Tutto su mia madre. L’infanzia di Annie Ernaux

Anticipiamo uno stralcio di “Scrivere è dare una forma al desiderio”, un inedito libro-intervista di Annie Ernaux con Pierre Bras, in uscita giovedì con Castelvecchi

Dalle lettere che ricevo mi rendo conto che, attraverso i miei libri, i lettori rileggono la loro vita, o episodi e situazioni della loro vita, e li rileggono in modo diverso, spesso si liberano dalla vergogna sociale o sessuale, vedendola in qualche modo assunta su di sé dalla narratrice e messa in una prospettiva a cui non avevano pensato. È molto più difficile, invece, modificare credenze collettive particolarmente radicate, l’ho percepito bene con l’accoglienza ricevuta da Guarda le luci, amore mio: alcune lettere riflettevano, confessavano un’animosità verso le grandi distribuzioni, senza definirla, e non erano pronte a vederne la realtà umana. Sarebbe molto presuntuoso pensare che un libro possa emancipare le persone dall’oggi al domani. Lo mostro in Memoria di ragazza: Il secondo sesso mi ha fatto capire cosa avevo vissuto l’estate precedente, ma non mi ha permesso di comportarmi liberamente in quello stesso momento, in quella società antecedente al 1968. Ma ciò che il libro mi ha svelato è stato fondamentale in seguito.

PIERRE BRAS: Questa fede nella letteratura le viene da sua madre? È stata la sua influenza a suscitare in lei l’interesse per la letteratura…?

Non del tutto. Mia madre aveva anche una visione utilitaristica della lettura, dico anche perché la sua prima idea di letteratura era il piacere che vi si trova. Ma pensava anche che, queste le sue parole, “apre la mente”, “riempie la mente”. Doveva pensare che la lettura fosse un vantaggio negli studi, anche se non vedeva di preciso come. Anzi, sentiva certamente di aver imparato molto dalla lettura, aveva avuto accesso a mondi sconosciuti. Penso fosse di questo tipo la sua esperienza della lettura. Più tardi, quando ero studentessa universitaria in Lettere e le dissi che stavo scrivendo un romanzo, il suo viso si illuminò letteralmente per la felicità e mi disse parola per parola: “Anche a me sarebbe piaciuto, se fossi stata in grado”. In grado di scrivere. Aveva abbandonato la scuola all’età di dodici anni e mezzo per lavorare nella fabbrica di margarina Astra. Allo stesso tempo, mi ha messo in guardia dall’idea che avrei potuto vivere di letteratura. Era convinta della superiorità, della bellezza della letteratura, ma era una convinzione corredata di realismo, del tipo che la scrittura non dà da campare né agli uomini né alle donne. Io l’avevo integrata questa doppia percezione. Credere nella letteratura… ma come fai a non crederci?

A sua madre deve il titolo di uno dei suoi libri.

“Non sono più uscita dalla mia notte”… Ho messo il titolo tra virgolette per indicare che le parole sulla copertina erano di mia madre. In realtà, trovavo che fosse un po’ un cliché da romanzo. Mia madre ha scritto questa frase quando, malata di Alzheimer e consapevole della perdita della memoria, aveva cominciato a redigere una lettera a un’amica che poi non aveva potuto continuare e aveva strappato. “Cara Paulette, non sono uscita dalla mia notte”. Ciò che mi aveva turbato in questa frase era che mia madre non mi ha mai scritto cose del genere.

A casa sua funziona tutto al contrario: suo padre, un ex operaio, lava i piatti, mentre suo marito – pur appartenendo alla nuova generazione – si rifiuta, facendone una questione di virilità, anche se è un borghese…

A casa mia era il contrario. Ma penso che la rappresentazione dei rapporti fra i sessi nelle classi popolari sia troppo appiattita.

Sua madre sceglie suo padre in particolare perché non beve, avendo cura di proteggersi dall’alcolismo, molto diffuso nel suo ambiente e nella sua famiglia.

Era la sua prima “qualità”.

E poi i suoi genitori hanno una solida strategia per influenzare il corso sociale della sua vita… In effetti, la sua famiglia non rientra fra le casistiche classiche. Eppure funzionava.

Mi è sembrato importante, necessario, quando scrivevo alla fine degli anni Settanta, contestare un certo femminismo che collegava i padri e il mondo borghese al trionfo del padre nella società, anche nel mondo popolare. Per dimostrare, non avendo io avuto l’esperienza della dominazione maschile in famiglia, che poteva esistere un altro modello, come funzionassero le cose in casa mia; e quanto avesse strutturato il mio sguardo e il mio comportamento in una società in cui l’egemonia maschile è ovunque la regola.

Ma allora era una singolarità all’interno di uno spazio sociale. Un sociologo, invece, è alla ricerca di leggi generali.

In questo caso specifico, non ne troverà.

D’altra parte, la utilizzeranno nei libri di sociologia come esempio.

Sempre, perfino ne Gli anni, in cui l’“io” è assente… Per me è molto importante la mia regola di base: arrivare al reale. Ma in primo luogo occorre partire dalla realtà così come si mostra, così com’è visibile ai miei occhi e alla mia memoria.

© Annie Ernaux, 2020. Per gentile concessione di Lit Edizioni Sas; originariamente pubblicato in © “Journal des anthropologues”, 2017

Il whistleblower sospeso: “Altri colleghi sapevano”

La multinazionale americana Haemonetics non ci sta. Dopo la nostra inchiesta Plasma Files, che ieri il Fatto Quotidiano ha pubblicato in cooperazione con altri sette media internazionali e con il coordinamento dell’organizzazione Signals Network che protegge i whistleblower, Haemonetics ha emesso un comunicato stampa di ben cinque pagine con dure critiche all’indagine giornalistica come una serie di “affermazioni sbagliate, senza fondamento, che non menziona informazioni cruciali e suggerisce che i nostri prodotti per la raccolta del plasma e del sangue possano essere non sicuri”. Plasma Files ha esaminato gli incidenti delle macchine e kit monouso della Haemonetics per l’aferesi produttiva, una tecnica che consente di donare plasma in modo molto più efficiente di una comune donazione di sangue, dove tutte le componenti – plasma, globuli rossi, globuli bianchi, piastrine – vengono estratte insieme e poi separate. Nell’aferesi produttiva, invece, vengono raccolte in modo mirato attraverso macchine e kit monouso ad hoc di cui Haemonetics è uno dei tre leader mondiali, insieme con i giapponesi di Terumo e i tedeschi di Fresenius. Tanto per dare un’idea: con una semplice donazione di sangue, si possono ottenere 200-250 millilitri di plasma, con l’aferesi 600 o anche oltre 700 millilitri.

L’inchiesta giornalistica ha suscitato subito la reazione del gigante americano. Purtroppo, però, Haemonetics non spiega come mai non ha risposto a domande specifiche come quelle del Fatto Quotidiano, che chiedeva di sapere degli incidenti presso gli ospedali Meyer di Firenze, Parma, Palermo o se in Italia ci fossero mai state problematiche con le particelle nere, che hanno fatto scoppiare il caso in Francia e, di fatto, oggi la Francia non usa più le macchine PCS2.

Oltralpe, l’affare Haemonetics è venuto alla luce per le ripetute denunce di tre whistleblower, Alexandre Berthelot e Philippe Urrecho, rispettivamente un manager e un tecnico della filiale francese di Haemonetics, e Guylain Cabantous, esponente del sindacato francese di sinistra, Cgt, all’interno dell’Etablissement français du sang (EFS), l’autorità francese per l’approvvigionamento di sangue e per la vigilanza sulla sicurezza dell’intera catena trasfusionale (emovigilanza). Per anni i tre hanno denunciato quelli che, secondo loro, sono i rischi della tecnologia Haemonetics. Alla fine, nel 2015, Berthelot è stato licenziato dall’azienda. Ma il licenziamento non deve averlo messo a tacere, considerando che nel maggio 2018 Berthelot, Urrecho e Cabantous hanno presentato una denuncia penale al Tribunal de Grande Instance di Parigi, sezione salute, contro la Haemonetics e contro le autorità francesi dell’Etablissement français du sang (EFS) e dell’agenzia di Stato per la sicurezza dei dispositivi medici (Ansm). Quattro mesi dopo, nel settembre 2018, l’Ansm ha sospeso il kit monouso 782HS-P-SL e le macchine MCS+ e PCS2, quando queste vengono usate in abbinamento a esso. A oggi il kit rimane sospeso e le macchine PCS2 non sono più usate. In Italia, invece, lo sono. Quanto alla denuncia penale dei tre whistleblower, non è chiaro se stia facendo alcun progresso, a maggio scorso, però, il Tribunale del lavoro (Conseil de proud’homme des Versailles), ha riconosciuto che il licenziamento di Berthelot era illegittimo e che l’ex manager Haemonetics è un whistleblower, ovvero ha denunciato nel pubblico interesse.

Guylain Cabantous racconta al Fatto: “Non sono stato l’unico dipendente dell’EFS a vivere un conflitto etico pensando che le macchine Haemonetics rappresentassero un problema di sicurezza e fiducia nel settore trasfusionale”. E aggiunge: “Come sindacalista non avrei mai agito senza l’accordo e il sostegno del mio sindacato a livello nazionale. Non ho la vocazione al martirio e non ho tempo da perdere. È stato il peso e la determinazione della CGT a fare la differenza e ha permesso di ritirare le macchine [PCS2, ndr] Haemonetics in Francia”.

Gantz frena sul “Piano” Il governo Bibi traballa

Ritratto dai fotografi ufficiali con la mascherina con le bandiere di Israele e Stati Uniti, Benjamin Netanyahu dopo l’incontro con l’ambasciatore Usa in Israele e un inviato speciale della Casa Bianca, voleva rendere palese l’identità di vedute con Washington per il Piano di annessione della Cisgiordania. Ma il Piano, di cui non esiste una vera mappa nè tempi della sua realizzazione, è stato riposto dal presidente americano Donald Trump nel cassetto, almeno per il momento.

Negli Usa l’emergenza Covid 19 sta erodendo ogni giorno la base del consenso, ci sono altre emergenze da affrontare prima, i 60 mila contagi al giorno, i quaranta milioni di disoccupati, la rivolta di molti governatori. Il premier – inseguito da tre processi per corruzione, il primo dei quali si è aperto davanti alla Corte distrettuale di Gerusalemme – mirava ad avviare il processo di annessione il 1° luglio. Il piano, prevedeva di portare circa il 30% del territorio – con tutti i 132 insediamenti, che ospitano 450.000 israeliani e la strategica Valle del Giordano – sotto il controllo permanente di Israele, lasciando al futuro Stato palestinese ciò che resta. Il piano è stato respinto dall’Anp del presidente Abu Mazen, ma anche dai coloni israeliani.

Per loro la sola idea che possa esistere uno Stato palestinese è un’eresia insopportabile. Il progetto unilaterale di annessione di Netanyahu è stato oggetto di dure critiche internazionali. L’Onu, l’Ue e i principali Paesi arabi hanno tutti affermato che l’annessione violerebbe il diritto internazionale e minerebbe le già ridotte prospettive di uno Stato palestinese indipendente accanto a Israele. Un’utopia che la comunità internazionale insegue da 30 anni senza nessun risultato apparente, tranne che sostenere i costi di una popolazione sotto occupazione militare. Non un solo shekel israeliano dal 1967 è mai stato speso in quelle terre, è stata la comunità internazionale a farsi carico del destino dei 3 milioni di palestinesi della Cisgiordania e dei 2 che vivono a Gaza. Netanyahu ha difeso il suo piano sia per motivi di sicurezza che religiosi e sostiene che l’Amministrazione “amichevole” Trump ha fornito una rara opportunità di ridisegnare i confini di Israele. Ma il premier ha incontrato la resistenza dei suoi partner governativi. Il leader di Kahol Lavan Benny Gantz, dice che il 1° luglio non è mai stata una data “sacra” e suggerendo che l’annessione può attendere mentre il governo deve affrontare la grave crisi del coronavirus. “Sono convinto che Gantz avrà un ruolo chiave, Netanyahu ha bisogno di lui” su questo dossier”, ha fatto sapere ieri il ministro degli esteri tedesco Heiko Maas. Netanyahu e i suoi fedelissimi ora sostengono che quella non è mai stata la data di annessione, ma solo l’inizio del periodo in cui la questione può essere formalmente considerata.

Tutto ciò rafforza l’impressione che l’annessione non sia stata altro che una vaga promessa elettorale per radunare la base di destra. L’entusiasmo di Netanyahu per l’annessione sta diminuendo. Naturalmente non abbandonerà l’idea. Ciò danneggerebbe la sua credibilità ma le possibilità di qualsiasi annessione significativa, o anche di una piccola parte “simbolica”, ora stanno diminuendo di giorno in giorno.

“Il virus scalza l’annessione Trump scarica Netanyahu”

“La decisione di Benny Gantz, ministro della Difesa del governo di accordo nazionale e teoricamente futuro premier a partire dal settembre 2021, di chiedere lo slittamento dell’annessione dei Territori Palestinesi Occupati, usando peraltro come pretesto l’emergenza Covid, è del tutto irrilevante, come del resto è irrilevante la sua politica e la sua figura politica. Chi ha determinato lo spostamento a data da destinarsi di questa divisiva, per usare un eufemismo, mossa unilaterale da parte di Israele si trova al di là dell’Atlantico , a Washington”.

Il legislatore, già presidente ad interim di Israele nel 2000, nonché ex presidente della Knesset, Avraham Burg, commenta così in esclusiva per Il Fatto, il dietro le quinte e le ragioni del mancato voto parlamentare che il 1° luglio avrebbe dovuto portare all’inizio dell’implementazione dell’annessione unilaterale della Cisgiordania e della valle del Giordano. Burg è stato il promotore e autore della lettera-appello per fermare l’annessione. Il progetto, respinto dalla Autorità Nazionale Palestinese, Mamoud Abbas (Abu Mazen), il presidente dell’Anp, era stata invitato all’ultimo a condividere il piano ma con la precondizione che non mettesse come condizioni il blocco dell’espansione degli insediamenti colonici ebraici. Un diktat irricevibile da chiunque. Netanyahu – accusato di corruzione e altri crimini gravi e per questo chiamato a presentarsi in Tribunale – pur accusando la mossa del co-reggente e suo rivale Benny Gantz, non ha potuto far altro che uniformarsi al volere del suo tuttora più forte alleato: The Donald.

Quindi, onorevole Burg, è stato Trump a fermare l’annessione?

Sì, perché ora non gli fa più comodo e non ha piu tempo per aiutare Bibi a salvarsi annettendo la Cisgiordania e la Valle del Giordano. Trump e Netanyahu sono due megalomani narcisisti senza scrupoli né etica, pronti a voltare la faccia a chiunque per salvarsi e mantenere il potere.

A proposito di Trump, crede che il crollo verticale nei sondaggi per le Presidenziali di novembre sia dovuto alla sua manifesta incapacità di gestire l’emergenza della pandemia e di prevenirne i danni economici?

Non credo sia solo per questo. È dovuto anche alla sua politica estera infruttuosa. Trump, così come Bibi, non è in grado di realizzare qualcosa di sensato per il bene della collettività, non avendo spessore etico né culturale. Non sono mai stati al servizio della cosa pubblica bensì dei propri interessi privati. Essendo impegnato a combattere le conseguenze catastrofiche del virus ed evitare una sconfitta clamorosa per sé e per il partito Repubblicano a novembre, Trump ora se ne frega dell’amico Bibi. Che è costretto a far finta di opporsi alla decisione di Gantz, quando sa che è stata manipolata dal suo alleato alla Casa Bianca.

A questo punto, secondo lei, quando avverrà l’annessione? Se avverrà…

È molto difficile, se non impossibile, fare previsioni sulla politica dell’annessione perché non c’è trasparenza in questo progetto e processo. Nessuno lo conosce nei dettagli.

Quanta terra verrà sottratta unilateralmente da Israele all’Autorità nazionale palestinese?

Ripeto: visto che a decidere e stabilire l’annessione sono stati questi due individui ambigui, per usare un eufemismo, inaffidabili, guidati dalla brama di potere e dalla megalomania, capisce bene che qualunque previsione lascia il tempo che trova. Del resto nessuno ha potuto leggere nel dettaglio il piano Trump-Netanyahu.

Cosa ne pensa della risposta diplomatica e allo stesso tempo ferma del presidente palestinese Abbas?

In qualsiasi circostanza, anche le più difficili come quella attuale, il presidente Abbas, per cui nutro grande stima, non è mai sceso a compromessi che andassero contro la propria devozione per la pace e la non violenza tra israeliani e palestinesi. La sua stella polare è sempre stata la pace e ancora lo è.

Ghislaine Maxwell, la “castellana” del mostro Epstein

Il testo qui riprodotto è tratto dal libro di James Patterson, John Connolly, Tim Malloy “Sporco Ricco” (edito da Chiarelettere), che racconta la vicenda umana di Jeffrey Epstein, il finanziere amico dei potenti arrestato per abusi sessuali e traffico di minori il 6 luglio 2019 e morto in carcere a New York il 10 agosto 2019. Ieri è stata arrestata Ghislaine Maxwell. Ecco come la racconta Patterson

Ghislaine era la figlia minore e prediletta di uno dei personaggi più famosi, e famigerati, d’Europa. Suo padre era Robert Maxwell, un profugo ceco che, dopo aver combattuto con la Legione straniera e poi nell’esercito inglese durante la Seconda guerra mondiale, si era aggiudicato un seggio al Parlamento (inglese, ndr). Negli anni 60 era diventato un magnate della comunicazione. Nato da una famiglia chassidica – il nome impartitogli dai genitori era Ján Ludvík Hyman Binyamin Hoch – Maxwell morì in disgrazia nel 1991, dopo essere caduto o forse essersi buttato in mare dal suo lussuosissimo yacht, battezzato Lady Ghislaine. “Solotvyno, lo shtetl in cui sono nato, non esiste più”, aveva detto qualche mese prima della fine. “Era un misero villaggio di ebrei ortodossi. Eravamo poveri, ci mancava tutto. Gli altri avevano le scarpe e noi no. Avevano da mangiare e noi no. Dopo la guerra ho scoperto ciò che è toccato in sorte ai miei genitori, alle mie sorelle, ai miei fratelli, ai miei parenti e vicini di casa. Non so quali pensieri abbiano attraversato la loro mente quando capirono di non trovarsi in una doccia, ma in una camera a gas”. Dopo la sua morte scoppiò uno scandalo internazionale. Si scoprì che Maxwell aveva sottratto centinaia di milioni di sterline dai fondi pensione delle sue aziende, usandoli per puntellare il proprio impero. Due dei suoi figli furono processati per associazione a delinquere a scopo di frode. Alla fine furono prosciolti, ma Ghislaine in Inghilterra, dov’era cresciuta nel lusso e frequentazioni altolocate che comprendevano anche il principe Andrea, non poteva sottrarsi alla lunga ombra gettata dal padre.

In cerca di un nuovo inizio, prese un Concorde e si trasferì a New York. All’inizio pare che Maxwell ed Epstein fossero amanti. “Lei era innamorata pazza di Jeffrey” dice un’amica storica della donna. Poi diventarono qualcosa di più. Ghislaine organizzava i viaggi di Epstein, faceva da castellana in casa sua e gli aprì porte che ben pochi ragazzi ebrei di Brooklyn avrebbero potuto varcare. Secondo gli incartamenti legali e le deposizioni dei testimoni, diventò anche una delle svariate donne che gli procuravano ragazzine. (…)

L’episodio è riportato in una delle dichiarazioni depositate presso il tribunale nella causa intentata da Virginia Roberts contro Epstein. Virginia lavorava come inserviente negli spogliatoi del club, per 9 dollari l’ora, quando era stata avvicinata da Ghislaine Maxwell. La donna le aveva chiesto se le interessava un apprendistato di massaggiatrice e lei si era mostrata propensa. Ne aveva parlato con suo padre (…) il quale, non trovando niente di sospetto nell’offerta, l’aveva accompagnata in El Brillo Way. Là, sempre secondo il documento, Ghislaine Maxwell aveva detto all’uomo che avrebbe pensato lei a riaccompagnare a casa Virginia. Poi l’aveva portata al piano di sopra, in una stanza adibita a sauna, con una doccia e un lettino da massaggi, dove Epstein si era fatto trovare nudo. Virginia era rimasta scioccata, ma non avendo alcuna esperienza di massaggi aveva pensato che fosse normale. Nel seguito del documento si legge:

La signorina Maxwell si tolse la camicia, tenendo il reggiseno, e cominciò a strofinare i seni su di lui [Epstein], lasciando intendere che fosse questo che si aspettavano da Virginia. Le disse di spogliarsi. La minorenne non avrebbe voluto, ma per paura seguì le istruzioni, restando in biancheria intima. Le venne ordinato di togliere anche quella e di mettersi cavalcioni sul signor Epstein. Nell’escalation che seguì, i due adulti aggredirono sessualmente la minorenne, con maltrattamenti e abusi di vario tipo e avvenuti in luoghi diversi, comprese la sauna e la doccia. Al termine dell’aggressione, Epstein e la signorina Maxwell si dichiararono entusiasti di lei, dicendole che aveva “un grande potenziale”, e le chiesero di tornare il giorno dopo. Epstein le consegnò 200 dollari, precisando che era la tariffa per due ore di lavoro, e disse a uno dei suoi dipendenti di riportarla a casa.

Al tempo Virginia aveva 15 anni. (…)

A marzo 2016 Maxwell ha depositato una memoria di risposta presso il tribunale, negando tutte le accuse di Virginia Roberts e accusandola a sua volta di averle fabbricate a scopo di lucro.

Stati popolari: Soumahoro invita in piazza il premier Conte

Braccianti delle campagne, rider delle piattaforme digitali, i precari della cultura e della scuola, disoccupati e lavoratori coinvolti nelle crisi aziendali. Insieme con loro, chi subisce il disagio abitativo o l’emarginazione per ragioni di sesso o di colore della pelle. In una parola: gli “invisibili” che domenica si auto-convocheranno per gli Stati Popolari, quella che vuole essere l’alternativa dal basso agli Stati Generali dell’economia tenuti tra il 13 e il 21 giugno a Villa Pamphili. L’appuntamento questa volta sarà in Piazza San Giovanni a Roma, luogo non casuale perché tradizionalmente utilizzato per le manifestazioni sindacali. Punto di riferimento di questa realtà è Aboubakar Soumahoro, sindacalista e attivista di origini ivoriane, che ha invitato anche il presidente del Consiglio Giuseppe Conte: “Venga in piazza per ascoltare la voce degli ultimi, degli esclusi”, ha detto. Tra i due c’è già stato un incontro pochi giorni fa, proprio durante gli Stati Generali, quando Soumahoro si è incatenato e il premier lo ha ricevuto insieme al ministro dell’Economia Roberto Gualtieri. In quella circostanza si è parlato soprattutto della regolarizzazione dei lavoratori immigrati, dato che quella introdotta per volere della ministra Bellanova si sta rivelando un flop per l’agricoltura (solo 8 mila le domande dal settore). Negli ultimi giorni sta crescendo l’interesse attorno all’appello che ha ottenuto l’adesione anche di molti personaggi della musica e dello spettacolo. I promotori promettono di non fermarsi alla manifestazione di domenica. “La pandemia che stiamo vivendo – dicono – è un’occasione per pensare a un nuovo modello di società”. Non mancano critiche ai decreti Cura-Italia e Rilancio, nei quali ci sono “iniziative frammentate e non un’idea di comunità. Sugli ammortizzatori sociali, voglio dire che abbiamo bisogno di un reddito universale – ha aggiunto Soumahoro – ma ciò non può sostituire la prospettiva di emancipazione e autodeterminazione”.

Trento e Bolzano, la politica tenta il blitz: “Ora i giudici contabili li nominiamo noi”

La politica che nomina i magistrati chiamati a controllarla. Accade in Trentino Alto Adige. La denuncia arriva dai consiglieri provinciali di opposizione Filippo Degasperi (Trento, Onda Civica) e Paul Köllensperger (Bolzano, Team K). “Si sta varando una riforma che prevede la nomina su indicazione delle province di metà dei giudici della Corte dei Conti”, racconta Köllensperger. Commenta: “È gravissimo, sono proprio questi magistrati che sorvegliano l’operato dell’ente”. Cosa dice la norma? Articolo 1: “Ciascuna sezione di controllo (sono due, una per Provincia, ndr) è costituita da un presidente di sezione e da magistrati assegnati agli uffici di controllo. Due di questi sono nominati dal Consiglio dei Ministri su indicazione del Consiglio provinciale”. Degasperi e Köllensperger aggiungono: “Così metà dei magistrati saranno nominati in base a criteri esclusivamente fiduciari. Non sono indicati requisiti, potrebbero scegliere anche panettieri”. Non basta: “È eliminata anche la garanzia dell’inamovibilità dei magistrati contabili che così, se scomodi, potrebbero essere trasferiti”. È solo l’ultimo capitolo di una lunga lotta. Racconta l’avvocato Renate Holzeisen: “In Alto Adige la politica sta prendendo il controllo della magistratura (contabile e amministrativa)”. L’anno scorso, il presidente della Provincia, Arno Kompatscher (Svp, Südtiroler Volkspartei) firmò una convenzione con la Procura della Corte dei Conti: si prevedeva che i procuratori contabili potessero incaricare funzionari della Provincia per compiere atti di indagine su uffici e colleghi del proprio ente. In pratica la Provincia che indagava su se stessa. Ma c’è molto di più. Racconta Holzeisen: “In Alto Adige anche i giudici del Tar sono scelti dalla Provincia. Quindi della politica. Un rischio enorme in una regione che da decenni è guidata dallo stesso partito (Svp)”. Una situazione anomala evidenziata nei giorni scorsi perfino dalla sentenza di un gip. Era accaduto infatti che gli stessi magistrati del Tar avessero denunciato Holzeisen per le dure critiche alla lentezza di un ricorso presentato dall’avvocato al Tar. Ma il gip ha archiviato l’accusa di diffamazione con una motivazione clamorosa: “Il giudice non deve solo essere, ma anche apparire imparziale… vale a più forte ragione per il Tar di Bolzano che è, caso unico in Italia, interamente di nomina politica… queste peculiarità lo espongono costantemente e inevitabilmente al potenziale sospetto che le sue decisioni possano essere condizionate dalle amministrazioni che quei magistrati hanno designato”.

Archivi Modigliani sotto sequestro nel Canton Ticino

Gli Archivi di Amedeo Modigliani sono da metà maggio sotto sequestro dell’autorità giudiziaria ticinese.

Con un’operazione a sorpresa, la polizia cantonale ha bloccato al porto franco di Ginevra circa seimila reperti appartenenti al pittore livornese o alla sua famiglia. Si tratta del materiale documentato nel libro L’Affare Modigliani di Dania Mondini e Claudio Loiodice (edito da Chiarelettere, ottobre 2019) e che è giunto in Svizzera dopo essere stato indebitamente sottratto allo Stato italiano: adesso è finalmente al sicuro nelle mani di un’autorità governativa. Nel 2006, infatti, gli Archivi erano stati ceduti al patrimonio nazionale dalla nipote e unica erede di Amedeo Modigliani, Laure Nechtschein, come risulta da documenti acquisiti da Mondini e Loiodice alla Soprintendenza.

Con un accordo sospetto tra Christian Parisot e Mariastellina Marescalchi, gli Archivi erano poi definitivamente “volati” all’estero. L’Affare Modigliani è il libro-inchiesta che in occasione del centenario della morte del grande artista livornese, ha denunciato intrighi e crimini commessi all’ombra della figura del pittore e della sua famiglia.

“Poche settimane fa, la senatrice Margherita Corrado della commissione Cultura aveva rivolto un’interrogazione parlamentare al ministro Dario Franceschini sulle intenzioni del ministero dei Beni culturali di recuperare i preziosi reperti – spiegano i due autori del libro – ma fino a oggi non c’è stata nessuna risposta, nonostante la Procura di Asti, da otto mesi, abbia avviato un’inchiesta sulle modalità di fuga degli Archivi Modigliani dal nostro Paese”.

Adesso il rischio è che gli Archivi Modigliani, invece di essere affidati al Comune di Livorno, possano invece essere trattenuti dalle autorità svizzere.

Omicidio Agostino, chiesto il processo a Madonia e Scotto

Dopo 31 anni i misteri del delitto dell’agente Nino Agostino, ucciso con la moglie, Ida Castelluccio, a Villagrazia di Carini il 5 agosto 1989, verranno esaminati in un’aula di giustizia. Il giudice Alfredo Montalto, presidente dell’ufficio del gip di Palermo, ha fissato per il 10 settembre prossimo l’udienza preliminare per decidere del rinvio a giudizio, chiesto il 5 giugno scorso dalla Procura generale, per i presunti killer, Gaetano Scotto e Nino Madonia, e per l’allora quindicenne Francesco Paolo Rizzuto, accusato di favoreggiamento. Ai primi di luglio di 31 anni fa, Nino e Ida Agostino si univano in matrimonio, “ed è una coincidenza che fa venire un bel sorriso – ha detto l’avvocato Fabio Repici, che assiste la famiglia Agostino costituita parte civile –, la distanza dall’omicidio, invece, 31 anni tra un mese, è il precipitato di una mole imponente di depistaggi posti in essere da importanti esponenti istituzionali che hanno giocato contro la verità, la giustizia e la memoria di Nino e Ida”. Sui depistaggi continuano le indagini della Procura generale.

Vincenzo Agostino, il padre di Nino, da tre decenni alla ricerca di una verità che non arriva mai tira un sospiro di sollievo: “Finalmente ho trovato la magistratura, la procura generale di Palermo che ha avuto le palle ed è andata fino in fondo, non si è lasciata fermare. Dopo 31 anni finalmente la mia innamorata (la moglie Augusta Schiera morta nel marzo dello scorso anno, ndr) che ha sempre detto che non poteva morire senza avere verità e giustizia, potrà riposare in pace”. Così il presidente della commissione Antimafia Nicola Morra: “Se qualcosa si muove lo si deve ad alcuni inquirenti che, instancabilmente, non hanno desistito, ma la battaglia non è semplice, e non la si vince se non con un lavoro che continua, silenziosamente contro i muri di gomma”.

Regeni, i pm di Roma indagano su dieci 007 Fico: “Il Cairo ci dà un cazzotto in faccia”

Altri agenti segreti egiziani sarebbero coinvolti nel sequestro e omicidio del ricercatore Giulio Regeni, rapito la sera del 25 gennaio 2016 e ritrovato senza vita dopo nove giorni al Cairo, con il corpo martoriato. Dai tabulati telefonici in mano alla Procura di Roma, che indaga per sequestro di persona 5 agenti egiziani, risultano diversi intrecciati con altri dieci 007. I magistrati italiani avevano chiesto di poter fare accertamenti sugli agenti dell’intelligence, già a maggio 2019, ma il Cairo non ha risposto. Durante l’ultimo incontro tra le autorità italiane ed egiziane, i pm romani hanno chiesto ancora una volta di “mettere a fuoco il ruolo di altri soggetti della National Security che risultano in stretti rapporti con gli attuali cinque indagati”. Diversi esponenti della maggioranza hanno chiesto di sospendere le relazioni diplomatiche con Il Cairo, e il ritiro dell’ambasciatore. “L’incontro fra le procure è andato malissimo, l’Egitto ha dato un cazzotto in faccia all’Italia, bisogna dare una risposta risoluta e veloce”, attacca il presidente della Camera Roberto Fico.