Milano
Corrono i magistrati, resta immobile la maggioranza di Attilio Fontana. La vicenda dei camici “regalati” dalla società Dama Spa della Fontana Family al Pirellone – un affidamento diretto da 513 mila euro, trasformatosi in regalo, ma solo dopo l’inizio delle indagini di Report poi anticipate dal Fatto Quotidiano – corre su binari paralleli.
O meglio, corre su quello giudiziario, tanto che la Procura di Milano da ieri indaga per turbativa d’asta, sebbene sempre a carico di ignoti. Non si tratta più di un fascicolo “modello 45”, perché ora l’ipotesi di reato c’è. Ed è pesante. Le indagini sono state affidate alla Guardia di finanza. A coordinarle, i pm Luigi Furno e Paolo Filippini, con l’aggiunto Maurizio Romanelli. Nel fascicolo, aperto lo scorso 8 giugno, è finito anche un esposto del Codacons.
La vicenda risale al 16 aprile, quando la Centrale acquisti della Regione Lombardia (Aria spa) concede a Dama spa un affidamento per 75 mila camici e 7 mila set con calzari e cappellini, per complessivi 513 mila euro. Proprietaria della Dama, per il 10%, è Roberta Dini, consorte del presidente Fontana. Per il restante 90% la società è controllata dal di lei fratello, Andrea Dini, che ne è anche amministratore. Un affidamento che il Pirellone onora, emettendo ordini di pagamento sulle fatture emesse da Dama, il 30 aprile. Crediti che la società decide però di stornare il 22 maggio, sostenendo di aver sbagliato. Perché quella fornitura doveva essere una donazione. Una giravolta giunta dopo che i giornalisti di Report avevano iniziato a indagare sulla faccenda. E non sembra aver convinto i magistrati.
Ma se il binario giudiziario è più che industrioso, quello politico è morto. Il presidente Fontana, pur sollecitato da tutti i capigruppo della minoranza, si è sempre rifiutato di andare in Consiglio a chiarire. Oltre a un “Non ne sapevo nulla”, non si è mai spinto. Anche Aria non ha certo brillato per limpidezza, come spiega il capogruppo M5S al Pirellone Marco Fumagalli, che aveva chiesto che la controllata riferisse in Commissione bilancio: “Il presidente della Commissione ci ha informati che ad Aria il 25 giugno ‘è stata inviata una richiesta di un contributo scritto in attesa di un’eventuale audizione’. Morale niente Aria…”. Così come senza risposta è rimasto l’accesso agli atti presentato dalla presidente della Commissione Antimafia della Regione, Monica Forte, i cui termini però scadranno la prossima settimana. Stessa via del silenzio che la controllata ha abbracciato sul caso Diasorin, altro discusso affidamento senza gara per i test sierologici poi bloccato.
“Fontana non ha mai voluto chiarire”, commenta il consigliere Pd, Pietro Bussolati, “sembra voler sfuggire ogni spiegazione su una storia che invece andrebbe precisata in ogni suo punto”.
La sede naturale per fare luce non solo su camici e Diasorin, ma su tutte le note dolenti della gestione dell’emergenza Covid – strage all’ospedale di Alzano, mancata zona rossa, ospedale alla Fiera, ecc… – sarebbe la commissione di inchiesta regionale. Ma è ancora al palo, paralizzata dalla volontà della maggioranza di “scegliersi” il presidente, contravvenendo ai regolamenti della Regione. “È chiaro che Regione preferisce stare nel torbido, perché la trasparenza potrebbe portare alla luce fatti e misfatti che probabilmente nemmeno nella nostra peggiore delle ipotesi ci potrebbe sovvenire”, chiosa cupo Fumagalli.