica, a Roma i Papi erano l’espressione gaudente del Rinascimento. Ancora oggi non è cambiato nulla. “Non fare il passo più lungo della gamba” si insegna ai bimbi olandesi.
Carmelo Sant’Angelo
I nostri errori
Ieri, nel pezzo a pagina 20 – “Quando la piccola Alessandra faceva i compiti con Gadda” – abbiamo scritto che Sandra Bonsanti è Presidente onorario di “Giustizia e Libertà” anziché “Libertà e Giustizia”: ce ne scusiamo con l’interessata e con i lettori.
FQ