Fascismo È l’acqua in cui sguazzano la sora Meloni e i suoi Fratelli d’Italia

Altro giro, altra corsa, altro esponente di Fratelli d’Italia che inneggia al Ventennio, altre polemiche, altre gustose minimizzazioni, altri articoli sui giornali, sui siti, altri appelli, pensosi corsivi e sacrosante prese per il culo. La questione Meloni-nostalgici fascisti si configura ormai come la storiella del criceto e della ruota: non passa giorno che non ci sia un caso di apologia del fascismo a opera di qualche fratellino d’Italia (o lista collegata), e la competizione più entusiasmante all’interno del partito è aperta: si vedrà a fine campionato se la corrente maggioritaria sarà quella di chi si veste da SS o quella degli arrestati per ’ndrangheta, una bella gara.

Si è detto in lungo e in largo del consigliere comunale di Nimis (Udine) vestito da nazista, tal Gabrio Vaccarin, che nessuno aveva mai sentito nominare finché non hanno cominciato a girare foto in cui compare impettito davanti a un ritratto di Hitler, agghindato come per dirigere un campo di sterminio, croce di ferro inclusa.

Meno scalpore, per distrazione dei media, ha fatto il manifesto elettorale di tal Gimmi Cangiano, candidato in Campania per la sora Meloni, che non solo ha messo lo slogan “Me ne frego” sui suoi cartelloni elettorali, ma ci ha pure scritto sotto: “La più alta espressione di libertà”. Non fa una piega, quanto a espressione di libertà. Certo, poteva scegliere altri slogan, per esempio “Cago sul marciapiede”, che anche quella, ammetterete, è un’alta espressione di libertà, come anche “Taglio le gomme alle macchine in sosta”, o “Butto in mare l’olio esausto della mia fabbrichetta”, che sottolinea l’insofferenza del cittadino martoriato dalla burocrazia e dalle costrizioni della legge.

Mi fermo qui con gli esempi perché per correttezza giornalistica dovrei elencare anche le difese puntuali e articolate che ogni volta gli esponenti di FdI devono inventarsi per giustificare o minimizzare: una volta “non è iscritto”, un’altra volta “è una ragazzata”, oppure “è stata una leggerezza” o ancora “era carnevale”. Insomma, per dirla con la lingua loro, otto milioni di piroette per allontanare da sé i sospetti di fascismo, preoccupazione un po’ inutile visto che tre indizi fanno una prova, dieci indizi fanno una certezza e dopo cento indizi dovrebbero intervenire i partigiani del Cln con lo schioppo. Ma sia: per farsi perdonare e allontanare i sospetti, la Meloni candida alla presidenza della regione Marche un suo deputato, tal Francesco Acquaroli, noto alle cronache soprattutto per una cena celebrativa della marcia su Roma (Acquasanta Terme, 28 ottobre 2019). Sul menù, accanto al timballo e allo spallino di vitello al tartufo campeggiavano nell’ordine: un fascio littorio, un’aquila con la scritta “Per l’onore dell’Italia”, il motto “Dio, patria e famiglia”, una foto del duce volitivo e machissimo con la frase “Camminare, costruire e se necessario combattere e vincere”. Si vede che non era necessario, perché persero malamente e il celebrato Mascellone camminava sì, ma verso la Svizzera vestito da soldato tedesco, bella figura.

Fa bene Gad Lerner (su questo giornale) a chiedere alla sora Meloni di dissociarsi una volta per tutte dalla retorica fascista dei suoi eletti e dei suoi militanti, ma dubito che succederà: quella retorica, un po’ grottesca e molto ignorante, risibile e feroce, è l’acqua in cui nuota Fratelli d’Italia, gli slogan fascisti e i vestiti da gerarchi sono il plancton di cui si nutre, e non si è mai visto un pesce svuotarsi l’acquario da solo. Bisognerebbe aiutarlo come l’altra volta, settantantacinque anni fa.

 

Le favolette di Renzi sul maggioritario

Ci avrei scommesso: alle solite, Renzi si rimangia l’impegno sottoscritto sulla legge elettorale che fu tra i capisaldi dell’accordo dal quale sortì il Conte 2. Cioè il governo da lui patrocinato con un coup de théâtre, per poi tenerlo in sacco sin dal primo giorno.

Come sorprendersi? Conosciamo l’uomo: inaffidabile, spregiudicato, capace di tutto. Trattasi di un copione prevedibile. Ma ciò che più infastidisce è l’ipocrisia, la sua offesa alla nostra intelligenza. Lui si racconta come l’uomo del maggioritario, quello del sindaco d’Italia, quello che vuole conoscere il vincitore la sera stessa delle elezioni. Potremmo persino comprendere se, in un raro soprassalto di onestà, dicesse apertamente che si è rimangiato la parola data per la più evidente delle ragioni: la soglia del 5 per cento è inarrivabile per la sua Italia Viva e lui vuole assicurare al suo partitino personale una stentata sopravvivenza. Del resto, chi mai lo avrebbe seguito e tuttora lo seguirebbe, nella pattuglia di transfughi sottratta agli altri partiti, se non facesse intravedere loro una sopravvivenza politica? Neppure osiamo pretendere che riconoscesse due palesi corollari della sua giravolta: la garanzia che, senza una legge elettorale raccordata con il taglio dei parlamentari, non si precipiti verso elezioni per lui letali; e un regalo fatto a Salvini notoriamente contro-interessato a cambiare la legge elettorale. Ma almeno ci risparmiasse la risibile favola della sua coerenza con la democrazia maggioritaria.

Anche io sarei per il maggioritario, ma sono ben consapevole che la bontà o meno delle leggi elettorali si misura e si decide in relazione al contesto politico cui esse sono destinate ad applicarsi. Altro era il tempo dell’Ulivo, iscritto nel quadro di una democrazia maggioritaria e di un incipiente bipolarismo. Renzi, strumentalmente, evoca Prodi e Veltroni, per cultura schierati per soluzioni maggioritarie. Ma quella stagione è alle nostre spalle. Anche grazie a lui. A produrla non fu solo una regola elettorale maggioritaria (per tre quarti, il Mattarellum), ma anche e soprattutto la politica e i suoi attori a sinistra, dotati di una visione. A fronte di Berlusconi, con la sua forza aggregante il campo della destra, vi fu chi si impegnò a organizzare unitariamente il centrosinistra, a non rassegnarsi al destino di un’eterna sconfitta. Gli si diede il nome e il simbolo dell’Ulivo: un progetto politico di respiro, pensato dai Prodi e dagli Andreatta, imperniato su tre elementi: 1) la convinzione che anche l’Italia, il Paese della democrazia incompiuta, finalmente, avesse il diritto di sperimentare la fisiologica alternanza caratteristica di tutte le democrazie sane e mature; 2) che, a questo fine, si dovesse semplificare il frammentato campo del centrosinistra non forzando verso il “partito unico” incongruo per la nostra storia, ma, questo sì, favorendo il coagulo di alleanze imperniate su un major party, un grande partito a vocazione coalizionale; 3) la consapevolezza che un’impresa di tale portata esigesse una leadership non divisiva e altresì consapevole che le culture politiche non possono essere… rottamate.

Bene. Renzi ha dato un decisivo contributo ad affossare tutti quegli elementi: prima con la velleità del partito della nazione, che è l’opposto del bipolarismo e della democrazia competitiva; poi con un esercizio della leadership personalistico e sommamente divisivo (il rovescio di Prodi); a seguire portando il partito da lui guidato a una misura (il 18 per cento) che ne comprometteva la vocazione maggioritaria; infine applicandosi a ferire a morte quello che fu il suo partito – il solo che poteva aspirare al ruolo di major party nel centrosinistra – e facendosi un partitino tutto suo che sta un po’ di qua e un po’ di là.

Una visione, si diceva: nel caso di Renzi, la visione di se stesso. Come non bastasse, ora si applica a far perdere quel fronte nelle prossime Regionali. Cioè l’esatto opposto di quel progetto, del quale almeno due elementi, tra loro connessi, erano chiarissimi: partiti grandi e non micropartiti personali e alleanze politiche strategiche quali fattori di stabilità di governi che si vorrebbero di legislatura. Oggi Renzi, con i suoi distinguo strumentali, ogni santo giorno mette in fibrillazione la maggioranza. Non si potrebbe dire meglio di Calenda: Renzi è un Mastella che si atteggia a Obama. Come può darci a credere che lui è per una legge elettorale maggioritaria per nobili ragioni di principio? Ma davvero ci prende per fessi?

 

L’auto-necrologio di B: “Addio nemici: morirete pure voi. Senza mausoleo”

Il necrologio che Berlusconi si è scritto da solo. Se Silvio Berlusconi, un giorno, morirà, il suo avvocato Niccolò Ghedini ha l’incarico di diffondere il testo di un necrologio che Berlusconi si è scritto da solo, ispirato dall’esempio nobile di Ennio Morricone. Eccolo. “Io, Silvio Berlusconi, sono morto. Lo annuncio così a tutti gli italiani che mi sono stati sempre vicino e anche a quelli un po’ lontani che saluto con grande affetto. Impossibile nominarvi tutti! C’è una sola ragione che mi spinge a salutarvi così: non voglio disturbare. Saluto con tanto amore i miei figli, che hanno condiviso con me gran parte delle mie avventure. Voglio ricordare con amore le Olgettine. Spero che comprendano quanto mi sono costate. Per ultima la Fininvest (ma non ultima). A lei rinnovo l’amore straordinario che ci ha tenuto insieme e che mi dispiace abbandonare. A lei il più doloroso addio. Ma un ricordo particolare va a Marcello, Cesare, Fedele e Gianni, gli amici fraterni per i quali è pronto da anni un loculo personale nel mausoleo con simbologia massonica disegnato da Cascella che ho edificato nel parco di villa San Martino, dove saremo ibernati in attesa che il progresso medico ci faccia risorgere. Edificare è stata la missione della mia vita fruttuosa, e il mio motto. Berlusconi? È di fica re. Il pensiero finale è per i miei nemici: morirete anche voi. Ma senza mausoleo. Ah ah ah ah ah. Sipario”.

Italiani. Un ragazzino dice al padre che un compagno gli ha rubato la biro. Il padre gliene dà un’altra. Il giorno dopo, il furto si ripete, e il padre gliene dà un’altra ancora. Quando il compagno gliene ha fregate una dozzina, il padre del ragazzino va dal padre di quell’altro e gli dice: “Senta, questa storia deve finire. Non è per il valore materiale della biro, in ufficio ne prendo quante ne voglio, ma è per il principio”.

Quando si trascorrono le vacanze estive in Alto Adige, e si amano le passeggiate nei boschi, si studiano con vero godimento le carte geografiche ufficiali delle valli, che, sotto forma di plastificati cartelli policromi, illustrati in modo eccelso e perfettamente esplicativi, adornano gli ingressi e le vie dei gentili paesini sudtirolesi. Purtroppo, da qualche anno, qualche formazione politica locale non identificata appone, in un angolo di questa segnaletica, un quadratino propagandistico poliglotta (tedesco, italiano, inglese) che è stato studiato per confondersi, graficamente, col resto, in modo da diventare un tutt’uno con le indicazioni istituzionali, e abusare della loro autorevolezza. Il breve testo, non firmato, denuncia un “crimine culturale”: la toponomastica di paesi, montagne, fiumi ecc. italianizzati dal fascismo; e si conclude con questo paragrafo farneticante e sedizioso: “I governi democratici della Repubblica italiana non si sono mai scusati per questo delitto, né l’hanno mai compensato!”. Non credo che gli autori (“noi cittadini tirolesi ed europei”, come fossero legittimati a parlare per tutti), non credo che gli autori furbacchioni di quegli adesivi ignorino i privilegi, finanziari e legislativi, di cui godono le Regioni a statuto speciale. Per cui, ogni volta che mi imbatto in una di queste decalcomanie, faccio una bella cosa. Io. La. Rimuovo. Sul super-pedaggio della Modena-Brennero, invece, non posso fare nulla. Io. Ô la belle vie / Sans amour / Sans soucis / Sans problème…

 

Mail box

 

 

Preoccupano le lunghe attese a Tor Vergata

Buongiorno, ho letto l’articolo, relativo al reparto di Cardiologia del Pol. Tor Vergata, che mi ha sconcertato. Anch’io sono in lista d’attesa per una coronarografia, avendo due by-pass eseguiti nel 2014 presso il PTV, e desideravo avere la loro consulenza e controllo. Avevo già notato delle difficoltà per fare degli esami, ma ora si sono chiariti i motivi. Spero di risolvere entro luglio o cercherò altre strade.

Enrico Carvelli

 

È meglio Al Sisi dei Fratelli Musulmani

Giusta la chiosa del commento di Rampoldi: “Aiutare in segreto le vittime a difendersi”, dovremmo avere lo stesso comportamento anche nei confronti dei turchi e curdi della Turchia. Incontro giornalmente due egiziani copti, dipendenti in un bar, in Italia da prima della presa di potere di Al Sisi. Sono istruiti e molto educati. Spesso mi sono mostrato dubbioso sulla “bontà” di Al Sisi, ma i due sono entrambi dalla sua parte. Nonché molti egiziani e nubiani incontrati a dicembre 2018 al Cairo. Propaganda? Sembra che i Fratelli Musulmani fossero veramente una maledizione, con Al Sisi i cristiani copti sono protetti e molti copti fanno parte della compagine governativa.

Silvio Di Giuseppe

 

Silvio incarna gli aspetti peggiori degli italiani

Sono decenni che ci si chiede chi sia Silvio Berlusconi e si sono versati fiumi d’inchiostro per rispondere, devo quindi ammettere di essere tediato dall’ennesima volta in cui ci è necessario ricordarlo. La risposta la conosciamo bene: è un fallito di successo, uno dei tanti malvissuti che, come i gangster, hanno comunque raggiunto il successo. Se siamo però costretti di nuovo a occuparci di lui, allora teniamo a mente che il problema non è mai dipeso da chi è. Più importante di questo penso sia il danno che le sue azioni hanno fatto all’Italia, cioè cosa B. sia, e offro la mia risposta: rappresenta e legittima quelli che sono forse gli aspetti peggiori degli italiani. In quanto padre di tutti i populismi, lui è semplificazione comunicativa, cioè quel meccanismo che riduce il discorso al banale e lo polarizza per impedire che sia costruttivo. Come politico, rappresenta la legittimazione di chi viola la legge, secondo l’idea libertaria e sovversiva che anche loro abbiano diritto alla stessa rappresentanza di chi non lo fa. Ma il peggio lo dà quando usa legittimazione e semplificazione sull’etica: dato che si è santi solo da morti, in vita si deve essere diavoli. Un’ideologia disgustosa che ha inquinato profondamente il Paese. Per affrontarlo dobbiamo ricordare che non siamo come lui, non siamo tutti diavoli. Il mondo è diviso in bastardi e persone che ogni giorno cercano disperatamente di non essere costrette a diventare bastarde, riuscendoci persino: gli onesti.

G. C.

 

La Lega non sa cosa sia il bene comune

Il centrodestra è sceso in piazza. L’indomita brigata Salvini, Meloni, Tajani, fra lo sfolgorante sventolio di tricolori, al grido insistito a paradossale di “libertà”, ha chiesto elezioni anticipate. Anche Silvio Berlusconi ritiene che la via maestra debba portare a nuove elezioni. In subordine reclama un governo di competenti (fra cui lui, Gasparri, Gelmini, Salvini, Meloni, e altri?) in grado di gestire la più grave crisi del dopoguerra. Nel caso si dovesse formare subito un governo di emergenza, il “Caimano” è stato chiaro, ha dettato le condizioni: “Devono essere assenti i Cinque Stelle, con noi del tutto incompatibili”. Lui, l’ex Cavaliere, invece, in anni e anni di potere, ha dimostrato, tra le altre cose, di essere totalmente incompatibile con l’idea di bene comune.

Marcello Buttazzo

 

Il Caimano al Colle? Non lo vogliamo

La televisione, quasi a reti unificate, sta trasmettendo lo scandalo sulla sentenza che ha condannato B. (il pentimento postumo, cioè, di un magistrato che ha dichiarato che la sentenza è stata pilotata). Non so se sia vero o falso, vedendo però il personaggio in questione con quel viso a salvadanaio, mi è tornata in mente la vicenda De Gregorio. Ma, ammesso che sia vero, B. si è dimenticato dei tanti reati commessi e prescritti, il che non significa non averli commessi: quante persone sono state condannate come Previti e Dell’Utri per averlo coperto; cosa ci faceva un boss della mafia come Mangano nella sua villa di Arcore? Fra non molto i suoi giornali ci diranno che Ruby era la nipote di Mubarak e la gente ci crederà, come alle cene eleganti al posto delle orge. Non sono un moralista, ognuno è libero di avere rapporti sessuali quanto crede, ma che i suoi giornali e i suoi sostenitori ci raccontino che il cavaliere era un uomo senza macchia condannato ingiustamente non lo sopporto. Alla fine, ci sta anche che lo eleggano Presidente della Repubblica, così l’Italia verrà ricordata dalla Storia anche per aver eletto un presidente puttaniere.

Carlo Giglioli

 

Leon insultato per aver dissentito civilmente

Tutta la mia solidarietà al piccolo/grande Leon, insultato per aver espresso il suo pensiero in maniera civile dagli scagnozzi del fascioleghista Salvini.

Filippo Garofalo

Concessioni Restano intoccabili i balneari (e i loro enormi introiti)

 

 

I continui avvicendamenti governativi hanno, tra i tanti effetti negativi, cancellato la memoria istituzionale. Leggo su Il Fatto dell’esistenza di una lobby di bagnini potentissimi, capaci addirittura di mettere d’accordo le opposte fazioni di una politica litigiosa. Chi è concessionario balneare ricorderà che, dinanzi il dilemma “canone fisso o variabile in funzione del fatturato” il governo scelse a più riprese la formula “mista”. E così i bilanci delle aziende balneari vennero sì gravati di un canone fisso congruo (in affitto lo Stato concede una striscia di spiaggia che sempre più spesso siamo costretti a ripascire), e di una parte variabile, rappresentata dall’Iva al 22%: unica categoria turistica in campo nazionale ed europeo ad avere un’aliquota così alta (normalmente va dal 4 al 10%). Le strutture ricettive balneari sono le uniche a corrispondere la tassa di proprietà (Imu) sui beni ricevuti in affitto. Ecco che allora la lobby dei bagnini perde vigore in favore di altri potentati occulti. Quelli che vorrebbero appropriarsi del lavoro di trentamila famiglie di concessionari italiani per tutelare gli interessi di gruppi multinazionali o di chi ha facile accesso a capitali da ricollocare in mercato. Chissà dov’è finito il consenso che circonda le nostre imprese ogni volta che veniamo richiamati dalle istituzioni alle nostre responsabilità sociali, come dopo l’uragano Vaia (ottobre 2018). Così come, al termine del lockdown, con il nostro lavoro e senza lobby potenti, abbiamo lavorato per regalare lustro e prosperità a questo Paese.

Marco Buticchi – Concessionario balneare

 

Gentile Buticchi, non abbiamo mai scritto che quella dei bagnini è una lobby: a essere potentissimi, e in grado di mettere d’accordo tutti gli schieramenti politici, è quella degli stabilimenti balneari. A dimostrazione della tesi ci sono i fatti: nonostante anche la Ragioneria dello Stato abbia sollevato una “fortissima perplessità” in merito alla proroga al 2033 delle concessioni, ieri nel dl Rilancio sono stati stralciati solo i commi (cioé gli aiuti) che riguardano chi svolge queste attività in prossimità di laghi o fiumi e quelli dei pertinenziali che continueranno a subire una palese ingiustizia rispetto al pagamento di maxi canoni di locazione. Insomma, restano enormi introiti per i proprietari dei lidi, spese sempre più alte per gli utenti e briciole per lo Stato. Senza considerare l’evasione.

Patrizia De Rubertis

Il mercato degli “scoop” vende uova di dinosauro

All’improvviso tutti i nipoti di Mubarak sono usciti dal letargo, in nome dei vecchi tempi. “Clamoroso: Berlusconi innocente!”, “Pazzesco, la sentenza era truccata!”. “Orribile, il magistrato odiava Silvio!”. E l’ottimo Nicola Porro, che è sempre più contento di essere Nicola Porro, ha estratto dal cassetto i “Video verità”, dove due camerieri e un bagnino di un certo hotel di Ischia di proprietà del senatore di Forza Italia De Siano, giurano di avere sentito Antonio Esposito il magistrato che nel 2013 condannò Silvio, insultarlo, chiamarlo numerose volte “chiavica”, “buffone”, “bugiardo”. Quando? Tra il 2007 e il 2010. Il video scoop di Porro si aggiunge al nastro scoop di Berlusconi, dove un altro magistrato di Cassazione, tale Amedeo Franco, dice che firmò la condanna pur essendo convinto della sua innocenza. Il bello di queste rivelazioni è che sono state covate come le uova dei dinosauri, 10 anni per i camerieri, che ove mai mentissero sarebbero prescritti, 7 anni per il magistrato Franco, purtroppo defunto. “Berlusconi come Tortora!” ha esclamato a fine scoop Alessandro Sallusti, senza vergognarsi, proprio come ai bei tempi, quando anche il grande Emilio Fede cantava nel coro.

L’ostacolo è il “Clero” burocratico

La burocrazia è la maggiore azienda del Paese, impiega un italiano che lavora su cinque. Una massa di dipendenti in media vecchi (51 anni), mal pagati e professionalmente dequalificati (il 60 per cento senza laurea). Io sono il potere, le confessioni di un capo di gabinetto raccolte da Giuseppe Salvaggiulo è un libro illuminante sul perché si può semplificare la burocrazia quanto si vuole (come cerca di fare il governo Conte), ma se non si semplificano i burocrati è fatica sprecata. È una piramide di potere al cui vertice siedono appunto i capi di gabinetto (“i politici passano noi restiamo”). Un clero dominante i cui santuari sono Tar, Consiglio di Stato, Corte dei Conti, Avvocatura dello Stato, Anac. Che infatti davanti al progetto illustrato dal premier per rendere più rapide ed efficienti le procedure di assegnazione delle opere e degli appalti hanno fatto trapelare il loro dissenso, paventando illegalità, corruzione, sperpero del pubblico denaro. Ragioni più o meno fondate che non cancellano la sensazione di un meccanismo di autodifesa corporativa: se i chierici non servono più la messa, a cosa servono? Certo, come spiega l’autore, si tratta di un potere iniziatico che attraverso il pieno controllo della fabbrica delle leggi muove i fili delle decisioni politiche che la politica subisce, pur vantandone il merito. Proviamo a immaginare questo gigantesco agglomerato di poltrone che discende per li rami in tutte le istituzioni della Repubblica, dalla Capitale fino al più sperduto comune. Uno sterminato esercito di vassalli, valvassori e valvassini impegnato quotidianamente ad esercitare sui cittadini una sovranità che spesso si manifesta come potere d’interdizione (le leggi si applicano ai nemici e s’interpretano per gli amici, diceva Giovanni Giolitti). È pensabile che i sacerdoti di questa liturgia, rinuncino da un giorno all’altro alla discrezionalità di quel timbro che può dividere i salvati dai sommersi? “Noi non siamo rottamabili”, sostiene il suggeritore di Salvaggiulo. “Chi ha provato a fare a meno di noi è durato poco. E si è fatto male”. Giuseppe Conte prenda nota.

Il negazionista Brasile, Bolsonaro ammette: “Ho il virus”

L’ultimo suo atto da “presunto sano” è stato vietare l’uso della mascherina nelle carceri, imposto da una legge approvata dal Parlamento brasiliano per contenere i contagi in un Paese che è secondo al Mondo per diffusione dell’epidemia – quasi 1.650.000 casi – e numero dei decessi – almeno 66 mila –. Dietro gli Stati Uniti di un altro leader ostile alla mascherina, Donald Trump. Le carceri brasiliane ospitano oltre 700 mila detenuti, spesso in condizioni di sovraffollamento e carenza di igiene. Il presidente Jair Messias Bolsonaro aveva già opposto altri 17 veti alla legge, revocando l’obbligo delle mascherine dentro chiese, scuole e negozi.

Ieri Bolsonaro, il “negazionista dei negazionisti”, più radicale e pervicace di Trump nel derubricare a “influenza” il coronavirus, s’è scoperto malato: febbre a 38, dolori muscolari e una saturazione d’ossigeno nel sangue pari al 96% – “ma i polmoni sono puliti”, ha detto ai giornalisti, togliendosi la mascherina per spiegarsi meglio. I test in un ospedale di Brasilia hanno confermato la diagnosi iniziale: il presidente è positivo. L’ex militare, 65 anni, ha subito seguito i consigli del “dottor Trump”: prende l’idrossiclorochina, farmaco per la malaria di cui il magnate presidente vanta i meriti, tra lo scetticismo dei medici.

Impegni e incontri per il resto della settimana sono stati annullati. Bolsonaro aveva già fatto il test, negativo, a marzo, dopo una visita negli Usa, al cui ritorno oltre 20 membri del suo staff erano risultati positivi. Una settimana fa, il presidente aveva ipotizzato d’essere malato, pur senza sintomi, ma aveva ribadito d’essere contrario al lockdown e a misure restrittive dando la priorità alla ripresa dell’economia.

L’ambasciatore Usa in Brasile, Todd Chapman, sabato 4 luglio aveva avuto ospite Bolsonaro per la festa nazionale: una foto di gruppo con il ministro degli Esteri Ernesto Araujo li ritrae abbracciati e, ovviamente, senza mascherine.

Senza limiti l’ironia sul web, dove #forcacovid, forza Covid, è l’hashtag dominante. Bolsonaro, già oggetto di critiche per il suo atteggiamento negazionista, rischia politicamente l’impeachment, che in Brasile va di moda – tutti gli ultimi presidenti ne sono stati colpiti.

Il virus rientra dal Bangladesh Intercettati 77 casi a Fiumicino

Una “bomba virale” disinnescata grazie a una forzatura nei controlli a Fiumicino. Su un solo aereo, proveniente dal Bangladesh, c’erano almeno 36 positivi al Sars-Cov-2 su 270 passeggeri. Tanto che ora il ministro della Salute, Roberto Speranza, è stato costretto a disporre la cancellazione, per una settimana, di tutti i voli provenienti dal paese asiatico. Mentre a Roma, che ospita la più grande comunità bangladese d’Europa – circa 36.000 persone ne fanno la quarta città del Bangladesh – è già partita una maxi-indagine epidemiologica ed è stata “sconsigliata”, di concerto con gli imam locali, la preghiera islamica del venerdì.

Erano giorni che l’assessore alla Sanità del Lazio Alessio D’Amato, lanciava appelli per evidenziare il “pericolo” bangladese. Le prime avvisaglie erano arrivate dal mini-focolaio registrato in due ristoranti di Fiumicino, dove lavoravano i coinquilini di due persone rientrate da Dacca. Il Bangladesh è in questo momento uno dei paesi più colpiti al mondo dal Covid.

“Negli ultimi 15 giorni abbiamo censito 77 persone positive legate a voli provenienti dalla capitale del paese asiatico”, spiegano dall’unità di crisi regionale. Eppure le autorità nazionali hanno tentennato. C’è voluta un’ordinanza, firmata in extremis lunedì dal governatore Nicola Zingaretti, che ha consentito il giorno stesso al personale della task force regionale di recarsi al “Da Vinci” per bloccare e testare tutti i passeggeri provenienti da Dacca. Una volta giunti i risultati dei test, è arrivata anche la presa d’atto del ministro Speranza, con la stretta (temporanea) sui voli dal Bangladesh: “In accordo con il ministro degli Esteri Luigi Di Maio – si legge nella nota – è stata disposta una sospensione valida per una settimana durante la quale si lavorerà a nuove misure cautelative per gli arrivi extra Schengen ed extra Ue”.

Ma aver disinnescato la “bomba” non basta. La città di Roma ospita il 25% dei migranti bangladesi in Italia. Circa 36.000 persone, di cui circa 16.000 sono “stagionali” e sono proprio coloro che stanno rientrando in Italia in questo periodo. Ieri in Regione Lazio c’è stata una riunione alla presenza dei più importanti esponenti della comunità bangladese a Roma e dell’imam della moschea di Centocelle. Nel quadrante prenestino-casilino è concentrata la gran parte di queste persone, spesso in abitazioni già affollate.

La Asl Roma 2 ha realizzato drive-in per i tamponi alla clinica Santa Caterina delle Rose, a Largo Preneste, accompagnato nel week-end da punti mobili a Tor Pignattara e alla Marranella. Allo stesso tempo, la comunità utilizzerà i propri canali social per sensibilizzare le persone a effettuare il test sierologico. “C’e’ già stata un’adesione straordinaria”, affermano dalla Regione Lazio, che stima che verranno testate “almeno 10.000 persone”.

Le 36 persone positive provenienti da Dacca sono state trasferite al Covid Hospital di Casal Bernocchi, mentre gli altri svolgeranno la quarantena obbligatoria all’Hotel Hilton di Fiumicino. “Dobbiamo essere responsabili: mantenere la distanza e fare tamponi se siamo stati a contatto con connazionali rientrati dal Bangladesh”, l’appello di Mohamed Shah, presidente di ItalBangla.

Contenuti i focolai Covid: “Possibili piccole chiusure”

La strategia del contenimento immediato sta funzionando, i focolai si moltiplicano ma restano limitati. Così all’ospedale Infermi di Rimini, dove un paziente in dimissione dal reparto Post-acuti ne ha contagiati sette, tutti asintomatici, ma gli altri tamponi sono negativi. Così a Mantova dove ieri si è tornati a zero contagi dopo l’allarme nei mattatoi e nei salumifici. Così a Viareggio (Lucca) dove c’è stato un doppio cluster familiare di rientro dal Bangladesh: i 10 positivi sono stati messi in quarantena in alberghi sanitari appositamente attrezzati. Il governatore toscano Enrico Rossi ha firmato ieri un’ordinanza che generalizza questa procedura quando non è possibile limitare altrimenti i contatti, anche contro la volontà degli interessati, con apposite sanzioni amministrative (multe fino a 5.000 euro). Decideranno i sindaci.

Le frontiere preoccupano, non solo gli aerei dal Bangladesh bloccati ieri mattina dal ministro della Salute Roberto Speranza come riferiamo sotto. Non è stato ritenuto sufficiente il tampone al momento dello sbarco, dove comunque si continua a misurare la febbre ai passeggeri, perché dovrebbe per lo meno essere ripetuto a distanza di qualche giorno. È probabile che l’obbligo di quarantena per chi arriva in Italia da Paesi extra Schengen sia prorogato anche oltre il 14 luglio, quando scadrà l’ordinanza attualmente in vigore, ma Speranza osserverà l’evolversi dei dati epidemiologici giorno per giorno prima di decidere. E per il resto, se le situazioni che continuano a verificarsi in tutta Italia dovessero assumere caratteristiche differenti e più gravi, con una moltiplicazione dei contagi protratta su diversi giorni, il governo è pronto ad assumere provvedimenti per la chiusura di zone limitate, piccoli Comuni o porzioni di Comuni.

“Se si devono fare delle zone rosse ristrette si facciano, per scongiurare il pericolo. Bisogna agire con molta decisione su territori ristretti per evitare la diffusione”, ha spiegato due giorni fa il professor Giovanni Rezza, direttore della Prevenzione alla Salute, durante la presentazione del suo libro, Epidemie (Carocci). È già successo, per decisione della Regione Campania, a Mondragone (Caserta) dopo la scoperta del focolaio nelle palazzine ex Cirio abitate da cittadini bulgari: lì alla fine si sono contati 75 positivi, il sistema ha funzionato tanto che sono stati rintracciati anche coloro che si erano allontanati dalla zona pericolosa. Naturalmente provvedimenti analoghi possono essere sempre adottati anche dalle Regioni. A Palazzo Chigi come al ministero della Salute tutti si augurano che non siano necessari. Oggi, del resto, il servizio sanitario nazionale dimostra di saper reagire con tempestività ed efficacia inimmaginabili anche solo due mesi fa.