Quando si dice che qualcosa è storico, di solito è una boiata. Però qui bisogna essere franchi e dire che davvero il Sanremo 2022 mette in fila un record dietro l’altro. La seconda serata, tradizionale bestia nera del Festival per il cosiddetto calo fisiologico, ha superato la prima sia in termini assoluti che di share: oltre 11 milioni di spettatori per l’astronomica cifra media di 55, 8%. La musica è la musa e la gara serrata ha appassionato un pubblico vario, partecipe e complessivamente ringiovanito nella RaiUno dei nonni. Non senza compiacimento il direttore della rete ammiraglia Stefano Coletta sottolinea il 62% di share sul pubblico dei laureati e “il picco nelle donne 15-24 anni che arrivano al 76%, record di sempre”. Giovani, carini e laureati. E allora si capisce anche la scelta di avere ieri sul palco Roberto Saviano, che ha ricordato i trent’anni della doppia strage dei giudici Falcone e Borsellino, coraggiosi non solo perché rischiavano la vita ma anche perché mentre combattevano la mafia si dovevano difendere anche da gli attacchi di poteri opachi: “La politica, in Italia e in Europa, non è abbastanza vigile sulle organizzazioni criminali”, nonostante il secondo insediamento di un Capo dello Stato, Sergio Mattarella, che porta nella storia di famiglia il dolore della lotta alla mafia. Ieri è stato salutato con un enfatico “Sei grande grande grande” di Mina in apertura di serata: Amadeus ha ricordato la presenza del presidente e del fratello Piersanti all’ultimo concerto di Mina, alla Bussola di Viareggio nel 1978.
Chi non sceglie è complice, e per dimostrarlo Saviano ha portato all’Ariston la storia di Rita Atria, figlia di mafiosi che aveva scelto di collaborare con la giustizia. Dopo l’omicidio di Borsellino, a cui aveva raccontato ciò che sapeva, si suicidò: aveva 17 anni, ma sapeva da che parte stare. Il mix di riflessione e spensieratezza è una delle chiavi di un successo che qui di seguito proviamo a spiegare.
Se piangi, se ridi. È un Festival di lacrime sul viso. Dal vecchio leone Gianni Morandi al pischello Damiano si sono commossi in tanti. La pressione del palco? Forse più la voglia di uscire, cantare, ballare dopo anni di bollettini di guerra. Il dosaggio di musica e parole ha funzionato. Fiorello ha incarnato benissimo il passaggio di testimone tra l’edizione a porte chiuse e quella della rinascita: il pezzo più riuscito non a caso è stato il medley di brani tristi ricantati con Amadeus su basi scanzonate. Checco Zalone non si è tirato indietro: ha fatto ridere e incazzare, al suo solito. La favola trans era un po’ troppo zeppa di luoghi comuni, mentre ha stravinto con il trapper viziato di “Poco ricco” e il “cugino” di Al Bano, virologo morto di fama.
Non sono una signora. Ieri sera Drusilla Foer ha dato una bella lezione di signorilità, del resto è una nobildonna e funziona anche travestita da Zorro. Già al mattino in conferenza stampa il cambio di registro si è capito appena ha aperto bocca: “Sono un soggettino che si mette a disposizione del dubbio”. Qualità che le ha permesso di non cadere nella trappola della polemica con Zalone: “Checco ha fatto un’operazione molto forte. Trovo che sia irrorata di civiltà una televisione di Stato che permetta a un artista di smuovere le acque”. Certo è singolare che finora la migliore signora, per talento e capacità di tenere il palco, sia una donna en travesti: Ornella Muti ha camminato per un’intera serata sul vuoto cosmico e la giovane Lorena Cesarini, pur con le migliori intenzioni di un monologo sacrosantamente contro il razzismo, non era all’altezza.
Non m’Ama? M’Ama! Amadeus si prende tutti i meriti perché li ha. È venuto qui per la terza volta con la ferma intenzione di recuperare l’anno sfigatissimo del Festival blindato dal Covid, e ce l’ha fatta alla grande. Grazie alla musica, perché ha indovinato il mix di generi e generazioni, e a una buona dose di umiltà, perché ha imparato dagli errori. Il quater è quasi scontato, non se ne parla ma è ovviamente nell’aria. Anche perché chi se lo prende il testimone del Sanremo migliore degli ultimi lustri, con la certezza quasi matematica di andare a sbattere?
Rottamazione in corso.Di sicuro, il cast è stato costruito con la perizia certosina di un orologiaio. Il mix di cantanti di diverse ere geologiche ha consentito (di nuovo) ad Ama di rispettare la quota gerontofila tanto cara a Raiuno, rimpinzando la gara di campioni dell’età di mezzo e di novizi della generazione zeta. E anche se Rai1 procede spedita verso la missione di “ringiovanimento” del proprio bacino di utenza, il ticket per i bisnonni è stato assicurato da un ansimante Morandi (il perfido Jovanotti lo ha fatto correre, tra parole e ritmi, come un Blues Brother), un Ranieri insolitamente aggrappato alla zattera della sua vocalità annegata nella piena orchestrale, una Zanicchi con ambizioni narrative da granny youporn. La vittoria sembra essere una partita a due tra Mahmood&Blanco (ballad fluida già oltre ogni record milionario di streaming su Spotify) e la grazia incantata, disneyanamente sublime, di Elisa. Outsider da podio Emma e le sue rivendicazioni en rose, la dance-fanfara da black bloc de La Rappresentante di Lista, la smagatezza da ballo ultrapop di Dargen D’Amico, l’impertinenza da cattive ragazze di Rettore & Ditonellapiaga. Quanto ai beniamini adolescenziali, per Tananai si riapre l’era del precariato, settore lavori socialmente utili. Ana Mena può aspirare, legittimamente, a una crociera sul Costa Toscana.