Scuola, due milioni di test “Bando troppo generico”

Si è chiuso ieri alle 18 il termine per partecipare alla gara di 2 milioni di test sierologici rapidi da riservare prevalentemente agli operatori scolastici. Si tratta di uno snodo cruciale delle politiche di messa in sicurezza delle scuole, per provare a settembre a riprendere le lezioni “in presenza”. Dopo il sostanziale “flop” del test sierologico nazionale, le 150 mila analisi coi kit regalati dall’Abbot da usare su un campione Istat per dimensionare la diffusione effettiva del virus tra la popolazione. Solo 75 mila persone hanno risposto alle telefonate della Croce Rossa.

Anche l’avviso di gara d’urgenza per i test nelle scuole – prorogato di 24 ore per le numerose richieste di chiarimenti – è firmato dal commissario per l’emergenza Covid-19 Domenico Arcuri. Il commissariato di governo punta a chiuderla entro il 25 luglio. Diverse decine le offerte pervenute.

I test rapidi “pungidito”, una placchetta di plastica con un incavo per la goccia di sangue sulla quale versare il reagente, individuano così in pochi minuti chi è già entrato in contatto con il virus SarsCov2 e ha sviluppato una risposta anticorpale alla malattia: l’anticorpo Igm, che compare all’inizio dell’infezione, e l’anticorpo Igg che si stabilizza quando l’infezione è stata superata. Se il test rapido non esce negativo, si procede a un tampone per accertare se la persona è positiva o meno al coronavirus. Due milioni di test sono tanti, tantissimi. Significano uno screening di massa per presidi, insegnanti, inservienti, da concludere in pochissime settimane.

Il tempo stringe. E la fretta con cui è stato compilato è forse uno dei motivi per i quali il bando è finito nel mirino delle critiche di medie e grandi aziende della produzione e della distribuzione della diagnostica. Perplesse per la genericità dei requisiti per partecipare. Si richiede l’avvenuta validazione dei test da parte di laboratori qualificati o agenzie regolatorie operanti a livello nazionale o internazionale; una specificità dei test (contro il rischio di falsi positivi, ndr) non inferiore al 95%; una sensibilità dei test (contro il rischio di falsi negativi, ndr) non inferiore al 92 %.

Faranno punteggio anche la rapidità di distribuzione su tutto il territorio nazionale “entro e non oltre il 10 agosto 2020” e la capacità di fornire almeno mezzo milione di test. L’offerta tecnica inciderà sulla graduatoria per il 90%, il resto dipenderà dall’offerta economica. I kit hanno un prezzo di mercato che di solito varia dai 3 ai 5 euro.

Dal bando, e dalle successive richieste di chiarimenti, è quindi emerso che aver validato il test rapido sulla popolazione italiana – sicuro indice di “robustezza” dello studio clinico, rispetto agli studi indicati sui bugiardini dei prodotti importati – non produce punteggio. E non ci sono punti o premialità per quei kit rapidi già utilizzati con buoni risultati nelle Regioni che ne hanno fatto incetta nella fase acuta della pandemia – Emilia-Romagna, Campania, Toscana, ad esempio – e nemmeno se prodotti in Italia o in Paesi di sicura filiera.

Ci si accontenta di una “avvenuta validazione” secondo i criteri che hanno determinato la giungla attraversata nei mesi scorsi. “Il bando è stato scritto in modo da incoraggiare ‘autocertificazioni’ di specificità e sensibilità al 100% – sostiene un imprenditore del settore sentito dal Fatto quotidiano – visto che basta un punto percentuale in più o in meno a far scattare dieci punti in graduatoria. Insomma una gara a chi la spara più grossa senza assolute certezze sulla effettiva qualità del prodotto proposto. Invitiamo Arcuri a vigilare con la massima attenzione su questo aspetto”.

Scillieri, suo cognato e i conflitti d’interessi. Ecco le tre anomalie

Compra Lombardia Film Commission, vende il commercialista vicino alla Lega. È il testacoda dell’immobile di Cormano, comprato dall’ente pubblico controllato dalla Regione Lombardia con 800 mila euro pubblici. Una partita giocata tutta in casa leghista. Perché a presiedere la Film Commission, all’epoca dei fatti, c’era il commercialista del partito Alberto Di Rubba. E a vendergli l’immobile, nascosto dietro la fiduciaria Fidirev, c’era il cognato di un altro commercialista di fede leghista, Michele Scillieri. L’uomo che, a cavallo della compravendita, è stato sia amministratore della ditta venditrice che consulente dell’acquirente. La notizia emerge da una relazione presentata nella primavera scorsa dall’attuale presidente della fondazione, Alberto Dell’Acqua, docente alla Bocconi, voluto proprio dalla Lega per dirigere l’ente finito ora sotto il faro della procura di Milano. La relazione punta in teoria a fare chiarezza sulla compravendita immobiliare. Una storia raccontata per la prima volta più di un anno fa da L’Espresso, che ha portato il nuovo presidente a spiegare i punti oscuri della compravendita ai suoi azionisti. Primo fra tutti: “Conflitti di interessi in capo al consulente Dott. Michele Scillieri”.

il commercialista vicino alla lega e i conflitti d’interesse

Michele Scillieri, 57 anni, è un esperto commercialista milanese. Nel suo studio ha fatto pratica Andrea Manzoni, l’altro contabile della Lega, e lì è pure stata domiciliata all’inizio la Lega Salvini Premier. Negli anni, Scillieri ha ricevuto parecchi bonifici anche dalla vecchia Lega, quella per l’indipendenza della Padania, ma sempre sotto gestione salviniana. Tra il 2016 e il 2018 ha incassato quasi 90 mila euro, dice una relazione della Uif di Banca d’Italia. Così Scillieri si è trovato a giocare da entrambe le parti del tavolo: per un periodo amministratore della società che ha venduto, l’Immobiliare Andromeda, e subito dopo consulente della Lombardia Film Commission. Su nomina di chi? Del collega Alberto Di Rubba, allora presidente del Cda della LFC, per nomina di Regione Lombardia. La relazione di Dell’Acqua dice chi c’è dietro la fiduciaria Fidirev, schermo del beneficiario ultimo della plusvalenza pagata con soldi pubblici. Si chiama Fabio Barbarossa, agente di commercio con cariche in alcune società, tutte domiciliate presso gli studi di Scillieri. Dell’Acqua non lo specifica davanti ai suoi azionisti, ma Barbarossa è il cognato di Scillieri, si legge nel decreto di perquisizione della Procura di Milano. L’organismo di vigilanza della Film Commission, però, su di lui non aveva ravvisato “alcun conflitto di interessi né presente né futuro”. A fare i controlli è stato l’avvocato Alessio Gennari. Anche lui non proprio estraneo ai giri leghisti. Un documento della Uif racconta che nel maggio del 2019, quando non era più presidente di Film Commission, Di Rubba gli ha versato 6 mila euro. La Guardia di finanza scrive che Gennari è “legato da rapporti patrimoniali con società di cui Manzoni e Di Rubba sono amministratori/liquidatori/soci”.

I lavori per ristrutturare l’immobile al fornitore leghista

Le ombre sulla Lombardia Film Commission non finiscono qui. In cambio di 800 mila euro, il venditore (Immobiliare Andromeda) si impegnava a consegnarlo ristrutturato. I lavori sono stati realizzati dalla Barachetti Service di Francesco Barachetti, tra i principali fornitori della Lega, che ha ricevuto anche una parte dei soldi direttamente dalla Film Commission (71 mila euro tra giugno e luglio 2019, secondo la finanza).

Il pagamento di 800 mila euro all’atto del preliminare di acquisto

L’anomalia principale riguarda però la modalità di pagamento usata per acquistare l’immobile. L’ente pubblico ha infatti versato l’intera cifra all’atto preliminare. “Sarebbe stato quanto meno bizzarro in transazioni private, ma se la compravendita è fatta con denaro pubblico è molto più che inopportuno, è ingiustificabile”, dice Paola Bocci, consigliere regionale Pd in Lombardia, che da più di un anno sta aspettando risposte alle sue interrogazioni da parte della giunta di Attilio Fontana. Non la pensa così Dell’Acqua: la modalità non è “stata anomala”, è la conclusione del professore che piace alla Lega.

“Il presidente disse che era tutto ok, adesso si dimetta”

“Da tempo parlo di anomalie e conflitti di interesse dietro l’acquisto da parte della Lombardia Film Commission dell’immobile a Cormano. Per l’attuale presidente della Fondazione, Alberto Dell’Acqua, non vi è stato nulla di irregolare. Ma l’indagine della Procura di Milano sta raccontando tutt’altro. Ognuno deve prendersi le proprie responsabilità. Anche Dell’Acqua, che ora deve dimettersi”.

David Gentili, presidente dem della Commissione antimafia di Milano, da tempo denuncia pubblicamente presunte anomalie dietro l’acquisto dell’edificio a Cormano, sede della Fondazione, di cui sono soci il comune di Milano e la Regione Lombardia.

Gentili, lei chiede le dimissioni dell’attuale presidente della Fondazione. Ma Dell’Acqua non aveva alcun ruolo quando è stato acquistato l’immobile. Che responsabilità ha?

Dell’Acqua, peraltro l’uomo che la Lega voleva candidare in Consob, a inizio giugno ha presentato una relazione per rispondere alla richiesta di Regione e Comune di effettuare accertamenti sulla procedura di acquisto dell’immobile. Di fronte alle anomalie che gli erano state sottoposte ha risposto che, in base alla documentazione trovata in Fondazione, era tutto regolare, che non vi era alcun conflitto di interessi in merito ad alcuni professionisti sui quali si chiedevano chiarimenti. Chiedo quindi di sfiduciare Dell’Acqua anche perché la sua relazione, dopo quanto sta emergendo dalle indagini della procura di Milano, è da cestinare.

Quali sono i conflitti di interesse dietro questa storia secondo lei?

In primis, il ruolo di Michele Scillieri, consulente della Fondazione. Ora si scopre che secondo i magistrati era una delle menti dietro l’operazione di compravendita immobiliare. Ma nessuno fa niente. Anzi Dell’Acqua nella sua relazione dice che non c’è alcun conflitto di interesse, anche solo potenziale. E non tutto.

Ma durante le riunioni tra Regione, Comune e vertici della Fondazione cosa è avvenuto in passato?

Già durante una delle riunioni del Cda della Fondazione, l’assessore Filippo Del Corno chiese una perizia tecnica che non fu mai fatta. L’unica perizia alla base dell’operazione era quella dell’organismo di vigilanza della Fondazione redatta dall’architetto Federico Arnaboldi. Per me era una perizia di parte perché basata sui dati che il venditore aveva fornito al perito. Poi si scopre che Arnaboldi ha un’attività allo stesso indirizzo e allo stesso civico di Michele Scillieri. Questa per me è un’ulteriore anomalia. In ogni modo le richieste dell’assessore Del Corno sono state ignorate. L’acquisto si è fatto lo stesso.

Quali altre anomalie ci sono state secondo lei?

Le modalità di pagamento. Ottocento mila euro vengono pagati subito e prima del rogito, nonostante ci fossero lavori di ristrutturazione ancora da effettuare. E poi ora si scopre che Fabio Barbarossa, amministratore di Andromeda, società che vende l’immobile alla Fondazione, è cognato di Scillieri.

Cosa farà adesso il Comune di Milano, che è socio della Fondazione?

Secondo me a questo punto bisogna rescindere il contratto a Scillieri e sfiduciare poi Dell’Acqua. Qualora dovesse esserci un processo, costituirsi parte civile. Nel frattempo bisogna chiedere i danni, l’immagine della Fondazione è fortemente danneggiata.

“I soldi, altrimenti racconto tutto” Il ricatto al contabile filo-leghista

“Io non dico nulla, (…) hanno cercato di contattarmi in mille e io non ho mai detto nulla però se voi vi comportate così eh, io non posso fare altro, che devo fare?”. Luca Sostegni – uno degli indagati dell’inchiesta della Procura di Milano sulla compravendita dell’edificio di Cormano, sede della Lombardia Film Commission – era tornato dal Brasile a caccia di soldi. Rientrato in Italia e fermato tre giorni fa, secondo gli investigatori, chiedeva denaro in cambio del silenzio sulla vicenda dell’immobile alle porte di Milano. Era “sempre più pressante” con Michele Scillieri, commercialista nel cui studio nel 2017 è stato domiciliato il movimento “Lega per Salvini premier”. Scillieri è un altro indagato, accusato di peculato e turbata libertà del procedimento di scelta del contraente. Per gli stessi reati sono stati iscritti anche Alberto Di Rubba e Andrea Manzoni, ex revisori contabili della Lega il primo al Senato, il secondo alla Camera. I tre, Di Rubba, Scillieri e Manzoni, secondo le accuse sono coloro che concepiscono l’operazione immobiliare della Lombardia Film Commission. L’immobile di Cormano viene venduto per 800 mila euro alla Fondazione dalla Immobiliare Andromeda, società di cui lo stesso Scillieri viene ritenuto amministratore di fatto. Quello stesso immobile però, poco prima, l’Andromeda lo aveva acquistato a metà del prezzo (400 mila euro) da un’altra società, la Paloschi Srl, di cui era liquidatore Sostegni che era dunque a conoscenza dell’operazione. Adesso Sostegni è indagato per peculato ed estorsione. Per le accuse, ha minacciato di parlarne ai giornalisti.

Scrivono i pm nel decreto di fermo: Sostegni “si sentiva (…) defraudato di quanto gli sarebbe spettato per la gestione della ‘vicenda Paloschi’, avendo ricevuto – a suo dire – ‘appena’ 20 mila euro (…); reclamava perlomeno altri 30 mila euro, posto che gliene sarebbero stati promessi 50 mila”. Ed è al telefono con Scillieri che Sostegni dice: “Io innesco una serie di situazioni che io non lo so dove si va a finire perché poi da questa si va alle cantine, le cantine si va al capannone, dal capannone si va alla Fondazione, dalla Fondazione si va alla Fidirev, si va ai versamenti, si va a tutto, io per 30 mila euro non so (…) se vale la pena far tutto sto casino”. Sostegni, trovato con 5 mila euro in contanti al momento del fermo, sarà interrogato oggi dal gip.

Intanto ieri gli investigatori hanno acquisito documenti sia alla Lombardia Film Commission che alla fiduciaria Fidirev. Sull’acquisto dell’immobile da parte della Fondazione, i pm scrivono: “Le indagini di polizia giudiziaria hanno dimostrato che tanto insensato è l’acquisto, quanto cospicui sono stati i ritorni per chi l’ha deciso e attuato; il che prova la reale natura dell’operazione, la sua effettiva finalità: il ‘drenaggio’ di risorse che la Regione Lombardia aveva già destinato alla Fondazione e di cui Di Rubba era presidente; ed infatti Di Rubba e il suo ‘socio’ Manzoni beneficeranno della quota maggiore”. Non ci sono, al momento, prove del passaggio dei fondi alla Lega.

Secondo la Procura, però, l’operazione genera qualche imbarazzo. Scrivono i magistrati: “Anche Giuseppe Farinotti (estraneo alle indagini, ndr) che subentra a Di Rubba nella carica di Presidente della Fondazione mostra imbarazzo rispetto all’acquisto dell’immobile di Cormano, di cui siglerà il definitivo”. “…Una roba brutta (…) – dice Farinotti al telefono – la prima azione che ho fatto… è stata quella di comprare l’immobile per 800 mila euro quando dietro c’era un pregresso antipatico”. Per i magistrati “evidentemente Farinotti non si sente rassicurato neppure dalla perizia dell’architetto Federico Arnaboldi”. “Ed ha le sue buone ragioni – concludono i pm – posto che il tecnico nominato per valutare l’immobile esercita nei medesimi locali di Scillieri”.

Sull’operazione solleva dei dubbi anche il Comune di Milano. “Cerca di fugarli – è scritto nelle carte – Alessio Gennari, componente dell’organismo di vigilanza della Fondazione, il quale nel rispondere a un consigliere comunale si arrampica sugli specchi per giustificare il pagamento dell’intero importo del prezzo dell’immobile in sede di preliminare”. Dalle indagini della Finanza, concludono i magistrati, emerge che “l’avvocato Gennari è legato da rapporti patrimoniali con società di cui Manzoni e Di Rubba sono amministratori/liquidatori/soci”.

Er Più

Da quando i lettori e gli abbonati del Fatto sono aumentati, registro una certa attenzione mediatica alla mia modesta persona che rischia di farmi montare la testa. Vengo dipinto come una sorta di eminenza grigia della Repubblica, una via di mezzo fra Letta e Bisignani, che piazza pedine e pedoni qua e là, dà la linea ai partiti e al governo, sistema o stronca carriere, candida e scandida politici, fa e disfa alleanze, fa arrestare questo o quello e – ci mancherebbe – intasca milioni di euro pubblici. Più che il direttore del Fatto, il maestro venerabile di una piduina che nulla ha da invidiare alla loggia del sor Licio. L’altro giorno, il sempre informato Dagospia titolava: “Nuovi orizzonti di gloria per Flavio Cattaneo: sponsorizzato da Travaglio, il marito della Ferilli è entrato nel cuore di Conte dopo una video-call per la scelta dell’ad di Alitalia”. L’idea che un top manager che ha guidato Fiera Milano, Aem, Rai, Terna, Telecom e Italo-Ntv abbia bisogno di me per farsi conoscere mi riempie di orgoglio, ma soprattutto di buonumore. Come quando i giallorosa, anziché cacciare l’ad plurinquisito di Eni Claudio Descalzi, cambiarono il presidente e scelsero Lucia Calvosa, altra manager coi fiocchi, già al vertice di banche e consigliere indipendente di Telecom e pure del Fatto: il Riformista e altri fresconi, incuranti delle sue dimissioni dal nostro Cda, scrissero che l’avevo nominata io per “mettere le mani su Eni” (infatti da allora faccio il pieno di benzina gratis).

E non basta. La nostra ad Cinzia Monteverdi, temendo ritardi nei pagamenti dei distributori e dei concessionari pubblicitari a causa del Covid e rischi per i nostri investimenti, mette al sicuro la società con un normale finanziamento di 2,5 milioni da una banca privata e, per una legge del ’96, i finanziamenti per investimenti sono garantiti dallo Stato: Giornale, Libero, Riformista, Dagospia e altri fresconi scrivono che prendiamo soldi dallo Stato, anzi dal “regime”, grazie ai buoni uffici di Conte in persona. Rai3 affida a Luisella Costamagna – giornalista che debuttò con Santoro nel ’96, poi lavorò a Canale5, condusse Omnibus su La7 e altri programmi su Sky – la conduzione di Agorà su Rai3. Dov’è il problema? Collabora col Fatto, oltreché con la Verità. Dunque sapete chi l’ha “piazzata” ad Agorà? Io, notoriamente culo e camicia coi nuovi direttori di Rai3 e del Tg3, Franco Di Mare e Mario Orfeo, che da anni chiamo rispettivamente “mister Pampers” e “sugherone per ogni stagione” per farmeli amici. Tante captatio benevolentiae non sono state vane, tant’è che Il Foglioha ribattezzato Rai3 “TeleFatto” perché “la direzione Di Mare rispecchia la linea del Fatto”. Certo, come no.

Ma i miei tentacoli si allungano ben oltre. Avete presente il Partito di Conte, annunciato da mesi dalle migliori testate? Ci sto lavorando con Scanzi e alcuni personaggi misteriosi anche per noi: così almeno giura Bisignani sul Tempo, subito ripreso dall’attendibile Porro e dal credibile Libero. E il caso Palamara? La regìa, ovviamente occulta, è tutta mia. Di Palamara non ho mai avuto nemmeno il numero di cellulare. L’ho visto una volta in vita mia nel 2018 a un convegno di Unicost a Monopoli, dove ne dissi di tutti i colori sulle correnti togate, soprattutto la sua, ricordando la protezione garantita nel Csm all’allora procuratore di Arezzo, che avrebbe dovuto indagare su Etruria e papà Boschi mentre era consulente del governo Innominabile-Boschi. Pochi giorni dopo una pm di Palermo presente al convegno mandò un sms scherzoso a Palamara che non le rispondeva: “Se mi dai buca, chiamo Travaglio”. Così due mesi fa mi ritrovai sulla prima del Giornale come il deus ex machina di Magistratopoli. Del resto, sono o non sono “il capo del Partito dei Pm con Davigo, Gratteri e Di Matteo”, come assicura l’informatissimo Sansonetti? Lo faccio nel tempo libero che mi lascia il mio terzo mestiere: quello di “vero capo politico dei 5Stelle” (sempre Sansonetti). Fortuna che, come direttore del Fatto, sono solo un prestanome di Rocco Casalino, che si smazza il grosso del lavoro.
Non lo sapevate? Se n’è parlato martedì notte nel Consiglio dei ministri-fiume su Autostrade. Quella sera, nella riunione di redazione, stavamo preparando la prima pagina con titolone e fotona di De Benedetti che aveva riabilitato B.. Poi la nostra Wanda Marra ci ha avvertiti che mezzo Pd, fra cui Guerini, contestava Zingaretti per aver sposato la linea anti-Benetton di Conte e M5S. Ed, essendo quella notizia più fresca dell’altra, abbiamo optato per il titolo United Dem of Benetton col fotomontaggio dei quattro pidini, fra cui Guerini, in veste di indossatori. A mezzanotte, in pieno Cdm, non avendo di meglio da fare o equivocando il senso della sua delega alla Difesa, Guerini ha scaricato il Fatto, ha visto la copertina e ha dato in escandescenze contro Conte. Il quale, narrano le cronache, l’ha guardato incuriosito, tentando di spiegargli che non è uso decidere le nostre prime pagine. Invano. Il cosiddetto ministro, come il lupo all’agnello nella fiaba di Fedro, ha tagliato corto: “Allora, se non sei stato tu, è stato Casalino”. Questa gente è così abituata a dare la linea ai suoi giornali da non riuscire neppure a immaginarne uno che si dà la linea da solo. E ora scusatemi, ma ho da fare a Bruxelles col Recovery Fund. I 173 miliardi, se mai arriveranno, me li pappo tutti io.

 

Scendono i soldi, sale la De Filippi. Stabili Amadeus e Fiorello

“La riduzione ai compensi di artisti e conduttori è giusta e sana. In questo momento di grande difficoltà per molti italiani non possiamo avere una Rai disallineata rispetto al resto del Paese…”. Così l’ad Fabrizio Salini spiega i tagli che la tv di Stato ha imposto a produzioni, conduttori e artisti (circa il 20 per cento) per la stagione televisiva 2020/2021, presentata ieri a Roma. Una stagione che prevede anche una nuova policy per gli agenti (non più del 30 per cento di artisti in un programma) e distinzione netta di ruoli tra agenti, conduttori e produttori. Altra novità sarà una prima serata più corta. “Non sono mai stato un fan dei programmi monstre che coprono prima e seconda serata, perché così l’offerta s’impoverisce. Con la rinascita della seconda serata avremmo modo di proporre cose nuove e sperimentare”, osserva Salini.

Ma vediamo le novità più succose. A Sanremo, innanzitutto, c’è la conferma della coppia Amadeus-Fiorello. Il 25 novembre su Raiuno andrà in onda un evento speciale contro la violenza sulle donne condotto da Maria De Filippi (in prestito), Sabrina Ferilli e Fiorella Mannoia. Da tenere d’occhio, sul primo canale, il nuovo programma del mezzogiorno di Antonella Clerici, quello di Monica Maggioni, 60 minuti, e Ciao Maschio con Nunzia De Girolamo il sabato sera. Su Raidue interessante sarà vedere come verrà costruito il nuovo talk del giovedì sera, Seconda linea, con Alessandro Giuli e Francesca Fagnani. Mentre Second life, con Laura Tecce, racconterà il lato privato dei politici (ce n’era bisogno?). La vera incognita è però il nuovo talk della prima serata del venerdì di Raitre, Titolo V, dove i conduttori non ci sono ancora, ma saranno due donne, mentre Luisella Costamagna è stata arruolata ad Agorà. Elisa Isoardi per ora farà solo Ballando con le stelle, mentre Lorella Cuccarini condurrà lo Zecchino d’Oro. Interessante sarà pure vedere la nuova Rai Doc di Duilio Gianmaria, mentre sul prossimo direttore di Rai Fiction ancora tutto tace (“ci stiamo lavorando”).

Il virus ha ucciso pure i libri. Nel lockdown non si è letto

Cos’hanno letto gli italiani durante il lockdown? Niente: non hanno avuto tempo, bombardati com’erano di notizie e commenti su quanto la clausura fosse utile per rileggere Proust, affrontare coraggiosamente Cervantes o rispolverare finalmente Guerra e pace. Sì, con lo swiffer. Ecco, nella migliore delle ipotesi, tutti hanno letto i soloni che pontificavano sui libri, ma nessuno ha letto i libri.

È il paradosso che emerge dal primo rapporto Cepell-Aie (Associazione italiana editori), con la collaborazione di Pepe Research, sulla lettura nei mesi dell’emergenza sanitaria: “Il quadro è allarmante”, si lascia scappare il presidente degli editori Ricardo Franco Levi, alla presentazione dei dati ieri.

Solo un italiano su due si è spupazzato un libro a marzo e aprile, ma anche no: la percentuale (50) è ovviamente la stessa, mentre su base annua i lettori (tra i 15 e i 74 anni) salgono a un timidissimo 58 per cento, in calo comunque di 15 punti rispetto al marzo 2019. Al di là del confinamento, invece, i non lettori sono il 42 per cento. “Anche io ho affrontato cose molto brevi – confessa lo scrittore Tiziano Scarpa –. Ho letto tantissimo, ma sul web: ho scoperto un sacco di siti interessanti di tipo scientifico, informativo-giornalistico e socio-culturale, tutti al di fuori del mio solito arcipelaghetto nell’oceano della rete. Soprattutto, ho letto poesie: sono come piantine interstiziali, ciuffi che spuntano tra una pietra e l’altra, tra il marciapiede e l’asfalto. Non ce l’ho fatta a mettermi in un progetto di lettura di più ampio respiro, tipo attraversare di getto tutto Proust o Joyce; non mi veniva proprio voglia, avevo altri slanci”.

Le motivazioni della disaffezione alla pagina, raccolte da Cepell-Aie, sono stupefacenti: i più (47 per cento) non hanno letto perché “non hanno avuto tempo”; altri (35 per cento) lamentano la “mancanza di spazi in casa dove concentrarsi”, altri ancora sono stati sopraffatti dalla “preoccupazione” per la pandemia (33 per cento) o hanno “preferito le news” ai romanzi e saggi. Le distrazioni sono state tante, e totalizzanti: gli italiani in quarantena hanno sostituito la carta con lo schermo, dedicandosi alla televisione, al telefono, a WhatsApp e ai social network (oltre 60 minuti al giorno). Su una ventina di abitudini e comportamenti monitorati dalla ricerca, la lettura si colloca tra l’undicesimo e il sedicesimo posto, surclassata dalle videoconferenze coi colleghi e non, dalle chat coi colleghi e non, dai giornali online e non.

Lockdown e non, è comunque un periodaccio per l’editoria: la lettura tocca il livello più basso dal 2017 (anno dell’attivazione dell’Osservatorio Aie) ed è in forte calo – comprensibile – l’acquisto di volumi, ma il dato più preoccupante è la flessione vertiginosa dei lettori forti, che pochi ma agguerriti tengono in piedi l’intero mercato. Negli ultimi 12 mesi questi sono passati da 4,4 milioni a 3,5 (-20 per cento), acquistando appena 30,2 milioni di copie rispetto al dato di fine 2019 (51,4 milioni; -45 per cento).

L’unico pallido segnale positivo arriva dal digitale, con il “consumo” di ebook e audiolibri che cresce del 31 per cento, contro il 26 dell’anno scorso. “Non c’è niente da fare – chiosa Scarpa –; come dice La Capria, noi italiani abbiamo il culto della bella giornata, siamo devoti alla luce, al beltempo… La bella giornata è quasi la nostra religione. Forse così si spiega, di contro, il nostro ateismo alfabetico”.

La casa di Paolo, sogno del fratello, ora diventa libro

La casa di Paolo è un sogno. Come scrive Salvatore Borsellino nella prefazione che ci ha regalato. Ora La Casa di Paolo è anche un libro per ragazzi disponibile in tutte le librerie e anche nelle edicole con il Fatto Quotidiano. Da quando è nata Paper First, la nostra casa editrice, avevamo l’idea di scrivere un libro per ragazzi che spiegasse agli studenti italiani chi è stato Paolo Borsellino ma anche cosa ha lasciato di bello e positivo alle nuove generazioni.

Un paio di anni fa siamo entrati nella “Casa di Paolo”, in via della Vetriera 57 a Palermo, per intervistare il fratello Salvatore, in occasione dell’anniversario della strage di via D’Amelio, e il progetto ha cominciato a prendere forma. Salvatore ci portò sotto un dipinto che ritrae il fratello con un sorriso pieno di vita e ci disse: “Voglio farla qui l’intervista perché questo è il Paolo sorridente che io ricordo e che voglio far rivivere qui ogni giorno, in mezzo ai ragazzi”.

Effettivamente ci sono molti libri che raccontano la figura del giudice Borsellino, il suo sacrificio, la strage di via D’Amelio. Sono libri per grandi e spesso in copertina c’è la foto del giudice triste che cammina consapevolmente verso la morte.

Sotto quel dipinto con il volto sorridente di Borsellino, circondati dai ragazzi del quartiere e dai volontari che animano la Casa di Paolo, è nata l’idea di questo libro diverso. Non a caso in copertina c’è la foto di un Paolo Borsellino sorridente, come piace al fratello Salvatore.

Ci voleva l’autrice giusta, e l’abbiamo trovata in Sara Loffredi. Scrittrice di grandi romanzi (Fronte di scavo, uscito pochi mesi fa per Einaudi) ma anche di progetti di legalità per i piccoli (La Costituzione degli animali, Piemme-Battello a vapore), Sara ha accettato la sfida ed è riuscita nell’impresa.

Il libro spiega ai ragazzi in modo semplice tre cose: la vita del giudice Borsellino, il sogno del fratello Salvatore e il significato della “Casa di Paolo” per Palermo e non solo.

Nella sua prefazione, Salvatore Borsellino racconta come è nato il suo sogno: “La nostra vecchia farmacia non c’era più. (…) Era diventata la bottega di un fabbro, con i muri interni, una volta coperti dalle vetrine dei medicinali, spogli ed anneriti dal fumo. Non c’era più niente di tutto quello che ricordava i nostri giochi di bimbi su quelle balate, in mezzo a quelle scansie, non c’erano più le voci, non c’era più la vita in quella strada, non c’era più Paolo, non c’era più nulla.

È li che è nato il mio sogno.

In quella via Vetriera piena di ricordi, la “strada di Paolo”, nei locali dell’antica farmacia che quando nacque, ai primi del Novecento, si chiamava “Farmacia Paolo Borsellino” – dal nome di mio nonno – doveva nascere la Casa di Paolo. Un centro aperto a tutti ma soprattutto ai giovanissimi abitanti del quartiere, dove svolgere attività che potessero richiamarli, allontanandoli dalla perversa spirale di povertà, emarginazione e criminalità che spesso li trascina, e mantenere viva la memoria di Paolo e dei ragazzi che, insieme a lui, hanno sacrificato la vita per la nostra Palermo.

Questo era il mio sogno, fare tornare Paolo a Palermo, nella sua vecchia farmacia, nella sua Casa, dove la gente che varcherà la soglia di quella che una volta era la nostra vecchia farmacia possa trovare Paolo e sentire la forza del suo amore.

Ai ragazzi che spesso mi raccontano i loro sogni, di come vogliano seguire la strada di Paolo, studiare giurisprudenza e diventare magistrati, dico sempre che se nei sogni si crede veramente, con tutte le nostre forze, se non lasciamo che la vita ce li uccida, questi non possono non realizzarsi.

E la “Casa di Paolo”, il mio sogno, oggi vive, ed è piena dell’amore di Paolo e dei volontari cha danno ai bimbi, ai ragazzi che la riempiono quell’aiuto negli studi che a casa non riescono ad avere e quell’affetto che i genitori, spesso presi dai troppi problemi della loro vita, non riescono a dargli o a dargli abbastanza”.

Il narratore del racconto per ragazzi è un personaggio immaginario calato in una dimensione reale vissuta ogni anno da tanti studenti a Palermo: Lorenzo, 15 anni, va in gita con la scuola da Milano a Palermo e dorme nella “Casa di Paolo”, durante un progetto per la legalità organizzato dalla sua professoressa, la mitica e severa Ghidini. In quel viaggio conosce Tano e prende in mano la sua vita. Lorenzo fa leva sull’insegnamento di Paolo Borsellino per ribaltare il rapporto con il padre e diventare un piccolo uomo.

Durante la presentazione, in anteprima al Festival del Libro Possibile di Polignano a mare, l’11 luglio, Salvatore Borsellino ha detto: “Quando ho visto la copertina di questo libro mi sono detto: ‘Allora sì è vero, la casa di Paolo c’è’. Per me – che ho cominciato a vivere nei libri – nel momento in cui viene scritta in un libro, la Casa di Paolo comincia a vivere davvero e non morirà mai”.

Paese dei gelsomini, futuro nebuloso

Appena cinque mesi dopo essere entrato in carica in seguito a lunghe ed estenuanti trattative, il primo ministro tunisino Elyes Fakhfakh ha dovuto rassegnare le dimissioni a seguito delle pressioni del partito più forte della sua frammentata coalizione: Ennahda, la formazione della Fratellanza Musulmana guidata dall’attuale presidente del Parlamento, Rashid Ghannouchi. Fakhfakh ha presentato le sue dimissioni al presidente Kais Saied (nella foto), che ora ha due settimane per nominare un sostituto. L’ex ministro delle finanze, leader del nuovo e, di fatto, inesistente partito “Forum democratico per il lavoro e le libertá” è stato accusato nelle scorse settimane di corruzione per aver mantenuto le proprie quote partecipative in una società di trattamento dei rifiuti che ha vinto contratti governativi per un valore di 15 milioni di euro. Proprio i legislatori alleati di Ennahda assieme ad altri tre partiti politici hanno presentato tre giorni fa la mozione ufficiale di sfiducia contro il premier. Fakhfakh è quindi finito sotto inchiesta per presunti conflitti di interesse. L’ex premier ha, ovviamente, negato qualsiasi illecito e ha detto che si sarebbe dimesso se fossero state rilevate violazioni etiche. Fakhfakh è l’ottavo primo ministro tunisino eletto democraticamente dalla rivoluzione del 2011 che ha rovesciato il dittatore di lunga data, il presidente Zine El Abidine Ben Ali, e ha scatenato le rivolte della primavera araba nella regione. La Tunisia, da due mesi a questa parte, è scossa da nuove manifestazioni antigovernative. Ogni fine settimana, centinaia di tunisini scendono in piazza per protestare contro la disoccupazione monstre diffusa soprattutto tra i giovani. Il Fondo monetario internazionale prevede che l’economia tunisina si contrarrà del 4,3% quest’anno, la recessione più profonda dall’indipendenza anche a causa della pandemia . Il Covid pur non avendo colpito il paese dei Gelsomini ha bloccato il turismo, voce principale dell’economia. Il futuro del paese magrebino più vicino all’Italia torna a essere dunque molto incerto, preoccupando anche l’Europa, specialmente il nostro paese finora destinazione principale nonché finale della maggior parte dei migranti tunisini. Nei giorni scorsi sono ricominciati gli sbarchi di tunisini e africani subsahariani dalle cittá costiere, innanzitutto Sfax. Le dimissioni forzate del laico Fakhfakh rappresentano una vittoria per il partito islamista rivale Ennahdha, entrato in conflitto con l’ex premier per il suo rifiuto di espandere la coalizione di governo includendo un altro partito islamico. Subito dopo la formazione della fragile coalizione messa assieme con grande difficoltá data la frammentazione estrema del Parlamento scaturito dal voto di settembre, l’editorialista e saggista Sami Mahbouli disse al Fatto che “Il neo governo è composto da personalità che si detestano e la sua coesione sarà la prima sfida da superare nei mesi a venire. Non sono ottimista”.

Abusi, accuse a Ramadan. C’è anche la pista svizzera

Tariq Ramadan è comparso di nuovo in tribunale, a Parigi, ieri, dove è stato convocato non dai giudici francesi ma dalla procura di Ginevra. Sull’islamista pesa in Svizzera un’inchiesta per stupro aperta nel settembre 2018 dopo che una donna, che viene chiamata Brigitte, lo ha accusato di averla sequestrata, picchiata e violentata a più riprese in un albergo di Ginevra, tra il 28 e il 29 ottobre 2008. L’interrogatorio, durato più di tre ore, in presenza del procuratore di Ginevra e di un giudice francese, si è tenuto a Parigi perché Ramadan, quattro volte incriminato per stupro in Francia, non è autorizzato a lasciare il paese. Ieri il teologo ha evitato un’altra incriminazione, ma l’inchiesta svizzera va avanti. La prossima tappa sarà il confronto in aula con la presunta vittima. L’intellettuale svizzero, di origini egiziane, 57 anni, è stato arrestato in Francia il 2 febbraio 2018 e, dopo dieci mesi di detenzione alla prigione di Fresnes, nella regione di Parigi, ha potuto ottenere la libertà vigilata dietro il pagamento di una cauzione di 300 mila euro. Gli è stato anche imposto di consegnare il passaporto svizzero. Per il celebre teologo islamista i guai con la giustizia sono iniziati nell’ottobre 2017 con le prime accuse di due donne che hanno raccontato episodi di estrema violenza e umiliazione.

La prima denuncia è stata sporta dalla scrittrice francese di origini magrebine, Henda Hayari, sulla scia dello scandalo Weinstein a Hollywood. Hayari ha raccontato che il teologo, contattato via Facebook per chiedergli consigli religiosi, l’aveva maltrattata, umiliata e violentata in una camera d’albergo a Parigi, nel 2012. Pochi giorni dopo un’altra donna, “Christelle”, ha denunciato fatti molti simili: Ramadan, incontrato all’hotel Hilton di Lione nell’ottobre 2009, dove lui teneva un convegno, l’aveva invitata nella sua camera, dove l’aveva picchiata e stuprata. Nella sua testimonianza, “Christelle” ha raccontato che, prima di violentarla, lui l’aveva trascinata per la camera tirandola per i capelli. Ramadan, all’epoca un intellettuale molto influente, poi sospeso dal prestigioso incarico di docente di studi islamici a Oxford, ha sempre negato le violenze. In un primo tempo ha anche negato di avere avuto rapporti sessuali con le due donne. Ha poi ammesso di aver mentito parlando però di “relazioni consenzienti”. Altri due rinvii a giudizio, per dei fatti accaduti nel 2015 e nel 2016, sono stati emessi lo scorso febbraio. Sei donne in tutto, di cui una anche negli Stati Uniti, hanno sporto denuncia contro di lui. Lo scorso mese di ottobre i giudici francesi hanno chiesto una nuova perizia psichiatrica. Stando al dottor Daniel Zagury, la cui relazione è stata reso nota da Le Figaro, Ramadan ha avuto con le sue presunte vittime dei rapporti di “manipolazione” e “sottomissione”. Secondo lo psichiatra, si instaurava un meccanismo di “influenza” che “permette a una psiche – ha scritto – di esercitare un potere assoluto su un’altra psiche”. In uno degli scambi di sms con “Christelle” del settembre 2009, ritrovati nel cellulare di lei, il teologo aveva scritto: “Mi farai vivere tutte le mie fantasie, bambola. So che ti piace essere dominata da me”. Un’altra donna, “Amélie”, che ha avuto una relazione con lui tra il 2015 e il 2016, ha confessato di recente a L’Obs: “Dopo ogni rapporto mi sentivo sporca”. La foto di “Amélie” era stata trovata nel computer di Ramadan dagli inquirenti, insieme a centinaia di immagini pornografiche. Quest’ultima perizia è contestata dagli avvocati di Ramadan. Zagury ha già analizzato menti contorte come quelle del serial killer Michel Fourniret e delle jihadiste dell’attentato mancato a Notre-Dame. I legali di Ramadan non mettono in discussione le sue competenze, ma lo accusano di “parzialità”: Zagury fa parte di un’associazione universitaria, Schibboleth-Actualité de Freud, di cui alcuni membri avrebbero già preso pubblicamente posizione contro Ramadan. I giudici dovranno stabilire se annullare o confermare la perizia.