“Delle polemiche non me ne frega un…”. Francesca Michielin frena, Emma la spinge: “Puoi dirlo, non te ne frega un cazzo”. Come dar torto alle Thelma & Louise dell’Ariston? Al Festival i soloni della bacchetta – per primo il maestro Vince Tempera – avevano storto il naso all’annuncio che la Michielin avrebbe diretto l’orchestra per l’amica in Ogni volta è così. Sessismo? Non solo: i direttori si erano impuntati perché Francesca non ha concluso gli studi in Conservatorio. “Sto preparando la laurea”, spiega lei, “ma quel che conta è l’abbraccio degli orchestrali. Sono felici. E spero che il mio esempio ispiri altre ragazze”. Non donatele fiori: anche quest’anno (come già dopo il duetto 2021 con Fedez) li ha passati a un uomo, il primo violino. Un omaggio all’orchestra Rai, e una rivendicazione di parità. Con Emma è salita ieri sul palco per raddoppiare la quota bad girls pop reinventando Baby one more time di Britney Spears: il loro viaggio continuerà verso una collaborazione stabile, in nome di un feeling e di una solidarietà femminile e neofemminista. Emma: “Il gesto della vagina mentre canto è un ringraziamento alle donne degli anni 70. Se oggi possiamo essere tutte puttane lo dobbiamo a loro”. Anche Noemi, dopo la sua metamorfosi, ha dovuto affrontare lunari perplessità del pubblico. “Per questo amo la mia canzone, è autobiografica. Sì, Ti amo non lo so dire è il dialogo interrotto con qualcuno che ti definisce stronza perché provi a cambiare in un rapporto dove galleggi ma non vai verso il sole”. Ieri, al piano, ha omaggiato Aretha Franklin, You make me feel a natural woman: “Aretha si era battuta per la sua comunità, le donne afroamericane. Nel mio piccolo, rivendico anch’io le mie lotte, per sentirmi in pace con me stessa”. Elisa, invece, che ha giocato con What a feeling, la dinamo ballereccia di Flashdance, ha incantato tutti al Festival con la favola di O forse sei tu, ma la precedente Seta era il racconto di una violenza di genere. “Abbiamo diritto di vivere senza che nessuno si permetta di dirci come comportarci”, in questo mondo che vuole le donne tutte sirene o fate. O prede.
Gli ascolti incastrano Ama. E alla fine arriva pure Jova
Se il Papa domani andrà da Fazio e Mattarella telefona ad Amadeus, commosso dall’omaggio in musica tributato dal palco giovedì, bisogna dire che la tv forse non si sente molto bene, ma non è ancora morta. A questo punto (ascolti stellari anche per la terza serata: 9 milioni di spettatori, media del 54,1 %) non solo il quater è scontato, ma Ama può puntare a un mandato a vita modello Baudo e Mike. Qualcosa arriverà anche per la rivelazione di queste serate, Drusilla Foer, la più brava e colta (parola con cui ha folgorato Iva Zanicchi) tra le signore del Festival, che ieri ha visto in pista anche la spigliata star della fiction Maria Chiara Giannetta. Gongola il direttore di Raiuno Coletta: “Drusilla l’ho chiamata appena arrivato a Rai1, ospite da Nunzia De Girolamo. Ho in mente la follia di affidarle una seconda serata seriale, dal lunedì al venerdì. Ha un portato di raffinatezza, intelligenza e ironia: registri che servono in una tv generalista”. Peccato che il suo bel monologo sull’unicità sia andato in onda a notte alta.
L’ospite inatteso. Ma la bomba del venerdì è stato lo sbarco della corazzata Jovanotti: ieri, serata cover, ha duettato con Morandi infilandosi in un medley incrociato di brani Gianni&Jova. E poi ha recitato una preghiera laica, i versi incantati di Bello mondo di Mariangela Gualtieri. Per convincere a salire su questo palco il ragazzo fortunato, storico amico di Amadeus, ci voleva il vecchio leone di Monghidoro, che con questa wild card (e la canzone-treno di citazioni soul e ye-ye scritta apposta per lui da Lorenzo) potrebbe scompigliare il gioco del podio, che sembrava ormai scontato: una sfida all’ultimo voto tra Elisa e la coppia di superfavoriti Blanco-Mahmood. Gli insider del Festival si sono interrogati: Amadeus si è adoperato in vane telefonate all’amico di una vita per tre lunghi anni e Jova si è sempre negato, lasciando Ama e Fiore a nuotare da soli nel vuoto della platea dell’Ariston, e poi Lore si presenta out of the blue per spingere Apri tutte le porte? È un auto-endorsement via Morandi o una simpatica manfrina di cui Ama era da sempre a conoscenza? È il tributo all’amicizia pagato da Jova prima che scattasse la mora o la furbata promozionale con il 55 per cento di share? Interrogativi che calano come ami nel Mar Ligure. Come quelli (ma c’è qualche certezza in più) sulla presenza stasera di Marco Mengoni.
Il cover factor. Le tre giurie (Sala stampa, Demoscopica, televoto) sono tornate a chiedersi per quale motivo una cover debba essere un valore aggiunto del punteggio che riguarda il brano in gara. Traducendo: perché Tizio deve essere premiato per la sua scelta di un classico (o della resa nell’intepretazione) che influirà sulla graduatoria del festival? La classifica si rimpasta dopo la serata cover, verso la scelta dell’inedito che vincerà: funambolismi regolamentari. Come sia, ieri il gala della musica (dai ‘60 ai ‘90) si è aperto al patrimonio delle canzoni internazionali. In tanti ne hanno giovato: vedi Giovanni Truppi con Vinicio Capossela e Mauro Pagani sulla vibrante Nella mia ora di libertà di Faber; Ranieri e Nek per il ritratto danielesco di Anna verrà; Il cielo in una stanza ridipinto da Mahmood e Blanco, Ditonellapiaga e Rettore nella trottola dì Nessuno mi può giudicare; Sangiovanni ha azzardato il Bertoli di A muso duro protetto da zia Mannoia. Lauro si è messo al fianco proprio Loredana Bertè per la benedizione di Sei bellissima, Yuman ha rischiato il naufragio con My Way, il piano di Rita Marcotutti èun salvagente. Cose belle, per ricordare che la musica non è mai un bene effimero.
Drusilla-Segre babà, Morandi fa il diplomatico con Mattarella
Cosa unisce Sergio Mattarella a Gianni Morandi, Drusilla Foer a Liliana Segre, Checco Zalone a Silvio Berlusconi, Amadeus a Pier Ferdinando Casini? Nella gara per il Quirinale, il Parlamento della Repubblica stava per collassare sul Festival della canzone. Abbiamo perciò ricondotto le élite (conta chi comanda, ma conta anche chi canta) nella immaginifica fantasia del padre fondatore della fisiognomica dolciaria, a un dolce. Babà, deliziosa, diplomatico, choux, brioche… Fabrizio Mangoni, dopo una vita a insegnare Urbanistica all’Università, ha infatti dato corso alla sua irrefrenabile passione: la cura scientifica della comparazione dei caratteri umani ai dolci. “Il dolce, per la sua complessità e variegata composizione, è capace di rappresentare al meglio le doppiezze di ciascuna personalità”. Da qui le note suggerite dall’ideologo della pasticceria tra il Quirinale e Sanremo.
Il diplomatico. Dal carattere solido, squadrato, con una sua morbidezza, è sicuramente un dolce che non può mancare in pasticceria ed è anche il porto sicuro di ogni vassoio della domenica. Gianni Morandi ha attraversato la storia d’Italia ed è perno indiscutibile di ogni rassegna canora. È esattamente il centro equilibratore, è il punto di riferimento, diciamolo: è il Mattarella di Sanremo. E dunque è il diplomatico (a Napoli si chiama zuppetta inglese). Del resto la prima strofa della sua canzone come fa? “Mi devo trascinare presto fuori di qua”.
Choux a fungo. Pasta choux, né dura né troppo morbida, cilindrica e poi tondeggiante, esattamente come la personalità di Amadeus, che propone una sua faccia quasi da fesso coprendo il genio che effettivamente è. È l’artefice, il dosatore di quel mix di innovazione e conservazione, trasgressione e compostezza che altri non saprebbero. Amadeus è umile come lo choux a fungo e lo choux chiama in causa Casini. Due caratteri doppi, versatili e grande cremosa passione (nello choux la crema è il fantastico dietro le quinte).
Torrone. Il torrone bianco, colore della santità, del candore si scontra con la durezza dei suoi spigoli, con un carattere così enormemente rigido. Al Bano veste spesso di bianco e Draghi coniuga i due aspetti caratteristici del torrone. Draghi è un nonno prestato alla politica, e Al Bano è il nonno della canzone, anche imprenditore. Sa far di conto, esattamente come il premier.
Deliziosa. Due biscotti di pasta frolla che tengono in mezzo una crema nascosta da praline di nocciola. Sia Elisa che l’ambasciatrice Elisabetta Belloni hanno carattere ma anche tanta passione. Le accomuna una innata riservatezza che per la Belloni è divenuta anche un grande problema. Elisa, che è del ramo, ha voluto che la sua canzone iniziasse con queste parole: “Ti capirei se non dicessi neanche una parola”.
Bruiat. È un dolce fritto, con pasta sottile piegata a triangolo con dentro mandorle miele e ogni altro tipo di frutta. Il bruiat è esattamente ciò che meglio rappresenta Zalone. Piace a quasi tutti, anche se ognuno può trovare nella sua comicità qualcosa che dà fastidio. Pratica sistematicamente la volgarità, ma la sua capacità è il farlo all’interno di scene, frasi e canzoni, segnate certo dall’allegria; quando arriva, la parolina ti sorprende, e mette il tutto sotto una luce comica che ti fa scoppiare a ridere. Anche Berlusconi è capace di dire volgarità con leggerezza e una sua propria verve comica che in qualche modo ripulisce ed emenda la caduta di stile. Il Berlusca è un po’ Zalone.
Brioche polacca. È un dolce gonfiato, esibizionista. E Achille Lauro reca in sé l’escrescenza incontenibile dell’Io. Ha bisogno di grandi scenografie esattamente come la brioche ha bisogno della meringa che l’avvolge e la ingloba. Dell’Io molto sviluppato la Casellati è protagonista del nostro tempo peggiore. Cosa canta Achille Lauro? “Capisci, so che puoi farlo, finiscimi. Aspetto la fine, tradiscimi, poi dimmi è finita, zittiscimi. C’est la vie, est la vie”.
Buccellato e mousse al rhum. Sono ciambelle che contengono un impasto secco. La profonda contraddittorietà di questo dolce orientaleggiante conduce dritto alle personalità di Mahmood e Blanco. Diversi ma perfetti insieme. Si elidono ma prima si coniugano. Esattamente quel che a noi sembra il legame di Enrico Letta con Giuseppe Conte. Un amore provvisorio, bello ma infido, opportuno ma forse infelice. Comunque da brividi, come cantano i primi due: “Accetterei anche una bugia/E ti vorrei amare ma sbaglio sempre”.
Chiacchiere e sanguinaccio. La pasta fritta di carnevale, altrove si chiama frappa, dagli angoli continui e la più drammatica delle creme che veicola il sangue del maiale. La presenza sul palcoscenico di Massimo Ranieri è tormentata, il suo viso segnato, testimone del filo profondo del tempo. Serioso, intenso, immobile. Un po’ come Franco Frattini, in gara per il Quirinale. Comparso, scomparso, riapparso.
Choux caramellato. La stessa pasta del suo amico Amadeus, gli stessi lineamenti irregolari, la medesima passione, ma con una dolcezza in più. Fiorello non è volgare come Zalone, sorride sempre come Sabino Cassese, il professore gran commis che è uomo di mondo. Ma dietro al sorriso anche la battuta velenosa. Il caramello dello choux non tragga in inganno.
Babà. Il babà è la perfezione. Chi come Liliana Segre ha visto il peggio e il meglio del mondo non ha alcuna altra ansia di prestazione. Esattamente come il babà, principe di pasticceria, re indiscutibile. Drusilla ha bisogno della panna o della frutta per farsi notare. Resta comunque un’eccellenza fino a ieri sconosciuta.
“L’Osservatore romano censura Flores d’Arcais”
Prima gli è stata chiesta con insistenza un’intervista, e poi questa non è stata pubblicata. Paolo Flores d’Arcais, filosofo e direttore della rivista MicroMega ha riportato nella newsletter della testata di essere stato contattato via mail da un giornalista dell’Osservatore Romano, il quotidiano vicino alla Santa Sede, per dire la sua sul tema del Multilateralismo. Come testimonia lo scambio di risposte fra i due, pubblicato da Flores d’Arcais sul sito del periodico da lui diretto, la faccenda si è conclusa con il filosofo che ha risposto per iscritto alle domande fattegli, ma poi il direttore dell’Osservatore ha deciso di non pubblicare l’intervento, “nonostante quest’ultimo fosse già a conoscenza delle posizioni dell’intervistato”.
Nomine Rai, la carica dei nuovi vicedirettori. Fra i 19 anche la dirigente del “caso Fedez”
In Rai le direzioni di genere saranno operative a giugno, faranno quindi il loro esordio sui palinsesti autunnali. Ma i direttori ci sono già (nominati a metà dicembre) e ora sono in arrivo i vicedirettori. Per questi ultimi è stato un parto lungo e doloroso, e le scelte fatte hanno dovuto districarsi in un groviglio di appartenenze politiche in perfetto manuale Cencelli, ambizioni personali, antipatie viscerali, questioni di genere, eccetera. Ora le squadre sono al completo, anche se l’ufficialità non c’è ancora. Al prime time, dove direttore è l’ex di Raiuno Stefano Coletta, i vice saranno Federica Lentini, Giovanni Anversa (giornalista e conduttore), Claudio Fasulo (l’uomo Rai del Festival di Sanremo), Fabio Di Iorio (ora all’intrattenimento a Rai2) e Raffaella Sallustio (capostruttura a Raiuno con un passato a Endemol). Al day time, dove c’è Antonio Di Bella, rientrato apposta da New York, i vice saranno Marco Cunsolo, Angelo Mellone (ora vice a Raiuno, punto di riferimento della destra a Viale Mazzini), Adriano De Maio, Federico Zurzolo (dal Tgr Lombardia), Silvia Vergato (da Rainews). Poi c’è la bollente casella degli approfondimenti, la direzione di Mario Orfeo con la delega sui programmi d’informazione. Qui sono in arrivo Sigfrido Ranucci (conduttore di Report e vicedirettore di Raitre), Andrea Sallustio ed Elsa Di Gati (anch’essi vice a Raitre), Massimiliano De Santis, Paolo Corsini (vicedirettore di Raidue, altro nome storico della Rai destrorsa) e Ilaria Capitani (vicina al Pd). Quest’ultima è la vicedirettrice di Raitre protagonista della nota telefonata con Fedez con cui Viale Mazzini ha tentato di censurare il testo dell’intervento (contro l’omofobia) del rapper prima del concertone del primo maggio. Infine a Rai Cultura, dove al timone c’è Silvia Calandrelli, i vice saranno Anna Maria Pastore (vicina a Beppe Caschetto, ha l’importante delega al programma di Fabio Fazio), Lorenzo Ottolenghi (già vice a Rai Cultura) e Piero Corsini (direttore di Rai5).
Negli altri generi (Rai Doc diretta da Fabrizio Zappi, Rai Fiction con Maria Pia Ammirati, Kids con Luca Milano, Digital con Elena Capparelli, Cinema/serie tv con Francesco Di Pace) al momento resteranno i vicedirettori già presenti. Ieri, intanto, il direttore della Tgr Alessandro Casarin (Lega) ha ripresentato tale e quale il piano editoriale già rigettato tre settimane fa dai giornalisti. Ed è probabile che andrà incontro a un’altra bocciatura.
Mps, lunedì il cda revoca Bastianini Pronto Lovaglio
Nessun rilievo sui conti 2021 da parte dei sindaci di Mps. Nessuna richiesta di dimissioni dell’ad Bastianini da parte della Commissione Ue: la direzione Concorrenzza di Bruxelles, che deve approvare il piano di ri-privatizzazione del Monte, tratta con il governo e muove eventuali rilievi al piano stesso. Così l’azienda e Bruxelles smentiscono le indiscrezioni di stampa dei giorni scorsi. È muro contro muro a Rocca Salimbeni tra il ministero del Tesoro, azionista di riferimento con il 64,23%, e l’amministratore delegato Guido Bastianini che non sembra intenzionato a dimettersi, mentre la presidente Patrizia Grieco che continua a tessere la tela del cda di dopodomani, lunedì 7 febbraio, quando il cda, assieme al bilancio, voterà, in mancanza di dimissioni, il ritiro delle deleghe al capoazienda. Intanto dal Cda della banca di Siena si è dimessa, con decorrenza immediata, la consigliera Olga Cuccurullo, in carica da maggio 2020 e indicata insieme a Bastianini nella lista del Mef. In cda si libera così un posto che sarà usato per insediare il nuovo ad gradito al Tesoro.
La selezione del successore prosegue rapidamente. Ieri si è riunito il comitato nomine che lunedì proporrà Luigi Lovaglio, banchiere di lungo corso in UniCredit e poi ad del Creval. In cda Bastianini lunedì potrebbe farsi assistere dai suoi legali. A chiedere le dimissioni dell’ad la scorsa settimana è stato il direttore generale del Tesoro, Alessandro Rivera, d’intesa con il ministro Daniele Franco. Si annuncia battaglia.
Cosenza, denunce di abusi in un liceo: aperta un’inchiesta
L’occupazione del liceo “Valentini-Majorana” di Castrolibero continua. Gli studenti hanno consentito alla preside di entrare nel suo ufficio e si sono riuniti in assemblea chiedendo che si faccia luce sui presunti abusi e molestie sessuali denunciati da alcune ragazze all’interno dell’istituto. Ma la notizia del giorno, in provincia di Cosenza, è che la Procura ha avviato un’inchiesta. Il procuratore Mario Spagnolo, infatti, ha voluto aprire un fascicolo conoscitivo. In un modo o nell’altro, dopo il clamore mediatico i pm sono venuti a conoscenza della situazione e vogliono vederci chiaro sulle frasi della ragazza che, davanti alle telecamere, ha raccontato di avere ricevuto quattro anni fa una proposta indecente da un professore (“la foto del seno per la sufficienza”) e sulle segnalazioni anonime finite in una pagina Instagram. Gli studenti hanno riferito, poi, di avere consegnato ai carabinieri di Castrolibero un plico contenente una ventina di testimonianze, alcune nominative e altre anonime, sui fatti che si sarebbero verificati a scuola.
I grandi Giochi di Xi e Putin: accordi per il gas e “no all’espansione Nato”
Poche ore prima dell’inaugurazione delle Olimpiadi invernali boicottate dai leader Usa e i loro alleati, il presidente russo ha incontrato l’omologo cinese. Pechino rimane allineata a Mosca sulla questione ucraina e “sostiene le iniziative russe sulle garanzie di sicurezza in Europa”, si legge nel comunicato pubblicato dopo l’incontro dei leader. I due Stati “si oppongono all’ulteriore espansione della Nato, chiedono all’Alleanza di abbandonare gli approcci da Guerra Fredda e di rispettare sovranità degli altri Paesi”. Gli Usa “destabilizzano Europa e Asia”. Mosca ha ribadito di opporsi a “qualsiasi forma di indipendenza di Taiwan” e sostiene il principio di “Una sola Cina”. Putin e Xi hanno stretto nuovi accordi: Gazprom, compagnia statale russa, che già fornisce all’omologa cinese 16 miliardi di metri cubi di gas annui, aumenterà il volume di altri dieci miliardi.
Dicono addio 5 collaboratori: BoJo rimane sempre più solo
Downing street travolto dal partygate perde pezzi: in poche ore si sono dimessi 5 fra i collaboratori più stretti del premier Boris Johnson, da settimane al centro di accuse ben documentate per aver partecipato a festini alcolici nella sede del governo mentre al resto del Paese imponeva il lockdown. Se ne vanno il direttore della comunicazione Jack Doyle, il capo delle staff Dan Rosenfield, il funzionario pubblico Martin Reynolds ed Elena Narozanski, membro della policy unit. La versione di Downing Street è che si tratti del repulisti promesso all’opinione pubblica. Giustificazione che non regge per Munira Mirza, la perdita più grave e significativa: eminenza grigia di Downing Street, una 43enne geniale di estrazione proletaria, attivista comunista poi diventata, per 14 anni, “cervello politico” di Johnson. Ha fatto sapere di non poter tollerare una delle ultime menzogne di Johnson, l’accusa in Parlamento al segretario laburista Keir Starmer di aver insabbiato, quando era Procuratore generale, l’inchiesta sul pedofilo seriale e stella della Bbc, Jimmy Savile. È falso, ma resterà agli atti parlamentari se Johnson continuerà a rifiutarsi di ritirare le infamanti affermazioni. In una cultura politica che ancora si scandalizza di fronte alla menzogna, quello che sta veramente costando al premier carriera e consenso, anche più delle sue azioni, sono ipocrisia e arroganza. Le lettere di sfiducia inviate dai colleghi di partito sono salite a 13, ben lontane dallo sbarramento dei 54 richiesto per avviare il voto interno: ma lo scarica anche il Telegraph, ormai durissimo con Johnson, suo storico e pagatissimo collaboratore. Lui rifiuta l’ipotesi di dimettersi: in questa disperata operazione di salvataggio trascina metà governo, incluso il plenipotenziario Michael Gove, incaricato di distrarre l’opinione pubblica con il piano di rilancio delle regioni depresse che dovrebbe recuperare consensi ma poi si scopre che non è ancora pronto e interi capitoli sono copiati da Wikipedia.
Raid e record di occupati: si è svegliato “Sleepy Joe”
Nella giornata internazionale della Fratellanza umana, celebrata ieri, Joe Biden, che ha spesso toni alla Papa Francesco, esorta tutti i popoli a cooperare “per costruire un mondo migliore”. Ma lui affida all’eliminazione con un raid del capo dell’Isis le speranze di un recupero di popolarità, dopo il tonfo registrato in estate con la rotta di Kabul e l’impennata dell’inflazione.
Sul fronte interno, le previsioni in vista delle elezioni di midterm il 3 novembre non sono positive, per l’Amministrazione e per la maggioranza democratica alla Camera e al Senato. Dove possono farlo, i repubblicani, tuttora ipnotizzati da Donald Trump, ridisegnano i collegi a loro vantaggio e limitano l’accesso alle urne delle minoranze. Invece, i democratici non sono concordi sull’agenda economica e sociale del presidente Biden e ne frenano l’attuazione. Un refolo d’ottimismo arriva dall’economia, che continua a crescere, malgrado sussulti di pandemia e aumento dei costi dell’energia, e – in particolare – dai dati sull’occupazione: a gennaio, sono stati creati 476 mila posti di lavoro, quasi tre volte di più del previsto, e il tasso di disoccupazione s’è attestato intorno al 4%. Biden twitta: “Abbiamo creato più di 6,6 milioni di posti da quando mi sono insediato. Il 2021 è stato l’anno in assoluto migliore per la creazione di posti di lavoro”– tace sul fatto che il 2020 aveva visto un tonfo verticale dell’occupazione causa pandemia –. Sul fronte esterno, il boicottaggio diplomatico delle Olimpiadi invernali è un mezzo flop e Biden, arroccato sulla sua linea allarmista e oltranzista, rischia di ritrovarsi relativamente isolato sull’Ucraina. Xi e Putin che si incontrano a Pechino proprio all’inaugurazione dei Giochi, fanno fronte comune: il che, da una parte, fa il gioco di Biden in casa, perché lo fa apparire il campione dell’Occidente e dei valori; ma, dall’altra, preoccupa e mobilità tutti gli europei che contano, che non vogliono vedere il “loro” gas russo andare a scaldare i cinesi. E, infatti, Macron andrà lunedì a Mosca e martedì a Kiev da presidente di turno del Consiglio dell’Ue, mentre Scholz volerà a Washington. Quanto a Erdogan, auto-nominatosi mediatore, di ritorno da Kiev e nell’attesa di ricevere Putin, accusa l’Occidente d’avere “peggiorato” la crisi e Biden, in particolare, “di non essere stato ancora capace di mostrare un approccio positivo” – come se la Turchia non facesse parte della Nato -. Se il disegno di Biden è di apparire il garante della pace, con la sua fermezza, il fatto positivo – notano i maggiori media Usa – è che i negoziati vanno avanti, nonostante l’intreccio di richieste e risposte tra Cremlino e Casa Bianca non abbia ancora trovato un punto d’incontro reciprocamente soddisfacente.
L’eliminazione di al-Qurayshi contribuisce, in fondo, a migliorare il clima Est-Ovest: Pechino e Mosca avallano il raid, nel segno della lotta contro il terrorismo. Sui media Usa l’eco è largamente positivo, nonostante le vittime civili – almeno 4 donne e 6 bambini – provocate dal blitz delle forze speciali. Con il passare delle ore, emergono nuovi particolari sull’azione: “Il letale raid Usa contro l’Isis s’è scontrato contro una bambola, una culla, bombe e pallottole”, titola un suo reportage l’Ap, che racconta come la cinquantina di teste di cuoio scaricate dagli elicotteri nel Nord-Ovest della Siria, poco dopo la mezzanotte locale, abbiano preso d’assalto “un’abitazione di estremisti e bambini”, dalle cui macerie all’alba spuntavano segni della presenza di neonati. E Al Jazeera riferisce che “nessuno è uscito dalla casa”, durante l’attacco. A imbarazzare il Pentagono ci pensa anche Pro Publica: un’inchiesta svela che il tragico attentato di Kabul il 26 agosto, che fece centinaia di vittime, fu facilitato da una leggerezza dei militari Usa.