Almodóvar a gennaio di nuovo con la Cruz

Pedro Almodóvar ha iniziato qualche giorno fa le riprese di un cortometraggio di 15 minuti con Tilda Swinton impegnata al telefono nel celebre monologo La voce umana di Jean Cocteau e a gennaio tornerà a dirigere per la sesta volta Penelope Cruz in Madres paralelas, un film drammatico ambientato a Madrid incentrato su due donne che partoriscono nello stesso giorno e sulla loro vita nei primi due anni di crescita dei rispettivi figli. La star spagnola tornerà intanto sul set a fine anno per recitare in En Los Margenes, un film a vicende intrecciate diretto dall’attore Juan Diego Botto (noto per la serie Netflix White lies) dove interpreterà una donna che ha a disposizione un solo giorno per evitare di essere sfrattata con la sua famiglia da una banca che vuole riprendersi la casa.

Partiranno a fine luglio a Roma le riprese di Un capitano, la serie tv tratta dall’autobiografia di Francesco Totti scritta dal calciatore romano con il giornalista Paolo Condò, prodotta da Wildside in 6 episodi da 50 minuti per Sky e diretta da Luca Ribuoli con Pietro Castellitto protagonsita. Giorgio Colangeli e Monica Guerritore interpreteranno il ruolo dei genitori di Totti in età matura mentre Eugenia Costantini e Federico Tocci li riproporanno nei loro anni giovanili. Gianmarco Tognazzi sarà l’allenatore Luciano Spalletti. La parte di Ilary Blasi sarà invece probabilmente affidata a Greta Scarano.

Fabio Volo, Luca Bizzarri e Paolo Kessisoglu sono i primi degli otto interpreti principali già confermati nel cast di Per tutta la vita, una nuova commedia sentimentale sul set a Roma dal 14 settembre in poi diretta da Paolo Costella – anche autore della sceneggiatura con Paolo Genovese e Antonella Lattanzi – e prodotta da Marco Belardi per Lotus Production e Leone Film Group.

“High Life”, la sopravvivenza (dei sentimenti) – High Life

Ve lo ricordate il bambino delle stelle che chiude 2001: Odissea nello Spazio? La francese Claire Denis ha per “film portafortuna” Solaris e Stalker, perché “a differenza di Kubrick, Tarkovskij non blocca la tua immaginazione, la apre, ne alimenta le fiamme”, eppure quel feto è cresciuto, ed è cresciuto nel suo nuovo film, High Life.

Si chiama Willow (Scarlett Lindsey bambina, poi Jessie Ross) e ha un padre, Monte (Robert Pattinson), e un buco nero che attende entrambi: la ragazza e l’uomo, sospesi di fronte al tempo che non è più, lo spazio che non è più, come davanti al tabù per definizione, l’incesto. Claire Denis, che scrive con l’abituale Jean-Pol Fargeau, ci porta nello Spazio profondo tenendo i piedi per terra, facendo di astronave falansterio, di derelitti assassini (anti)eroi verso l’ignoto, di fantascienza dramma umano, senza dimenticare “l’amor che move il sole e l’altre stelle”: se High Life è un film di sopravvivenza, lo è non dei corpi, ma dei sentimenti, dell’amore che non conosce confini e può tutto, anche generarsi da un doppio stupro, dal seme estorto e dall’ovulo occupato. A congiungerli la scienziata-sciamana Dibs (Juliette Binoche), la strega che si masturba cavalcando il dildo di una fucking-machine (una scena che da sola mette a nanna Suspiria di Luca Guadagnino), che raccoglie lo sperma degli astronauti, che si e ci immerge in un universo di fluidi, esiti e lasciti corporei. Monte no, lui predica l’astinenza, si fortifica nella solitudine, ma poi ecco Willow, ecco due superstiti, ecco che – pretende l’adolescente – “Noi due non abbiamo bisogno di nessuno”.

Voltaggio ansiogeno, colori del buio (fotografia filosofica di Yorick Le Saux), musica a bassa frequenza (Stuart A. Staples dei Tindersticks, che chiudono con la struggente Willow cantata da Pattinson stesso), High Life non assomiglia a niente, ma si accorda a molto: la tensione è teleologica, la sessualità senza sesso, la science fiction a canone inverso, la natura primordiale, l’hortus conclusus – il giardinetto di Monte e Tcherny (André Benjamin) – edenico, l’uomo condannato, o liberato, a sé stesso. Mai banale (Beau Travail, White Material, 35 rhums), Denis avrebbe voluto Philip Seymour Hoffman e Patricia Arquette, ha trovato Pattinson e Binoche e va benissimo: ci prendono per mano, ci portano allo specchio, ci precipitano dentro noi stessi.

In una estate balorda e grama, High Life arriva nelle nostre sale il 6 agosto: non ci sarà nulla di meglio, e non ci sarebbe comunque. Co-produzione internazionale (Germania, Francia, Usa, Uk, Polonia) e afflato universale, “è un film – vuole Denis – sull’angoscia e sulla tenerezza umana, sull’amore, nonostante tutto”. Quando Willow, ovvero la piccola Scarlett figlia del migliore amico di Pattinson Sam, cammina per la prima volta davvero, Monte si illumina: succede qualcosa, ci alziamo anche noi. Verso un’altra vita, con questo altro Cinema.

La Venere Chiara riduce Botticelli a tormentone social

Sia chiaro: il problema non è Chiara Ferragni, il problema sono gli Uffizi. L’influencer di Cremona fa il suo mestiere, e lo fa anche assai bene. Ma la domanda è: è giusto, sensato, saggio, che la Galleria degli Uffizi metta tutta la sua arte e la sua storia al servizio della Ferragni?

Una prima risposta può darsi sul piano brutalmente monetario, e si riassume a sua volta in una domanda: quanto ha pagato la Ferragni agli Uffizi (museo dello Stato mantenuto con i soldi dei contribuenti) per utilizzarli come sfondo del suo shooting, cioè del servizio fotografico, che andrà su Vogue, e che l’ha vista usare il museo in splendida, privilegiatissima solitudine? È evidente che, trattandosi di una iniziativa commerciale a scopo di lucro, funzionale a una straordinaria macchina da soldi (la Ferragni, intendo), il prezzo deve essere stato almeno a cinque zeri. Credo che i musei di Stato dovrebbero sempre render pubblica questa informazione: per farci almeno sapere quale prezzo ha il privilegio dell’uso esclusivo dei nostri beni comuni. Così ognuno potrà almeno decidere se abbiamo venduto cara la pelle, o no.

Perché una cosa è chiara: è la Ferragni a sfruttare gli Uffizi, e non il contrario. Ed è dunque, come sempre, del tutto fuori centro l’indignata reazione del sindaco di Firenze Dario Nardella in difesa dell’influencer e di “chiunque voglia supportare la nostra cultura”. Non risulta che la Ferragni abbia fatto una donazione agli Uffizi, come si fa in America: né Botticelli ha bisogno della Ferragni per esser conosciuto nel mondo. Nonostante tutto, è (forse per fortuna) ancora la Ferragni ad arrampicarsi su Michelangelo, Raffaello e Caravaggio, e non viceversa.

Una seconda risposta è sul piano culturale, politico (nel senso più alto) e in ultima analisi morale. Il Codice dei Beni Culturali prescrive che i beni culturali non possano essere destinati a un uso incompatibile con il loro carattere storico e artistico. Ma sta al direttore, al direttore generale e al ministro di turno tradurre questa norma in pratica: e al momento ognuno fa come gli pare.

La cosa davvero inaccettabile è, però, la manipolazione. Il profilo Instagram degli Uffizi ha postato una fotografia della Ferragni davanti alla Venere di Botticelli accompagnata da questo commento, in incerto italiano: “I canoni estetici cambiano nel corso dei secoli. L’ideale femminile della donna con i capelli biondi e la pelle diafana è un tipico ideale in voga nel Rinascimento. Magistralmente espresso alla fine del 400 da Sandro Botticelli nella Nascita di Venere attraverso il volto probabilmente identificato con quello della bellissima Simonetta Vespucci, sua contemporanea. Una nobildonna di origine genovese, amata da Giuliano de’ Medici, fratello minore di Lorenzo il Magnifico e idolatrata da Sandro Botticelli, tanto da diventarne sua Musa ispiratrice. Ai giorni nostri l’italiana Chiara Ferragni, nata a Cremona, incarna un mito per milioni di follower, una sorta di divinità contemporanea nell’era dei social”. A parte l’azzeccatissimo momento internazionale in cui il direttore degli Uffizi ha scelto di rivendicare il canone ariano della donna di pelle bianca e dai biondi capelli, questo testo è culturalmente miserabile, e indegno di una istituzione culturale pubblica. E non certo perché dissacri alcunché (Botticelli, il Rinascimento o la Vespucci), ma perché pratica un uso fuorviante e distruttivo del passato, che viene ridotto a controfigura del presente. La conoscenza della storia e dell’arte serve a nutrire un pensiero critico che aiuti, specie i più giovani, a prendere le distanze dal presente in cui siamo immersi. I musei, e in generale il patrimonio culturale, sono una finestra attraverso cui conoscere altri mondi, profondamente diversi dal nostro per costumi e valori. Ma se diciamo che la Ferragni è come la Vespucci, trasformiamo quella finestra in uno specchio, che rimanda ossessivamente i nostri tic, le nostre scale di valori, il nostro divorante presente.

Diciamo che tutto è identico, invece di capire che tutto è diverso. Questo è il punto: gli Uffizi che cavalcano la fama social della Ferragni non portano la cultura alla massa (come dicono di voler fare), ma fanno esattamente il contrario, banalizzando anche Botticelli in un tormentone da social.

Molti adolescenti sarebbero corsi agli Uffizi per vedere la Ferragni, ma neanche uno andrà a visitare gli Uffizi perché c’è stata la Ferragni. Così gli Uffizi diventano esattamente quello che hanno scelto di essere: lo sfondo (momentaneo) di una influencer.

Aereo abbattuto sull’Ucraina l’Olanda accusa il Cremlino

Sei anni fa, il 17 luglio 2014: un missile terra-aria Buk colpì l’MH-17, l’aereo della Malaysia Airlines partito da Amsterdam e diretto a Kuala Lampur, in volo nei cieli di guerra dell’Ucraina dell’est. Nessun sopravvissuto tra i 298 passeggeri a bordo. Come stabilito da un’indagine internazionale del 2018, l’arma di fabbricazione sovietica era stata affidata, in quei giorni di battaglia, ai ribelli filo-russi, da una base russa con sede a Kursk. Amsterdam ha commemorato l’anniversario di ieri con una rivendicazione.

Saranno i Paesi Bassi, patria di 196 delle 298 vittime del volo, a citare in giudizio alla Corte dei Diritti dell’Uomo la Federazione russa “per il suo ruolo nella distruzione” del boeing 777. L’Olanda “chiederà giustizia per le vittime, è priorità del Governo” ha riferito la squadra di Mark Rutte.

Sono già cinque gli imputati all’Aja al processo in corso per l’abbattimento del volo internazionale MH-17: un cittadino ucraino e quattro russi. Tra loro c’è Igor Girkin, detto Strelkov, il comandante a capo delle truppe filorusse in trincea in quei giorni, che continua a twittare dalla sua casa di Mosca la sua versione dei fatti: “Su di me nessuna prova”.

Il Cremlino, che ha sempre negato ogni responsabilità o coinvolgimento nella tragedia accusando a sua volta Kiev, ha però fornito nei giorni scorsi anche una nuova, più fantasiosa spiegazione. Né russi, né ucraini: a colpire l’aereo che sorvolava i cieli del Donbas sono stati “gli Illuminati”. Non è la versione di una ciurma di troll complottisti che navigano nel sottobosco del web: è la teoria diffusa dal Mid, ministero degli Esteri russo, dopo che la bionda e temuta portavoce Maria Zakarova ha parlato del libro Membongkar Misteri Tragedi MH370- MH17 : nel volume si accusa dello schianto aereo la setta segreta degli “Illuminati ebrei dell’Anticristo”.

Un libro dal titolo oscuro quanto il suo autore malese, che ha accusato la stessa setta di essere dietro ad altri delitti di respiro internazionale, come le uccisioni dei presidenti americani Lincoln e Kennedy.

“La notte in cui papà morì zio Donald andò al cinema”

Zio Donald ne esce malissimo. Nonno Fred ancora peggio. Il libro contro i Trump scritto da Mary, la nipote, figlia di Fred jr, fratello maggiore del magnate presidente, è subito un bestseller: vende quasi un milione di copie in un sol giorno ed è in testa alle classifiche di Amazon. “La notte in cui mio padre fu ricoverato in gravi condizioni – ricorda Mary –, zio Donald andò al cinema. Impossibile dimenticarlo”. Psicologa, 55 anni, Mary ha motivi di rancore verso il clan dei Trump, che l’ha sempre emarginata, nonostante lei fosse appena una teenager quando perse il papà, morto a 43 anni alcolizzato e di fatto abbandonato dalla famiglia. I Trump la tagliarono pure fuori dall’eredità, quando morì il nonno.

Il ritratto del presidente che esce da Too Much and Never Enough (Troppo e mai abbastanza. Come la mia famiglia ha creato l’uomo più pericoloso del mondo), è impietoso: “un mostro”, un bambino nel corpo di un adulto, un imbroglione seriale, un insicuro sempre in cerca d’attenzioni e che maschera i suoi complessi sviluppando rabbia e aggressività, un narcisista divenuto presidente per caso. La nipote considera lo zio uno dei responsabili della morte del padre, ma è più dura con il nonno, descritto come un “sociopatico” che avrebbe rovinato tutta la famiglia. Per loro, scrive Mary, “l’amore non significava nulla. Il padre si aspettava solo obbedienza da Donald e Fred Jr” e finì per metterli in competizione, l’uno contro l’altro. “L’atmosfera di divisione creata da mio nonno in famiglia è l’acqua in cui ha sempre nuotato Donald e quello che lui continua a perseguire è proprio quel tipo di divisione, a scapito di chiunque altro”, scrive ancora Mary, spiegando da psicologa che il magnate ha sviluppato “barriere d’autodifesa potenti ma primitive, contrassegnate da una crescente ostilità e indifferenza verso gli altri”. Per il presidente, “imbrogliare è uno stile di vita. Lui valuta le persone solo in termini monetari, quello che gli piace è l’istinto killer, mentre considera poco o addirittura penalizza qualità come empatia, gentilezza e competenza”.

Mary nota: “Oltre ai resoconti di prima mano che posso dare come figlia e unica nipote di mio zio, ho la prospettiva di una psicologa esperta. È la storia della famiglia più potente al mondo e io sono l’unica Trump disposta a raccontarla”. E conferma vecchie storie sempre smentire dal magnate, come le tasse mai pagate dalla famiglia e l’accesso all’università solo a pagamento. Per la Casa Bianca, sono “solo falsità”: la tesi è che Mary stia violando accordi di non divulgazione con la famiglia. Una tattica che Donald pratica: comprare il silenzio di chi sa cose per lui scomode. In un’intervista alla Abc, rilasciata dopo essere stata autorizzata da un tribunale a parlare del libro, Mary ha detto di suo zio: “È completamente incapace di guidare questo Paese ed è pericoloso lasciarglielo fare”. Alla domanda su cosa direbbe a suo zio se fosse nello Studio Ovale, la risposta di Mary è stata: “Dimettiti”.

Grossi guai a Tel Aviv: Covid e contestazioni, Netanyahu annaspa

Doppio guaio per Re Bibi. In Israele ieri è stato registrato un record di 1.819 casi di Covid-19 in 24 ore, il numero più alto dall’inizio della pandemia. Si impenna dunque il contagio nella terra promessa mentre infuriano e si ingrossano le proteste di strada che hanno raggiunto la sua residenza ufficiale di premier a Gerusalemme per chiederne le dimissioni in seguito alla sua registrazione nel registro di imputato per vari reati tra cui corruzione e uso personale di denaro pubblico.

Preso tra due fuochi, che lui stesso ha appiccato per incompetenza, arroganza e sprezzo della cosa pubblica Benjamin Netanyahu questa volta si trova costretto a provarle tutte. E, pertanto, ha deciso di calare anche la carta del populismo finanziario allo scopo di correre ai ripari in extremis ed evitare che la sua precedente gestione fallimentare dell’emergenza Covid (riapertura prematura già all’inizio dello scorso maggio) lo travolga ancor prima del verdetto del tribunale, dove sarà chiamato a rispondere delle accuse di corruzione per cui è imputato.

Il governo ha stabilito di distribuire a pioggia un pacchetto di ben 1,74 miliardi di dollari per provare a frenare il crollo dell’economia e del potere d’acquisto della popolazione causata dalle conseguenze della pandemia. Ma anche per bloccare le manifestazioni di protesta di queste ultime settimane. Sono già migliaia i cittadini israeliani (disoccupazione al 21% dopo il lockdown di giugno) che hanno perso il lavoro, ritenendo Benjamin Netanyahu il responsabile principale. Questa inedita cascata di denaro viene letta dalla maggior parte degli analisti come una prova dello stato di panico in cui Netanyahu è piombato in seguito alle recenti proteste davanti alla sua residenza di primo ministro a Gerusalemme, brutalmente represse dalle forze di sicurezza. L’attivazione del pacchetto di aiuti in denaro è anche un escamotage per cercare di ammansire gli israeliani in vista del mini lockdown che inizia oggi. La prima ondata di Covid-19 era stata di fatto minimizzata dal premier rieletto lo scorso anno attraverso l’ennesima consultazione anticipata. Ma ora è impossibile, anche per il signore e padrone di Israele, evitare di guardare in faccia alla realtà. Ora saranno di nuovo vietate le riunioni con oltre dieci persone negli spazi pubblici e con oltre 20 all’aperto. Non è chiaro se queste restrizioni si applichino anche alle comunità religiose, ovvero buona parte degli elettori di Bibi Netanyahu, contrarie a qualsiasi forma di imposizione dello Stato ma sempre ben disposte ad accettare i suoi sussidi. Le nuove disposizioni restrittive prevedono inoltre che i ministeri chiuderanno al pubblico e saranno possibili solo contatti online mentre i ristoranti potranno offrire solo servizi take-away.

Secondo il Jerusalem Post nelle prossime ore il premier Netanyahu e l’alleato – rivale Benny Gantz, leader del partito Blu e Bianco, decideranno anche di chiudere le scuole. Ciò che sta avvenendo in Israele è qualcosa che non si era mai visto prima anche in termini di modalità: giovedì scorso il primo ministro ha convocato una “sessione di emergenza” di un piccolo forum ministeriale che non ha l’autorità per emanare decreti o imporre restrizioni .

Si sono incontrati senza il ministro dell’istruzione per discutere di chiudere le scuole e imporre sommariamente i blocchi del fine settimana – senza l’approvazione del procuratore generale Avichai Mendelblit, che ne ha sentito parlare per la prima volta dai media. Il giorno precedente Bibi aveva indetto un forum altrettanto ristretto in cui aveva preso la decisione di inondare gli israeliani con il pacchetto di stimolo finanziario senza preoccuparsi di informare il governatore della Banca di Israele. Intanto ieri centinaia di dimostranti si sono radunati nuovamente a ridosso della residenza di Netanyahu invocandone le dimissioni immediate a causa delle sue incriminazioni per corruzione, frode e abuso di potere.

Domenica nel tribunale distrettuale di Gerusalemme si terrà una nuova udienza – la seconda, dopo l’apertura avvenuta il 24 maggio – del processo a carico di Netanyahu. I tre giudici si incontreranno solo con i suoi legali per stabilire le priorità dei tre diversi dossier e il ritmo delle udienze che inizieranno fra diversi mesi. Se Bibi non fosse stato riconfermato premier, sarebbe già stato processato.

Un appello per difendere il territorio e il patrimonio

“Esiste ancora nell’arco delle forze rappresentate nell’attuale Parlamento italiano un partito o un movimento che sappia far proprio per davvero l’articolo 9 della Costituzione e cioè ‘La Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione?’”.

È una domanda, divenuta un appello. Primi firmatari, tra gli altri, Desideria Pasolini dall’Onda di Italia Nostra, Vittorio Emiliani presidente del Comitato per la Bellezza, il presidente onorario del Wwf Italia Fulco Pratesi, Furio Colombo e Tomaso Montanari. “Se leggiamo le pagine del decreto per la Semplificazione e le prese di posizione dell’opposizione – scrivono – , siamo portati a dire di no. Il decreto infatti accoglie alcune delle peggiori istanze portate avanti dai governi berlusconiani come l’istituzione del silenzio/assenso per i progetti che devono essere sottoposti alla Valutazione di Impatto Ambientale (Via), o come una semplificazione delle norme di appalto che assomiglia molto alla sparizione di controlli tecnico-scientifici e finanziari. Uno dei cancri di questo disgraziato Paese è proprio rappresentato dall’illegalità che sfregia da anni le nostre coste, montagne, periferie, con consumi di suolo sfrenati aggravati da politiche regionali più favorevoli agli interessi privati che a quello generale. Contemporaneamente si attacca o si lascia svuotare la bella legge-quadro sui Parchi Ceruti-Cederna che ha portato dal 4 ad oltre il 10% del Paese le aree protette”.

“La sinistra attuale, o quella che tale ancora si dice, con questo decreto si dimostra purtroppo largamente speculare al centrodestra. Il M5Stelle ha promesso molto e mantenuto poco. Il nostro appello – concludono – è quindi di necessità drammatico, più drammatico del consueto. È in gioco davvero il presente e il futuro molto prossimo del Bel Paese, la più grande risorsa culturale, e non solo, della Nazione”.

“Clan arricchiti dal Covid e rischi di rivolte” Record di Comuni sciolti per mafia: sono 51

La pandemia può essere la gallina dalle uova d’oro per le mafie italiane, capaci di arricchirsi e ed espandersi “ai ritmi di crescita che può offrire solo un contesto post-bellico”. Le parole scritte nero su bianco nella relazione semestrale della Direzione investigativa anfimafia al Parlamento non dovrebbero far dormire sonni tranquilli. Soprattutto per il passaggio in cui le mafie vengono indicate come pronte a soffiare sul fuoco della rivolta sociale: “Una particolare attenzione – scrive la Dia – deve essere rivolta, sul piano sociale, al mantenimento dell’ordine e della sicurezza pubblica. Le organizzazioni criminali hanno tutto l’interesse a fomentare episodi di intolleranza urbana, strumentalizzando la situazione di disagio economico per trasformarla in protesta sociale, specie al Sud. Parallelamente, si stanno proponendo come welfare alternativo a quello statale, con un vero e proprio investimento sul consenso sociale”. La celebre busta della spesa, insomma, concessa dalle mafie ai bisognosi prima di aizzarli contro lo Stato, utilizzandoli da scudi umani?

Le parole del capo della polizia Franco Gabrielli di appena tre giorni fa a Napoli sembrano in qualche modo anticipare la relazione: “Da tempo la raccomandazione che rivolgo ai questori è di essere capaci di interpretare il disagio della gente. Temo che queste tensioni abbiano sbocchi di piazza non sempre ragionevoli, e credo che il ruolo delle forze delle ordine sia quello di non fare esercizi muscolari in un’ottica di contrapposizione, ma mai come in questo momento la gestione dell’ordine pubblico deve essere all’insegna del dialogo, della comprensione e dell’empatia”. Linee guida chiarissime. D’altra parte non servono certo i clan a fomentare un Paese i cui consumi delle famiglie, secondo il rapporto Svimez di due giorni fa, sono in picchiata: “Un crollo senza precedenti: -9,1% al Sud e -10,5 al Centro-Nord”. Il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese proprio in quest’ottica ha firmato ieri il decreto da 3,5 miliardi di euro destinati agli enti locali, assicurando la “massima attenzione” alle possibili infiltrazioni criminali nelle pubbliche amministrazioni.

Ma non basta, perché a completare un quadro fosco c’è Coldiretti, che evidenzia i problemi della filiera agroalimentare e della ristorazione: rischio perdite per 34 miliardi nel 2020, con la malavita che è arrivata a controllare cinquemila locali.

E c’è un altro record, rileva la Dia: sono 51 gli enti locali sciolti per infiltrazioni mafiose, mai così tanti dal 1991. Tra i settori più a rischio c’è ovviamente quello sanitario.

Messina Denaro, chiesto l’ergastolo per le stragi

Ergastolo per il capomafia Matteo Messina Denaro, imputato come uno dei mandanti per le stragi di Capaci e via D’Amelio. Lo ha chiesto il procuratore aggiunto di Caltanissetta Gabriele Paci. Per il pm è vero che Totò Riina è stato l’ideatore delle stragi Falcone Borsellino del 1992 ma Messina Denaro è il boss che ha determinato l’unanimità dentro Cosa Nostra per la linea stragista del capo dei capi. Senza quella unanimità, ha spiegato Paci, Riina non sarebbe potuto andare avanti a colpi di tritolo, se non a rischio di una nuova guerra di mafia. “Fu Messina Denaro, ha proseguito Paci, più di tutti, l’uomo che aiutò Riina a stroncare sul nascere le voci del dissenso interno. Il latitante è il frutto marcio di ciò che fu Totò Riina. È stato un membro della commissione regionale, ha partecipato alla deliberazione di morte e all’esecuzione di fatti eccellenti collegati a quella decisione”. Messina Denaro è latitante da ben 27 anni, un tempo infinito, che fa dire a Nino Di Matteo, il pm della tratattiva Stato-mafia che “una latitanza così lunga si può comprendere soltanto in funzione di coperture istituzionali e forse anche politiche”. L’attuale consigliere del Csm, a Tg2 post, ha detto che “è gravissimo che, dopo 27 anni, lo Stato non riesca ad assicurare alla giustizia un soggetto condannato, tra i principali ispiratori degli attentati del 1993 di Roma, Firenze e Milano, che fecero temere al presidente Carlo Azeglio Ciampi che fosse in atto un golpe”.

Palamara al Csm, il disciplinare destinato a slittare

Il 21 luglio non sarà certo l’ora delle verità per Luca Palamara. Non solo perché sarà la prima udienza del processo disciplinare per l’ex consigliere e gli altri incolpati dello scandalo nomine (quindi di “smistamento”) ma anche perché, secondo quanto risulta al Fatto, Stefano Guizzi, difensore di Palamara, ha presentato un legittimo impedimento alla sezione disciplinare del Csm. Consigliere di Cassazione, civile, proprio il 21 ha un’udienza già fissata da tempo. Dunque, al collegio, per quanto riguarda Palamara, non resterà che aprire il processo, deliberare che si tratta davvero di legittimo impedimento e aggiornare ad altra data. Verosimilmente a settembre dato che il 21 non ci sarà neppure il presidente e relatore, il consigliere Fulvio Gigliotti, per seri motivi personali. Solo il 21, presiederà Emanuele Basile, Gigliotti sarà sostituito da Filippo Donati. La procura generale della Cassazione incolpa Palamara per aver voluto “condizionare” l’attività del Csm riconosciuta dalla Costituzione. In particolare, tra l’altro, gli viene contestato un “comportamento gravemente scorretto nei confronti dei colleghi che avevano presentato domanda” come procuratore di Roma. Si ricorda che “discuteva il 9 maggio 2019 della strategia da seguire ai fini della nomina oltre che con alcuni componenti del Csm anche con una persona, Luca Lotti, deputato, per la quale la procura di Roma ha richiesto il rinvio a giudizio” per Consip. Il riferimento è all’incontro notturno all’hotel Champagne con altri incolpati: Cosimo Ferri, deputato di Iv e magistrato in aspettativa (per il quale verrà chiesta l’autorizzazione alla Camera per l’uso delle intercettazioni) che risultava “idoneo a influenzare in maniera occulta la generale attività della quinta commissione del Csm (quella per le nomine, ndr)” e i 5 allora togati del Csm, Luigi Spina, Corrado Cartoni, Gianlugi Morlini, Antonio Lepre e Paolo Criscuoli, costretti alle dimissioni. Pure loro sono accusati di “scorrettezza”.