Arrestato il “padrino” Don Raffaele di Enna prescelto da andreottiani e Provenzano

“Il pentito non lo faccio, ma potrei collaborare…”. Don Raffaele Bevilacqua ha pronunciato queste parole nella notte tra martedì e mercoledì ai carabinieri del Ros che si è ritrovato in casa. Don Raffaele non è un “padrino” qualunque. È un avvocato, già capo della Democrazia cristiana di Enna, per volere di Giulio Andreotti via Salvo Lima, contemporaneamente investito da Provenzano in persona come capo della famiglia mafiosa di Barrafranca. Un colletto bianco “padrino”, notabile e politico. Nulla nell’Ennese accade senza il suo sì, narcotraffico compreso.

Libero mentre a Palermo saltava in aria prima l’autostrada a Capaci e poi via D’Amelio, Don Raffaele è stato poi arrestato due volte, l’ultima nel 2003, finendo anche al 41 bis. E anche dal carcere duro ha continuato a comandare inviando ordini attraverso la figlia Maria Concetta, anche lei avvocato, che poteva incontrare il padre in quanto sua legale. Per l’avvocatessa era motivo di orgoglio che un vecchio affiliato al clan facesse il baciamano a papà Raffaele, riconoscendo il suo ruolo di “padrino” nonostante la lunga detenzione in carcere terminata nel 2018 per motivi di salute. Quella “liturgia” mafiosa, ancora oggi rispettata da affiliati punciuti, suscitava nell’avvocato Maria Concetta Bevilacqua “orgoglio e complicità col padre, uomo d’onore di Cosa nostra le cui azioni – scrive il gip nella sua ordinanza – vengono ritenute degne di essere raccontate ai figli quasi fossero gesta eroiche”.

Maria Concetta ieri era in casa col padre Don Raffaele e lo ha tranquillizzato: “Vai pure in galera papà, penso io a tutte cose”. Come quella volta che nel 2018, con Don Raffaele appena ritornato a casa dalla detenzione, lo sconsigliò di ammazzare una persona a pochi mesi dal rientro a Barrafranca per non attirare l’attenzione. Maria Concetta è ai domiciliari. Era una figura cardine della “famiglia”: 46 arresti in tutto, anche in Germania, grazie alle indagini della Procura di Caltanissetta retta da Amedeo Bertone. Bevilacqua continuava a comandare proprio come Provenzano, con i pizzini. Il pm Pasquale Pacifico spiega: “Alcuni indagati quando ricevevano dai figli di Bevilacqua dei pizzini provenienti dal padre si recavano nello studio dell’avvocato e lo leggevano in sua presenza per ottenere una sorta di validazione a quelle che erano le direttive di Don Raffaele”.

E chissà che Don Raffaele, se decidesse davvero di collaborare, non possa fare rivelazioni sulle stragi, sulla lunga latitanza di Provenzano e, magari, su altre celebri ancora in corso: non c’è luogo più sicuro al mondo per nascondersi di ovili e masserie tra le trazzere di Enna e Caltanissetta.

Il sindaco di Lione “abbatte” l’Alta velocità. I NoTav: “È da fermare, più siamo meglio è”

“Il sindaco ha adempiuto al suo primo dovere politico e morale come primo cittadino di una località importante, quello di prendere parola su uno degli sprechi più assurdi che riguarda la sua città”. Francesco Richetto, leader del movimento No Tav, riassume così un sentimento condiviso da molti oppositori alla grande opera, dopo che il neo sindaco di Lione, il verde Grégory Doucet, ha dichiarato a La Stampa che “occorre fermare il Tav”. “Fin quando Doucet deciderà di restare una persona onesta e di dire ciò che pensa liberamente, non potrà che sostenere questa tesi”, ribadisce Richetto, residente a Bussoleno. “Nella vita molti scelgono di compromettersi – afferma Richetto – spesso i politici col passare del tempo cambiano il loro approccio alle cose pubbliche. Il punto è che quest’opera va fermata a prescindere. Poi più persone la pensano come noi meglio è”. “Io credo – conclude il No Tav – che le parole del sindaco di Lione rappresentino un sentimento molto diffuso tra la popolazione. C’è lungimiranza in questa dichiarazione”.

La criminalità sfrutta il virus: “È allarme usura”

L’epidemia di Covid-19 sta avendo pesanti ripercussioni sull’economia e sulla Fase 2 incombe lo spettro dell’usura. “L’emergenza sanitaria ha aperto un enorme spazio di manovra alla criminalità per impadronirsi di ampi perimetri della vita del Paese”, è l’allarme lanciato da Claudio Clemente, direttore dell’Unità di informazione finanziaria della Banca d’Italia. Dal rapporto annuale dell’organismo, che ha tra i suoi compiti il contrasto al riciclaggio, emerge un aumento delle segnalazioni nel 2019: sono state 105.789, circa 7.700 in più rispetto a un anno prima (+7,9%), mentre sono scesi a 770 (-27,8%) le sospette operazioni di finanziamento del terrorismo, calo dovuto a una minore percezione della minaccia di matrice islamica. Fra marzo e maggio 2020 – in piena bufera Covid – il numero dei casi trasmessi agli organi investigativi è aumentato dell’8% rispetto agli stessi mesi del 2019. La criminalità approfitta del Covid-19, quindi, per fare affari. I timori, indicati dal governatore Ignazio Visco come uno dei problemi da risolvere per garantire la ripresa, sono confermati dalla relazione: fra fine febbraio e metà giugno 2020 l’Unità ha ricevuto circa 350 segnalazioni di operazioni sospette direttamente collegate all’emergenza”. In circa 250 di queste, poi, l’ente ha rilevato anomali movimenti di contante. Questi sono “spesso motivati da timori indotti dalle misure di contenimento e confinamento sociale, che possono però nascondere finalità illecite. In alcuni casi il profilo soggettivo dei nominativi coinvolti e le modalità suggeriscono il possibile coinvolgimento della criminalità e forme di usura”.

I dati del ministero della Sanità, intanto, dicono che sono 187 i contagi registrati nelle ultime 24 ore: martedì erano stati 142. Di questi, 109 (il 59,8%) sono in Lombardia, numeri che portano a 240.760 i casi totali. Le vittime sono invece 21, contro le 23 dell’altro ieri: i morti salgono così a 34.788.

Mail Box

 

Le chat prof-alunni rovinano la scuola

Come ormai da vent’anni durante gli esami di maturità, quest’anno ho sottoscritto il modulo in cui dichiaro di “non aver istruito privatamente candidati assegnati alla commissione”; di “non avere gradi di parentela e affinità fino al quarto grado con il candidato”; infine, di “non aver rapporto di coniugio con i candidati che mi trovo a esaminare”. Seppur necessario, è un documento oggi insufficiente. Dilagano sempre più,e soprattutto durante la didattica a distanza, le chat tra docenti e studenti, che non ho mai trovato didatticamente igieniche. Capisco quei colleghi che, in viaggio d’istruzione, utilizzino whatsapp ma ritengo opportuno che questi gruppi vengano eliminati durante gli esami di Stato. In queste chat, nel caso più innocuo, studenti o genitori chiedono notizie sui risultati degli esami; fino ad arrivare poi a pressioni psicologiche o sfoghi offensivi se qualcosa non è andato a genio allo studente e alla sua famiglia. A farne le spese è il prestigio degli insegnanti, che non si misura in denaro ma ha la sua fonte irriducibile nelle giornate in classe.

Giuseppe Cappello

 

Per noi tarantini l’Ilva è una fabbrica di morte

Egregia sig.ra Morselli, le scrivo dopo aver ascoltato il suo intervento a Porta a Porta su Rai1 in onda qualche sera fa. Potrei scriverle da semplice cittadina di Taranto, da mamma preoccupata per la salute e il futuro dei propri tre figli. Ma ahimè, le scrivo da mamma… come definirmi, orfana? amputata? spezzata? distrutta? Lei asserisce: “Tutti dobbiamo essere orgogliosi di questo impianto, il più bello d’Europa, il più moderno, il più potente, credo sia un privilegio per tutti e per me essere e lavorare lì”. Be’ io non lo sono e non potrei mai esserlo, come non lo saranno mai tutte le mamme e tutti i papà che soffrono ogni giorno nel vedere i propri figli spegnersi. Lei ci vede una fabbrica moderna? Noi che ci viviamo ci vediamo una fabbrica di morte. La invito un giorno a casa mia a sentire quel vuoto che è capace di produrre la sua moderna e potente fabbrica di cui va tanto orgogliosa.

Carla Luccarelli, la mamma di Giorgio

 

Vecchi e inquinanti traghetti e grandi navi

In Italia, su 174 navi solo 4 hanno sistemi di riduzione delle emissioni, tra le grandi società armatrici Grimaldi è l’unica ad avere sistemi di riduzioni delle emissioni. Se è vero che 32 compagnie interpellate non stanno facendo nulla per rendere le loro navi meno inquinanti, sono invece pochissimi gli armatori che hanno cominciato a investire per rendere i propri traghetti più idonei alla salute dei genovesi e in particolar modo a chi abita vicino al porto. In più, l’età media delle navi passeggeri è di 29 anni, con punte di 65! Se poi si considera che questi armatori ricevono 250 milioni di euro di contributi pubblici per il trasporto dei passeggeri, la cosa fa pensare!

Ma perché chi gestisce i finanziamenti pubblici agli armatori non favorisce coloro che cercano di inquinare meno?

Marco Grasso

 

B. vuol tornare vergine e punta al Quirinale

Caro direttore, ho letto con piacere il suo editoriale che, con lucidità e puntualità, analizza quanto sia successo a B. Secondo me, oltre a rifarsi la verginità, tenta il riscatto per il Colle. Sbaglierò?

Raffaele Schirripa

 

In politica ci sono virus da sconfiggere

Carissimo Direttore, la ammiro da sempre. Durante la pandemia da virus, il mio pensiero va ai virus politici da lei combattuti con tenacia: il virus B. si può dire che sia stato quasi totalmente debellato dopo tanti anni di lotta; il virus R. sta per essere debellato; il virus S., il più pericoloso e apparentemente resistente; il virus M., che probabilmente resterà più o meno stabile ancora per parecchio tempo poiché gode della novità relativa al “fascino” femminile. Non crede che la causa della diffusione di tutti questi virus sia dovuta agli sprovveduti di cui il nostro Paese abbonda? Che poi sono gli stessi che si lamentano fortemente dei danni ricevuti perchè colpiscono in primo luogo loro stessi?

G. Antonio Andrea

 

Un condannato non può diventare senatore a vita

Senza voler entrare nella querelle sul giudice Franco e del tempismo perfetto per non incorrere in rogne giudiziarie (ovvero l’attesa della di lui dipartita per strombazzare al pubblico “porrico” la registrazione ovviamente fatta perché non si sa mai può tornare utile in futuro), mi domando con quale coraggio vorrebbero eleggere un senatore a vita condannato!

Giuseppe Izzi

 

Peggio del Caimano solo chi vuol pulirgli la fedina

A quanti si stanno prodigando a “rinfrescare” la fedina dell’ex Cavaliere vorrei ricordare che, oltre a certe acclarate gesta contra legem(corruzione nel caso Mills o compravendita di parlamentari) B. ha “fatto da tramite tra la mafia e Dell’Utri”, come recita la sentenza della Cassazione. Ha versato 250.000 euro mensili alla mafia per diciotto anni, pure quando era presidente del Consiglio. Trovo terribile che, invece di nascondersi, tenti ancora di far parlare bene di sé. Ma trovo peggiore l’affannarsi di chi, senza di lui, non sa che pesci pigliare.

Fabrizio Virgili

Artigiani. Senza cassa integrazione. Arrivata solo la prima tranche di aiuti

 

Caro Direttore, chi le scrive è un operaio di una piccolissima azienda artigiana di Torino: come tanti, sono anch’io in cassa integrazione dal 15 marzo e a oggi non ho ancora ricevuto nulla!!! Perché – apprendo da articolo di stampa – l’ente preposto al pagamento della cassa integrazione per artigiani è rimasto senza fondi… No comment… C’è solo da piangere… Visto che la vedo e seguo spesso, potrebbe fare presente la situazione a chi di dovere, per favore?… Ritrovarsi a 50 anni in questa situazione è umiliante… e a tratti tragico…. Mi creda. Grazie.

Tony Gagliardi

 

Gentile Tony, i ritardi nel far arrivare gli aiuti stanziati sono innegabili, anche perché incanalati in procedure farraginose su cui il governo ha deciso di intervenire in ritardo. A questo tema i giornali, e anche il Fatto, hanno dato risalto anche per il caso della cassa integrazione del Fondo di solidarietà bilaterale dell’artigianato. A quanto pare, però, non è bastato. Ci sono voluti ben 38 giorni per avviare il 26 giugno il trasferimento delle risorse stanziate dal dl Rilancio anche per la cassa integrazione per i dipendenti delle imprese artigiane (tecnicamente c’è stato prima il via libera della Ragioneria generale e poi l’ok della Corte dei conti al decreto del ministero del Lavoro e dell’Economia). Non è chiaro di chi sia la responsabilità di questo drammatico ritardo, visto che le somme sono state già stanziate. La risposta prevalente pone sul banco degli imputati la burocrazia che ha azzoppato la capacità di rispondere fattivamente a un’emergenza che, nel caso degli artigiani, coinvolge oltre un milione di lavoratori. Una tempistica giudicata “imbarazzante” dal segretario di Confartigianato, Cesare Fumagalli. Anche perché a fronte di una richiesta di 1 miliardo di euro, sono stati stanziati solo 765 milioni dal dl Rilancio che sommati ai 60 del Cura Italia fanno 825 milioni. Importo che non basterà a coprire le richieste che nel frattempo hanno superato il miliardo. Ma soprattutto, l’altroieri sono arrivati al Fondo di solidarietà bilaterale dell’artigianato solo 250 milioni che sono serviti solo per coprire le domande residue di marzo e circa un quarto di quelle di aprile. Purtroppo si continua a chiedere tempo e pazienza a chi l’ha esaurita.

Patrizia De Rubertis

“Liberi di emigrare”, il grande inganno

Fanno crescere il nostro Pil, fanno i lavori più pesanti e nocivi che i nostri lavoratori non vogliono più fare, accettano retribuzioni più basse, ci pagano le pensioni, accudiscono i nostri vecchi. Per non parlare di quelli che versano i contributi pensionistici per qualche anno, poi tornano al loro Paese e i loro versamenti rimangono nelle casse dell’Inps.

Sono a fondo perduto. Per loro, i poveri. Ma a fondo trovato gratis, per noi, i ricchi. Stando così le cose, perché non dovremmo accogliere i migranti che vogliono trasferirsi nel nostro Paese? L’accoglienza di cui si fanno sostenitori coloro che valutano in questa ottica le migrazioni è un’accoglienza interessata, che non si fonda sulla solidarietà, ma sullo sfruttamento dei più deboli da parte dei più forti. Se coloro che si propongono di ridurre le diseguaglianze tra gli esseri umani perché ritengono che siano per la maggior parte d’origine sociale, si riconoscono nella sinistra, mentre coloro che non si propongono di eliminarle perché le ritengono naturali, si riconoscono nella destra, i sostenitori dell’accoglienza interessata sono di destra, una destra moderata, anche quando dichiarano di essere di sinistra.

[…] Di fronte alla durezza di cuore dei governanti europei che si rimpallano l’un l’altro il compito di accogliere temporaneamente i migranti in attesa che vengano redistribuiti tra i loro Paesi, i sostenitori dell’accoglienza disinteressata denunciano all’opinione pubblica le sofferenze aggiuntive che questa scelta politica li costringe a patire e si mobilitano affinché vengano autorizzati a sbarcare al più presto.

L’accoglienza disinteressata dei migranti è una scelta motivata eticamente. Chi la sostiene si prefigge di attenuare le sofferenze che i popoli più poveri della terra patiscono a causa delle sopraffazioni esercitate nei loro confronti dai popoli più ricchi e potenti. Risponde alla pulsione alla giustizia insita nell’animo umano, rappresentata politicamente […] da una sinistra anticapitalista, con varie sfumature accomunate dall’idea che una maggiore equità tra gli esseri umani si possa conquistare soltanto con la lotta di classe degli sfruttati contro gli sfruttatori. E da una sinistra ispirata ai principi cristiani della fraternità. […]

I sostenitori dell’accoglienza disinteressata dei migranti, in genere non prendono in considerazione il fatto che dalla seconda metà del Settecento le migrazioni sono state e continuano a essere un’esigenza del modo di produzione industriale, ma tendono a considerare la decisione di emigrare una libera scelta effettuata per uscire dalla miseria e riuscire a nutrire regolarmente i propri figli. Per cui ritengono che chi ha a cuore l’equità e la giustizia non possa non dare il suo sostegno a chi la compie.

[…] Bisogna domandarsi se la scelta di migrare, pur essendo libera formalmente, lo sia anche realmente e non sia imposta dall’impossibilità di continuare a ricavare da vivere nel proprio Paese, perché è devastato da una guerra in corso, o è stato desertificato dai cambiamenti climatici, o una multinazionale straniera in combutta col governo s’è impadronita di ampie estensioni di terreni agricoli sottraendoli a chi ne ricavava la propria alimentazione. La vera solidarietà con chi è costretto a emigrare non si manifesta limitandosi a sostenere la sua libertà di farlo e la sua accoglienza sempre e comunque, ma anche, e soprattutto, impegnandosi politicamente a eliminare, o quantomeno a ridurre, le cause che lo costringono a farlo, a partire dalla riduzione, nel proprio Paese, dei consumi di risorse, delle emissioni climalteranti e delle emissioni inquinanti. Un convinto sostenitore della libertà di emigrare non può non essere anche un convinto sostenitore della libertà di non emigrare. Non può impegnarsi soltanto a sostenere chi vuole emigrare, senza impegnarsi altrettanto affinché vengano rimosse le cause che non consentono di continuare a vivere nella sua terra a chi vorrebbe continuare a farlo.

La causa delle migrazioni che connotano la storia del modo di produzione industriale è la finalizzazione dell’economia alla crescita della produzione di merci. È la crescita economica ad aver bisogno delle quantità crescenti di materie prime, energia e terreni agricoli che i Paesi ricchi sottraggono ai Paesi poveri, impoverendoli sempre di più e costringendo percentuali sempre maggiori dei loro popoli a emigrare. È la necessità di sostenere la crescita della produzione e del consumo di merci a indurre i Paesi ricchi a scatenare guerre per impadronirsi dei giacimenti di materie prime e di fonti fossili che si trovano nei territori dei Paesi poveri, a istigare le rivalità tra i popoli, le etnie e le confessioni religiose che li abitano, ad armare le fazioni, a organizzare colpi di Stato per rovesciare i regimi che ostacolano i loro disegni. Le maggiori quantità dei gas climalteranti che contribuiscono a desertificare superfici sempre più vaste dell’Africa, derivano dai consumi di fonti fossili su cui si fonda la crescita economica dei Paesi ricchi.

Sono le classi sociali dominanti dei Paesi ricchi a volere che aumenti anno dopo anno il numero dei contadini e degli artigiani che abbandonano l’economia di sussistenza nei Paesi poveri per diventare produttori/consumatori di merci nei Paesi ricchi. Sono gli intellettuali al servizio delle classi sociali dominanti a utilizzare potentissimi strumenti di persuasione di massa per diffondere la convinzione che il futuro, il benessere e il progresso sociale sono nelle città e nell’estensione della mercificazione a tutti gli aspetti della vita umana, a tutte le relazioni interpersonali, anche le più intime, perché tutte le forme di solidarietà, tutti gli scambi fondati sul dono e la reciprocità che caratterizzano le economie di sussistenza, consentono di acquistare meno merci e non fanno crescere i profitti. Se venisse a mancare l’apporto dei migranti, l’economia dei Paesi industrializzati entrerebbe in una crisi irreversibile. Solo i sostenitori dell’accoglienza interessata sembra che ne abbiano la percezione e in forma più o meno esplicita lanciano da tempo l’allarme.

Se si confonde la costrizione a emigrare, l’impossibilità di continuare a vivere dove si è nati, con la libertà o il diritto di emigrare, si cancella dal proprio orizzonte mentale la possibilità di contribuire a rimuovere le cause che costringono a emigrare. Anzi, si ritiene che agevolare le migrazioni sia non solo un dovere politico, ma anche morale, di chi si schiera dalla parte dei più deboli. Si carica di una valenza etica il sostegno a un processo funzionale alla crescita economica, che genera sofferenza, aumenta le disparità tra popoli poveri e popoli ricchi, aggrava la crisi ambientale. Non si potrebbe offrire un contributo migliore ai sostenitori dell’accoglienza interessata. Non si potrebbero aiutare più efficacemente a nascondere la sgradevole patina di approfittatori delle debolezze altrui che ricopre le loro parole.

 

 

Il covid-19 o l’Idra di Lerna

Sappiamo che abbiamo imparato a conoscere Covid molto lentamente. Influenzati forse dai dati provenienti dalla Cina, ne abbiamo inizialmente parlato esclusivamente come di una polmonite atipica. Si è poi visto che questa è solo una delle conseguenze di una patogenesi generalizzata, riferibile a una infiammazione diffusa.

Solo più tardi sono stati evidenziati sintomi presenti anche nei pazienti non gravi, quali il mal di testa e la perdita dell’olfatto. Questi ultimi sono diventati addirittura dei segnali precoci. Sottostimati nella gravità della patologia sono stati anche l’ictus e persino lo stroke.

Recentemente è stato pubblicato l’interessante articolo Some scientists suspect that Covid-19 causes respiratory failure and death not through damage to the lungs, but the brain – and other symptoms include headaches, strokes and seizures (“Alcuni scienziati sospettano che Covid-19 causi insufficienza respiratoria e morte non attraverso danni ai polmoni, ma al cervello – e altri sintomi includono mal di testa, ictus e convulsioni”).

L’autore, Zoe Cormier, sostiene che molti pazienti che presentano solamente sintomi neurologici non vengono indagati per Covid-19. E questo non solo è un problema per l’inquadramento diagnostico del paziente, ma potrebbe far sfuggire soggetti positivi con le prevedibili conseguenze infettivologiche. Insomma Covid-19 non finisce mai di stupirci. Agli infettivologi, che inizialmente sembravano essere i clinici di riferimento, pian piano sono stati aggiunti gli intensivisti, gli pneumologi, gli immunologi, i dermatologi e oggi anche i neurologi. Sars CoV2 sempre più ci appare come l’Idra di Lerna.

direttore microbiologia clinica e virologia del “Sacco” di Milano

Il governo non metta le mani nelle tasche dei contribuenti

Forse non tutti sanno che vige, in materia tributaria, una riserva di legge. Vuol dire che le imposte e le tasse (così come qualsiasi altra prestazione personale o patrimoniale coattiva) possono essere introdotte solo dal Parlamento (e non dal governo, se non su delega del Parlamento). La funzione dell’art. 23 della Costituzione, che sancisce la riserva, è di evitare che sia l’esecutivo a “mettere le mani nelle tasche dei contribuenti” nella giusta convinzione che tale importantissima e delicatissima funzione debba essere affidata ai “rappresentanti del popolo”, riuniti nelle due Camere.

È vero che il governo è tendenzialmente sorretto dalla stessa maggioranza parlamentare che poi approva le leggi (ivi comprese quelle tributarie) – talché si potrebbe dubitare dell’utilità della riserva di legge –, ma è altresì vero che al processo di formazione delle leggi partecipano anche le minoranze, che svolgono un ruolo di controllo e di stimolo che non potrebbe esserci nella sede governativa. Inoltre, mentre la legittimità degli atti del Governo è giudicata dai Tar e dal Consiglio di Stato (e quindi da apparati non politici dello Stato), quella delle leggi è vagliata dalla Corte costituzionale i cui membri sono, in parte, nominati dal Parlamento e dal presidente della Repubblica. La ragione per cui non esiste un’analoga riserva di legge rispetto alla fissazione dei prezzi praticati nelle transazioni private (che so, il prezzo del latte) è che, da un lato, è rimesso alla scelta del privato se acquistare o meno un determinato bene o servizio (libertà di scelta che non esiste rispetto al pagamento delle imposte e in larga misura delle tasse) e, dall’altro, che il prezzo stesso è determinato sul libero mercato (anziché in via unilaterale dallo Stato). In sintesi, si può dire che il pagamento dei prezzi tra privati non è “coattivo” perché l’obbligazione nasce per effetto di una scelta del consumatore e il quantum deriva dall’incontro tra domanda e offerta (sia a livello macro che di singola transazione).

La verità, però, è che tanto maggiore è la necessarietà di un certo bene (che so, l’acqua o il pane) e tanto minore è il tasso di concorrenza operante nel settore di riferimento che, di conseguenza, aumenta il grado di “coattività” del prezzo della transazione. Portando il ragionamento al limite, se l’acqua fosse gestita da un unico fornitore monopolista, ecco che, di fronte alla scelta tra morire di sete o pagarne il relativo prezzo al litro, sarebbe oltremodo difficile scorgere la differenza tra questo prezzo e una tassa. Ma la realtà può essere assai più variegata e in una fase storica nella quale gli operatori si consolidano diventando sempre più grandi (es. banche e assicurazioni senza considerare i giganti del hi-tech) il problema sarà sempre più pressante. Il senso del parallelo tra tributi e prezzi monopolistici è che se il problema della coattività esiste per i primi, beh esiste a maggior ragione per i secondi (il governo è, sia pur indirettamente, eletto). Sto proponendo che i prezzi siano fissati per legge? Ovviamente no. Piuttosto, che i presìdi a tutela della concorrenza e dell’accesso al mercato siano potenziati perché si tratta di un problema di democrazia. Il conflitto tra parlamento e sovrano, di cui l’art. 23 Cost. è figlio, si consuma oggi sui “mercati” che tanto liberi non sono visto che i “piccoli” muoiono della crisi infinita del capitalismo tradizionale mentre i “grandi”, figli del capitalismo finanziario e della rivoluzione informatica, sono così grandi da avere più risorse (e meno debito) di uno Stato sovrano. Non sarà che il dibattito sulla “patrimoniale”, eventualmente votata da un Parlamento eletto, dovrebbe essere spostato sul pericolo che prima o poi le “imposte” le pagheremo ad Amazon?

 

Milano, Bob Marley quarant’anni fa: il vero spartiacque

Ricordare il concerto di Bob Marley a San Siro, 40 anni dopo, ha scatenato due opposte reazioni. Da una parte la nostalgia, dall’altra la condanna per una fase di ideologia e violenza. Entrambe le reazioni dimostrano che quello del 27 giugno 1980 a Milano non fu solo un concerto, non fu solo musica. Fu il precipitare in un evento dello spirito del tempo, l’incrociarsi di cultura, società, politica. A suo modo, storia. Quella giornata di giugno fu uno spartiacque tra gli anni Settanta dell’impegno politico e gli Ottanta del business. Allora la nostalgia non basta a raccontarla, perché la nostalgia offusca il ricordo, addolcito dal fatto che si aveva vent’anni. Ma neanche la condanna per quei tempi aspri e forti aiuta a capire davvero. Così devo esprimere il mio sommesso disaccordo per il racconto che ne ha fatto Alberto Negri, che pure è un maestro di giornalismo e sa raccontare i conflitti del mondo come nessuno. Negri ricorda quel giorno di San Siro come “una pausa di serenità dopo tanto piombo e violenza”. Non solo il primo concerto in un grande stadio, ma anche il primo che si svolse tranquillo, senza incidenti di rilievo, dopo quelli che “erano stati anni caldi, anni di piombo, anche per la musica: nel ’77 il concerto di Santana al Vigorelli era terminato con il palco in fiamme bersagliato dalle molotov. Messi sotto processo dagli autoriduttori, erano dovuti scappare dalla scena Francesco De Gregori e anche Lou Reed. Sirene, polizia, lacrimogeni e grandi fughe per scansare botte da orbi: era questa la colonna sonora”. Tutto vero. “Essere un ventenne a quell’epoca”, continua Negri, “richiedeva preparazione fisica, prontezza di riflessi e una certa fortuna. Andavi a un concerto e rischiavi di finire dentro a una bolgia infernale, al liceo se non stavi attento qualcuno di un gruppo opposto ti tirava una sprangata in testa, attraversavi una strada e ti trovavi stritolato in uno scontro tra polizia e manifestanti. Volavano sampietrini come in una intifada palestinese. Ogni giorno c’era un morto, un ferito, per terrorismo, scontri politici, regolamenti di conti”. Meno male, suggerisce Negri, che a porre fine a quegli anni di piombo & musica arrivò Marley, con il suo ritmo ipnotico, le ragazze che si toglievano il reggiseno, 80 mila ragazzi che ballavano e cantavano, invece di tirare pietre.

Tutto vero. Tutto bello. Eppure io non riesco a contrapporre il prima e il dopo, i Settanta e gli Ottanta. Il prima non era affatto quel tunnel cupo di violenza che molti oggi raccontano: era anche un grande, composito, contraddittorio movimento di massa, era il protagonismo degli studenti, era l’orgoglio degli operai, era la speranza di un grande cambiamento. L’illusione era quella di cambiare il mondo: un vasto programma. Ma la realtà era la sperimentazione di nuove pratiche di vita e di nuovi rapporti di potere, scardinando le obbedienze, sovvertendo le tradizioni, prendendo finalmente la parola, non più riservata al capo, al padrone, al professore, al prete. La storia è sempre passione e sangue, non esiste cambiamento pulito ed educato, eppure nei Settanta l’Italia cambiò come non era mai successo prima, dalla Resistenza a quel momento. Dentro quel movimento c’erano anche i fenomeni – l’iperideologizzazione, la violenza – che siamo contenti siano stati sconfitti, ma non li ricordo affatto come anni plumbei, erano vivaci, stimolanti, divertenti. E gli Ottanta? Anche il dopo non fu solamente ricomposizione dell’ordine violato, sollievo per la fine delle scempiaggini violente dei Settanta. Fu calo del desiderio, rinuncia alle passioni, ritorno alle gerarchie dei poteri, affermazione di un’ideologia – quella della produzione, delle compatibilità e del successo – non meno feroce di quella della rivoluzione.

Ma qui il reggae di Marley diventa solo un’eco lontana, una colonna sonora frusciante.

 

Ritorno al Mattarellum contro il trasformismo

L’approdo nella Lega della senatrice pentastellata Riccardi ha ingenerato dubbi sulla tenuta del governo, ma non ha ravvivato il dibattito sul turismo parlamentare. Secondo un recente saggio del professor Marco Macchia, dal 1994 in poi, ben 1148 deputati e senatori hanno effettuato il c.d. cambio casacca, alcuni in modo plurimo (per un totale di 1806 spostamenti). Per contrastare il fenomeno si era prospettata l’abrogazione dell’art. 67 della Costituzione che esenta gli eletti, quali rappresentanti della Nazione, dal vincolo di mandato. Proposta irricevibile per diversi motivi. Su quel parametro, infatti, si fonda il costituzionalismo moderno che esclude la rappresentanza di interessi di categoria o ceto, tipica delle assemblee ante rivoluzione francese. Già inserito nell’art. 41 dello Statuto albertino, il precetto è presente anche in altre Costituzioni europee: ad esempio in quelle della Spagna (art. 67 Cost.), della Francia (art. 27), della Germania (art. 38). La centralità e la coerenza del principio con l’intero sistema sono state infine ribadite dall’importante ordinanza n. 17/2019 della Corte cost. Il tema del turismo parlamentare deve peraltro considerare che alcuni cambi di casacca sono dettati da motivi eticamente plausibili così che l’approccio alla questione deve tener conto sia dell’opportunismo di taluni sia del serio convincimento di altri.

Lo stallo si può superare solo in virtù di una corretta interpretazione della legge fondamentale, evitando di affidarsi al mero patriottismo partitico del parlamentare. Alexander Hamilton, nella Convenzione di Philadelphia del 1787, ammise che il puro patriottismo era stato “la fonte di molti errori”. L’affermazione rimane, dopo 233 anni, di grande attualità. Punto di partenza è il sistema elettorale. Le ultime leggi, dal porcellum in poi, premiano a dismisura il proporzionale. Il vigente rosatellum riserva ben due terzi al proporzionale, cioè alle scelte compiute nelle segrete stanze dalle dirigenze dei partiti con criteri spesso avulsi dal contesto territoriale di riferimento (ad esempio la candidatura a Bolzano della toscana Maria Elena Boschi per conseguire il necessario suffragio). Il metodo proporzionale assume a parametro principale il “patriottismo”, cioè la mera adesione al partito del candidato, e confina nel poco rilevante il collegamento dell’eletto con la comunità espressa nel collegio elettorale. Si tratta, in altre parole, di una distorsione del parametro dell’art. 67 Cost. perché la rappresentanza della Nazione scaturisce comunque dal rapporto con una specifica collettività territoriale: quella rappresentanza si correla alla natura sezionale del collegio elettorale quale esponente pro quota della sovranità popolare ex art. 1 Cost. Si condensano perciò un rapporto fiduciario con la comunità di base e una responsabilità che traguarda il singolo collegio perché gli effetti dell’elezione riconducono, proprio con il concorso dell’eletto, al pieno esercizio della sovranità popolare. Il metodo proporzionale, se applicato in modo totalizzante, finisce per depotenziare l’effettiva precettività dell’art. 67 Cost. e per dequotare così il cardine strutturale di ogni democrazia. Quest’ultimo consiste nel connettere le potestà di legislazione e di governo con un’adeguata rappresentanza per garantire la piena efficienza del circuito democratico reale (come definito da Carlo Lavagna, indimenticato maestro del diritto pubblico). Un senatore o un deputato eletto direttamente nel collegio è più consapevole della responsabilità assunta per scelta della relativa comunità, con la quale intrattiene un rapporto stabile, ed è meno portato, in linea di principio, a tradirne la fiducia per considerazioni o appetiti personali.

Anche sotto questo profilo v’è da augurarsi un ritorno al maggioritario, equilibrato da una modesta quota proporzionale che impedisca, come ammonisce Kelsen, la rappresentanza nelle Camere della sola maggioranza. In questo senso un eccellente compromesso è il Mattarellum, che sarebbe saggio ripristinare. Saggio, ma difficilmente praticabile nel- l’attuale contingenza, caratterizzata, in ampi settori parlamentari, dalla preferenza per il proporzionale puro. Con la tetra prospettiva di garantire a molti un seggio e di mantenere la situazione del Paese nel ristagno tipico delle coalizioni politiche non coese per aggregazioni fondate solo su ragioni di convenienza.