Si è chiuso ieri alle 18 il termine per partecipare alla gara di 2 milioni di test sierologici rapidi da riservare prevalentemente agli operatori scolastici. Si tratta di uno snodo cruciale delle politiche di messa in sicurezza delle scuole, per provare a settembre a riprendere le lezioni “in presenza”. Dopo il sostanziale “flop” del test sierologico nazionale, le 150 mila analisi coi kit regalati dall’Abbot da usare su un campione Istat per dimensionare la diffusione effettiva del virus tra la popolazione. Solo 75 mila persone hanno risposto alle telefonate della Croce Rossa.
Anche l’avviso di gara d’urgenza per i test nelle scuole – prorogato di 24 ore per le numerose richieste di chiarimenti – è firmato dal commissario per l’emergenza Covid-19 Domenico Arcuri. Il commissariato di governo punta a chiuderla entro il 25 luglio. Diverse decine le offerte pervenute.
I test rapidi “pungidito”, una placchetta di plastica con un incavo per la goccia di sangue sulla quale versare il reagente, individuano così in pochi minuti chi è già entrato in contatto con il virus SarsCov2 e ha sviluppato una risposta anticorpale alla malattia: l’anticorpo Igm, che compare all’inizio dell’infezione, e l’anticorpo Igg che si stabilizza quando l’infezione è stata superata. Se il test rapido non esce negativo, si procede a un tampone per accertare se la persona è positiva o meno al coronavirus. Due milioni di test sono tanti, tantissimi. Significano uno screening di massa per presidi, insegnanti, inservienti, da concludere in pochissime settimane.
Il tempo stringe. E la fretta con cui è stato compilato è forse uno dei motivi per i quali il bando è finito nel mirino delle critiche di medie e grandi aziende della produzione e della distribuzione della diagnostica. Perplesse per la genericità dei requisiti per partecipare. Si richiede l’avvenuta validazione dei test da parte di laboratori qualificati o agenzie regolatorie operanti a livello nazionale o internazionale; una specificità dei test (contro il rischio di falsi positivi, ndr) non inferiore al 95%; una sensibilità dei test (contro il rischio di falsi negativi, ndr) non inferiore al 92 %.
Faranno punteggio anche la rapidità di distribuzione su tutto il territorio nazionale “entro e non oltre il 10 agosto 2020” e la capacità di fornire almeno mezzo milione di test. L’offerta tecnica inciderà sulla graduatoria per il 90%, il resto dipenderà dall’offerta economica. I kit hanno un prezzo di mercato che di solito varia dai 3 ai 5 euro.
Dal bando, e dalle successive richieste di chiarimenti, è quindi emerso che aver validato il test rapido sulla popolazione italiana – sicuro indice di “robustezza” dello studio clinico, rispetto agli studi indicati sui bugiardini dei prodotti importati – non produce punteggio. E non ci sono punti o premialità per quei kit rapidi già utilizzati con buoni risultati nelle Regioni che ne hanno fatto incetta nella fase acuta della pandemia – Emilia-Romagna, Campania, Toscana, ad esempio – e nemmeno se prodotti in Italia o in Paesi di sicura filiera.
Ci si accontenta di una “avvenuta validazione” secondo i criteri che hanno determinato la giungla attraversata nei mesi scorsi. “Il bando è stato scritto in modo da incoraggiare ‘autocertificazioni’ di specificità e sensibilità al 100% – sostiene un imprenditore del settore sentito dal Fatto quotidiano – visto che basta un punto percentuale in più o in meno a far scattare dieci punti in graduatoria. Insomma una gara a chi la spara più grossa senza assolute certezze sulla effettiva qualità del prodotto proposto. Invitiamo Arcuri a vigilare con la massima attenzione su questo aspetto”.