Secondo la vulgata dei cosiddetti Paesi “frugali” l’Italia sarebbe la cicala del welfare pensionistico in Europa mentre Olanda, Austria, Svezia, Finlandia e Danimarca sarebbero le formiche. Una favola datata e falsa, come affermano Istat, Eurostat e Ocse. Con un’accelerazione impressionante dopo la crisi del 2008, il governo di Roma ha introdotto riforme previdenziali tra le più draconiane al mondo e nemmeno “quota 100” ha scalfito questo rigore di fondo. Invece tra i censori del preteso lassismo italiano c’è chi, zitto zitto, ha fatto la stessa cosa.
Spesa giù pure con “quota 100”
Secondo l’Istat, nel 2019 in Italia il settore pubblico ha destinato al welfare (previdenza, sanità, assistenza) quasi 479 miliardi. Alle pensioni è andato il 66,3% di questa somma pari a 317,5 miliardi, il 39,2% della spesa corrente, ma negli anni 90 la previdenza pesava per il 71%. Per finanziare il welfare pubblico nel 2019 sono stati erogati quasi 500 miliardi, per il 52% pagati dalle imposte e per il resto dai contributi. È vero che dal 1995 la spesa per prestazioni sociali è più che raddoppiata e che nel 2019 è stata pari a 2,3 volte quella del 1995, ma dopo la corsa degli anni 1995-2008 (+5% di media annua) nel 2009-19 ha frenato (+1,9%). La previdenza è la prima voce di spesa pubblica ma nel 2019 il suo peso è calato del 4% rispetto al 1995. Alle pensioni, sul totale della spesa previdenziale, l’anno scorso è andato l’86,6% (275,1 miliardi) rispetto al massimo del 90,7% del 2002. Nonostante la spesa aggiuntiva per “Quota 100” (circa 2,1 miliardi per le pensioni più altri 600 milioni per il Tfr) le pensioni nel 2019 sono costate in percentuale allo Stato meno che nel 1995.
Il confronto con l’Europa: chi sono i “frugali”?
Secondo i dati Eurostat al 2017, gli ultimi comparabili, nell’Unione Europea ogni abitante riceveva in media 8.070 euro l’anno per prestazioni sociali. In Italia il welfare valeva 8.041 euro pro-capite a fronte dei 20.514 del Lussemburgo, dei 15.616 della Danimarca, degli oltre 13mila della Svezia e dei più di 12mila di Olanda, Austria e Finlandia. Ma fino al 2008 la spesa pro-capite era di 6.488 euro in Europa e di 7.073 in Italia: dunque in Italia la spesa è aumentata meno della media Ue. Se poi si confronta la spesa per il welfare col Pil, il Lussemburgo diventa il 15esimo Paese Ue mentre l’Italia passa dalla 12esima alla settima posizione (28% del Pil) ed è di poco superiore alla media europea (26,8%) ma inferiore alla Francia, prima con il 31,7%. Più dell’Italia in confronto al Pil costa anche il welfare di Danimarca, Finlandia, Austria e Svezia, mentre quello dell’Olanda è di poco inferiore a quello italiano. Ma l’Olanda, insieme a Germania e Lussemburgo, è tra i Paesi che trattano peggio le donne nelle pensioni: all’Aja gli assegni delle lavoratrici sono inferiori di oltre il 42% rispetto ai loro colleghi.
Italia seconda al mondo per età pensionabile
Secondo i dati Ocse del 2019 sulle pensioni future degli uomini che iniziano a lavorare a 22 anni, quando l’anno prossimo scadrà “quota 100” l’età pensionabile di 67 anni in Italia sarà superiore a quella dell’Olanda e della media dei Paesi Ocse (66 anni): non solo alla media attuale, ma anche a quella che si otterrà con l’innalzamento previsto da riforme già varate negli altri Paesi. Anche quando la loro età pensionabile si alzerà, gli olandesi andranno in pensione qualche mese prima degli italiani. L’Italia sarà il secondo Paese al mondo in cui si andrà in pensione più tardi (oltre i 71 anni) dopo la Danimarca (con eta pensionabile attuale di 65 anni e prospettica di 74) e prima dell’Olanda, della Finlandia (a 68 anni dai 65 attuali) e di Austria e Svezia (ferme a 64 anni). Tra tutti i Paesi Ue, in base alle leggi in vigore, proprio l’Italia con le “frugali” Danimarca, Estonia, Finlandia e Olanda, sarà la nazione in cui i cittadini vedranno calare gli anni che potranno passare in pensione anche tenuto conto dell’aumento della vita media.
Non tutti gli anni di lavoro “pesano” allo stesso modo
Sempre secondo i dati Ocse aggiornati al 2019, nei 32 anni che oggi in Italia servono per andare in pensione con “quota 100” un italiano lavora in media 55mila ore (1.718 ore l’anno). Nello stesso periodo, un danese lavora 44.160 ore (1.380 ore l’anno, il 24,5% in meno di un italiano), un olandese ne lavora meno di 46mila (1.434 ore l’anno, il 19,8% in meno), uno svedese poco meno di 46.500 (1.452 ore l’anno, -18,3%), un austriaco poco più di 48mila (1.501 ore l’anno, -14,5%) e un finlandese quasi 49.300 (1.540 ore l’anno, -11,6%). Dunque un anno di lavoro di un italiano vale un anno e tre mesi di un danese, oltre un anno e due mesi di un olandese e di uno svedese, eccetera.
L’Italia penalizzata dal Fisco, le bombe sociali
Secondo Felice Roberto Pizzuti, ordinario di Politica economica ed economia e politica del welfare state alla Sapienza di Roma, “nei confronti internazionali i dati italiani sul rapporto spesa pensionistica/Pil sono falsati da due fattori: per l’Italia Eurostat vi include gli accantonamenti al Tfr che valgono l’1,5% del Pil. Ma il Tfr non è spesa pensionistica. Inoltre nei diversi Paesi la spesa pensionistica è calcolata al lordo del fisco: in Italia però la pensione è tassata con le stesse aliquote dei redditi da lavoro, all’estero molto meno e così da noi è sopravvalutata ben più di 2 punti di Pil. Se poi dalla spesa italiana si scorporano i prepensionamenti, che altri Paesi computano tra le voci di politica industriale, la differenza aumenta ancora”. Il problema però “è che più della metà di chi ha iniziato a lavorare negli anni 90, a causa della precarietà, otterrà pensioni inferiori alla soglia di povertà: è questa, non ‘quota 100’, la bomba sociale di cui non si parla abbastanza”.
“Quota 100” all’olandese
Secondo l’ultimo libro bianco dell’Ocse, in Olanda a giugno 2019 sindacati e datori di lavoro hanno siglato un accordo che ha fermato temporaneamente l’aumento dell’età pensionabile: fino al 2021 questa rimarrà a 66 anni e 4 mesi e salirà a 67 anni nel 2024 anziché nel 2021 come previsto. Anche dopo il 2024 l’età pensionabile potrebbe aumentare più lentamente rispetto alle norme precedenti: è la versione olandese di “quota 100”.