Pd e M5S trattano per l’appoggio al bis di Emiliano

Non sarà facile ma i giallorosa ci proveranno. La missione per riaprire la partita dell’alleanza in Puglia è fissata per l’inizio della prossima settimana: una delegazione capitanata dal capo politico del M5S Vito Crimi, e da un ministro di peso dem, probabilmente il pugliese Francesco Boccia, dovrebbe sbarcare in Puglia per chiedere alla candidata del M5S Antonella Laricchia di ritirarsi e sostenere il governatore uscente Pd, Michele Emiliano. Un’altra ipotesi potrebbe essere la desistenza: far votare il candidato Emiliano e la lista del M5S. Non sarà un’operazione facile visto che Laricchia bombarda quotidianamente il governatore e che l’accordo difficilmente sarebbe accettato dai parlamentari pugliesi dopo cinque anni di opposizione. Dall’altra parte, l’alleanza giallorosa in Puglia contro Raffaele Fitto ha due sponsor influenti: il segretario del Pd Nicola Zingaretti secondo cui la Puglia potrebbe diventare la nuova Emilia-Romagna rilanciando l’azione di governo in caso di vittoria e il premier Giuseppe Conte, nato e cresciuto nel foggiano. Ieri, quando i retroscena sono rimbalzati nelle chat dei 5 Stelle, è intervenuto direttamente Crimi con un post su Facebook per stoppare le polemiche: “Non ci sarà alcun incontro per chiedere un passo indietro ad Antonella – ha scritto sui social – sarà lei la nostra candidata”. Ma, al netto delle smentite, la trattativa è aperta.

Ieri è stata la giornata anche delle polemiche interne al M5S per la candidatura di Ferruccio Sansa in Liguria. Dopo il retroscena di Repubblica che raccontava di un Di Maio in grado di bloccare la corsa del giornalista, è arrivato il via libera di Grillo che ha sentito per telefono sia Crimi che Di Maio definendo Sansa “il meno peggio” per battere Giovanni Toti. Poi il capo politico ha sentito il candidato confermandogli la fiducia del Movimento: “Vai avanti”.

Lite sui soldi tra Sky e De Laurentiis. I telecronisti disertano i match del Napoli

“Vedi Napoli e poi muori”, scriveva Goethe. Il suo “Viaggio in Italia” quelli di Sky non devono averlo letto, dal momento che Napoli e il suo stadio hanno deciso di non vederli più: da quando la Serie A è ripresa, la pay-tv va al San Paolo solo per i big match, le altre telecronache le fa a distanza, “dal tubo”. Durante Napoli-Spal l’atmosfera era ancor più ovattata dell’ovattata Serie A post-Covid, senza tifosi, emozioni e pure senza giornalisti. Succederà di nuovo domani per Napoli-Udinese. Il virus si fa sentire e a Santa Giulia tagliano sulle “integrazioni” che le tv pagano alle squadre per la produzione delle partite: le postazioni hanno un prezzo, fissato dalla Lega calcio, su cui i club possono fare sconti. Il Napoli è quello che ne fa di meno, insieme al Brescia, altro stadio già disertato. Poche migliaia di euro ma Sky è in crisi o almeno così vuole far credere, dopo non aver pagato l’ultima rata dei diritti tv, 130 milioni vitali per il pallone, su cui è in causa con la Lega. Il più agguerrito è proprio De Laurentiis.

Il vaccino serve ma secondo le regole

La storia della ricerca clinica affonda le sue radici all’epoca di Avicenna, autore del “Canone della Medicina” (1025), in cui venivano proposti 7 principi per la sperimentazione di nuovi farmaci. Fra questi: l’effetto del farmaco va confermato in casi molto numerosi, se ciò non avviene dev’essere considerato un effetto accidentale; il farmaco va testato sull’uomo: “testare un farmaco in un leone o in un cavallo non prova nulla circa il suo effetto sull’uomo”. Tali principi governano tuttora la sperimentazione dei farmaci, prima della loro commercializzazione. E contengono il precedente principio di Ippocrate primum non nocere che sottolinea l’importanza della sicurezza e della non tossicità. Nel sito dell’Istituto superiore di sanità, sezione dedicata alla sperimentazione di un nuovo vaccino, troviamo una dettagliata descrizione dei passi essenziali (4 livelli progressivi) da cui non si può prescindere: la produzione di un nuovo vaccino segue le stesse fasi di sviluppo di un potenziale farmaco e richiede tempi anche lunghi (sino a 10 anni). Ma ancora una volta l’Organizzazione mondiale della sanità torna a stupirci. Improvvisamente, in accordo con l’Ue, pubblica un nuovo codice per la sperimentazione “velocizzata” di un vaccino. Contemporaneamente vengono pubblicati su New England Journal of Medicine i risultati dei primi studi condotti sul vaccino MRna-1273 (anti-SarsCoV2) della ditta Moderna. Nulla di entusiasmante, tollerabilità non ottimale, efficacia ignota. Eppure, le istituzioni internazionali esultano e sono pronte a bypassare ogni regola.

Spero che l’Oms si ricreda. Le sperimentazioni vanno fatte con i tempi imposti dalla scienza, senza pericolose scorciatoie. Tanto più che il vaccino proposto è una novità metodologica assoluta: è la prima volta che per vaccinare il paziente si inietta direttamente materiale genetico usato dalle cellule umane per sintetizzare la proteina del virus contro cui si vuole che il paziente produca anticorpi. Qualcuno può spiegarmi perché si vietano i pomodori ogm (geneticamente modificati) e si dà il via libera a modificare il materiale genetico delle cellule umane?

 

Il vizio d’origine delle due nuove Authority

“La questione morale, nell’Italia d’oggi, fa tutt’uno con l’occupazione dello Stato da parte dei partiti governativi e delle loro correnti, fa tutt’uno con la guerra per bande, fa tutt’uno con la concezione della politica e con i metodi di governo di costoro, che vanno semplicemente abbandonati e superati”.

(dall’intervista di Enrico Berlinguer a Eugenio Scalfari – la Repubblica, 28 luglio 1981)

La politica italiana perde il pelo ma non il vizio. Il vizio, ormai cronico, si chiama lottizzazione: cioè spartizione dei posti e delle poltrone imposta dalla partitocrazia, intesa come degenerazione dei partiti. Dagli enti pubblici alle aziende pubbliche, dagli ospedali alle università, dalla Rai fino alle Autorità cosiddette indipendenti che in realtà dipendono anch’esse dagli equilibri tra i partiti della maggioranza e dell’opposizione o perfino tra le rispettive correnti.

Con un colpevole ritardo di un anno, questa politica invadente e invasiva è riuscita finalmente a insediare i nuovi vertici delle due Authority in prorogatio da giugno 2019: l’Agcom che dovrebbe garantire le comunicazioni e la Privacy che dovrebbe tutelare la nostra riservatezza personale. Ma in realtà, sotto l’alto patrocinio di Mediaset, sono stati replicati ancora una volta gli schemi spartitori del passato, in particolare con la nomina di due commissari di diretta estrazione politica: uno, Antonello Giacomelli (Agcom), addirittura deputato del Pd in carica, già sottosegretario allo Sviluppo economico con delega alle Telecomunicazioni; l’altro, Agostino Ghiglia (Privacy), ex parlamentare di Alleanza nazionale e Popolo della Libertà, indicato oggi da Fratelli d’Italia.

Lasciamo stare per ora l’aspetto della competenza e della professionalità. Giudicheremo dai risultati. Ma in entrambi i casi, almeno sul piano formale, l’indipendenza è esclusa in radice dai rispettivi curricula. Sia Giacomelli sia Ghiglia provengono da una lunga carriera politica e in forza di quella sono stati nominati. E dunque, sono “dipendenti” per definizione dai rispettivi partiti, al limite dell’incompatibilità.

Con questo vizio d’origine, come possono fare gli arbitri? Con quanta indipendenza, per esempio, l’uno può valutare il comportamento della Rai e delle altre reti tv sulla par condicio o sul pluralismo dell’informazione, nei confronti del Partito democratico o dei suoi avversari politici? E l’altro, come può giudicare imparzialmente sulla riservatezza dell’app Immuni e del contact tracking, introdotti dal governo di cui il suo partito sta all’opposizione? La malattia dev’essere endemica e contagiosa, se non risparmia neppure i Cinquestelle: tant’è che alla Camera il gruppo s’è spaccato e una buona parte di loro ha votato per il deputato in carica Emilio Carelli, già giornalista di Mediaset.

Possono sembrare faccende di Palazzo, distanti dagli interessi dei cittadini. Ma, a parte la “questione morale” di cui parlava quarant’anni fa Enrico Berlinguer nell’intervista citata all’inizio, in entrambi i casi si tratta di Authority che intervengono direttamente nella nostra vita quotidiana. E questa ennesima lottizzazione a cui abbiamo assistito, da parte della maggioranza e dell’opposizione, non depone a favore della loro trasparenza né della loro autorevolezza.

 

Con questo virus i protagonisti del romanzo siamo tutti noi

Trovate un libro più conturbante del virus e scoprirete perché in pochi hanno letto libri di carta nel tempo vuoto che ci siamo lasciati alle spalle, imprigionati dalla trama più spettacolare che ci sia mai capitata davanti agli occhi, dentro agli occhi, e che ci ha resi finalmente protagonisti: nel bene, nel male, nello spavento, nell’attesa. In qualità di passeggeri sani, sopravvissuti o scampati. Familiari di vittime. Amici di ammalati. Amici di amici. Noi finalmente testimoni di un dramma comune – sanitario, sociale, ma anche esistenziale – che era possibile vivere e insieme narrare nel giorno per giorno, attraverso gli schermi digitali o i pensieri analogici, le foto, i messaggi, le conversazioni dal vivo o via chat, il silenzio, il sonno, i sogni agitati, il risveglio. In qualità di profughi nella propria casa. Di temporaneamente esiliati. Di solitarie vittime della solitudine, eppure ripagati dalla solitudine che è fatta proprio come la vertigine, ti spaventa e insieme ti attrae. Noi, finalmente diventati il centro della scena, non solo il transito o un inciampo della trama. Eroi di nulla o poco più di nulla. Però ingaggiati in qualità di piccoli guerrieri quotidiani impegnati nella più banale e più lunga delle guerre, che è anche la più vitale, e consiste nello scalare il giorno per giorno degli orologi, guardare il fiume che passa, tenersi aggrappati. Sapendo che non ci sarà un solo istante che ritornerà. Anche se nessuno di loro andrà perduto e i migliori diventeranno nostalgia. Fu Conrad un magnifico lettore di avventure. E un giorno scrisse: “Come faccio a spiegare a mia moglie che quando guardo dalla finestra, io sto lavorando?”. Sua moglie, in realtà lo sapeva benissimo, altrimenti non sarebbe stata sua moglie. Quella domanda era una buona forma retorica per dire che le vite degli altri sono i capitoli del libro che stiamo leggendo, sono nomi e storie, intrecci di amori o crudeltà, agnizioni, vittorie, sconfitte, che nutrono le nostre vite. Al punto che qualche volta vale anche la pena di scriverle, per sé o per gli altri, come capitò a lui nel suo mezzo secolo di mari in tempesta e inchiostro attraversati.

La nostra finestra – passati cento anni da Conrad – si è moltiplicata mille volte. E poi altre mille. Possiamo volarci dentro, come fanno le mosche o i droni, perlustrarne la superficie, immaginarne la sostanza. E farlo in velocità, ricominciando ogni volta che un millimetro di noia ci distrae verso altre mete. Un matematico del web, il giovane Aza Raskin, ha reiventato la nostra modalità di lettura rendendola perpetua. I suoi calcoli hanno permesso di rendere infinito lo scorrimento delle prime pagine dei social che abitano nel nostro smartphone, senza bisogno di aprirle, ma di navigarle in forma surf. Modalità che gli americani chiamano “look & feel”: dai un’occhiata e senti qualcosa. L’occhiata dura un secondo. Se quello che vedi ti attrae, apri la pagina, altrimenti te ne vai: un secondo per emozionarti, un secondo a stancarti. Emozionandoti leggi, proprio come faceva Conrad alla finestra. Con la notevole novità di scriverne all’istante, e all’istante di leggerti, ma senza la seccatura di un treno e poi di un piroscafo per raggiungere i Mari del Sud. In quei mesi così vuoti è bastato a molti italiani non muoversi dalla poltrona per riempirli. Viaggiando molto distante per leggerci da vicino. Imparando, dalla confusione dei virologi, le verità relative della scienza. E dalla scienza, le illusioni delle religioni. E dalle religioni, la vulnerabile stupidità degli uomini. E dalla debolezza del uomini, il potere immenso del destino.

I libri, questa volta, ci avrebbero distratto dalla sola avventura che imprigionandoci ci obbligava a cercare una via d’uscita, che è sempre interiore. A inseguire la pagina finale, quella che contiene la spiegazione. Sempre sapendo che non arriverà.

 

Palamara, i magistrati via dalla torre d’avorio

L’attenzione suscitata dal “caso Palamara” potrebbe rappresentare l’occasione irripetibile per favorire un dibattito vivo all’interno di una magistratura che, oggi come oggi, sembra più intenta a leccarsi le ferite (affannandosi ciascuno, non senza un pizzico di ipocrisia, nello strenuo tentativo di dimostrare di essere un po’ “meno peggio” di tutti gli altri), piuttosto che a riflettere invece con spietato realismo su di sé e sui suoi problemi. Perché se c’è una cosa certa, è che questa vicenda non sarà facilmente archiviabile. Non riguarda un singolo magistrato, o un gruppo di magistrati, ma denuncia profondi vizi che riguardano l’intero corpo giudiziario, i suoi meccanismi di funzionamento, il suo tanto vantato sistema di “autogoverno”. Vizi che hanno toccato livelli non registrati da altre analoghe corporazioni, perché pare che gli accordi correntizi all’interno del Csm non si limitassero a favorire “gli amici”, come è purtroppo usuale in organismi di tal fatta, ma debordassero spesso e volentieri verso operazioni la cui finalità era quella di colpire “i nemici” o, peggio ancora, chiunque non apparisse collocabile nei cliché tipici della corporazione.

Personalmente, non trovo rassicurante il dibattito che si è sviluppato sul tema, e che sembra incentrarsi sullo strapotere delle correnti e sulla necessità di mettere al riparo, ancor più di quanto già non lo sia, la magistratura dalle interferenze della cattiva “politica”. Come se i magistrati fossero tanti Adamo ed Eva, la cui pura ingenuità debba essere protetta dalle tentazioni del satanico serpente. Eppure, dovrebbe essere oramai chiaro che i “cattivi” non stanno da una parte sola e che, anche i magistrati, all’occorrenza, sanno esserlo. Una simile idea, che definirei da torre d’avorio, si può capire piaccia al ministro della Giustizia, che forse non conosce bene la storia della magistratura italiana. Non dovrebbe però essere apprezzata da chi sa che le “correnti” all’interno della magistratura hanno avuto una storia, e svolto un ruolo, nobilissimo e importantissimo. Soprattutto hanno lottato proprio contro quella “separatezza” del corpo giudiziario dalla impetuosa realtà della vita, che oggi sembra volersi ripristinare.

Non sono mai stato iscritto alla corrente di Magistratura Democratica, né ad alcuna altra (non mi sono mai lasciato prendere dalla passione per l’attività associativa), ma ricordo bene che uno dei primi atti più significativi della corrente di Magistratura Democratica fu, il 30 novembre 1969 (un’altra era), l’assemblea a Bologna e il cosiddetto “ordine del giorno Tolin”, un documento di forte critica verso la polizia e la magistratura che avevano impedito ad alcune tipografie milanesi e romane, minacciando processi penali, la stampa di documenti di varie associazioni democratiche in favore del direttore di Potere operaio Francesco Tolin, colpito da ordine di cattura per reati di opinione commessi a mezzo stampa. Quel documento aveva un autore materiale, l’allora giovane pretore toscano Marco Ramat, che avrebbe poi commentato le violente reazioni suscitate dall’iniziativa con una frase assai eloquente: “È stato toccato un tabù”. Il tabù, nel caso specifico, era la critica all’interno della magistratura, la rottura del silenzio sulle sentenze e sugli atti dei colleghi. Lungo tutti gli anni 70, Md si caratterizzò per questa critica del ruolo del magistrato e fu una finestra all’interno della corporazione. Un efficace presidio contro accordi “di pacchetto” che richiedono, per potersi realizzare, consenso unanime di tutte le componenti organizzate. Appunto, un’altra era.

Quella dell’apertura resta per me la soluzione vera. La giurisdizione è qualcosa che riguarda tutti, e non è “cosa nostra”. La questione delle nomine e delle carriere dovrebbe essere gestita da un organismo quanto più ampio e rappresentativo di tutte le realtà sociali, dagli avvocati ai collaboratori giudiziari, ai professori universitari fino – perché no – agli utenti. Proprio tutto il contrario di quella chiusura nella torre d’avorio auspicata dal ministro Bonafede e alla quale, forse per pigrizia mentale, tanti si allineano. La rinascita, nel 1945, dopo la fine del fascismo, dell’Anm fu all’insegna di un’idea quasi castale della figura del magistrato, che doveva restare chiuso in un mondo separato, protetto in una campana di vetro dalle influenze esterne, e in particolare isolato dalle passioni inquinanti della politica.

L’indipendenza dal potere giudiziario era la bussola (e si capisce anche, dopo vent’anni di ingerenze pesanti nel periodo fascista), ma ciò si risolveva poi in un rifiuto ostinato a percepire la domanda proveniente dalla società, una società che presto, col miracolo economico, si sarebbe rivelata in repentina fase di cambiamento. Ebbene, questa idea che è stata spazzata via, negli anni 70, da una nuova e vivace generazione di magistrati sembra tornare in auge oggi, sulle ceneri del caso Palamara.

 

Consigli tv: “hammamet”, dove Mussolini piange per l’addio al canarino

E per la serie “Chiudi gli occhi e apri la bocca”, eccovi i migliori programmi tv della settimana:

Canale 5, 13.40: Beautiful, soap. Visto che Hope ha firmato le carte per l’annullamento del matrimonio con Liam, Thomas le propone di creare una famiglia con lui e la sua collezione di Barbie.

Nove, 21.25: Finché giudice non ci separi, film-commedia. Massimo, fresco di separazione, ha appena tentato il suicidio e gli amici cercano di convincerlo a riprovarci.

Rai 1, 10.15: La Santa Messa, fiction. Saga tinta di horror dove un protagonista carismatico è alle prese con diavoli, zombie e altre mostruose creature.

TV8, 21.30: Perché te lo dice mamma, film-commedia. La vulcanica Daphne sommerge di consigli la figlia Maggie. E per assicurarle un futuro perfetto decide di sceglierle il fidanzato ideale: Lapo Elkann.

Rete 4, 21.25: Hammamet, film di Gianni Amelio. Mussolini pianse, nella sua residenza estiva alla Rocca delle Caminate, per la morte di un canarino.

Rai 3, 17.10: Geo magazine, documentario. Il pianeta come campo di battaglia dove si affrontano in una lotta all’ultimo sangue animali con le strisce (tigri, zebre, api) e animali con le macchie (giraffe, giaguari, coccinelle).

Sky Family, 21.00: A spasso col panda, film-animazione. La lepre Oscar affida per errore una concessione autostradale al maldestro orso Mic-Mic. L’unica via d’uscita sembra quella di passarla a qualcun altro, prima che sia troppo tardi.

Rai 1, 15.40: Il paradiso delle signore, soap. Roberta confessa alla Calligaris la verità sullo stato di salute del suo fidanzato: è morto.

La7, 11.00: L’aria che tira, attualità. Francesco Magnani rievoca con esperti di politica il ventennio berlusconiano, dal comparto offshore All Iberian al bunga-bunga con le olgettine, senza dimenticare il famigerato “editto bulgaro” contro Max Biaggi.

Italia 1, 21.15: Chicago Fire, telefilm. La vedova di un veterano della seconda guerra mondiale decide di vendere al mercatino del quartiere i vecchi cimeli che collezionava suo marito, tra cui un paio di calzini, una bomba atomica e una borraccia.

Rai 3, 15.30: Romanzo italiano, documentario. La puntata è dedicata ai nomignoli cattivi che Pier Vittorio Tondelli appioppava ad amici e colleghi del mondo letterario alle loro spalle.

Rai 2, 21.45: NCIS, telefilm. Gibbs indaga su una modella di abiti da sposa che è allergica al cattivo gusto: qualcuno ha cercato di ucciderla proponendole dei leggings Versace.

Rete 4, 21.25: Fuori dal coro, attualità. Una confessione ottenuta a Guantanamo con la tortura ha portato alla scoperta di una cura contro il cancro.

Rai 1, 11.25: Don Matteo 8, fiction. Dopo aver arrestato il killer mandato per ucciderlo, don Matteo tenta di incastrare il capo dell’organizzazione con della carta moschicida, in cui però finiscono appiccicati, uno dopo l’altro, tutti i carabinieri di Nino Frassica.

La7, 21.15: Atlantide, documentario. Andrea Purgatori s’è fatto crescere una folta barba bianca per darsi un tono pensoso. Purtroppo, Gianni Riotta ha avuto la stessa idea e adesso gli assomiglia. Che sfiga!

Rai 4, 21.20: Resident Evil, film-fantascienza. Un misterioso virus ha trasformato in vampiri gli scienziati di un laboratorio cinese. Due ragazze scampate al contagio cercheranno di evitare lo sterminio dell’umanità chiedendo consigli a Gallera.

 

Mail box

 

 

 

Gli odiatori dei 5Stelle ne sparano una al giorno

La dichiarazione rilasciata dall’ingegnere nell’intervista a Il foglio è semplicemente demenziale. Come si può sostenere che l’attuale presidente del consiglio sarebbe da cacciare in quanto sta governando peggio del cavaliere? È proprio vero che questi odiatori dell’attuale maggioranza, e in particolare dei Cinque Stelle, non avendo più a disposizione argomentazioni politiche da contrapporre, ne sparano una al giorno nella speranza di essere notati. Con questi presupposti siamo stati avvertiti che il nuovo quotidiano Domani nascerà seguendo la stessa linea dei giornali trombettieri attualmente in circolazione; nulla di nuovo sotto il sole.

Lorenzo Neri

 

Conte tenga la schiena dritta su Autostrade

Come volevasi dimostrare, oggi della revoca possibile (forse rinvio) di Autostrade, arriva il “soccorso rosso” di gran parte dei media, giornali e televisioni, opinionisti, direttori e giornalisti anche fra i più insospettabili, fra i più equlibrati (o equilibristi)… e non ho ancora visto Carta Bianca stasera… È partita la selva dei Se e dei Ma (ammantata da ragioni tecnico-economiche) che dovrebbe schermare e rinviare il redde rationemper le enormi indiscutibili responsabilità anche penali dei gestori di Autostrade. Se non si sanzionano loro, non si sanzionerà più nessun comportamento delinquenziale. E la fiducia degli italiani nella giustizia, nei politici, nello stesso Parlamento, finisce sotto le scarpe temo per sempre; e con tempi bui davanti. Spero tanto che Conte ce la faccia a tenere la schiena dritta, anche rischiando.

Campanini Marzio

 

Prodi e De Benedetti “due vecchi bugiardi”

Se ancora riteniamo che le esternazioni pro Berlusconi siano dovute all’alzheimer o alla demenza senile potremmo essere completamente fuori strada. I poteri forti non ritengono ancora chiusa la partita con i 5Stelle, perché se due mammut, del calibro di Prodi e De Benedetti, che millantavano avversione a B., oggi ne auspicano la ridiscesa in campo al loro fianco, significa che il marcio del passato, probabilmente, si sente più vicino alla canna del gas, che il Movimento Cinque Stelle fa più paura adesso che nel marzo 2018. Due vecchi bugiardi che alquanto affannosamente impiegano i loro ultimi respiri per guadagnarsi l’ulteriore disprezzo di quelli che un tempo li avevano in gloria.

Maurizio Contigiani

 

La lotta contro lo spaccio inizia dalla prevenzione

Due giovani di 15 e 16 anni a Terni hanno perso la vita per aver assunto metadone fornito da un tossicodipendente di 41 anni. Per una persona priva di tolleranza agli oppioidi anche l’equivalente di un cucchiaio (30-40 mg), può risultare letale con una morte che arriva nel sonno. Come dimostra questo ennesimo caso l’età del primo contatto si sta abbassando notevolmente: per il consumo di alcolici, è tra gli 11 e i 14 anni, mentre per le sostanze stupefacenti tra i 12 e i 15 anni. Alla temibile eroina (che è ritornata in auge), si arriva intorno ai 14-15 anni. I casi di Alice, Desiree e la morte di questi due giovanissimi, ci dimostrano che i nostri ragazzi si espongono da soli a rischi enormi, in contesti di spaccio che raramente sono in grado di gestire. Il nodo cruciale è come ridurre la “domanda”: non esistono progetti di prevenzione strutturati, non esistono progetti di prossimità con educatori di strada che sappiano supportare o orientare, e il lavoro nelle scuole è pressoché inesistente. La risposta dello Stato deve essere forte ed integrata: prevenzione, riduzione del danno, contrasto del traffico, cura e recupero non possono più essere pensati da soli, serve un tavolo integrato in cui gli operatori di polizia discutono con gli operatori del territorio, dei Sert e delle comunità.

Andrea Zirilli

 

L’era di Silvio deve essere “seppellita”

Complimenti a Giovanni Valentini, professionista serio della vecchia guardia che non si è bevuto il cervello e non ha abiurato alla coerenza. Uno dei migliori acquisti del Fatto. Ci deve preoccupare molto questa levata di scudi contro un Presidente del Consiglio che piace a tanti italiani. Non ai protagonisti manovratori ultratrentennali. È vero, Dr. Valentini: con i guadagni privati, quindi nei giri dei manovratori e conseguenti perdite a carico della stragrande maggioranza dei cittadini, con una gestione politica che ha messo sempre d’accordo tutti, governi e opposizioni più o meno vere, è ora di finirla, dobbiamo chiederlo tutti a gran voce. L’epoca dei Berlusconi deve essere “seppellita” con il massimo biasimo.

Giampiero Buccianti

 

Fidarsi dell’onestà del premier dà sicurezza

Sono fiero del mio Presidente del Consiglio. È la prima volta che mi succede, e l’ho detto proprio di cuore. Giuseppe Conte sta dimostrando che si possono fare cose anche difficili per il bene della Nazione, anche tra mille difficoltà e ostacoli, basta avere un requisito essenziale: non lavorare per nessuna lobby, ma solo seguendo l’etica e la deontologia. Vogliamo aggiungere anche due parole leggere quali onestà e interesse al bene comune? Probabilmente lo accosterei a De Nicola, Einaudi o De Gasperi se fossi più anziano. Sono proprio contento di esprimere questi apprezzamenti senza riserve, è come vedere la luce in fondo a un eterno buio. Grazie davvero presidente.

Daniele Zaninoni

Turisti stranieri. Entrano solo quelli dei Paesi con una Sanità adeguata

 

 

Cara redazione, come spiega il Fatto che il ministero della Salute non abbia incluso gli Usa tra gli Stati da cui non si debbono accettare ingressi? Solo perché siamo sempre e solo dei sudditi Usa? Un grande abbraccio, sempre con affetto e ammirazione per il mio, nostro, giornale.

Marcella Denegri

 

Cara marcella, il ministero della Salute ha deciso in base alle valutazioni effettuate dalla Direzione generale della Prevenzione sanitaria, che monitora la situazione degli altri Stati incrociando due indicatori: il primo è relativo all’incidenza della malattia sulla popolazione (la percentuale dei casi di Covid-19 sul numero degli abitanti); il secondo valuta la cosiddetta “resilienza” dei Servizi sanitari dei singoli Paesi, ovvero la loro capacità di rispondere in maniera adeguata all’epidemia. Il divieto di ingresso riguarda le persone che provengono o transitano da Stati che, a causa della loro particolare situazione epidemiologica, non riescono a garantire livelli minimi di sicurezza in questi due ambiti.

Il ministero, quindi, ha valutato che al momento gli Stati Uniti non abbiano raggiunto livelli di guardia in relazione a questi due fattori. In base ai quali, invece, sono stati inseriti nella lista sedici Stati: Armenia, Bahrein, Bangladesh, Brasile, Bosnia Erzegovina, Cile, Kuwait, Macedonia del Nord, Moldova, Oman, Panama, Perù, Repubblica Dominicana (individuati con l’ordinanza firmata dal ministro Roberto Speranza il 9 luglio), Serbia, Montenegro e Kosovo (aggiunti il 16 luglio).

La decisione potrà comunque cambiare nelle prossime settimane. Dato per scontato che la valutazione sulla seconda variabile non potrà variare nel breve periodo (per potenziare un sistema sanitario serve tempo), i dati che arrivano da oltreoceano raccontano di una crescita costante della curva: nelle ultime 24 ore gli Usa sono stati contati 77.300 nuovi positivi, un aumento mai registrato prima, per un totale i 3,57 milioni di contagi. “In ogni caso – fanno sapere dal ministero – chiunque arrivi in Italia dagli Stati Uniti deve osservare le due settimane di quarantena, in quanto proveniente da un Paese che non fa parte dell’area di Schengen”.

Marco Pasciuti

Alla “Verità” non leggono il giornale che scrivono

Chiedo scusa se rubo un po’ di spazio per una questione personale, ma ogni tanto ci vuole. Dunque, succede che il quotidiano La Verità diretto da Belpietro, lestamente amplificato da Dagospia, ha sostenuto che arrivando qui al Fatto il sottoscritto avrebbe cominciato ad agitarsi “per rifarsi una verginità a 60 anni suonati”. La riprova? Da maggiordomo che ero, ora invece scrivo di omertà dei grandi giornali e di soggezione del centrosinistra nei confronti dei Benetton dopo il crollo del ponte Morandi. Mi chiedono: perché non lo scrivevi in quei giorni su Repubblica? Potrei cavarmela ricordando che non lavoravo più per quel giornale. Ci son tornato solo con la direzione Verdelli, e sappiamo com’è andata a finire. Obietterebbero che non basta, che faccio il furbo. Ma il bello è che in quei giorni d’estate 2018 più volte mi ero espresso con chiarezza sui rapporti fra establishment, giornali e sinistra. Dove? Fra l’altro, un’intera pagina d’intervista proprio su La Verità, a firma Maurizio Caverzan, intitolata: “La sinistra ha mollato i deboli e rincorso i ricchi”. Va bene la sciatteria, ma possibile che a La Verità non leggano nemmeno il giornale su cui scrivono?