La sai l’ultima?

 

Un 24enne indiano entra nel Guinness facendosi coprire la faccia da 60mila api

Ognuno si diverte come può. In Kerala, per esempio, un ragazzo indiano è entrato nel Guinness dei primati grazie a un prezioso super-potere: è capace di farsi ricoprire dalle api senza essere devastato dalle punture. Nella fattispecie ha resistito con il volto sommerso da 60mila insetti per quattro ore, dieci minuti e cinque secondi. Alla fine dell’impresa, come Forrest Gump, era “un po’ stanchino”. Nel mentre però tutto è andato benissimo. Il 24enne Nature M. S. infatti è straordinariamente amico delle api. Non lo pungono. E se lo pungono, dice lui, “è per colpa mia”. L’ha raccontato al Daily Mail: “La prima volta avevo sette anni, un’ape regina mi si è posata sul braccio e presto è arrivato tutto lo sciame a proteggerla. Il giorno dopo mi sono messo un’ape regina in testa e in pochi istanti gli insetti mi hanno coperto viso e corpo. Seguo sempre il consiglio di mio padre, che mi ha detto di non mostrami nervoso e di non avere paura”. È una qualità.

 

Un politico sudafricano si è fatto seppellire dentro la sua amata Mercedes di seconda mano

Immanuel Kant riposa in compagnia del suo meraviglioso epitaffio: “Il cielo stellato sopra di me, la legge morale in me”. Un politico sudafricano, meno filosoficamente, si è fatto seppellire dentro la sua auto: non avrà il cielo e la legge morale con sé, ma attorno a lui c’è sicuramente una Mercedes. Le fotografie del funerale sono notevoli: la corona funebre adagiata sopra il telo che copre la carrozzeria dell’auto, calata lentamente in una gigantesca fossa. Tshekede Pitso, ex rappresentante del Movimento Democratico Unito, amava da morire la sua Mercedes Benz 500E degli anni ‘90. Il suo ultimo desiderio era restare con lei e la famiglia non se l’è sentita di negarglielo. La figlia Sefora Letswaka l’ha raccontato alla stampa locale: “Mio padre è stato un imprenditore molto ricco, aveva molte auto di lusso, ma ha dovuto venderle tutte. Due anni fa ha comprato questa Mercedes di seconda mano. Si è rotta subito, ma a lui piaceva restarci anche se non poteva guidarla”. Amen.

 

New Jersey, la polizia assolda uno scalatore professionista per liberare un gatto salito su un ramo a 15 metri di altezza

Avete presente il classico aneddoto della vecchina che chiama i pompieri perché il gatto è salito su un albero e non sa più come scendere? Qui abbiamo una versione heavy metal. È successa a Smithtown, in New Jersey. La trama è la stessa, ma la sceneggiatura è molto più spettacolare. In questo caso l’improvvido felino – un tigrato fantasiosamente chiamato Tiger – si è arrampicato su un ramo a ben 15 metri di altezza. Le operazioni di recupero sono state particolarmente complesse. All’inizio il capo della polizia locale Mitch Crowley ha mobilitato un’intera unità per provare a raggiungere Tiger con un camion ribaltabile, ma il ramo in cui si era andato a ficcare il gatto era decisamente troppo alto. Alla fine la polizia si è dovuta rivolgere a un vero professionista: per salvare Tiger è stato assoldato uno scalatore di alberi. Bardato con elmetto, corda e imbracatura, il funambolico Omar è riuscito finalmente a liberare il micio dopo 72 ore di prigionia.

 

Titolo della settimana. L’Agi si dà all’ittica (a luci rosse): ”Per i salmoni in amore le dimensioni sono importanti”

Importanti novità in arrivo dall’universo dei salmoni. Ce ne rende partecipi l’Agi, che si diletta in un lancio d’agenzia dal titolo allusivo: “Animali. Per i salmoni in amore le dimensioni contano”. Ce le immaginiamo le risatine e i colpi di gomito in redazione. La notizia ha a che fare con il naturale istinto di conservazione della specie e non con chissà quale predilezione sessuale: più Darwin, meno Siffredi. Sono i risultati di un esperimento condotto dall’Università di Helsinki: “Abbiamo seguito con un chip i movimenti di oltre 5mila esemplari a distanza di anni e abbiamo riscontrato che i salmoni più grandi erano più prolifici. Per ogni anno trascorso in mare le femmine possono aumentare di oltre 4 kg e generano il 60% di prole in più. I maschi crescono di circa 5 kg e raddoppiano il numero di figli per ogni anno che trascorrono in mare”. Insomma, “come molti altri animali, anche i salmoni più grandi aumentano le loro possibilità di accoppiarsi”. Visto? Molto poco pornografico.

 

Savona, un canguro in centro. Era bloccato da febbraio per colpa del lockdown, ma c’è la fase 3 anche per lui

Le storie degli animali esotici che per qualche motivo si ritrovano nelle strade delle città sono sempre divertenti. Ogni tanto qualche bestia scappa dallo zoo, o dalle gabbie di un collezionista privato al di sopra della legge e del buon senso. Stavolta succede in Liguria. Ve l’immaginate un canguro a Savona? Si fa fatica. Eppure sabato un marsupiale si è avventurato per il centro della città ligure, con molteplici avvistamenti (e video) tra Piazza del Popolo e dintorni. Era scappato dal circo Millennium, ma senza concitazione e ansia da fuga: si è concesso giusto quattro salti tra le strade cittadine, crediamo più alla ricerca di cibo che per velleità turistiche. Il canguro Tom – scrive La Stampa – è ospite forzato di Savona ormai da febbraio: il suo circo itinerante è stato bloccato dal lockdown. Naturale che volesse farsi due passi, visto che siamo in fase 3. E poi, così com’è venuto, Tom se n’è riandato a casa: non c’è stato bisogno di inseguimenti e catture, è tornato spontaneamente nell’area delle roulotte del circo. Un canguro evoluto.

 

Rieccolo: la Scozia esulta per il ritorno del mostro di Loch Ness. Ma nella foto si vede solo un grosso pesce

Ci risiamo: il mostro di Lock Ness. L’ultimo avvistamento della leggendaria creatura che abita gli anfratti del lago più famoso del mondo è diventato di dominio pubblico il 24 giugno. A darne prova ci sarebbe la fotografia scattata da un turista di Southampton, il signor Steve Challice. L’immagine è stata pubblicata da lui stesso su Facebook. E possiamo affermare senza timore di smentita che si tratta di una patacca clamorosa. Si vede il profilo grigio e sgranato, a pelo d’acqua, di quello che sembra un grosso, strano pesce. La stampa locale – a iniziare dall’Inverness Courier – ha sfruttato la brutta fotografia per lanciare qualche titolone sul ritorno di Nessie. In verità nemmeno Challice, l’autore dello scatto, pensa di aver immortalato una creatura soprannaturale: “Sembrava un grosso pesce gatto. Devo dire che non credo al mostro di Loch Ness e onestamente, qualsiasi cosa fosse, sono sicuro che ci sia una spiegazione logica”. Nulla impedisce di sognare il contrario. Soprattutto a chi deve affittare un bed and breakfast vicino al lago.

 

Respinto al McDrive: un uomo a cavallo infuriato e umiliato perché non gli hanno servito il suo panino

Voleva soltanto un panino col pollo fritto. Un uomo su una piccola carrozza trainata da un cavallo si è avvicinato al “drive-through” della famosa catena Kfc a Carlisle, in Inghilterra (l’area in cui il cibo viene consegnato direttamente in automobile). Ma l’affamato cavaliere è stato respinto con perdite: si sono rifiutati di servirlo. Il manager del ristorante gli ha detto che se ne sarebbe dovuto andare subito, “per la salute e la sicurezza degli altri clienti”. L’imperdibile notizia è pubblicata su Metro.uk. Il 55enne Ian Bell non se ne capacita: il suo cavallo Jon Jon è “buono come un pezzo di pane”. E poi “i cavalli sono in circolazione da molto più tempo delle auto a motore”. Invece da Kfc praticano questa orribile forma di discriminazione: se vieni su un equino non puoi essere servito. “Mi sono messo in fila in mezzo alle auto – racconta Ian – e Jon Jon si stava comportando benissimo, tranquillo come un agnellino. Quando è arrivato il mio turno è uscito il manager a dirmi che me ne dovevo andare”. Conclusione? “Sono andato da Mc Donald’s”.

“Marò, poi la Siberia. La carriera in discesa di un sindacalista”

Imparare a vivere come Antonio Pizzinato, classe 1932. Imparare, cioè, a scendere tutti i gradini di una carriera (che l’aveva visto giungere in vetta) e sentirsene ugualmente onorato.

“È sempre bello aprire la sezione. Ogni mattina, fino a dicembre scorso, andavo all’Anpi della mia città, Sesto San Giovanni. Avevo le chiavi, alzavo la serranda. Mi mettevo lì dopo essere passato dall’edicola”

Lei è stato segretario generale della Cgil.

Dopo Luciano Lama e prima di Bruno Trentin. Tra il 1986 e il 1989.

Poi deputato, poi al governo con Prodi.

E quando sono andato in pensione sono ripartito dal punto esatto dal quale avevo cominciato. La militanza è uno spirito che ti resta in corpo e non ti lascia più. È una febbre e non c’è antibiotico che scacci l’intruso come non c’è delusione che appanni la passione. Gli incarichi, anche quelli più umili come sicuramente lo è infilare le chiavi nella serratura ogni mattina, non li giudichi per la loro consistenza ma per il senso che hanno. È il valore politico di un gesto: aprire la casa dei partigiani, che sia inverno o estate. Che si abbia venti o novant’anni. Una brutta caduta accorsami a dicembre mi ha fatto sospendere l’impegno mattutino. Comunque, Covid o non Covid, io ci sono sempre.

A vent’anni militare da sbarco nel battaglione San Marco.

Meno di vent’anni.

Capelli a spazzola.

Eravamo ai confini con la Jugoslavia, c’era in ballo la riunificazione di Trieste.

A ventisei anni è stato a fare uno stage formativo in Siberia.

Il partito mi mandò a studiare a Mosca. Quattro anni alla scuola internazionale. Duemila compagni da tutto il mondo. Vietnamiti, cinesi, francesi, anche americani. Allo studio si univa un periodo di formazione in varie zone dell’Urss.

Si studiava cosa?

Economia, storia. E poi si andava a fare periodi di lavoro. In Ucraina per capire l’agricoltura. In Siberia per seguire la trasformazione della metallurgia.

La Siberia.

La Siberia, sì.

Lei è di un altro mondo.

Avevamo anche le ferie estive. Si andava sul mar Nero.

Una cartolina alla mamma dalla Crimea.

Nessuna cartolina, nessun rapporto possibile. Io ero in Unione Sovietica senza visto, col passaporto scaduto.

Un rivoluzionario clandestino.

Mandavo i saluti alla famiglia attraverso un compagno. La situazione internazionale non era favorevolissima. Avevo il passaporto scaduto, come le ho spiegato. Non ero un regolare. Al ritorno da Mosca, era il 1961, il nostro treno fu fermato a Berlino, il Muro era già una realtà. Non ci fecero passare. Ritornammo a Praga, da lì verso la Svizzera e poi in Italia.

Comunista e sindacalista.

Ho iniziato alle officine Borletti, come operaio specializzato. Da lì in avanti nella Fiom, fino a esserne segretario provinciale della federazione. Lì si è formata la classe operaia, lì le migliori lotte dell’emancipazione. E quel soggiorno in Unione Sovietica mi servì. Un sindacalista deve conoscere il sudore del reparto presse, deve capire le angustie di essere nei turni più faticosi e conoscere i processi di innovazione tecnologica. Io feci l’accordo alla Falk per le quaranta ore settimanali. Riducemmo l’orario di lavoro, conquistammo in modo definitivo le ferie e allargammo a un quarto turno la catena di montaggio, quindi aumentammo l’occupazione. Però dovemmo accettare il lavoro continuo: 363 giorni su 365. Domeniche incluse.

I preti vi mangiarono vivi.

Le parrocchie suonavano le campane a morte contro la Fiom.

Lei si avvicina ai novant’anni e porta sempre i capelli a spazzola.

Non esiste una vita verticale. La vita è una formidabile sequenza di esperienze. Vedo questi giovanotti che fanno i parlamentari e i ministri con una disinvoltura sconosciuta che è la virtù dell’incompetenza. Dico loro che il sottoscritto, dopo quarant’anni in Cgil, quando fu mandato alla Camera e lì in commissione Lavoro mica era sicuro di saper far bene?

Dovrebbero temprarsi in Siberia?

Dovrebbero temprarsi, punto. Scelgano pure la California, ma guardino al mondo e imparino l’umiltà.

Pride, un ragazzo pestato a Pescara

“Non perdono i miei aggressori, mi fanno solo tanta pena“. Sono le parole di un 25enne aggredito a Pescara da sette giovani, tra cui una ragazza, e finito in ospedale con la mascella sinistra fratturata. Il ragazzo era in compagnia del fidanzato, 22 anni, quando dopo la mezzanotte di giovedì è stata assalito sul lungomare, come raccontato ieri dal quotidiano Il Centro.

I due ragazzi erano diretti a casa. La vittima è stata soccorsa e portata in ospedale per le cure del caso, prima di un necessario intervento chirurgico. Poco prima di balordi aveva insultato pesantemente la coppia che si teneva per mano, prima di iniziare l’assalto con calci e pugni. Alcuni passanti avrebbero tentato di fermarli e ne sarebbe nata una colluttazione. Sono in corso le indagini per identificare tutti: uno degli aggressori, tutti ragazzi sotto i 20 anni, ha un tatuaggio sul collo a forma di bocca. Stando ai primi accertamenti, il luogo in cui è avvenuta la colluttazione non sarebbe coperto dalle telecamere, che però sono presenti nell’area in cui sono iniziati gli insulti.

“Apprendiamo con sconcerto e preoccupazione l’ennesimo atto omofobo avvenuto proprio a Pescara, nei giorni del primo Abruzzo Pride – si legge in una nota dell’Arcigay di Chieti –. Secondo quanto riportato dai giovani ragazzi e dalle testimonianza dei passanti, gli artefici della brutale aggressione omofoba sarebbero dei ragazzini giovanissimi e dallo spiccato accento pescarese. Il sindaco del capoluogo adriatico Carlo Masci descrive da diversi giorni Pescara come una città libera e aperta, eppure questa è la seconda volta in cui avviene un episodio omofobo, in una settimana, nella sua città, proprio durante la Pride Week del primo Abruzzo Pride. Ai due ragazzi mandiamo tutta la nostra solidarietà e vicinanza. Come associazioni Arcigay offriamo loro disponibilità a livello legale e psicologico. A Pescara c’è ancora molto lavoro da fare e purtroppo questo ennesimo triste ed inaccettabile caso lo dimostra”.

Pochi giorni fa l’Arcigay di Pescara aveva denunciato un altro episodio. Due ragazze che mangiavano una pizza al parco sono state riprese perché si abbracciavano. “Voi due dovete andare via! Un uomo ed una donna insieme vanno bene. Una donna con un’altra donna no”. Alla replica: “Non ci possiamo abbracciare?” l’uomo ha risposto: “No, questo è un Parco pubblico! Ci sono anche bambini! Fate schifo!”.

Proprio ieri, 28 giugno, ricorrevano i cinquant’anni dal primo Gay Pride che si tenne a New York nel 1970. Negli scorsi giorni ci sono state le iniziative di Napoli, Pescara, Vicenza, Reggio Calabria, Pavia, Novara, Faenza, mentre ieri ci sono state manifestazioni a Bologna e Palermo.

Speranza: “Vaccino senza brevetto”

Sono 174 i nuovi contagiati da coronavirus registrati ieri, stabili rispetto a sabato quando erano stati 175. Il numero totale dei casi sale così a 240.310. Oltre la metà dei nuovi positivi al SarsCov2 (97) è in Lombardia, che rimane il problema principale della pandemia in Italia; segue l’Emilia Romagna (+21). In aumento invece le vittime dopo le otto di sabato: sono state 22 ieri, tredici delle quali in Lombardia. Complessivamente i morti salgono a 34.738.

È una sorta di tregua estiva quella che sta attraversando l’Italia mentre molti esperti temono la seconda ondata in autunno e il ministro della Salute Roberto Speranza sposta l’attenzione sul vaccino: “Nessuno deve mai restare escluso dalle migliori cure possibili. Questo il senso dell’appello che viene da Muhammad Yunus, premio Nobel per la Pace, a cui hanno aderito personalità di tutto il mondo per chiedere che il futuro vaccino per il Covid-19 sia ‘un bene comune universale esente da qualsiasi diritto di brevetto di proprietà’. Nel giorno i cui il numero di casi censiti tocca i dieci milioni a livello globale dobbiamo impegnarci affinché la salute sia sempre un diritto fondamentale di tutti”. Intanto in Campania ieri sono stati registrati zero nuovi casi come in altre sette regioni. Questo mentre Mondragone trascorreva una domenica surreale, con stabilimenti e spiagge libere semivuoti, parcheggi disponibili un po’ dovunque e nessuna coda sulle strade. Ai palazzi ex Cirio, dove è stato scoperto un focolaio di coronavirus che ha coinvolto 43 residenti, per lo più bulgari (tutti asintomatici), c’è calma in attesa dell’arrivo di Matteo Salvini previsto per oggi.

Su uno dei cinque palazzi sottoposti a cordone sanitario, quello dove risiedono soprattutto italiani, ancora campeggia lo striscione con la scritta “Salvini metti ordine, ci vogliono le p….”.

Invece ieri sera a Bergamo il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha presenziato al funerale collettivo per le vittime del Covid che non hanno potuto averlo prima: “Qui il cuore dell’Italia ferita, ora riflettere su errori e carenze da evitare di ripetere”.

L’ondata di virologi in tivù: il professor Galli batte tutti

Tra gli effetti mediatici della pandemia c’è anche quello di avere promosso a vere e proprie star alcuni scienziati che forse mai avrebbero pensato di vedere le loro tesi diventare oggetto di discussione alla stessa stregua dei problemi della Juve o dell’ultima bega tra premier e opposizione. Durante la crisi tg e talk hanno dato la parola a soggetti prima fortemente minoritari. Per dire: a gennaio i soggetti politici o istituzionali nei tg totalizzavano oltre l’80% del parlato con punte del 90%, a marzo-aprile il dato scende in alcuni casi anche di 20-30 punti.

Vista l’eccezionalità della situazione era naturale che ciò accadesse, però in una informazione politicamente intossicata come la nostra il cambio di rotta si nota. La rete che più si distingue è La7 nei cui programmi il 64% del tempo di parola va ad attori né politici e né istituzionali, mentre Mediaset e la Rai si fermano intorno al 50%. Curiosamente la stessa cosa a La7 non riesce con il telegiornale, dove questi ultimi ad aprile si mangiano tutto il tempo (90% ).

A stilare una classifica dei soggetti sociali che più di altri hanno parlato durante la crisi pandemica in inchieste, approfondimenti e programmi (esclusi i tg) ci accorgiamo di qualche sorpresa. Ad esempio il chiacchierato e pur loquace Burioni appare sorprendentemente molto indietro rispetto a figure apparentemente meno presenzialiste. Nei programmi di marzo-aprile delle sette reti principali l’esperto più gettonato è Galli con oltre 14 ore di parlato, seguito da Pregliasco e Rezza. Ricciardi e Borrelli sono lontani con poco più di 6 ore e mezza. Lo è, appunto, ancor di più Burioni con 2 ore e 7 minuti. Sempre con sorpresa scopriamo che Crisanti, il vero artefice del ‘miracolo’ veneto e del successo politico di un sopravvalutato Zaia, è invece il meno interpellato della categoria (compare solo nella top 20 di Rai2 con 32 minuti). Il bello è che ogni rete ha il suo esperto di riferimento: a Rai1 primeggia l’istituzionale Ricciardi (consulente del ministro), a Rai2 il salottiero Burioni (di casa da Fazio), a Rai3, così come a Rete4 e a Canale 5, lo scontroso Galli (sessantottino non pentito), mentre a La7 il dolente Pregliasco.

Lo scoppio della pandemia ha spinto il Garante a monitorare sulle varie reti oltre ai virologi anche la presenza dei giornalisti delle varie testate. Il risultato di una tale inedita ricognizione nei programmi di Rai, Mediaset e La7 può essere interessante. Incontrastato leader di questa singolare graduatoria è il direttore del Giornale Alessandro Sallusti, con oltre 4 ore di parlato realizzate soprattutto su La7 e Rete4.

Dietro di lui nell’ordine Massimo Giannini e il nostro Antonio Padellaro (poco più di tre ore entrambi). Non solo. A dare molto spazio ai giornalisti sono soprattutto due reti, Rete4 e La7, ma è la prima che si conferma sfacciatamente nel ruolo di house organ della destra: infatti a Rete4 non solo i politici ma anche i giornalisti sono scelti a senso unico. Nel periodo preso in esame nella top 20 delle presenze complessive della rete c’è un solo specialista, il dottor Galli. Poi troviamo sette politici della destra, tre di centrosinistra (il premier più Casini e Renzi!), mentre dei 9 giornalisti presenti sei sono convinti militanti della destra (nell’ordine Feltri, Maglie, Capezzone, Belpietro, Sallusti e Liguori), a parte la Fusani e, infine, Labate e Rampini. Insomma a parlare di virus ed epidemie Rete4 ha chiamato più che esperti, politici e giornalisti di destra. La questione televisiva non è morta, occorre che al governo qualcuno se ne accorga.

Vitalizi, la crepa al Senato fa sperare pure i pregiudicati

A lui ancora non lo hanno potuto ridare. Ma mai dire mai, quando c’è di mezzo il vitalizio. E così persino l’ex presidente della regione Lombardia Roberto Formigoni rischia di tornare in possesso dell’assegno senatoriale da oltre 7 mila euro. Che gli era stato sospeso da Palazzo Madama giusto un anno fa, salvo accordargli poi, con massima urgenza, una pensioncina di sostentamento da 700 euro al mese: il Celeste del resto ha sostenuto di essere sull’orlo del baratro e Caliendo &Co, come giudici del loro collega ormai caduto in disgrazia, si erano commossi. Anche se non avevano potuto fare di più per lui restituendogli tutto quel che chiedeva data la condanna definitiva per aver asservito la sua funzione agli interessi economici della Fondazione Maugeri e del San Raffaele. Ma ora che il clima è cambiato, Formigoni non ha perso le speranze di riavere tutto con gli interessi, gli arretrati e pure il risarcimento dei danni patiti: perché l’indigenza morde, ma la sua fame di giustizia è ancora più grande.

Del resto alla Camera sperano anche altri nelle sue stesse condizioni. Come l’ex ministro della Salute Francesco De Lorenzo o l’ex sindaco di Taranto, l’indimenticabile Giancarlo Cito. Che lottano da anni come leoni per riavere il malloppo su cui avevano fatto conto per la vecchiaia. E che, almeno a sentir loro, è l’unica fonte di reddito senza la quale si sentono persi.

L’assegno a De Lorenzo e compagnia è stato sospeso nel 2015 per via delle condanne riportate. Di Sua Sanità (e degli altri) si sono perse le tracce anche se restano scolpite negli annali le imprese a suon di mazzette stellari, specie quelle erogate dagli industriali farmaceutici particolarmente grati con lui per via del suo potere di avvantaggiarli sulle revisioni dei prezzi dei prodotti. Ma a Palazzo è stato impossibile dimenticarli. Dopo un lungo contenzioso per loro sfavorevole in primo grado, adesso sono appesi al responso del Collegio di appello di Montecitorio. Che ha fissato l’udienza per decidere in via definitiva del loro destino (o per meglio dire, del loro portafoglio) il prossimo 15 luglio.

Sperano e pregano, lor signori. Anche perché un altro ex di lusso finito nei guai con la giustizia dopo una carriera brillantissima, può già godersi l’estate alla grande. L’ex potente vicesegretario nazionale del Psi di Craxi, Giulio di Donato, infatti è tornato a godere dell’assegno da circa 3600 euro al mese che gli era stati sospesi per via della condanna per le tangenti relative alla privatizzazione del servizio di nettezza urbana a Napoli. L’ufficio di presidenza della Camera a novembre ha disposto il ripristino dell’erogazione dell’assegno a suo favore. Comprese le mensilità a partire dal 14 maggio 2018 perché in quella data il Tribunale di Sorveglianza di Napoli accolto la sua istanza di riabilitazione. Che lo fa tornare puro come un giglio. E dunque vitaliziabile. Ma non è tutto. Perché a Montecitorio sono attese anche altre novità dopo che l’organismo di giustizia interna di primo grado (il Consiglio di giurisdizione) ad aprile ha sentenziato che il taglio dei vitalizi disposto nel 2018, va rivisto. Tanto per cominciare per venire incontro agli ex deputati “deboli in termini sociali”.

Così ora sarà l’Ufficio di presidenza a valutare con discrezionalità le posizioni di chi ritiene di essere in questa condizione, senza dover più tener conto del doppio requisito (l’invalidità totale certificata e il reddito non superiore alla pensione sociale) che in precedenza aveva reso impossibile accogliere i loro ricorsi. Gli interessati non se lo sono fatto dire due volte: ora 212 ex deputati hanno fatto istanza per ottenere il ripristino integrale dell’assegno, mentre un’altra settantina chiede un ricalcolo sostanzioso. E tutti gli altri che malconci non sono? Attendono pure loro il responso dalla Camera che dovrà decidere se potranno riavere il vitalizio tutto intero: con quello che ha deciso il Senato l’altro giorno, hanno ragione di ben sperare.

Ma mi faccia il piacere

Casta News/1. “Perché bisogna dire No al referendum sul taglio dei parlamentari” (Marco Damilano, Espresso, 28.6). Mo’ me lo segno.

Casta News/2. “Via i tagli ai vitalizi. I partiti: schiaffo inaccettabile” (Corriere della sera, 26.6). Sta’ a vedere che i vitalizi si son ripristinati da soli.

Calta News. “Il ritorno degli anti-casta quando erano già al tappeto” (Mario Ajello, Il Messaggero, 27.6). Giusto: il problema non è la casta che riarraffa i vitalizi, ma la gente che potrebbe ricordare chi aveva ragione sulla casta.

Asta News. “Io metterei in Costituzione il vincolo di mandato. Non è che se sei eletto da una parte poi passi a quella opposta!” (Matteo Salvini, segretario Lega, Twitter, 7.12.2017). “Diamo il benvenuto nella grande famiglia della Lega ai senatori Grassi, Urraro e Lucidi che sul Mes e su tanto altro sono rimasti coerenti con i propri ideali, rinnegati e traditi dai 5Stelle ormai al rimorchio del Pd” (Salvini, Twitter, 12.12.2019). “Benvenuta alla senatrice Alessandra Riccardi, che da oggi lascia i 5Stelle ed entra nella grande famiglia della Lega” (social Lega, 23.6). “Ci saranno nelle prossime settimane altri ingressi nella Lega, dai 5Stelle ma non solo” (Salvini, 26.6). “Arrivi dal M5S? Se qualcuno bussa, le porte della Lega sono aperte” (Salvini, 28.6). Quindi il vincolo di mandato vale solo per chi esce dalla Lega. Sul percorso inverso vale la regola del circo: più gente entra, più bestie si vedono.

Pisapippe. “Dopo il Covid diritti più deboli. La pandemia acuirà povertà e diseguaglianze. Per contrastare lo scivolamento delle garanzie serve una riforma bipartisan che renda la giustizia più celere ed efficiente. E tuteli i diritti. Cancelliamo lo stop alla prescrizione grillina: non ha né capo né coda” (Giuliano Pisapia, eurodeputato Pd, Riformista, 25.6). Invece il nesso tra Covid e prescrizione è pura logica cartesiana.

L’intenditore. “Palamara accende i riflettori sul Cav perseguitato dai pm. Il magistrato in tv invita ad approfondire il tema dei processi all’ex premier” (Luca Fazzo, il Giornale, 23.6). Ah beh allora.

Maremma Maiolo. “1995, io e Sgarbi accusati di mafia. Ci difesero tutti, a parte Travaglio” (Tiziana Maiolo, Riformista, 23.6). Ora vuole proprio farmi arrossire.

Mercante in Fiera. “L’ospedale in Fiera realizzato per obbedire a Palazzo Chigi” (Attilio Fontana, Lega, presidente Regione Lombardia, La Verità, 22.6). Questo ormai sente le voci come Giovanna d’Arco.

Gaia dei Valori. “Il voucher datelo a vostra sorella. Vogliamo essere pagate per ciò che valiamo. Quanto valiamo” (Gaia Tortora, Twitter, 22.6). Ottima idea, così nel suo caso si risparmia.

Briabonus. “Questi ministri sono i peggiori mai visti. Lancerò una petizione per chiedere loro i danni: stanno distruggendo il Paese” (Flavio Briatore, La Verità, 22.6). Quale Paese? Ah, Montecarlo.

Comitato tecnico-scientifico. “La mascherina non serve a un cazzo. Le distanze poi, sono legate al mondo omosessuale, perché se tu lo prendi da dietro, chini avanti uno, e sei a un metro di distanza: è stato fatto apposta per inclinare le persone a prenderlo nel culo” (Vittorio Sgarbi, deputato FI, La Zanzara, Radio24, segnalato da @nonleggerlo, 11.6). “Se una scoreggia riesce ad attraversare senza problemi mutande e jeans, come può una mascherina di carta proteggerci dal virus?” (Alessandro Meluzzi, ex deputato FI, Twitter, 22.6). “Dal Covid danni anche per il cervello” (il Giornale, 27.6). Prima o poi tutto si spiega.

Tempismo perfetto. “I grillini e le ragioni del declino” (Giovanni Orsina, La Stampa, 27.6). “Il M5S in ripresa a quota 18%” (Nando Pagnoncelli, Corriere della sera, 27.6). Orsù, Orsina, è andata così. Ritenta, sarai più fortunato.

Nave scuola. “Ho visto una nave ormeggiata, significa che qui arrivano turisti, ci sono prospettive” (Giancarlo Cancelleri, M5S, viceministro Trasporti, a proposito della nave da crociera Moby Zazà coi migranti in quarantena, Porto Empedocle, 23.6). La prospettiva che il viceministro si informi.

Traduzione simultanea. “L’Italia dovrebbe avvalersi delle offerte del Mes?”. “Questa è una decisione italiana… Tutti possono utilizzare questi strumenti. Non li abbiamo messi a disposizione perchè restino inutilizzati” (Angela Merkel a La Stampa, 27.6). “Merkel: l’Italia utilizzi tutte le risorse Ue” (titolo de La Stampa, 27.6). Serve un interprete dall’italiano all’italiano?

Cazzullate. “Se nello studio di Einaudi fosse entrato Di Maio a proporgli un reddito universale e garantito, temo che sarebbe stato messo alla porta” (Aldo Cazzullo, Corriere della sera, 24.6). Se poi Einaudi avesse saputo che fino al 2019 tutta Europa aveva una forma di reddito minimo tranne l’Italia, non avrebbe messo alla porta Cazzullo solo perchè non l’avrebbe fatto proprio entrare.

Il titolo della settimana. “Arrestano Fede, non i camorristi” (Libero, 24.6). Ma non si vede perchè l’una cosa debba escludere l’altra.

Pino Strabioli combatte (e scopre) “L’insonnia” in tv insieme a Costanzo

“Se non potrò in teatro, farò i miei spettacoli in cortile!” A dirlo, speranzoso che le nuove disposizioni ci restituiscano il godimento del palcoscenico ma anche un po’ impaziente, è Pino Strabioli che lungo la sua carriera – conduttore e autore televisivo e radiofonico, regista teatrale, attore – incarna sempre più il nobile e necessario mestiere di ricordatore, colui cioè capace di disseppellire la memoria collettiva accendendo i riflettori sui miti di oggi e di ieri.

“Questa estate dovrei tornare con uno spettacolo omaggio al grande Paolo Poli, portando sulla scena anche suo nipote Andrea Farri (compositore per il cinema, ndr) al pianoforte, tratto dal libro che avevamo scritto insieme Sempre fiori, mai un fioraio alla rassegna romana I Solisti del teatro, e poi al Festival dei Barbuti, e da lì iniziare una piccola tournée in giro per l’Italia.” Ci informa Strabioli che, come molti colleghi, proprio prima della quarantena aveva uno spettacolo pronto al debutto: “Avevamo la prima il 10 marzo all’Off Off Theatre di Roma con un testo brillante di Maurizio Costanzo, che tornava alla drammaturgia dopo dieci anni: Abolite gli armadi, gli amanti non esistono più. Uno spettacolo dove io interpreto un conferenziere che tenta di ricostruire una storia dell’adulterio, passando in rassegna come in una specie di psicoscenica le diverse tipologie di armadio – dai cabinati settecenteschi che accoglievano persino una seduta e un tavolinetto fino a oggi – come pure di amanti fisici e virtuali. Adesso, dovremo aspettare dicembre poiché è uno spettacolo che, evidentemente, richiede il contatto fisico tra gli attori che interpretano gli amanti.”

Nuovi progetti estivi anche sul piccolo schermo per Strabioli che, indefesso, durante il lockdown non si è allontanato dai microfoni di Radio2, portando avanti il suo programma Viva Sanremo, dapprima ideato solo a corollario della kermesse musicale: “Ho continuato soprattutto per provare a curare l’angoscia dei nostri ascoltatori, ricevendo anche molti messaggi di ringraziamento.” Lo si vedrà, allora, tutta la stagione insieme a Roberta Ammendola, da sabato 4 luglio, alla mattina a Il caffè di Rai 1 e, invece, da domenica 5 luglio su Rai 3 in seconda serata per quattro puntate terrà compagnia insieme a Maurizio Costanzo a chi non riesce a prendere sonno oppure è soltanto un tiratardi. “Il programma si chiama Insonnia. Esploreremo l’universo degli insonni, quelli celebri come Proust, Pavese, Leonardo da Vinci, George Clooney, ma avremo in studio anche un telespettatore insonne che ci racconterà la sua routine notturna, insieme anche a qualche volto noto.”

Da Mbappé a De Bruyne, quando gli euro sono veri

Comprare un giocatore costosissimo, avendo i soldi, è facile. Ma nel calcio la bravura vera è comprare a poco (o a zero, se cresci il giocatore in casa) e rivendere a tanto. È così che si fanno gli affari veri, le plusvalenze che ti cambiano la vita, quelle reali, non quelle farlocche buone solo per truccare i bilanci. Ci siamo chiesti: quali sono stati i veri, grandi affari di mercato da quando in Europa circola l’euro (1 gennaio 2002), e cioè i giocatori comprati bene e venduti meglio? Uno a uno, eccoli qui.

1. MBAPPÉ (180 milioni, Monaco). L’affare top. A 18 anni lo acquista il PSG che paga al Monaco 145 milioni più 35 di bonus. Per il Monaco è tutta plusvalenza, Mbappé è cresciuto nel vivaio. Un predestinato: a 19 anni diventa campione del mondo con la Francia.

2. COUTINHO (144,6 milioni, Liverpool). Nel 2013 il Liverpool lo acquista per 13 milioni dall’Inter, nel 2018 lo rivende al Barça per 160. All’Inter, che conserva l’1,5% dei diritti, vanno 2,4 milioni, il resto va al Liverpool che ne guadagna 144,6. Nel Barça delude: affarissimo.

3. NEYMAR (133,8 milioni, Barcellona). Nel 2013 il Barcellona lo acquista dal Santos per 57,1 milioni: in realtà, un’indagine della Procura di Madrid accerta che il costo è stato di 88,2. Nel 2017 passa al PSG per 222 milioni, il che significa plusvalenza per il Barça di 133,8.

4. DEMBELÉ (124 milioni, B. Dortmund). Nell’estate 2017 il Barcellona lo acquista 20enne dal Dortmund per 105 milioni più 40 di bonus (totale 145); un anno prima i tedeschi lo avevano preso dal Rennes a 21. Guadagno: 124 milioni. In Spagna delude, riserva fissa.

5. JOAO FELIX (120 milioni, Benfica). Come Mbappè è un prodotto del vivaio: quindi i 120 milioni che il Benfica riceve dall’Atletico Madrid, che lo acquista 19enne, sono plusvalenza totale. Per ora più ombre che luci: 6 gol in Liga, 0 in Champions. Non è Mbappé.

6. GRIEZMANN (90 milioni, Atletico Madrid). Comprato a 30 dalla Real Sociedad, l’Atletico lo ha ceduto l’estate scorsa al Barcellona per 120 (somma girata poi al Benfica per acquistare Joao Felix). Il guadagno è stato comunque di 90. Segnava più di João Félix.

7. BALE (86,3 milioni, Tottenham). Nel 2007 passa dal Southampton al Tottenham per 14,7 milioni; sei anni dopo il Real Madrid lo acquista pagandolo 101. Guadagno del Tottenham: 86,3 milioni. Ha segnato 2 gol nella finale Champions 2018 vinta contro il Liverpool.

8. C. RONALDO (76,5 milioni, Manchester United). Ferguson lo porta ai Red Devils nel 2003 dando 17,5 milioni allo Sporting Lisbona. Nel 2009, CR7 passa al Real per 94: per lo United la plusvalenza è di 76,5 milioni. Due estati fa il passaggio alla Juve per 105.

9. POGBA (72 milioni). Grande colpo di Marotta che a 19 anni lo soffia al Manchester a parametro zero (il costo dell’operazione è di 1,5 milioni) e 4 anni dopo lo rivende allo stesso M. United per 105. Ma 27 vanno a Raiola, altri al giocatore: il guadagno-Juve è di 72.

10. VAN DIJK (69 milioni, Southampton). Nel 2015 il Southampton lo acquista dal Celtic per 15 milioni e nel 2018 lo cede al Liverpool per 84: guadagno netto 69. Cifre altissime per un difensore, ma mai acquisto fu più importante per il Liverpool, che con lui ha svoltato.

11. MAGUIRE (68 milioni, Leicester). Difensore centrale come Van Dijk, l’estate scorsa è passato dal Leicester al Manchester United per 87 milioni. Il Leicester lo aveva preso dall’Hull due anni prima per 19: guadagno netto 68. Bravo, ma non come Van Dijk.

12. DE BRUYNE (62 milioni, Wolfsburg). È del Chelsea, ma a Mourinho non piace e il Wolfsburg lo acquista nel 2014 per 16 milioni. Tempo una stagione e Guardiola lo porta al City pagandolo 78, con plusvalenza per il Wolfsburg di 62. Soldi davvero ben spesi.

“Gassman sembrava Cortona de ‘Il sorpasso’. Però era un signore”

La memoria non sempre stempera le emozioni, magari il tempo mette meglio a fuoco quel che era già chiaro. E Vittorio Cecchi Gori a quasi sessant’anni dalle riprese de Il sorpasso, dal cellulare estrae una foto del set, anno 1962, rigorosamente in bianco e nero, e ne dà una lettura certa: “Nella vita privata Vittorio Gassman era molto simile al Bruno Cortona del film; però Gassman era un signore”.

Fine febbraio di quest’anno, prima del nuovo arresto e ai domiciliari, un Cecchi Gori lucido, claudicante e un po’ nostalgico, annunciava l’intenzione di rigirare la pellicola cult, prodotta a suo tempo dal padre Mario, film che ha raccontato, come nessun altro, il boom, l’edonismo, la fuga dalla vita e dalla morte.

Così lo incontriamo, e quella che segue è la parte dell’intervista dedicata al “mattatore”, morto il 29 giugno di vent’anni fa.

Gassman…

Vittorio era di famiglia, prima legatissimo a mio padre, poi il feeling si è maggiormente sviluppato con me; se chiudo gli occhi posso ancora vederlo seduto sul divano di casa o affacciato al balcone mentre fumava una delle sue sigarette. E pensava, erano attimi che dedicava a se stesso.

Suo padre ci ha lavorato dal secondo dopoguerra…

Nel 1948 girarono Riso amaro nelle risaie della famiglia Agnelli: papà era un organizzatore, non ancora produttore, e Vittorio un ragazzo sul quale il cinema stava investendo; per i due la prima svolta è arrivata con Il mattatore: da lì è partito un sodalizio sviluppato in tantissimi capolavori.

Gassman fuori dal set.

(Sorride) Penso subito al suo rapporto con le donne.

Intenso.

Molto, e lo capivo. Poi era una persona seria, un amico vero, uno che sapeva quali erano i confini tra la finzione del set e la quotidianità vissuta con i fari spenti.

Vi frequentavate.

Sì, ma la vita di quegli anni era molto differente da quella di oggi: allora si giravano film in continuazione, non solo uno dietro l’altro, in alcuni casi anche in contemporanea; il privato era una pausa tra una ripresa e un’altra.

E in quelle pause…

Magari ci vedevamo a casa di Ettore Scola per dei giochi di società: divisi in squadre rispondevamo a degli indovinelli; oppure sfide a pallone, o a tennis (sorride). Insomma, ci massacravamo in infinite battaglie sportive, il nostro agonismo ci impediva di mollare un millimetro all’altro; a calcio lui giocava da centravanti, io mediano, e parlava e incitava e s’incazzava. Un continuo.

Guascone?

Un po’ sì, e il fisico lo aiutava, ma non era un bullo, e non incarnava neanche lo stereotipo del romano urlante; era anche timido e riservato, molto più di Ugo Tognazzi, ed era chiaro dalla differente gestione delle loro ville a Velletri.

Cioè?

Da Ugo era un’infinita tavolata sempre apparecchiata, con un riciclo quotidiano di persone; in quella di Vittorio non andava quasi mai nessuno, e lui non aveva grandi rapporti con i colleghi, si trovava bene giusto con Paolo Villaggio, amicizia nata durante le riprese spagnole di Brancaleone alle crociate. Uscivamo quasi ogni sera.

Sul quel set c’è stato qualche scontro…

Era cinema nel cinema. Serate di confronti, anche aspri: una sera Vittorio ha assegnato un paio di manate a Volonté; Gian Maria a volte era pesante, difficile vederlo rilassato.

Motivo della baruffa?

Probabilmente per questioni politiche, e Volonté arrivava a provocare, cercava lo scontro verbale e fisico, fino a quando a Vittorio sono girate le palle (riprende in mano il cellulare e sorride).

A cosa pensa?

Ho ritrovato degli scatti di set, e qui siamo in Argentina per girare Il gaucho: in quel periodo tutto era possibile, come affittare lo stadio del River Plate per organizzare una partita a pallone, io e Gassman in campo; o feste private con la fila di persone che provavano a imbucarsi, e non parlo di gente comune, ma di personale dell’ambasciata disperato se non varcava la fatidica soglia.

Voi protagonisti assoluti.

Babbo ci raggiunse dopo quasi due mesi, e in Argentina lo definivano “il padre di Vittorio”, e non ne era troppo soddisfatto; qualche giorno dopo gli venne pure la polmonite: chiuso in albergo ci chiamava per ogni sfumatura, si placava solo con Ornella Vanoni, anche lei a Buenos Aires, perché in scena con Garinei e Giovannini per una commedia con Nino Manfredi.

Lei e Gassman vi siete affrontati nelle sfide estive organizzate da Tognazzi?

Il torneo di tennis? Eccome, era un appuntamento fisso, e molti avversari temevano Vittorio: se perdeva s’incazzava (cambia tono). È in una di quelle giornate che si è esplicitato il suo rapporto d’amore con Diletta D’Andrea, allora moglie di Luciano Salce.

Salce e Gassman erano amici.

Sempre insieme, stesso gruppo di affetti, ma Luciano non disse nulla, affrontò con signorilità il duplice dolore.

Chi c’era in quel gruppo?

Anche Dino Risi ed Ettore Scola; a un certo punto Vittorio si fissò con un’idea: aveva individuato un terreno a Cetona, e il suo obiettivo era costruire un residence per viverci tutti insieme.

E…

Organizzò varie riunioni ed eravamo pure d’accordo, poi all’improvviso finì l’entusiasmo e non ne conosco il motivo.

Quindi Gassman aveva un gruppo di amici.

Certo, ma senza esagerare, a modo suo; nella sua villa romana all’Aventino si ritrovavano spesso vari amici e colleghi, anche giovani attori che lui seguiva, come Gigi Proietti, ed era possibile incappare in piacevoli sorprese.

Esempio.

Una sera lì ho conosciuto Pablo Neruda, ospite della casa: sembrava una cartolina, un’icona, vestito di bianco con il Panama in testa. Quell’immagine, trent’anni dopo, l’ho ritrovata ne Il postino di Troisi.

Torniamo a Gassman e le donne.

Eh, ne ha combinate; una sera, in Argentina, ho assistito a una lite pesantissima tra lui e la fidanzata di allora, Juliette Mayniel (madre di Alessandro), con lei che minacciava di uccidersi; (pausa) non era neanche la prima volta.

Sempre con la Mayniel?

No, anni prima, e questo me lo raccontò mio padre presente sul set di Mambo (1954): Shelley Winters lo voleva prendere a coltellate, e davanti alla troupe.

“Il sorpasso”.

Quel film ha generato una rottura tra noi e Sordi: Alberto voleva la parte, la sentiva sua, aveva intuito il potenziale, ma Gassman era perfetto; dopo la scelta ufficiale, Sordi per vent’anni non ha più frequentato mio padre. Io sì. Ci volevamo bene.

Il rapporto tra Gassman e Risi era stretto.

Si capivano, avevano uno stile simile, un grande affetto, e una forte competizione: erano entrambi delle primedonne, due intellettuali affascinanti che amavano dimostrare il loro valore; però è stato Dino a centrare Vittorio come attore, solo Monicelli con Brancaleone è riuscito nella stessa impresa; (abbassa lo sguardo) a Vittorio ero veramente legato e con lui ho giocato l’ultima partita con mio padre.

Dove?

Sempre sul set de Il sorpasso: a Castiglioncello, una sfida tra noi della troupe e un gruppo di ragazzi; Vittorio in attacco, e babbo in campo. È forse uno dei ricordi più belli della mia vita: noi pervasi da consapevolezza, amicizia e voglia di condividere; (cambia tono) è stato giusto dare la parte di Cortona a Gassman.

Personaggio e persona si somigliano.

Molto, e c’è una scena che mi ricorda nitidamente il carattere di Vittorio: quando Cortona gioca a ping pong in uno stabilimento balneare, e dopo aver vinto la scommessa restituisce i soldi a Trintignant, suo compagno di viaggio.

Perché le ricorda Gassman?

Per il suo agonismo, la capacità di attirare l’attenzione, e l’abitudine a preferire il “prego” al “grazie”; rispetto a Cortona, Vittorio aveva un’ombra di perbenismo e maggiore timidezza, oltre alla signorilità (ride). Allora il cinema era improvvisazione consapevole.

Tradotto?

La mattina delle riprese in auto con il contadino, abbiamo aspettato un paio di ore l’attore scritturato. Invano. Fino a quando Dino Risi decise di coinvolgere un contadino trovato davanti al set, mentre lavorava i campi.

Il contadino di “Ma nun gore ’sta maghina?”…

E Vittorio perfetto: la sua risata in auto è il manifesto di un’epoca.

Sta lavorando a un remake.

Insieme a Marco Risi e ad Andrea Purgatori, ma non è esattamente un remake.

E cosa?

Sarebbe una follia riproporre il clone di un capolavoro del genere, e poi non esiste più quell’Italia del boom; a me interessa analizzare la psicologia di oggi, in quale società siamo, com’è cambiato il Paese. Il sorpasso è solo uno spunto per la scusa del viaggio in automobile.

Ha continuato a frequentare Gassman fino agli ultimi anni?

Purtroppo no, poi un giorno mi ha chiamato e con tono freddo mi ha offeso, senza motivo. Io sbigottito.

Non ha chiesto spiegazioni?

È stato un ceffone improvviso, un attacco talmente immotivato da lasciarmi gelato. Non avevo capito che quelle parole erano generate dal suo esaurimento nervoso, e poco dopo è morto.

È andato al funerale?

(Cambia tono e sguardo) No, non ci vedevamo da tempo, e la sua morte non potevo accettarla. Forse volevo mantenere di lui un’immagine simile a quando era Bruno…

(Gassman ne “Il sorpasso” spiega: “…questo ‘Uomo in frac’ me fa impazzì, perché pare ’na cosa de niente e invece c’è tutto: la solitudine, l’incomunicabilità, poi quell’altra cosa, quella che va di moda oggi… la… l’alienazione”).