Il mito del bravo privato non vale per Autostrade

C’è chi accusa questo governo di essere statalista e nemico del mercato perché intenderebbe nazionalizzare le autostrade. Si brandiscono slogan per fini elettorali propinando fake news. La proprietà delle autostrade è sempre stata pubblica, solo la gestione è stata affidata, a tempo, a privati. Ricordiamo che la società Autostrade (Aspi) fu privatizzata dall’Iri solo per far cassa; al tempo veniva considerata un’impresa assai ben gestita (inventò anche il Telepass) e l’eventuale maggiore efficienza di un’impresa privata non fu mai evidenziata come motivo della privatizzazione. Quali potrebbero essere allora gli aspetti negativi di un ritorno al controllo pubblico?

Per rispondere occorre aver ben chiaro quale sia l’attività richiesta al gestore. A differenza dalle “normali” imprese, il gestore di un un’autostrada non deve conquistarsi nuovi clienti, non è esposto alla concorrenza né ai rischi che cambino le tecnologie o i gusti dei consumatori. L’attività ordinaria è molto semplice: esazione dei pedaggi, pulizia e manutenzione. C’è ben poco spazio per differenze di efficienza tra impresa pubblica e privata. Per questo non vi sarà alcun bisogno che la Cassa Depositi e Prestiti, quando acquisirà il controllo della Aspi, si cerchi un “socio industriale”, né i Benetton lo erano quando assunsero il controllo di Aspi.

L’unica attività difficile e “delicata” per un concessionario è la gestione degli appalti per nuove opere. Nel caso di un’impresa pubblica il rischio è quello della corruzione nella gestione degli appalti; è un rischio col quale si confronta qualunque impresa pubblica che gestisca strade o infrastrutture ferroviarie, ma nessuno propone per questo di privatizzare l’Anas o le Ferrovie.

Se il gestore dell’autostrada è una società privata il rischio di corruzione negli appalti è minore (non nullo) ma i costi tendono a salire perché i lavori vengono in genere affidati a società controllate mentre l’impresa pubblica può indire gare aperte. Ma col gestore privato il rischio maggiore diviene un altro, quello che gli economisti chiamano elegantemente “cattura del regolatore” riferendosi ai cento modi per ottenere favori da funzionari e ministri a scapito degli utenti. Per massimizzare il profitto quello che distingue un gestore privato di successo non è l’efficienza nella gestione, dove lo spazio è poco, bensì la capacità di ottenere aumenti di tariffa o proroghe della concessione o ridurre al minimo le manutenzioni e gonfiare i costi. L’esperienza degli ultimi due decenni mostra quanto abili siano i concessionari nell’ottenere “regali” dai vari ministri e quanto fallimentare sia stata la capacità dell’apparato pubblico di difendere gli utenti limitando i profitti dei concessionari in rapporto al capitale investito. Per la storia di Aspi rinvio al mio libro La svendita di Autostrade (Paper First), ma il caso di Aspi non è il solo.

Chi tuona contro la “nazionalizzazione” forse pensa, illudendosi, che in futuro lo Stato sarebbe capace di sottrarsi a ogni forma di cattura; forse è meglio eliminare il rischio passando la gestione a un’impresa pubblica. L’accordo tra governo e Atlantia non configura una “nazionalizzazione” di Aspi: questa resterà una società per azioni quotata e con un azionariato diffuso; ciò che conta è che il controllo e quindi il management sia di nomina pubblica. Non sarà certo la Cdp che lo nomina a spingere un amministratore a trafficare con ministri e funzionari per aumentare i profitti.

Altra fake news è che la presunta nazionalizzazione di Aspi metterebbe a rischio il finanziamento degli investimenti per la fuga degli investitori esteri. Che i concessionari siano necessari in quanto apporterebbero capitali per gli investimenti in autostrade è solo una favola. I Gavio hanno investito solo briciole e finanziato tutti gli investimenti a debito e gli aumenti di capitale con i profitti. I Benetton e gli altri soci della Schemaventotto non hanno mai versato capitali in Autostrade; hanno pagato l’Iri nel 2000, recuperato tutto in pochi anni e incassato molte volte quanto investito. Tutti gli investimenti in autostrade sono stati finanziati a debito e ripagati con i pedaggi. I fondi esteri hanno acquistato azioni Aspi solo per partecipare alla rendita, non hanno mai avuto alcun ruolo nel finanziamento degli investimenti.

In Spagna il governo ha intrapreso un vero cambiamento nel settore: si riprende l’infrastruttura man mano che le concessioni scadono. Quando un’autostrada è stata ammortizzata si dovrebbe eliminare il pedaggio o ridurlo al solo costo di manutenzione. In Italia la lunga durata delle concessioni non consente cambiamenti radicali. Il passaggio del controllo di Aspi al settore pubblico è già un risultato significativo; ora resta da vedere come sarà modificata la convenzione, su quali regole verranno determinate le tariffe e quali benefici avranno gli utenti.

 

Una tempesta ha messo fuori uso l’ego di Renzi e aiutato la castelli

Ultim’ora: La guerra in Libia rallentata dalla guerra in Libia.

Roma. Ieri pomeriggio una tempesta solare di magnitudo 5 ha temporaneamente messo fuori uso l’ego di Matteo Renzi. Renzi (mai sentito nominare) stava registrando una puntata speciale di Porta a Porta quando la tempesta solare ha scombussolato il campo magnetico terrestre. Mentre biascicava aria fritta con prosopopea, Renzi s’è fermato di colpo a metà frase. “La verità è che sono solo un gran parolaio”, ha aggiunto un attimo dopo, mentre il pubblico in studio restava allibito. Solo diverse ore più tardi i medici sono potuti risalire alla causa. La prof. Camila Golgi, primario del policlinico Umberto I, ha dichiarato: “Sapevamo che le tempeste solari possono alterare le trasmissioni via satellite. Non pensavamo fossero così potenti da alterare l’ego di Renzi. Personalmente, preferisco un quarto d’ora di Renzi a mezz’ora di Renzi, e nessuna delle due cose a una notte con Alessia Marcuzzi”. La tempesta solare, inoltre, ha fatto funzionare per qualche secondo il cervello del viceministro Laura Castelli, ospite del Tg2, inducendola a sostenere i ristoratori; ma i medici rassicurano: nel giro di qualche giorno, la Castelli tornerà a fare le gaffe disastrose per cui è celebre. La tempesta solare, invece, non è riuscita a penetrare la zucca piena d’osso di Franco Bechis, direttore del Tempo, che il giorno dopo, infatti, ha raccontato l’episodio titolando “Attacco ai ristoratori”.

Del resto, chiunque può fare gaffe, e riparare in modo elegante è un’arte difficile. Peppino De Filippo ricevette un giorno in camerino un pedante che lo invitò a colazione. Lì per lì il grande attore non seppe rifiutare, ma appena quello fu uscito disse al servo di scena: “Domani telefonerai a quell’imbecille che non posso andare a colazione da lui”. Proprio in quel momento il pedante rientrava in camerino per prendere i guanti che aveva dimenticato; e De Filippo, vedendolo nello specchio, completò, senza fare una piega: “…perché sono invitato a colazione da questo signore”. Se non si è dei maestri, per evitare le gaffe bisognerebbe tacere sempre. A volte, però, il silenzio può essere ancora più offensivo. Per esempio, parlare di servizi sociali davanti a Berlusconi finisce per essere una delicatezza estrema, poiché gli suggerisce questa riflessione: “Quindi non lo sa”.

Creatività e commercio. Per riuscire, nella vita, non basta avere un’idea. Occorre saperla vendere. Huxley aveva scritto un romanzo, Il mondo nuovo, che era rimasto invenduto. Per liberarsi delle giacenze, l’editore pubblicò un annuncio sul giornale: “Miliardario alto, elegante, colto, musicista, sposerebbe signorina che somigli alla protagonista del romanzo Il mondo nuovo di Aldous Huxley”. E il romanzo andò a ruba. A Parigi, un cieco denutrito chiedeva la carità davanti a Notre Dame con il solito cartello: “Cieco dalla nascita”. La sua ciotola era sempre vuota. Un giorno passò di lì un turista americano, Leo Burnett, un pubblicitario famoso. Burnett disse al cieco che, con una semplice modifica, poteva fargli aumentare gli incassi. E gli mise in mano un cartello con su scritto: “Voi vedete la primavera, io no”. Diventato ricco, quel cieco cambiò vita, e raggiunse la fama col nome d’arte di Yves Montand.

Los Angeles. Un uomo ha fatto causa a una azienda di bevande energetiche sostenendo che bere la loro bibita gli ha procurato un’erezione che non se ne va. Se vince, faccio causa a Sofia Vergara.

 

La parola “frugale”, da Virgilio fino a Rutte

Il termine è stato ben scelto: non solo perché le fruges sono il raccolto, frutto della lavorazione dei campi, ma anche perché si possono predicare, in senso figurato, come cultura dell’animo, come richiama Virgilio nell’Aetna: “Ciascuno faccia messe di buone arti: esse sono i frutti dell’animo [illae /sunt animi fruges]”.

Sicché la “frugalità” è divenuta virtù e si è dimenticato, dello stesso Virgilio, il vecchio di Còrico, incontrato a Taranto: “Rincasando a tarda notte, guarniva la mensa di cibi non comprati; primo [era] fra tutti nel cogliere la rosa a primavera e la frutta in autunno […] e spremendo i favi raccoglieva spuma di miele” (Georgiche, IV). La sua frugalità è altra: quella di cogliere per tempo ciò che la natura offre, e godere di quella bellezza che Virgilio vorrebbe cantare: la rosa di Pesto.

I frugali d’oggi sembra che coltivino meno la frugalità e molto più il Frugalism, Frugalismus, Frugalisme: quel vivere un po’ al di sotto delle proprie possibilità, non solo contenendo i consumi, ma saggiando la voluttà della privazione, specie se predicata; peraltro solo chi ha può scegliere di cosa privarsi, dice l’antico adagio.

Ora questo stile ascetico ha molti pregi, se applicato a sé; imposto ad altri diventa come l’armeggiamento di donna Prassede, di manzoniana memoria.

Le fruges animi si coltivano, certo, e, ancor più, si contemplano.

Il prontuario per opinionisti anti-Giuseppi

Come distruggere in poche mosse Giuseppe Conte che ha ottenuto 209 miliardi dall’Europa. Prontuario per talk e discussioni al bar. Il merito non è suo, ma di Merkel e Macron, senza il loro aiuto il poveretto sarebbe tornato in Italia a mani vuote. Che miseria, aveva detto che 500 miliardi erano una buona base di partenza, e adesso si accontenta di meno della metà. Sono soldi che comunque non vedremo prima del 2021, quando saremo ridotti alla fame. No, tra una procedura e l’altra dovremo aspettare il 2024, quando saremo tutti morti. Infatti, cosa diavolo aspetta ad attivare il Mes, 37 miliardi che stanno lì belli e pronti per essere presi e spesi? In realtà, lui è totalmente succube dei terrapiattisti 5stelle, quelli che non vogliono il Mes per ragioni ideologiche. Mentre il Pd e Italia Viva chiedono il Mes subito. In realtà la maggioranza rischia di uscire da questa storia ancora più indebolita. Infatti i grillini sono già sul piede di guerra (c’è già un piano per far cadere il governo al Senato dove i numeri sono risicatissimi). Avrebbe dovuto presentarsi a Bruxelles con un serio piano di riforme, e invece ecco il premier della solita Italietta tutta chiacchiere e ’o sole mio che chiede l’elemosina con il cappello in mano E i ristoranti che chiudono? E le partite Iva allo stremo? E l’ingorgo fiscale che sta uccidendo milioni di persone? Il premier farebbe bene a non cantare troppo presto vittoria, presto si accerterà che le condizionalità e la tempistica dei fondi sono sfavorevoli a Roma, e saranno cavoli amari. Non ci racconti storie, ha dovuto piegarsi ai voleri dell’olandese Rutte e dei Paesi frugali che hanno ottenuto il freno d’emergenza sull’erogazione dei fondi per evitare che quei soldi siano allegramente dilapidati dai nostri governi spendaccioni. Siamo sotto tutela, altro che troika. Un governo di unità nazionale ci occorre come il pane. Con un premier finalmente autorevole. Perché Giuseppi non è credibile, non è capace, non è niente (e con quella pochette poi mi sta sulle palle).

Arrivano i lupi (a Firenze). Ma sicuri ci sia da ridere?

Dopo quelle di Napoli, anche le piazze di Firenze sono invase dai lupi. Lupi enormi: cento minacciosi esemplari fusi in ferro, del peso di 300 chili ciascuno. Sono stati plasmati dall’artista cinese Liu Rowang e girano l’Italia per conto di una galleria d’arte milanese e sotto il patrocinio del governo cinese, per festeggiare i 50 anni di relazioni diplomatiche tra Italia e Cina. All’inaugurazione fiorentina, alla presenza del console generale della Repubblica Popolare, i sindaci di Napoli (Luigi de Magistris) e di Firenze (Dario Nardella) e il direttore degli Uffizi (Eike Schmidt) si sono fatti fotografare mentre abbracciano e cavalcano i lupi, sorridendo a tutta dentatura. Scatti che hanno fatto il giro della Rete, suscitando più di una perplessità.

Diciamo subito che, sul piano formale e su quello concettuale, non si tratta esattamente di un capolavoro. Una efficace trovata pubblicitaria, semmai. In ogni caso, la comunicazione ufficiale dell’evento ha subito chiarito che i lupi hanno un significato “progressista”: rappresenterebbero la reazione violenta e minacciosa della natura, aggredita e distrutta dall’uomo. Una ferrea allegoria del Covid, insomma: e, come il Covid, arrivata dalla Cina.

Se questa è la chiave di lettura, c’è da ridere di fronte al Covid? Ma il problema è decisamente più serio. Perché in effetti siamo di fronte alla (mediocre) promozione di un prodotto tremendamente serio: e quel prodotto è la Cina, con tutto ciò che significa, regime compreso. E mentre in Italia ci si sbellica dalle risa abbracciati ai lupi cinesi, tutto il mondo libero si interroga su quale linea tenere nei confronti di quello che appare sempre più chiaramente come il genocidio degli Uiguri (i turcofoni di religione islamica insediati nel nord-ovest della Cina). Il ministro degli Esteri britannico Dominic Raab ha dichiarato: “Sono in atto violazioni gravi e significative dei diritti umani. Noi stiamo lavorando con i nostri partner internazionali su questo. È profondamente inquietante”. E uno dei più celebri presentatori della Bbc, Andrew Marr, ha potuto mostrare in diretta all’ambasciatore cinese a Londra le immagini dei campi di concentramento in cui gli Uiguri vengono torturati, plagiati, sterilizzati a forza. “Ambasciatore – queste le parole in diretta di Marr – queste scene potrebbero ricordare la Germania degli anni Trenta”.

Sappiamo benecome andranno le cose, sul piano politico: andranno come sempre. I governi occidentali si barcameneranno tra dichiarazioni di blanda condanna, imposte alle loro rispettive costituzioni, e gli affari con la Cina, che nessuno nemmeno proverà a toccare. Bene (cioè male): questa è la politica. Ma la cultura? Davvero dobbiamo rassegnarci a prestare le nostre piazze alla (mediocre) propaganda di un governo che fa cose che ricordano quelle della Germania di Hitler? Davvero dobbiamo piegare anche l’arte – libera, ribelle e critica per natura – alle ragioni della propaganda, e degli affari?

È un problema assai più generale: gli Uffizi, per esempio, stanno organizzando la spedizione di decine di Botticelli a Hong Kong (un’iniziativa collegata all’ormai famosa fotografia di Chiara Ferragni di fronte alla Venere), in accordo con le istituzioni cinesi contro cui protestano gli studenti della metropoli. Intervistato dalla Fondazione Feltrinelli, Joshua Wong – uno dei volti di quella protesta – ha chiesto all’Italia di non pensare solo agli scambi commerciali con il mercato cinese, e di schierarsi invece le ragioni della dignità umana.

Gli Uiguri non hanno neanche la voce per chiedercelo. Ma noi lo sappiamo cosa rappresentano, davvero, quei lupi di ferro: e non dovremmo avere davvero nessuna voglia di abbracciarli, ridendo.

“Rientro a settembre: stesse ore e flessibilità”

Poco più di un mese: è quanto manca alla riapertura delle scuole. Lo sa bene la ministra dell’Istruzione, Lucia Azzolina, lo sanno i sindacati, i docenti, il personale, i genitori e gli alunni. Alcuni paletti ci sono, altri ancora no. Molte le preoccupazioni: le abbiamo raccolte e abbiamo chiesto chiarimenti direttamente alla ministra.

Ministra, partiamo dal monte ore: si teme una riduzione: non è che i ragazzi fanno meno ore e i docenti saranno reimpiegati per coprire eventuali “buchi”?

Nessuno vuole penalizzare gli studenti. Le scuole stanno lavorando tanto e bene, alcune potrebbero decidere di portare l’unità oraria da 60 a 50 minuti per avere maggior flessibilità organizzativa. Ma quei 10 minuti vengono recuperati, ‘restituiti’ agli studenti. Il monte orario non cambia. È una norma già esistente: quando ero docente, nella mia scuola, lo facevamo e il tempo da restituire lo impiegavamo per fare lezione agli studenti in difficoltà.

L’assembramento all’entrata: come si possono scaglionare gli alunni e venire incontro agli orari dei genitori?

Non ci saranno stravolgimenti. Le scuole che avranno necessità di organizzare ingressi scaglionati terranno conto delle necessità delle famiglie e adotteranno ogni accorgimento possibile, per esempio impiegando tutti gli ingressi degli istituti.

Banchi high tech: sono davvero la soluzione?

È un tema serissimo. Ci sono scuole con arredi invariati da anni anche se i dirigenti scolastici li richiedono. Rivendico la scelta, mette insieme l’obbligo del distanziamento e un investimento che resta alle scuole. Il Cts ha indicato i banchi come possibile soluzione: è un’opportunità, non un’imposizione. Parliamo di banchi di varie tipologie, anche in base alle fasce di età. Non costeranno certo le cifre che ho letto e il bando europeo preparato da Arcuri ridurrà ulteriormente i costi.

Le neo immissioni in ruolo per i docenti già registrano le prime difficoltà, anche se non dipendenti dal Mi, e non è un segreto che sia quasi impossibile evitare situazioni critiche a settembre…

Il 10 gennaio ho giurato come ministra e ho cominciato a lavorare per fare ordine e bandire concorsi. Nonostante la pandemia stiamo digitalizzando le graduatorie dei supplenti. Oggi va in pensione un milione di domande cartacee. Poi abbiamo fatto la mobilità, attivato la chiamata veloce per chi vuole cambiare regione e avere prima il ruolo. E bandito 78 mila posti a concorso. Non mi pare poco.

I sindacati dicono che servono più contratti…

Avevo chiesto e ottenuto un altro miliardo per settembre nel prossimo scostamento di bilancio. Le do una notizia: il governo si è appena impegnato a stanziare altri 300 milioni. Facciamo il conto? Prima 1,6 miliardi, ora 1,3: siamo a quasi 3 miliardi solo per settembre. Con le risorse messe da inizio anno arriviamo a 6. Potenzieremo l’organico, docenti e personale Ata. Ribadisco: alla riapertura ci faremo trovare pronti.

Recupero a settembre: è previsto? I prof . saranno pagati?

Si inizia il primo. Lo faranno i ragazzi che devono recuperare ma potrà essere aperto anche agli altri. Decide il consiglio di classe e sarà normale servizio: a settembre i docenti sono già a scuola.

Quanto dal Recovery Fund arriverà alla scuola e come sarà impiegato?

Intanto mi faccia dire che è un risultato enorme per l’Europa ed è sotto gli occhi di tutti il lavoro straordinario del premier Conte. Per la scuola sapremo sfruttare questa opportunità. Abbiamo già messo nero su bianco le priorità per investire in modo strutturale: contrasto alla dispersione scolastica, eliminazione delle classi pollaio, edilizia scolastica, innovazione e lotta alle povertà educative.

A settembre i laureandi per scuola infanzia e primaria potranno insegnare: non si svilisce la figura del docente?

Anche su questo ho letto tanta superficialità. Ci si dimentica che finora anche chi faceva altro nella vita poteva mettersi a disposizione per le supplenze. Se le graduatorie per gli abilitati si esauriscono, possiamo fare contratti a tempo determinato a giovani che si stanno formando per fare gli insegnanti in quel grado. Hanno scelto di fare gli insegnanti e hanno già svolto il tirocinio in classe. Vengono già chiamati dalle scuole, nessuna novità.

Docenti fragili: cosa state facendo?

Sarà definito nel Protocollo di sicurezza. Dobbiamo tutelare tutti.

Protocollo che manca…

Come dicevo, noi siamo pronti. Oggi ci sarà un incontro con i sindacati. Vogliamo chiudere presto.

Test e tamponi al personale: saranno obbligatori?

No, ma il personale li ha chiesti e quindi ci aspettiamo che li facciano in tanti. Daranno più serenità. Il ministero della Salute se ne sta occupando con Arcuri.

Da tempo è bersagliata, soprattutto da Salvini. La scuola è diventata tema dibattuto da tutti: è solo questo o c’è altro, dall’essere donna al voler indebolire il governo?

Essere donna non aiuta e c’è un pregiudizio sui ministri 5 Stelle. Vorrei che si discutesse sul merito. Il centrodestra ci attacca, ma ha tagliato 8 miliardi sulla scuola. Salvini, poi, non offre soluzioni ma lavora sulla paura della gente. Mi hanno chiesto se volessi confrontarmi con lui, ho detto: certo. Ma mi pare che abbia già declinato.

Scuole e studenti: riorganizzazione in corso

Le classi pollaio, la mancanza di insegnanti, l’inadeguatezza tecnologica. I guai della scuola italiana sono sempre quelli, ma serviva il “signor Covid” – lo chiama così Mario Rusconi, capo dell’Associazione presidi del Lazio – a evidenziarli in tutta la loro urgenza. E a costringere, da Nord a Sud, migliaia di dirigenti scolastici alla corsa contro il tempo in vista della riapertura post-epidemia, prevista il 14 settembre (ma già dal 1° iniziano i corsi di recupero). Ogni scuola, infatti, deve organizzarsi da sé, nel rispetto delle linee guida indicate dal Ministero. “Stiamo perdendo il sonno” dice Valeria Sentili dell’Istituto comprensivo Francesca Morvillo di Tor Bella Monaca, periferia est della Capitale. “Coi colleghi presidi lavoriamo 24 ore al giorno, anche se in teoria saremmo in vacanza. Riunioni, incontri istituzionali, telefonate. Eppure siamo ancora in alto mare”. Già, perché delle incognite che la “nuova scuola” mette in campo ben poche, al momento, lasciano intravedere una soluzione.

Il problema alla radice è uno solo: lo spazio. Per garantire il metro di distanza tra le “rime buccali” – più prosaicamente, tra le bocche di uno studente e l’altro – servono banchi singoli e locali ampi a disposizione. Ai primi sta pensando Domenico Arcuri, il commissario all’emergenza che ha indetto un bando pubblico europeo per 3 milioni di sedute monoposto entro un mese, di cui metà dotate di rotelle. Ma i metri quadri dove metterle, in molte scuole italiane, semplicemente non ci sono. “Il mio istituto comprende quattro plessi scolastici tra scuola dell’infanzia, elementari e medie – spiega la professoressa Sentili –. In tre edifici, ammesso che i banchi arrivino, sacrificando corridoi, spazi comuni e smantellando due laboratori, dovremmo farcela. Ma il quarto, il plesso succursale, ha classi da 35 metri quadri, dove con le nuove norme possono stare al massimo in 16. Gli altri dove li metto?”.

Tra i suggerimenti arrivati dal ministero dell’istruzione e dai tavoli di lavoro, c’è stato quello di fare lezione in spazi messi a disposizione dagli enti locali, come teatri, cinema o musei. “Ma qui a Tor Bella Monaca un cinema non ce l’abbiamo nemmeno per vedere i film. Per andarci, i ragazzi della mia scuola devono cambiare quartiere. Abbiamo già fatto richiesta di uno spazio al nostro Municipio, ma per ora non ci sono soluzioni” spiega Sentili. E peraltro il problema non si risolverebbe che per una classe o due. “Prendiamo anche una sala da mille posti. Che faccio, ci metto cinque classi insieme? Così lo fanno loro il cinema…”, chiosa il preside Rusconi, responsabile dell’Ic Pio IX, all’Aventino. “Stando così le cose è probabile che a settembre almeno il 10% delle scuole ripartirà con didattica mista, un po’ in presenza e un po’ a distanza. Ma stavolta la didattica a distanza dovrà essere vera: device adeguati in tutte le famiglie e buona volontà anche da parte degli insegnanti, che in qualche caso, durante l’emergenza, si sono dimostrati refrattari”.

Ma c’è anche chi di Zoom, Teams e Skype non ne vuole più sapere: “Trovo intollerabile l’idea che mentre tutto il Paese riparte, si va in spiaggia, in discoteca e si gioca a pallone, a settembre la scuola ricominci ancora a distanza”, si sfoga Ludovico Arte, dirigente del turistico Marco Polo di Firenze. “Qui abbiamo la fortuna di sperimentare già da qualche anno le lezioni all’aperto in cortile. Io ho fissato quella che chiamo ‘quota 26’: abbiamo spazio sufficiente per tenere in aula 26 ragazzi. Le classi più numerose avranno 2-3 persone che a turno faranno attività alternative, cultura, educazione civica. Così al singolo non toccherà più di una volta ogni 20 giorni. È importante che dal basso venga un segnale: la scuola o è in presenza o non è”.

Lo sdoppiamento di molte classi pone un’altra questione centrale: non ci sono abbastanza docenti. La stima di Cisl è di 85 mila cattedre vacanti, di cui il 60% al Nord. Carenza che si avverte di più nelle scuole dell’infanzia e primarie, dove si sta in aula fino a 40 ore alla settimana. “Per coprire tutte le classi avrei bisogno di almeno 4 docenti in più alla scuola media, 10 alla scuola primaria e altri 4 alla scuola dell’infanzia”, racconta la preside Sentili. “Ma non ho idea se mi saranno concessi, né quando mi arriverà una risposta”. E poi c’è il problema, che riguarda migliaia di famiglie, delle classi a tempo pieno, per cui va garantito il servizio mensa: “Il refettorio della succursale è minuscolo: già prima del Covid si mangiava in tre turni, e stavano tutti schiacciati come acciughe. Mi dicono che la soluzione è il lunch box, far pranzare i bambini in aula tra una lezione e l’altra. Ma io non ho il personale necessario”. Il rischio è creare scuole di serie A e di serie B: le più ricche, le meglio attrezzate, potranno continuare a offrire il tempo pieno. Le altre non ce la faranno, perderanno iscritti e posti di lavoro. “Ma io ho un impegno preciso con le famiglie dei miei studenti: per farmi rinunciare al tempo pieno dovranno passare sul mio cadavere”.

“Botte coi guanti ai detenuti. Celle speciali per le torture”

Le celle delle torture erano quattro, nella Decima sezione: qui, secondo l’accusa, gli agenti portavano i detenuti “che davano segno di scompensi psichici”. Poi c’era la stanza al piano terra dove all’improvviso il carcerato da punire, preso da tre o quattro poliziotti dalla propria cella, veniva colpito con calci e pugni. Di solito due picchiavano, gli altri due guardavano. Ma le violenze, all’interno del carcere delle Vallette di Torino, avvenivano anche nei luoghi teoricamente pensati per la cura della persona. Come, sostiene il pm, l’infermeria. È qui che due poliziotti, tre anni fa, portano un detenuto, e gli sputano addosso mentre gli dicono “Figlio di puttana, ti devi impiccare”. Poi lo colpiscono con pugni al volto. Il carcerato uscirà da quel calvario con “un ematoma al volto, epistassi dal naso e lesione al dente incisivo superiore che ne provocherà la caduta”. E gli aguzzini lo minacceranno: “Devi dire che è stato un altro detenuto a picchiarti, se no lo rifacciamo”.

È soltanto uno dei numerosi episodi di violenza che il pm Francesco Saverio Pelosi contesta a 21 poliziotti penitenziari del carcere Lorusso e Cutugno, 17 dei quali sono accusati del reato di tortura. L’avviso di chiusura delle indagini, iniziate due anni fa, è stato notificato ieri agli agenti e due giorni fa ai vertici del carcere, indagati invece per favoreggiamento: il direttore Domenico Minervini (che risponde anche di omessa denuncia) e il comandante della polizia penitenziaria Giovanni Battista Alberotanza. Secondo quanto accertato dal Nucleo investigativo regionale della polizia penitenziaria, che ha svolto le indagini coordinato dalla procura, Minervini e Alberotanza sarebbero stati consapevoli delle “crudeltà” che avvenivano dietro alle sbarre, ma avrebbero coperto i poliziotti, senza denunciare i fatti all’autorità giudiziaria. Le vittime delle sevizie sono almeno dieci: carcerati condannati per reati sessuali o pedofilia.

Agire con “crudeltà”, per il pm Pelosi, così scrive nella descrizione dei capi di imputazione, significa provocare “acute sofferenze fisiche e psichiche” ai detenuti ledendo la loro “dignità”. L’elenco degli abusi di potere e delle violenze mostra uno spaccato da incubo.

Il 17 novembre 2018 tre poliziotti portano una vittima in una stanza in cui non c’è nessuno. “Per quale reato sei detenuto?”, è la domanda che dà il via alle botte. Secondo l’accusa, il primo agente dà al detenuto uno schiaffo al volto. Il secondo mette i guanti, così può picchiarlo senza lasciare troppi segni: infierisce in pieno volto e sulla testa. Il terzo lo riempie di pugni alla schiena. Quando, dopo il pestaggio, il carcerato viene riportato nella sua cella, non è finita. Viene obbligato a stare in piedi contro il muro, di modo che lo vedano tutti i compagni che stanno per tornare dall’ora d’aria.

Le presunte torture sarebbero avvenute anche nei confronti dei malati. Come a un detenuto colpito da “una crisi psicomotoria e legato in barella”. Mentre era immobile, un agente “lo colpiva ripetutamente al volto facendogli sanguinare il naso”. Un altro carcerato, a terra sofferente in attesa del Tso, veniva invece “colpito ripetutamente con violenti pugni al costato”. Lui urlava, “i poliziotti ridevano”, scrive il pm. Sul perché avvenissero i pestaggi, non ci sarebbero molte spiegazioni. Se non la volontà di “punire” persone condannate per reati consideranti infamanti, come la violenza sessuale. La rabbia di volere attuare una sorta di perversa giustizia fai da te trapela dalle parole di un agente indagato, che dopo aver buttato giù dalle scale a calci un uomo, urla: “Ti ammazzerei, invece devo tutelarti”. O ancora: “Ti renderemo la vita molto dura, te la faremo pagare, ti faremo passare la voglia di stare qui”. L’accoglienza riservata a chi metteva piede per la prima volta nel carcere, è spiegata nella descrizione dei reati contestati a tre agenti. Al nuovo arrivato, ricostruisce il pm, consegnano il kit con le lenzuola, poi lo accompagnano in cella. Mentre sale le scale, lo atterrano con un calcio a gamba tesa: le ferite riportate lo faranno zoppicare per tre mesi. Il “neo giunto” sarà costretto a dormire sulla lastra di metallo del materasso. Lo priveranno, sempre secondo l’accusa, dell’ora d’aria e della possibilità di vedere un medico.

“Portati ai seggi sui bus dei clan”

Era pronto a ricandidarsi a settembre in quota Pd-centrosinistra Antonio Carpino, il sindaco di Marigliano (Napoli) messo in carcere ieri con l’accusa di voto di scambio politico-mafioso. L’annuncio era arrivato da un paio di giorni, il manifesto politico pure: cinque liste, compresa quella dei dem che ora, attraverso il segretario di Napoli Marco Sarracino, non cela lo sgomento: “La notizia – dice Sarracino – ci colpisce duramente”. Tanto da lasciar trapelare che il Pd è già alla ricerca di un altro candidato e lo avrebbe individuato nel presidente del consiglio comunale Vito Lombardi. Con Carpino è stato arrestato anche Luigi Esposito, detto ’o sciamarro, attualmente detenuto al regime del 41-bis.

Le 54 pagine dell’ordinanza firmata dal gip di Napoli Egle Pilla raccontano la storia di come Carpino avrebbe vinto le primarie Pd nel marzo 2015 e poi le elezioni “vere” tra maggio e giugno: spargendo denaro, almeno 10 mila euro, forse di più, ai camorristi che controllavano l’elettorato del quartiere di edilizia popolare di Pontecitra e promettendo loro appalti in cooperative di ex detenuti da creare appositamente (e che per la verità non furono più formate).

I vertici dei clan a loro volta avrebbero noleggiato pulmini per trasportare gli elettori ai seggi: per essere sicuri che andassero a votare. Per lui, Carpino, avvocato penalista di alcuni dei boss che ora lo inchiodano. Accuse da dimostrare in sede processuale, naturalmente. Ma la Dda della procura di Napoli guidata da Giovanni Melillo ha sfoderato almeno cinque pentiti dalle dichiarazioni concordanti: “Carpino ci ha cercato per chiedere i voti”. Tre di questi collaboratori di giustizia sono indagati in concorso per le stesse fattispecie di reato.

Tra le ragioni dell’arresto di Carpino il gip inserisce anche la sua prossima ricandidatura e quindi il pericolo di reiterazione del reato.

Poche ore prima dell’arresto Carpino aveva pubblicato un video sui social dichiarandosi “molto fiero” di aver completato la consiliatura: “Nessun sindaco ci era riuscito, devo ringraziare tutti, a cominciare dal Pd che ha avuto un ruolo centrale”. Il video si concludeva con un appello ad allargare l’alleanza ai Cinque Stelle “coi quali c’è coalizione a livello nazionale” e a Rifondazione comunista “con la quale abbiamo fatto un pezzo di percorso insieme”.

Arresto fratelli Graviano, Firenze ora ne sa di più

La Procura di Firenze, grazie alle indagini della Dia, ritiene di avere trovato elementi utili a chiarire alcuni aspetti finora sconosciuti dell’arresto dei fratelli Graviano.

L’arresto dei fratelli Giuseppe e Filippo Graviano a Milano, condannati per le stragi del 1992 e del 1993, è uno dei grandi punti interrogativi su quella stagione misteriosa. I carabinieri di Palermo hanno sempre sostenuto che non ci fu nessuna “consegna” dei fratelli Graviano da parte di soggetti che avevano intessuto rapporti con loro e volevano “scaricarli” o, come dicono a Palermo, “pulirsi le scarpe”.

I protagonisti di quell’arresto rivendicano da sempre un’operazione da manuale, all’antica. Prima la soffiata dalla fonte segreta palermitana vicina al mandamento di Brancaccio, poi il pedinamento da Palermo a Milano e poi l’arresto al ristorante “Gigi il cacciatore” in via Procaccini. Di più: i carabinieri hanno sempre vissuto come un’offesa le domande “sospettose” di pm e avvocati sul punto. Sentiti dal Fatto, più volte in questi anni, sotto vincolo di anonimato, i carabinieri hanno sempre mantenuta ferma la loro versione: “Le fonti confidenziali che ci hanno portato a Milano sono palermitane e non hanno nulla a che fare con i presunti contatti milanesi di Graviano”. Cioé, premesso che non sono state mai provate relazioni Graviano-Dell’Utri, ove anche esistessero, nulla hanno a che fare con l’arresto e le fonti confidenziali. Ora la Procura di Firenze ritiene di avere trovato elementi inediti su questo giallo che segnò la fine delle stragi di mafia. Recentemente quell’arresto è stato rievocato al processo ’ndrangheta stragista in corso a Reggio Calabria: imputati il boss Giuseppe Graviano e il calabrese Rocco Santo Filippone, sospettato di far parte della ’ndrangheta ma mai condannato per questo. Il procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo nella sua requisitoria (la sentenza è attesa giovedì o venerdì) ha rievocato la cronologia di quel gennaio 1994 a cavallo tra stragi e politica: 18 gennaio 1994 uccisione sull’autostrada, a Scilla, dei carabinieri Antonino Fava e Giuseppe Garofalo, oggetto del processo contro Graviano e Filippone; 23 gennaio 1994: fallito attentato allo stadio Olimpico a Roma alla fine di Roma-Udinese, contro i carabinieri. Mandante Giuseppe Graviano, esecutore anche Gaspare Spatuzza, poi pentitosi nel 2008; 26 gennaio 1994: discesa in campo di Silvio Berlusconi con il famoso discorso pre-registrato per le tv; 27 gennaio: arresto a Milano dei fratelli Graviano. Il generale Andrea Brancadoro, allora capitano al Nucleo operativo di Palermo, è stato sentito come testimone a Reggio Calabria perché guidò l’operazione 26 anni fa e ne conosce i segreti. In aula Brancadoro ha mantenuto il segreto sulla fonte ma ha ricordato come, grazie a quella fonte, i carabinieri vennero a conoscenza dell’imminente viaggio al nord di Salvatore Spataro e di suo cognato Giuseppe D’Agostino, con le famiglie. Un maresciallo fu spedito sul treno per seguire i due sospetti (legati al giro di Graviano) e i loro familiari fino a Milano. Al Duomo, davanti ai carabinieri che pedinavano la comitiva palermitana, si materializzò così Giuseppe Graviano con la sua compagna Rosalia Galdi. Dopo un pomeriggio di compere, la doppia coppia formata dal favoreggiatore Giuseppe D’Agostino, da Giuseppe Graviano e dalle consorti prende il taxi e arriva al ristorante “Gigi il cacciatore” dove trova la terza coppia formata da Filippo Graviano e signora. I carabinieri arrestano tutti e scoprono la ragione del viaggio di D’Agostino: era salito al Nord perché Giuseppe Graviano gli aveva promesso di aiutarlo a trovare un lavoro a Milano. Il figlio, Gaetano D’Agostino che allora aveva 11 anni, due anni prima aveva fatto un provino al Milan. Era forte (poi diverrà titolare nell’Udinese e in nazionale) ma – senza i genitori a Milano – non poteva giocare. Così D’Agostino senior era risalito al nord per restare sotto il Duomo a lavorare grazie all’aiuto promesso dal boss. Mentre il figlio, che lo meritava, avrebbe potuto giocare al Milan. Chi aveva segnalato il giovane calciatore D’Agostino al Milan nel 1992 per il provino? Era stato proprio Marcello Dell’Utri, comunque assolto definitivamente dall’accusa di mafia per il periodo successivo al 1992 anche perché quella segnalazione (fatta da Dell’Utri su richiesta di un imprenditore palermitano) non prova legami con i Graviano.

Ripensando alla sua condizione di carcerato da 26 anni, all’isolamento duro del 41 bis, Giuseppe Graviano in carcere, mentre è intercettato, nel 2016 chiama Silvio Berlusconi “traditore”. Per il pm Lombardo il boss è ancora arrabbiato per il suo arresto a Milano che non si aspettava. I carabinieri protagonisti dell’arresto in questi giorni sono stati sentiti dai pm di Firenze. Forse 26 anni dopo quell’arresto il segreto sulla fonte confidenziale, a detta loro non legata a Milano, potrebbe essere caduto.