Musicisti, giostrai, banditori, “illuminaristi”, fuochisti, madonnari. Organizzatori e venditori ambulanti di prodotti tipici e di dischi fuori mercato. Piazzisti, e artisti, di strada. Un’umanità formidabile e cinematografica. Un evento irripetibile, però sempre ripetuto come una scaramanzia.
Al confine tra misticismo fai-da-te e folclore, è arrivato su Amazon Prime Video Atto di fede, un documentario di un’ora girato tra la Basilicata e la Puglia, che mette a fuoco il fenomeno secolare e complesso delle feste patronali del sud. Dove il mistero del sacro si stempera nei preparativi febbrili, ebbri di vita, della gente comune.
Dal Lazio in giù, costituiscono una tradizione fondamentale, capillare, identitaria, di cui l’appuntamento estivo è solo la punta dell’iceberg, dato che vi lavorano tutto l’anno centinaia di migliaia di persone. Ma tutto questo rischia adesso di tramontare, sempre per colpa del Covid, lasciando molti senza occupazione e generando un danno incalcolabile anche sotto il profilo sociale e culturale. Le feste patronali sono ferme, e le poche che si svolgeranno tra luglio e agosto avranno giusto le sembianze del loro aspetto classico.
Il regista di Atto di fede, già passato per il Torino Film Festival, è Vittorio Antonacci, un trentenne che certi usi e costumi immarcescibili li conosce bene, essendo nato a Taranto. “La festa patronale è comunitaria, coinvolge tutti oltre le singole volontà; è quasi meglio della vittoria ai Mondiali, forse perché si replica ogni anno e sai che la ritrovi, e si nutre d’attesa. L’entusiasmo che si scatena m’ha sempre coinvolto e stimolato, e così siamo partiti al seguito di una banda da giro per viverla da un’altra prospettiva. Sfondando la facciata e guardando dietro l’immagine”.
Il suo doc è il ritratto minimalistico di un Mezzogiorno d’Italia eterno in cui l’evocazione dei santi o di Maria è un pretesto per connettersi e riconnettersi dal vivo, per non perdersi né arrendersi alla globalizzazione.
I protagonisti viaggiano insieme in pullman, di borgo in borgo; dormono dove capita, in camerate maschili improvvisate all’interno di aule scolastiche vuote. Stiamo, e senza squilli di tromba, nel dietro le quinte della grande festa. Ecco le brandine, le canottiere e i torsi nudi alla buona, i parroci che azionano le campane digitalizzate della parrocchia. Ecco la consacrazione alle icone religiose a chilometro zero, ai simboli cattolici universali, e soprattutto una dichiarazione d’amore alla propria terra.
Una passione innata, come ci racconta Davide Abbinante, 34 anni, capobanda di Conturband, la prima streetband del sud Italia: “La banda è l’emblema della festa patronale, è quell’elemento insostituibile che dispensa gioia, emozioni e armonia a tutto il paese. Il suo passaggio risveglia tutti, grandi e bambini, e ci ricorda che il grande giorno è arrivato”. Non si intravvedono smartphone nel documentario, e i ragazzini non scattano selfie ma suonano la fisarmonica. Alla gloria e alla web reputation, preferiscono un atto di fede. Epidemie permettendo.