Imedici del Cairo si sono radunati a qualche centinaia di metri dalla piazza Tahrir lo scorso 27 giugno, circondati da decine di agenti delle forze dell’ordine. La conferenza stampa del sindacato che doveva essere trasmessa in diretta Facebook è stata annullata, ufficialmente per “motivi tecnici”. Ma “il vero motivo è stato politico”, ci ha detto un sindacalista. Quel giorno un medico del delta del Nilo, Mohamed Fawal, è stato arrestato per “appartenenza a un gruppo illegale” e “diffusione di notizie false”. Tre giorni prima, Fawal aveva duramente criticato il primo ministro egiziano, Moustafa Madbouli, per il quale se l’epidemia di Covid-19 continua a crescere in modo esponenziale in Egitto, dove il virus ha ucciso almeno 3.300 persone, è per colpa dell’assenteismo dei medici. “Ci insulta accusandoci di contagiare e di uccidere le persone! Il governo ha fallito e sta cercando di scaricare su altri le sue responsabilità. Nelle ultime settimane – dice Khaled Samir, docente di medicina -, gli ospedali sono stati sommersi dai pazienti. Ma il governo sostiene che gli ospedali sono occupati solo al 23% e rifiuta di aprire delle strutture da campo”. Samir è medico chirurgo all’ospedale Aïn Chams del Cairo occupato al 90% da pazienti malati di Covid-19. Dopo le parole del primo ministro, il sindacato dei medici ha chiesto al governo delle scuse pubbliche ricordando “l’eroismo e i sacrifici” dei camici bianchi. Da settimane il profilo Facebook del sindacato si è trasformato in necrologio. Ogni giorno vi compaiono nuovi volti su sfondo scuro con la scritta “martire”. Da marzo, almeno 106 operatori sanitari sono morti di Covid-19 e più di 900 sono stati contagiati, secondo il sindacato. Il ministero della Salute rifiuta da due mesi di rivelare il numero reale delle vittime. Ufficialmente i medici e gli infermieri morti di Covid-19 sono solo undici. In Egitto, dove si pensava che l’epidemia non sarebbe arrivata per via dell’età media molto bassa della popolazione (il 60% ha meno di 30 anni), l’elevato numero di morti tra gli operatori sanitari, vicino a quello registrato in Italia (dove sono morti circa 200 sanitari), è diventato un segnale d’allarme. Il pediatra Mohamed Hashad, morto a 35 anni a giugno, è diventato il simbolo dell’abnegazione di un’intera professione.
Pochi giorni prima della sua morte, un collega lo aveva fotografato mentre saliva le scale dell’ospedale portando a mano un’enorme bombola di ossigeno. “Ho paura di morire, ma è mio dovere lavorare e non conosco nessun medico che ha smesso di lavorare, contrariamente a quanto sostiene il governo”, osserva un medico generico, che ci dice di essere remunerato 150 euro al mese. “Non vedo più la mia famiglia e non parlo più ai vicini per evitare di contaminarli”, aggiunge il giovane dottore, sulla trentina, che si è messo in isolamento di sua iniziativa per quattordici giorni dopo aver sviluppato i sintomi del Covid. Ma, avendo solo febbre e tosse, non può sottoporsi al tampone, riservato ai casi più gravi. I medici egiziani denunciano in tutto il paese la carenza di mascherine e di tute. Il governo, che in un primo tempo ha promesso loro dei compensi bonus, è passato alle minacce. Il sito di informazione al Manassa ha rivelato che un responsabile del ministero della Salute ha minacciato di portare davanti al tribunale militare i medici che osavano protestare. È stato inoltre ordinato a tutti i medici, indipendentemente dalla loro specializzazione, di farsi carico dei pazienti Covid e di rimandare a casa tutti gli altri. La capo redattrice di al Manassa è stata arrestata il 25 giugno scorso. Le minacce a parole si sono trasformate in atti. Da dati di Amnesty International, oltre al sindacalista fermato il 27 giugno, sono stati arrestati da marzo in Egitto sei medici e due farmacisti. Il crimine commesso? Avere espresso timori e rabbia nel vedere l’esercito egiziano inviare casse di mascherine in Italia e negli Stati Uniti mentre non ce n’erano abbastanza per gli egiziani. Ormai, dall’elezione del maresciallo Abdel Fattah al-Sissi nel 2014, e col pretesto della lotta contro il terrorismo, la legge egiziana consente di mettere in prigione, senza processo, per “attacco alla sicurezza nazionale” chiunque si mostri critico nei confronti del governo. Un membro del comitato dei giovani medici è “scomparso” per una settimana, sequestrato dalle forze di sicurezza. Un clima di paura si è instaurato negli ospedali dove, secondo i sindacati, la pressione e le sanzioni disciplinari sono in aumento.
“Molti operatori sanitari preferiscono pagare di tasca propria i dispositivi personali di protezione per evitare di essere sanzionati. Ci costringono a scegliere tra la prigione e la morte”, denuncia un membro del sindacato dei medici nel rapporto di Amnesty. I medici dell’ospedale Mounira, al Cairo, volevano cominciare a fare sciopero dopo la morte di un collega di 32 anni. Per dissuaderli sono intervenuti degli agenti della polizia politica. I media asserviti al potere hanno inoltre accusato i medici ribelli di appartenere al movimento dei Fratelli Musulmani, un’organizzazione classificata come terrorista dal ritorno dei militari al potere. Secondo i bollettini ufficiali, quasi 74 mila persone sarebbero state contagiate dall’inizio dell’epidemia in Egitto. Ma i numeri sono molto al di sotto della realtà anche per il ministro egiziano dell’Istruzione superiore, Khalid Abdul Ghaffar, per il quale il numero effettivo di contagi deve essere tra cinque e dieci volte superiore. All’ospedale Bakri del Cairo, una delle 440 strutture del paese autorizzate a ricevere pazienti malati di Covid-19, i tamponi si fanno col contagocce. “La metà dei pazienti che muoiono con i sintomi del nuovo coronavirus non vengono conteggiati. Con molti infermieri ammalati, anche i laboratori di analisi sono a corto di personale, i tamponi effettuati sono pochissimi e ci vuole quasi una settimana per ricevere i risultati”, spiega il ginecologo Hamada al-Jiouchi. L’afflusso di pazienti negli ospedali è cresciuto da fine maggio. Da un giorno all’altro il governo ha decretato che quasi tutti gli ospedali pubblici del paese avrebbero ormai dovuto farsi carico dei pazienti Covid, fino a quel momento inviati solo in alcune cliniche specializzate. Ma questi centri, mal preparati e spesso reticenti ad accogliere questi malati, si sono trasformati in focolai e nel giro di poco tempo erano già saturi. “È una catastrofe sanitaria. Ogni giorno 500 malati si presentano in ospedale, ma noi possiamo ricoverarne massimo una decina, se sono abbastanza fortunati da arrivare quando si liberano dei letti”, aggiunge il medico. Un giorno, racconta, si è trovato a dover trasferire d’urgenza una donna che aveva appena partorito per non farle incrociare i malati in fila che tossivano. “Il 70% del personale medico è contagiato. Dal momento che non ci sono abbastanza letti per tutti, alcuni pazienti tentano di corromperci”, dice Mariam (nome di fantasia), un’infermiera dell’ospedale copto del Cairo. Intanto su Facebook si moltiplicano le richieste di aiuto. Una dottoressa disperata di Assuan ha scritto di essere stata costretta a “scegliere” quali pazienti salvare a causa della carenza di respiratori. Nonostante il numero dei contagi sia in aumento, il governo, per paura di una crisi economica ancora più devastante, ha deciso di allentare il coprifuoco e di far ripartire molti settori dell’economia. Caffè, ristoranti, cinema e luoghi di culto sono stati parzialmente riaperti. Un sollievo per migliaia di lavoratori sprofondati nella miseria dal lockdown. “Lo Stato dovrebbe trasformare scuole, moschee, campus universitari in ospedali da campo per poter assorbire tutti i pazienti”, propone Hamada al-Jiouchi, diplomato alla facoltà islamica dell’università Al-Azhar. Ma le autorità restano sorde alle critiche e ai consigli dei medici e si mostrano anzi soddisfatte. Stando all’ufficio stampa del governo egiziano, sentito dall’agenzia Reuters, la gestione della crisi sanitaria in Egitto è “una delle migliori al mondo”.
(Traduzione Luana De Micco)