“In questa caserma non c’è stato nulla di lecito, solo comportamenti criminali”. Non usa giri di parole Grazia Pradella, nuovo capo della Procura di Piacenza: sei carabinieri arrestati e una stazione, Piacenza Levante, sequestrata. Un’inchiesta senza precedenti che ha svelato orrori e abusi da film, al pari di Gomorra. Qui però le violenze erano tutte commesse dalle forze dell’ordine. Le accuse, pesantissime, sono di spaccio di droga, arresti falsificati, perquisizioni illecite, sequestro di persona, tortura e pestaggi sistematici, forse anche con la tecnica del waterboarding, come ha lasciato intendere la procuratrice. Cinque carabinieri in carcere; un sesto, il maresciallo comandante della stazione, agli arresti domiciliari. Tra i destinatari delle misure meno restrittive, anche un ufficiale, il maggiore Stefano Bezzeccheri che comanda la compagnia di Piacenza.
Dietro tutto c’è la droga, hashish e marijuana in particolare, e la voglia di fare soldi, più di quelli che uno stipendio da appuntato o carabiniere semplice può garantire. L’idea viene a Giuseppe Montella, vero dominus del gruppo: una rete clandestina di spaccio, alternativa ai soliti pusher, e senza spese. Basta usare la sostanza stupefacente o i contanti sequestrati nelle operazioni. La concorrenza? Sbaragliata a suon di minacce o convinta con la forza a collaborare. “Ho fatto un’associazione a delinquere. Se uno vuole vendere la roba vende questa qua, altrimenti non lavora. E la roba gliela diamo noi. Poi a loro volta avranno i loro spacciatori… quindi è una catena che a noi arriveranno mai, siamo irraggiungibili”, dice in un’intercettazione. Nessuno scrupolo, nemmeno quando sbagliavano. Come con un egiziano, scambiato per un compratore: la banda lo colpisce con violenza gratuita in mezzo a una strada e gli sequestra il portafoglio e il cellulare urlandogli “dì la verità che ti faccio andare in ospedale, adesso ti spacco!”. L’uomo in tasca non ha nulla, ribadisce di essere un onesto lavoratore. Poche ore dopo va in caserma a chiedere indietro i suoi averi: viene accolto con strafottenza e salutato con un calcio nel sedere (c’era la telecamera). Ad altri è andata peggio. In una foto, trovata sul cellulare di uno degli arrestati, c’è uno spacciatore nigeriano: a terra il suo sangue. “Pem! Mi ha fatto uno scatto, quando ho visto quel sangue per terra mi sono detto che l’avevamo ucciso, minchia!” si esalta Montella. Non è il solo, anche l’appuntato scelto Salvatore Cappellano si scalda spesso durante gli interrogatori: “Se mi dici la verità io non faccio entrare l’amico mio ma come mi dici una cazzata lui entra, ti spacca di legnate e ti rompe tutte le ossa. Io poi ritorno e ti sfasciamo tutte e due!”. Il pusher non collabora. Colpi, urla e commenti vergognosi dei carabinieri: “Tu qua sei morto, non fiatare perché ti ammazzo”.
Colpisce anche il periodo in cui sono stati commessi i reati, come ha sottolineato la procuratrice Pradella: “In piena epoca Covid e del lockdown. Mentre la città di Piacenza contava i tanti morti del coronavirus, questi carabinieri approvvigionavano di droga gli spacciatori rimasti senza stupefacente a causa delle norme anti Covid”. Per il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, sono “fatti inaccettabili, che rischiano di infangare l’immagine dell’Arma, che invece è composta da 110.000 uomini e donne che ogni giorno lavorano con altissimo senso delle Istituzioni al fianco dei cittadini”. Al comando generale dell’Arma sono attoniti, anche perché l’indagine è stata affidata alla Finanza in contrasto con la (discussa) prassi per cui ciascuno indaga in casa sua: sospesi anche i militari non arrestati (per gli altri è automatico). Il comandante generale Giovanni Nistri al Tg1: promette il “massimo rigore”.