La definizione l’ha data uno dei padri fondatori: “La Responsabilità è uno spermatozoo che genera un mondo nuovo e diverso”. Qualcuno avrà riconosciuto lo stile di Domenico Scilipoti, l’ex senatore che nel 2010 lasciò l’Italia dei Valori per volare in soccorso di Silvio Berlusconi, allora presidente del Consiglio alle prese con la scissione di Gianfranco Fini. Quando le cose iniziavano a mettersi male per B., ecco la Provvidenza. O meglio, la Responsabilità: un manipolo di parlamentari messi insieme come capitava pur di tenere in piedi il governo. Protagonisti di quelle settimane, oltre a Scilipoti, nomi per lo più spariti dal Parlamento. Tutti parte del grande almanacco dei responsabili, quelli che a un certo punto di ogni legislatura vengono evocati come soluzione di stabilità. Ne approfittarono in varie forme Berlusconi, Mario Monti, Enrico Letta, Matteo Renzi e Paolo Gentiloni, in attesa di capire se Giuseppe Conte o altri ancora ne avranno bisogno.
Ma che fine hanno fatto i Responsabili? Si è già citato Scilipoti, artefice del salvataggio di B. Memorabile, dopo la sua decisione di votare per Silvio, la fantomatica manifestazione in suo sostegno messa in piedi da un gruppetto di extra-comunitari fuori Montecitorio, che esposero cartelli del tipo: “Onorevole Scilipoti-libertà.” Dettaglio: quei ragazzi, identificati dalla Polizia, dichiararono di esser lì “per lavoro” perché pagati dallo stesso Scilipoti. Acqua passata: l’ex parlamentare è tornato a fare il medico muovendosi spesso in Africa per ragioni umanitarie. Di recente la politica è tornata a bussare e l’ex Responsabile ha accettato una consulenza gratuita alla sanità della Regione Sicilia.
Nessuna tentazione per altre cariche, giura: “Non ho nostalgia per la politica”. Qualche consiglio, però, sì: “Essere responsabili significa assumere atteggiamenti anche difficili da comprendere all’opinione pubblica, ma per il bene del Paese. Se c’è un momento di difficoltà come è questo del coronavirus e non lo si fa per interessi personali, ben venga un aiuto al governo”.
Al fianco di Scilipoti c’era Bruno Cesario, eroe delle acrobazie partitiche: prima nella Margherita e nel Pd, poi Alleanza per l’Italia con Francesco Rutelli, poi Responsabile (dunque sottosegretario nel governo B.) e infine ricandidato al Parlamento nel Pdl, per poi passare all’Udc. Oggi è capo della segreteria di Vincenzo De Luca in Campania, pronto a sfidare la destra alle Regionali.
Più lineare la second life di Massimo Calearo, all’epoca scelto da B. come consigliere, che è tornato a fare l’imprenditore in Veneto.
C’è decisamente chi sta peggio. Basti pensare a un responsabile d’annata, quel Sergio De Gregorio che nel 2008 lasciò l’Idv facendo cadere il governo Prodi. Come ammise lo stesso De Gregorio, che poi ha patteggiato 20 mesi di reclusione, quel passaggio fu pagato 3 milioni di euro da Berlusconi. Ma i guai continuano, perché meno di due mesi fa De Gregorio è stato arrestato perché accusato di essere coinvolto in un giro di estorsioni e riciclaggio.
Attende invece il giudizio della Cassazione Denis Verdini, principe del Patto del Nazareno battezzato anche grazie alla sua mitologica Ala, avamposto del centrodestra nei governi a maggioranza Pd dell’ultima legislatura. In appello Verdini è stato condannato a 6 anni e 10 mesi per il crac del Credito cooperativo fiorentino, a settembre si vedrà.
Guai di altro tipo passa Maurizio Grassano, espulso della Lega e responsabile sul finire dell’epopea berlusconiana. Dopo l’addio alla politica ha trovato solo disavventure: problemi di salute, la depressione e lo sfratto da casa per colpa di un processo per truffa.
Più sereno è invece Vincenzo D’Anna, che merita la citazione in quanto bi-responsabile: non solo aderì al gruppo di Verdini, ma fece anche parte di quel Popolo e Territorio in sostegno di Berlusconi nel 2011. Tutta questa responsabilità merita una carica di prestigio, e infatti oggi D’Anna è presidente dell’Ordine dei biologi, ruolo da cui si era dimesso a marzo salvo poi tornare sui suoi passi. Il motivo? Alcune dichiarazioni – diciamo incaute – in cui teorizzava un ceppo tutto padano (peraltro meno pericoloso) del coronavirus.
E a proposito di medicina, tra quelli che si sono rimessi il camice c’è anche Mario Pepe, componente del suddetto Popolo e Territorio nel 2011. Altri tempi: “Non mi manca il Parlamento perché oggi è finita la magia, è cambiato tutto. Sembrano una scolaresca in libera uscita”. Quel che è certo è che Pepe ha buoni motivi per festeggiare, lui che era terrorizzato dal taglio dei vitalizi: “Il parlamentare deve avere la serenità economica. Ma lo sa io quante volte ho fatto il testimone di nozze quest’hanno? Quanti regali ho fatto? Ho fatto il testimone a 21 matrimoni!”. Ora che l’assegno potrebbe tornare tutto intero anche alla Camera, Pepe potrà finalmente veder sposare gli amici col sorriso.
Lo stesso che ha ancora Catia Polidori, protagonista di un responsabilissimo salto carpiato nel 2010: eletta con Berlusconi, lasciò il Pdl per seguire Fini, ma nel giro di quattro mesi tornò sui suoi passi confermando la fiducia a B. dal gruppo misto. Oggi è in Parlamento, eletta con FI.
Notevole anche il cortocircuito di cui fu protagonista Riccardo Villari. Eletto al Senato nel 2008 col Pd, diventa presidente della Commissione Vigilanza Rai coi voti della destra e contro il suo partito (che voleva Leoluca Orlando). Poi si iscrive ai Radicali, passa al Misto e sostiene Berlusconi, diventando pure sottosegretario. Oggi è di nuovo con la sinistra di De Luca alle regionali in Campania, dopo la nomina a presidente della Città della Scienza, a Napoli.
Suo rivale, in sostegno di Stefano Caldoro, sarà Francesco Pionati, altro responsabile degli anni d’oro fuoriuscito dall’Udc. L’appoggio non prevede candidature in prima persona, anche perché Pionati sta bene dove sta, cioè alla Rai: sul sito è descritto come “alle dirette dipendenze del direttore della Tgr”, compenso annuo 215.360 euro.
Più sobrio Giampiero Catone, ex finiano che confermò la fiducia a B., oggi direttore de La Discussione, il quotidiano fondato da Alcide De Gasperi: “A lei mancherebbe la politica della terza Repubblica?”. E quella di una volta? “Al 90 per cento schiacciavi un pulsante e neanche sapevi di cosa si parlava”. E i responsabili? “Non c’è ideologia, ci si sposta pensando soprattutto alla legislatura successiva”. Sì, ma allora lei? “Io non ho mai cambiato lo schieramento con cui sono stato eletto, altri sì”. Un modo per dire che furono i finiani a tradire B., non lui a tradire loro.
Responsabile “montiano” era invece Luciano Sardelli, medico in procinto di candidarsi in Puglia a sostegno di Raffaele Fitto. Questione di amore per la sua terra: “La politica romana non mi manca, ma poter incidere sul territorio sì. I parlamentari sono comparse, passivi esecutori di determinazioni che vengono dai capi”. Un peccato sminuirsi così: “Un minimo di peso ce l’hai soltanto quando prendi una posizione autonoma rispetto al tuo partito, allora riesci a svincolarti dalla sudditanza”. In una parola: Responsabilità.