Il premier che ha paura di affondare le tenta tutte. Si fa una passeggiata nel centro di Roma, nella quale giura a un bimbo di “mettercela tutta per far funzionare l’Italia” sotto gli occhi dei cronisti. Loda e riceve il segretario del Pd, Nicola Zingaretti, e per fargli piacere invoca con toni accorati alleanze nelle Regioni tra dem e grillini (“non farle sarebbe una sconfitta per tutti, anche per me”), mostrandosi anche meno rigido sul Mes: “Quando avremo completato il negoziato europeo valuteremo la posizione di tutti”. Strizza perfino l’occhio a Forza Italia, “la più costruttiva delle forze di opposizioni”, nel giorno in cui su Repubblica Silvio Berlusconi propone un nuovo governo con dentro FI ma senza il M5S. Ha parole e sorrisi quasi per tutti, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Ma c’è poco da sorridere, perché sul decreto Semplificazioni lo stallo nella maggioranza è tale che bisogna procedere con la formula liberi tutti, “salvo intese”. E tutt’attorno all’avvocato è un rumore di siluri e mal di pancia.
Per esempio ai 5Stelle non piace l’apertura a Forza Italia. E ai vertici del M5S va di traverso anche la dichiarazione sulle alleanze, “perché non è mica solo colpa nostra se ci sono problemi” sibila un big. Tanto che il capo politico reggente Vito Crimi risponde al premier con sillabe puntute: “Il M5S non si è mai sottratto al confronto là dove ci sono condizioni, come stiamo facendo in Liguria. Ma in Campania il nostro appello non ha avuto riscontro”. Ma è nel Pd che il malcontento continua a montare. Commentava un big ieri all’alba: “Non è possibile che da Palazzo Chigi vogliano far credere che gli stimoli del governo a far meglio siano solo frutto di problemi interni del Pd. Adesso mettiamo sul piatto tutte le decisioni sbagliate e rinviate”. Sono giorni che al Nazareno parlano di “palude” e di dossier fondamentali su cui non si prende una decisione (da Autostrade a Ilva, passando per il Mes). Ma il dialogo tra Conte e Zingaretti non si è mai interrotto. Il vero incidente però si sfiora ieri mattina. Il segretario dem non gradisce le ricostruzioni dei giornali che considera “veline” di Palazzo Chigi. E così matura l’incontro tra i due. Dura un’oretta. E ciò che Zingaretti vuole far capire al premier è semplice: “Così non si può fare. Dobbiamo ritrovare uno spirito unitario”. Discutono dl semplificazioni. “Non ci convince l’abolizione delle gare per le grandi opere fino a 5 milioni di euro, il tetto è troppo alto”, dice Zingaretti. L’unico punto affrontato nel merito. Sullo sfondo, le Regionali. Il vero motivo per cui Zingaretti aveva accettato di dar vita al governo giallorosa era l’idea di costruire con il M5S un’alleanza organica: a ora fallita, con il rischio di perdere in quattro Regioni su sei a settembre. E potrebbe essere il capolinea per la segreteria di Zingaretti, e magari anche per il governo. Di Mes i due non parlano. Conte continua a ripetere che si voterà dopo la fine del negoziato sul Recovery Fund: e Zingaretti, che pure aveva accelerato sul tema, si è convinto che il premier non abbia i voti in Senato e che non sia il momento di forzare la mano. In autunno si vedrà: la tentazione di far precipitare la situazione, prima che il Pd gli chieda conto di quel che accade in questa fase, è forte. Non a caso ieri il capogruppo alla Camera, Graziano Delrio, ha ottenuto la calendarizzazione della legge elettorale per il 27 luglio. Pd e M5s lavorano a un testo proporzionale. E mettono le mani avanti per evitare il Rosatellum. Lo spiega il vicesegretario, Andrea Orlando: “Credo che si possano fare due cose alla volta, rilanciare il Paese e fare una legge elettorale lievemente migliore di quella attuale”. Ma a complicare il quadro c’è anche Matteo Renzi.
Dopo il passaggio di un senatore di Forza Italia a Italia Viva lo hanno sentito vantarsi: “Ce ne sono altri due in arrivo”. Il progetto, a questo punto, sembra più ambizioso: “Renzi e Berlusconi stanno lavorando a fondere Iv e Fi”, racconta una fonte di primo piano del centrodestra. Così, l’ex premier può condizionare la maggioranza più di oggi. Su temi centrali come legge elettorale e rinnovo delle Commissioni e delle Authority, per iniziare. Nell’attesa, il M5S e il Pd in Senato hanno presentato un nuovo testo della risoluzione sulle comunicazioni che il premier farà in Senato il 15 luglio, in vista del Consiglio europeo del 17 e 18 luglio. Il testo, che non cita né il Mes né il Recovery Fund, ha una nuova formulazione (“in riferimento alle comunicazioni”) che pare sia accettabile anche per la presidente del Senato Casellati, che aveva respinto la prima versione.
Però anche le opposizioni preparano le loro risoluzioni sul fondo salva Stati. E su quella pro Mes annunciata da +Europa potrebbe essere una tentazione per Italia Viva. Di quelle che scuotono i governi.