Donare plasma permette di salvare vite. Gravi emorragie e incidenti, grandi ustioni, malattie rare, il plasma consente di combattere queste minacce e di produrre farmaci salvavita come l’albumina o le immunoglobuline. E anche l’epidemia in corso ci porta a sperare di trovare una terapia contro il Covid, grazie al plasma. Ma proprio perché è un atto di altruismo, donarlo deve essere completamente sicuro. Lo è? Il Fatto Quotidiano ha condotto un’inchiesta giornalistica durata otto mesi in partnership con altri sette media internazionali, coordinata dall’organizzazione non profit “The Signals Network” che fornisce supporto a una rete di whistleblower.
Abbiamo avuto accesso esclusivo a centinaia di documenti interni della Haemonetics, una multinazionale americana che produce e commercializza una delle più diffuse tecnologie per la donazione del plasma: le macchine e i kit monouso per l’aferesi produttiva. I giganti che si contendono questo mercato mondiale sono tre: la statunitense Haemonetics, la giapponese Terumo e la tedesca Fresenius. Le Haemonetics, da Bolzano a Palermo, sono tra le più diffuse in Italia e, specie nelle ultime settimane, vengono usate da alcune importanti aziende ospedaliere italiane – come Pisa, il San Camillo di Roma, il Cotugno di Napoli, il Policlinico di Bari – anche per raccogliere il plasma dei pazienti guariti da Covid, il famoso “plasma iperimmune”.
La documentazione interna della multinazionale americana – condivisa con noi da alcuni whistleblower – consente per la prima volta di ricostruire alcuni “incidenti” relativi a queste macchine in tutto il mondo, Italia compresa: incidenti che potrebbero presentare dei potenziali rischi per i donatori.
L’oro liquido
Lo chiamano “oro liquido” per quanto è prezioso, e di importanza vitale nella medicina. Il plasma è ciò che permette al sangue di fluire, un liquido giallastro in cui sono sospese le cellule sanguigne come globuli rossi, bianchi e piastrine. Se dal plasma separiamo queste cellule, resterà al 92% acqua e per il resto proteine, sali minerali, enzimi, immunoglobuline. L’aferesi – dal greco, letteralmente eliminare o sottrarre – può essere terapeutica (mirata a curare una patologia relativa alle cellule del sangue o alla sua componente plasmatica), o produttiva (per selezionare emocomponenti a scopo terapeutico). È proprio l’aferesi produttiva che si avvale dell’utilizzo di un separatore cellulare. Così è possibile donare selettivamente plasma, plasma e piastrine, globuli rossi e piastrine. Ma mentre per un prelievo è sufficiente una siringa, per l’aferesi produttiva è necessario un sistema di separazione cellulare che processa un gran volume di sangue e preleva il componente necessario, reinfondendo mediante lo stesso accesso venoso del prelievo la restante parte.
La macchina utilizzata ha un motore, delle pompe con sensori, un software che guida il processo e infine un kit monouso che si compone di una campana con la centrifuga che separa le diverse componenti, dei tubi e le sacche di raccolta. A seconda delle componenti che si vogliono estrarre, si usano kit monouso diversi. E, come dicevamo, tra le aziende che producono e commercializzano separatori cellulari, l’americana Haemonetics – con le sue macchine MCS+ e PCS2 per la raccolta di plasma – è una delle più importanti al mondo.
Francia, i whistleblower
Il caso Haemonetics esplode in Francia nel 2017. Per anni, tre whistleblower, Alexandre Berthelot, Philippe Urrecho e Guylain Cabantous, denunciano alle autorità sanitarie il rischio nell’utilizzo di queste macchine e dei loro kit. Il problema, secondo quanto sostengono i tre, sarebbe legato a “particelle nere” che, in alcuni casi, possono formarsi durante l’aferesi, finendo quindi nel plasma raccolto. Particelle la cui natura – e i loro effetti a lungo termine – non risultano chiari, specie per chi dona con sistematicità. In cosa consistono queste particelle? Secondo l’azienda, si tratterebbe di sangue o di proteine essiccate, mentre i tre whistleblower denunciano la possibilità che vi siano sostanze potenzialmente dannose che si formano a causa della frizione e del surriscaldamento delle componenti della campana che centrifuga il sangue.
Nel 2017, l’Agenzia nazionale per la sicurezza dei dispositivi medici (ANSM) crea un comitato di esperti per indagare. Pur ammettendo che la produzione di particelle di taglia grande “è un fenomeno raro, 1,8 casi su 100mila procedure di aferesi nel 2016” e pur in assenza di studi sugli effetti a lungo termine, per il comitato “bisognerà considerare la messa al bando dei dispositivi medici che contengono giunti mobili (con grafite/ceramica) che possono liberare sostanze note per la loro potenziale tossicità anche a basse dosi (formaldeide, cromo esavalente, idrocarburi policiclici aromatici)”. E ancora il comitato scrive: “Le macchine commercializzate da Haemonetics sono quelle per cui il rischio sembra più elevato”.
La svolta arriva nel maggio 2018, quando i tre whistleblower presentano una denuncia penale al Tribunal de Grande Instance di Parigi, contro la Haemonetics e le autorità sanitarie francesi. Qualche mese dopo, l’uso delle macchine Haemonetics MCS+ e PCS2 col kit monouso 782HS-P-SL viene sospeso. A oggi il kit è ancora bandito e 300 macchine PCS2 sono state ritirate. L’azione penale di Berthelot, Urrecho e Guylain riesce soprattutto a spingere otto donatori di plasma a farsi avanti e a denunciare la multinazionale. L’avvocata francese Alma Basic, che li rappresenta, dichiara al Fatto: “Si sentono traditi, per anni hanno donato il loro plasma per altruismo, fidandosi delle istituzioni, poi, con queste rivelazioni, hanno smesso di donare”.
In Italia e nel mondo?
Interpellata, Haemonetics ha risposto: “Negli ultimi 15 anni, le nostre tecnologie sono state usate in modo sicuro in 360 milioni di procedure per la raccolta del plasma nel mondo”. La multinazionale sostiene che il problema delle “particelle nere” è estremamente raro: avrebbe riguardato solo lo 0,0006% delle aferesi produttive e senza essere “stato associato a danni a donatori, pazienti o altri”. I documenti interni di cui siamo entrati in possesso e le indagini giornalistiche condotte – dallo Zeit in primis – raccontano di oltre 600 di questi “incidenti”, tutti documentati negli ultimi 15 anni: 56 in Germania, 150, secondo il Miami Herald, negli Usa. E in Italia?
Nel nostro Paese le macchine Haemonetics MCS+ e PCS2 sono molto diffuse. Le usa il servizio trasfusionale di Bolzano (6 unità), la Città della Salute di Torino, i centri trasfusionali di Modena, Parma, Piacenza, Reggio Emilia e l’Azienda Usl dell’Emilia Romagna. In Toscana, ce ne sono ben144 (82 PCS2 e 62 MCS+). Nel Lazio,40, in Umbria 10, in Campania 41 e in Calabria 10. A vigilare sono il Centro Nazionale Sangue e la Direzione generale dei dispositivi medici del ministero della Sanità. Interpellato dal Fatto, il ministero non ha risposto. Il direttore del Centro Nazionale Sangue, Giancarlo Maria Liumbruno, ha invece dichiarato che, dalle verifiche eseguite subito dopo la messa al bando in Francia, è emerso che il kit in questione “non è mai stato commercializzato in Italia”. La multinazionale Usa ce lo ha confermato.
Grazie alla nostra inchiesta abbiamo potuto verificare in modo indipendente che, tra il 2018 e il 2019, si sono registrati almeno cinque incidenti che riguardano i filtri dei kit monouso999F-E per la donazione di plasma e piastrine. Tre all’ospedale Meyer di Firenze (nel febbraio-marzo 2019), e due presso l’azienda ospedaliera di Parma (gennaio-febbraio 2019). Entrambe le strutture hanno specificato come non via stato alcun danno ai donatori, ma sia Meyer sia Parma non hanno fornito particolari su quanto accaduto. Incidenti si sono verificati anche all’Ospedale Cervello di Palermo, nel 2018. La responsabile del servizio di aferesi produttiva, Noemi Agosto, ci ha risposto: “Abbiamo avuto problemi con un circuito monouso dell’Haemonetics(sic)946 per una produzione difettosa che ci ha fermato quasi un anno per la sua riutilizzazione”. Alle nostre domande per capire se ci fossero stati problemi coi donatori, l’ospedale non ha risposto. Così come Haemonetics non ha voluto rispondere né sui casi di Parma e del Meyer né sull’ospedale Cervello.
Nessuno di questi episodi è segnalato nel portale del ministero della Salute per gli avvisi di sicurezza dei dispositivi medici. Secondo i partner stranieri dell’inchiesta, sarebbero molti quelli non segnalati anche in Francia e negli Usa. Gli incidenti nel nostro Paese che abbiamo potuto verificare sono gli unici? Esistono rischi per i donatori? Le macchine sospese in Francia continuano a essere usate in Italia: quello che vale al di là delle Alpi, come è possibile che non lo sia al di qua?