Il piano era questo. Un detenuto doveva aprire la porta della cella usando dei ganci. Poi si sarebbe entrati nell’aula utilizzando una copia della chiave. Praticando un’apertura saremmo sbucati nell’ufficio del maresciallo. La porta. La strada. La libertà. Era settembre del ’62. Venni a sapere che il maresciallo aveva chiesto un giorno di permesso. (…) Dei miei due compagni di avventura uno era un ergastolano ormai definitivo e c’era il rischio che da un giorno all’altro lo trasferissero. Il piano scattò. Aprimmo la porta della cella, entrammo nell’aula e incominciammo a scavare il muro con alcune stecche di ferro tolte dalle brandine. Alla fine della nostra fatica avevamo praticato un piccolo foro. Un brigadiere si fermò sulla porta annusando nell’aria la polvere che avevamo sollevato. “Venite fuori. Vi ho scoperto”. “Va bene. Ci è andata male”. “Che cosa stavate facendo?”. “Un piccolo forno per cuocere il pane”. Ci misero in isolamento tutti e tre. I due amici uscirono poi per decorrenza dei termini.
In isolamento pensai di nuovo a fuggire. Per un fatto ereditario perdo sangue dal naso. Volevo sfruttare questa circostanza. Mi feci venire un’epistassi più violenta del solito. Mi sistemarono all’ultimo piano, con due carabinieri a sorvegliarmi, portandomi via i vestiti e le scarpe. Ogni sera mi tiravo il lenzuolo sul viso per dormire. Faceva già parte del piano. C’era una bella infermiera che veniva spesso a trovarmi. “Mi tocca dormire in mutande”, mi lamentavo con lei. Una sera estrasse un pigiama da sotto la gonna. (…) La stanza era d’angolo. Lungo il muro correva un tubo per l’acqua. Fingevo di stare male. Scivolai dal letto, sistemai il cuscino in modo che fosse scambiato per la mia sagoma e stesi sopra il lenzuolo. (…) Scivolai sul pavimento. Andai alla finestra socchiusa. Il pigiama era bianco, larghissimo, mi faceva assomigliare a un frate. Scavalcai il davanzale, mi afferrai al tubo dell’acqua e incominciai a scendere. Un medico si affacciò a una finestra. “Ma dove vai che sei malato?”. Telefonò alle guardie: “Mesina sta scappando”. “Ma no, è a letto che dorme e russa”. In quel momento scavalcavo il muro di cinta dell’ospedale. Fuori stavano costruendo una fognatura nuova. Scesi nel fossato e mi infilai in un grande tubo di cemento. Mi raggomitolai come un gatto. Restai in quella posizione per tutta la notte e per l’intera giornata successiva.
4 aprile 1942: nasce a Orgosolo, penultimo di 11 figli.
Maggio 1960: durante i festeggiamenti del paese, spara a un lampione. Portato in caserma, evade dopo avere forzato la porta e aver fatto crollare un muro. È la prima delle sue nove evasioni. Si rifugia in montagna, ma si costituisce per le insistenze della madre.
12 luglio: il cadavere del commerciante Pietrino Crasta, sequestrato giorni prima, viene rinvenuto a Lenardeddu dove i fratelli Mesina hanno il pascolo. Vengono arrestati.
Gennaio 1961: Graziano Mesina viene scarcerato.
24 dicembre: a Orgosolo uno sconosciuto spara a Luigi Mereu, zio di uno degli imputati nella vicenda Crasta. Mesina è arrestato e condannato a 16 anni per tentato omicidio. A Macomer tenta di fuggire.
Settembre 1962: tenta di evadere dal carcere di Nuoro.
6 settembre: evade dall’ospedale di Nuoro calandosi lungo un tubo dell’acqua.
13 novembre: in un bar a Orgosolo, spara col mitra al fratello di Grussotto Muscau, coinvolto nel caso Crasta. È condannato a 26 anni.
Gennaio 1963: tenta l’evasione dal carcere di Nuoro. Viene trasferito a Porto Azzurro.
Estate 1964: è atteso da un processo in Sardegna. Tenta la fuga dal treno.
Fine 1964: è trasferito a Viterbo. Appicca il fuoco in un magazzino e cerca di fuggire.
11 settembre 1966: è in carcere a Sassari. Fugge scalando il muro e gettandosi sotto. Poi prende un taxi, quindi a dorso di un asino, e a piedi. Inizia la latitanza, con Miguel Atienza.
17 giugno 1977: i baschi blu circondano Mesina e Atienza a Osposidda. Mesina scappa, Atienza muore, colpito.
26 marzo 1968: Mesina viene arrestato e rinchiuso nel carcere di Badu e Carros.
1973: passa per le carceri di Porto Azzurro, Volterra, Saluzzo, Augusta, Roma: cerca di evadere da tutti.
20 agosto 1976: Mesina guida la fuga di 12 detenuti da Lecce. Sfugge alla cattura arrampicandosi su un albero.
16 marzo 1977: è arrestato a Caldonazzo. Detenuto a Favignana, tenta la fuga. Trasferito a Trani e poi a Fossombrone, Cuneo e Novara. Alla fine dell’82 è a Porto Azzurro.
12 aprile 1985: ottiene un permesso di 12 ore. Allo scadere, non rientra in carcere. Raggiunge a Milano Valeria Fusè, una ragazza che gli scriveva in cella. Irrompono i Carabinieri. Finisce in carcere a Novara. È l’ultima delle sue 9 evasioni.
(Questa la storia fino a due giorni fa…)