Dai Racconti apocrifi di Gian Dauli. A Parigi, tutti sapevano quanto il celebre pittore Jean Fouquet fosse geloso della giovane consorte, la bellissima Francesca Amboise, duchessa di Bretagna, nonché vedova di Pietro II, duca di Borgogna (morendo, disse che la lasciava pura come l’aveva ricevuta, l’ingenuo cornuto). Poiché si diceva pure che ne fosse perdutamente innamorato Maximilien de Clisson, barone di Pontchâteau, un guascone aitante e rapido di spada che era suo cugino, Fouquet, per proteggerla dalle insidie nefande, la faceva sorvegliare in sua assenza da clerici ottuagenari.
Maximilien, in effetti, pensava spesso al flessuoso, eccitante corpo nudo di Francesca, che da adolescente sbirciava spesso attraverso un buco di serratura, masturbandosi. Quando sarebbe stata finalmente sua? Per quanto tempo avrebbe dovuto accontentarsi di ammirarla da lontano, mentre passeggiava lungo il corso sottobraccio al marito pittore? Da bambino, giocando nel castello, aveva scoperto un tunnel segreto che portava alla stanza dei bagni, al pianterreno; ma come accordarsi con lei per l’agognato rendez-vous? L’occasione gli capitò il giorno in cui venne a sapere che il vecchio Padre Eusebio stava cercando un assistente per reggere il messale dei riti dell’Avvento. Sapeva che Francesca non sarebbe mancata; forse avrebbe potuto scambiare qualche parola con lei, nonostante la presenza del marito. Padre Eusebio fu sorpreso, ma felice, della proposta: “Non ho dimenticato le tue braccia vigorose, Maximilien. Da chierichetto nessuno riusciva a reggere il messale tanto a lungo quanto te”. E così, la prima domenica d’Avvento, nella superba cattedrale di Notre-Dame, Maximilien si trovò a offrire il Messale da baciare ai fedeli in coda davanti al coro; e quando Francesca si piegò in avanti verso le pagine miniate del volume, le disse con un soffio di voce: “Francesca!”. Le labbra di lei risposero, senza un suono: “Maximilien!”. La domenica successiva, riuscì a dirle solo “Ti”. La terza domenica, aggiunse: “Amo.” La quarta domenica, Francesca baciò il Messale così a lungo che Maximilien poté completare la frase: “Francesca, ti amo da morire. Vediamoci domani mattina ai bagni al pianterreno. Sarò lì grazie a un tunnel segreto”. Un cenno di lei gli confermò che il messaggio era penetrato. La giovane sposa di Jean Fouquet fece sforzi immani per non sorridere di gioia, nella carrozza che la riportava al castello col marito. Che bella idea aveva avuto Maximilien! Il rito mattutino delle abluzioni era l’unico momento della giornata tutto per sé, senza sorveglianti a scocciarla. La stanza dei bagni al pianterreno era meno comoda di quella accanto alla sua camera da letto, ma Parigi vale bene una messa.
Il giorno dopo, si lamentò col marito che nel bagno c’era uno spiffero d’aria fastidiosissimo. Allora la cameriera disse: “La signora duchessa potrà usare quello al pianterreno. È meno ampio, ma non ha spifferi”. Fouquet, sospettoso, controllò i muri di pietra: “Ti aspetterò in corridoio”. La cameriera riempì di acqua bollente la vasca e uscì. Francesca chiuse a chiave il portone. Dopo un’ora, l’ansioso Fouquet bussava con forza: “Francesca! Ti senti bene?”. “Sì, tesoro”, disse lei, inondata di allegrezza e letizia, sciogliendosi con riluttanza dall’abbraccio dell’amante. “Credo di essermi addormentata”. “Devi avere avuto un incubo, sai? Giurerei di aver sentito un tuo grido. Ed era pieno di angoscia”.