Un immobile ogni 114 famiglie italiane va all’asta e viene aggiudicato a una media di 65 mila euro, appena un terzo del suo reale valore di mercato e a un importo decisamente più basso dei 115mila euro del 2018. Un dramma che con la crisi economica legata alla pandemia rischia di esplodere: alle due milioni di famiglie già sovraindebitate, se ne stanno aggiungendo altre 2 milioni che tra la fine della cassa integrazione Covid e del blocco dei licenziamenti rischiano di vedersi portare via la casa. Le associazioni e le fondazioni antiusura, sulla base di dati Bankitalia e Istat, certificano una crisi in cui ai debiti che superano ormai la ragionevole speranza di recuperarli col patrimonio o con il reddito, ora si aggiunge anche una perdita di risparmi fra mille e 5.000 euro. Si stima che nel mercato occidentale un quarto dei negozi indipendenti, metà degli affittuari dei centri commerciali e il 60% dei ristoranti non stia pagando il dovuto e che le insolvenze sui mutui hanno già superato quelle del 2008. Il peggio è che se l’emergenza è superabile, è l’uso a lungo termine degli immobili che solleva interrogativi. Nonostante l’apprezzamento bipartisan della proposta del senatore M5S Daniele Pesco, che propone di estendere il controllo sul flusso dei soldi anche alle aste immobiliari e fallimentari (uno dei canali principali di riciclaggio), l’emendamento non è stato inserito in nessuno dei decreti approvati per l’emergenza Covid. E, ancor più grave, la legge già votata sul sovraindebitamento, che sarebbe dovuta entrare in vigore entro Ferragosto, è stata rinviata a settembre 2021. A famiglie o micro imprese colpite dalla crisi non resta che svendere le loro proprietà immobiliari e commerciali con il rischio di finire in “mani forti”, dotate di liquidità, spesso derivante da attività criminali o evasione fiscale. Ma quello che per alcuni è crisi del debito per altri è business. La società immobiliare Borgosesia ne ha fatto uno slogan: “Trasformare gli Npl in cantieri”. Significa coinvolgere investitori per acquistare crediti garantiti da immobili ipotecati o direttamente in asta. E poi “valorizzarli” con interventi di ristrutturazione o completamento. Non è l’unica strategia. Cerved, big fra le società di analisi dati e di gestione crediti (45,8 miliardi) nata come infrastruttura tecnologica per le Camere di Commercio, ha lanciato il sito di annunci immobiliari “Bee the City”. Focus su Milano, design luccicante. Non vendono appartamenti pignorati perché non hanno l’autorizzazione ministeriale e allora creano una “narrazione” positiva del mattone. Il sito pubblica blog e guide, come parchi e giardini perfetti per un pic-nic o i migliori quartieri rinnovati.
Milano chiama, Roma risponde con la valorizzazione delle aeree abbandonate magari sfruttando finanziamenti pubblici. Così nasce il “welfare di comunità” di Santa Palomba, con investimento Cdp e il fondo immobiliare gestito da Dea Capital (De Agostini) per realizzare alloggi sociali. Lo strumento è già operativo nelle Marche, a Bari, in Toscana. A Ferrara, per recuperare il “Palaspecchi”, i soldi pubblici stanno salvando l’investimento andato male del costruttore Luca Parnasi. Si muovono i grandi ma anche gli “small”. “Un quarto dei lavoratori – dice Mirko Frigerio di Astasy – forse non tornerà in ufficio e cercherà case più grandi preferibilmente con giardino”. Stesso avviso per Mario Breglia di Scenari Immobiliari: “Aver vissuto per settimane in case vecchie o senza balconi cambierà le prospettive delle famiglia. Piuttosto che il nuovo suv, meglio una casa con una stanza in più”. Quindi? Vi sono investitori da 100mila a 2milioni di euro il cui scopo non è la speculazione sui portafogli ma l’acquisto delle case in asta e del debito per stralciarlo. “Nella nostra società il debitore è come il maiale, non si butta via niente. Va spolpato fino alla fine”, dice Giovanni Pastore tra i fondatori dell’associazione “Favor debitoris”.