Notizie, editori, conflitto d’interessi: così si può fermare il virus della stampa

Ha ragione Giovanni Valentini quando dice che in Italia mai come in questo momento la stampa gode di cattiva stampa. Soprattutto per i conflitti di interessi degli editori. Eccetto in pochissimi casi, e tra questi il Fatto Quotidiano, i giornali sono nelle mani di imprenditori che hanno interessi prevalenti in altri settori dell’economia e sui quali pesa il sospetto di confezionare “prodotti” che non hanno come interesse primario quello di informare correttamente i cittadini, ma di supportare i loro variegati business.

Non è una novità di oggi, ma in un momento in cui il giornalismo (di qualità) è fondamentale per la nostra democrazia, occorre affrontare il problema.

Quando sono arrivato in Senato, ho preparato una serie di disegni di legge per risolvere alcune criticità riguardanti il mondo del giornalismo, a cominciare da quello sulle liti temerarie che potrebbe essere presentato in aula per l’approvazione già nelle prossime settimane. Tra le altre proposte ve ne è anche una che fronteggia i conflitti di interessi degli editori. Prevede l’introduzione di una soglia massima di partecipazione azionaria in aziende editoriali per quei soggetti operanti in modo prevalente in altri settori. Il disegno di legge è semplice: un articolo e tre commi, il primo dei quali prevede che i privati che svolgono in settori diversi da quello editoriale attività con fatturato eccedente i 500mila euro annui, non possono detenere quote azionarie di aziende editoriali, giornalistiche, televisive, radiofoniche o testate online, in misura superiore al 10%. Il secondo estende il divieto alle quote detenute dal coniuge o dai parenti entro il secondo grado, alle imprese o alle società da questi soggetti controllate. Il terzo regola la tempistica, stabilendo che chi al momento dell’entrata in vigore della legge detenesse quote azionarie eccedenti la soglia introdotta, dovrà ridurre tale quota al 45% entro un anno, al 25% entro due anni ed al 10% entro il terzo anno.

Questo è il disegno di legge che depositerò in Senato la prossima settimana. Sono consapevole che esso tocca temi cruciali come quello della libertà d’impresa e di mercato. Valori costituzionali che meritano la necessaria tutela. Ma di fronte alla situazione provocata dai conflitti d’interessi editoriali c’è anche un altro supremo valore costituzionale da tutelare: quello dei cittadini di avere un’informazione credibile e corretta e non così pesantemente inquinata. Spetterà al Parlamento trovare un saggio bilanciamento.

 

Bassanini, Mr. Poltronissima regna su Rete e investimenti

Il futuro d’Italia è Franco, di cognome Bassanini, per gli amici francesi Bassaninì, ottant’anni lo scorso maggio, appena nominato da Roberto Gualtieri, ministro del Tesoro, consigliere per lo “sviluppo degli investimenti”, ruolo che rende onore agli “spingitori di cavalieri” di Corrado Guzzanti e che si affianca alla presidenza di Open Fiber, la società statale per le connessioni a Internet in fibra. Il denaro per la pandemia e le strategie per la rete unica telefonica dipendono anche da Bassanini, il prof che dispone di curriculum in francese, inglese, cinese e russo, in formato esteso e sintetico, mai nessuno davvero esaustivo. Questo che segue è soltanto un esperimento.

Incarichi in corso. Consigliere nel cda di Fimpa, l’azienda immobiliare di famiglia. Amministratore delegato di Astrid, la società di servizi legata all’omonima fondazione – creata con Giuliano Amato e di cui è presidente – per l’analisi, gli studi e le ricerche sulla riforma delle istituzioni democratiche e sull’innovazione nelle amministrazioni pubbliche. Presidente di Persidera, la società che gestisce le frequenze televisive di proprietà del fondo F2i. Presidente del consiglio di sorveglianza di Condotte spa, costruzioni e ingegneria. Presidente di Open Fiber, controllata con pari quota da Enel e da Cassa Depositi e Prestiti (Cdp). Titolare di un’impresa individuale per la coltivazione di olive in provincia di Grosseto. Azionista col 25 per cento di Fimpa, col 5,6 di Residence Campolongo, con lo 0,5 di Astrid servizi.

Incarichi cessati. Ultimo decennio: presidente di Cdp (2008/15), Cdp Reti, Metroweb, Metroweb Sviluppo, aziende pubbliche; consigliere nel cda di Risberme, società privata. Anni ‘90: consigliere del cda di Errepi Radio Popolare; socio accomandante dell’azienda agricola La Capriola.

Politica e istituzioni. Responsabile dell’ufficio legislativo del Psi 1977/80. Deputato dal ‘79 al ‘96, prima legislatura col Psi, poi indipendente con Pci e Pds. Presidente del gruppo dei deputati della Sinistra indipendente ‘89/’91. Senatore dal ‘96 al 2006 con Pds/Ds. Consigliere comunale di Milano ‘90/’93 e ‘97/’99. Membro della direzione nazionale del Psi dal ‘78 al 1981, del Pds/Ds/Pd dal ‘92 al 2008 e della segreteria nazionale del Pds ‘91/’96. Relatore della commissione bicamerale De Mita-Iotti ‘93/’94. Presidente del comitato parlamentare per le politiche finanziarie e di bilancio ‘84/’87. Presidente della commissione interministeriale ‘79/’82 per la riforma dei rapporti fra Regioni e Stati del ministro Massimo Severo Giannini. Capo di gabinetto ‘73/’76 di Mario Toros, ministro agli Affari regionali. Ministro della Funzione pubblica e agli Affari regionali nel governo di Romano Prodi ‘96/’98. Sottosegretario alla presidenza del Consiglio nel governo di Massimo D’Alema ‘98/’99. Ministro della Funzione Pubblica nei governi di D’Alema e Amato 1999/01. Autore e ispiratore della riforma Bassanini per semplificare e decentrare l’amministrazione pubblica ‘97/’99. Già membro della commissione Roma Capitale con Gianni Alemanno sindaco nel 2008 e consulente per l’innovazione dei presidenti Paolo Gentiloni e Matteo Renzi 2015/18.

Esperienze francesi. Consigliere economico del primo ministro Jean-Pierre Raffarin nel 2002. Membro della commissione Attali per la “liberazione della crescita” e della commissione Milhaud per la “cooperazione finanziaria nell’area del Mediterraneo” istituite dal presidente Nicolas Sarkozy nel 2007. Già consigliere nei cda dell’Accademia di Francia in Italia e della Scuola nazionale dell’amministrazione (Ena). Consulente di Ffsa, la Federazione delle assicurazioni francesi. Ufficiale della Legion d’onore dal 2002.

Varie ed eventuali. Membro del comitato scientifico del centro studi di Confindustria, della fondazione Accademia nazionale Santa Cecilia, del comitato di presidenza di Assonime, l’associazione fra le Spa italiane. Consigliere nel cda della fondazione per le Scienze religiose di Bologna. Consulente di Febaf, la federazione delle banche, delle assicurazioni e della finanza. Presidente onorario dell’organismo europeo Long term investors’ club. Già consigliere del segretario generale dell’Onu, Kofi Annan, in materia di tecnologie di informazione e di comunicazione ‘01/’06. Già docente di Diritto costituzionale all’università la Sapienza di Roma e collaboratore degli atenei di Milano Statale, Firenze, Sassari e Trento e del Consiglio nazionale delle ricerche. Ha scritto 19 libri e 350 articoli scientifici. Marito di Linda Lanzillotta, ex capo di gabinetto del ministro Amato, ministro nel governo Prodi II e vicepresidente del Senato nel ‘13/’18. Cavaliere di gran croce dell’Ordine al merito della Repubblica su iniziativa del presidente Giorgio Napolitano. Il futuro d’Italia è ieri.

Musumeci e la passione per il gerarca fascista di Salò

Dopo l’inno poetico alle SS dall’assessore Alberto Samonà, salta fuori il libro, pubblicato nel 1986 per le edizioni Cespos di Catania, del governatore Nello Musumeci, dal titolo: L’ambasciatore Anfuso, “Duce, con voi fino alla morte”, dal testo di un telegramma che il diplomatico fascista inviò a Mussolini seguendolo nella Repubblica di Salò. È la denuncia dell’ANPI siciliana che in una nota ha chiesto le “dimissioni immediate’’ di Musumeci (e di Samonà) da un governo regionale in cui affiorano passioni nostalgiche per svastiche e camicie nere.

“Ci chiediamo come si possa essere nostalgici del fascismo, avversari della democrazia, nemici della Costituzione e nello stesso tempo rappresentare le istituzioni della nostra Repubblica”, dichiarano Ottavio Terranova e Angelo Ficarra, vicepresidente nazionale ANPI e vicepresidente di Anpi Palermo. Per i due dirigenti il libro di Musumeci è “un’agiografia di una triste figura del regime fascista, Filippo Anfuso, probabile responsabile dell’uccisione dei fratelli Carlo e Nello Rosselli in Francia”. Un’agiografia ripetuta anni dopo, quando, in occasione del quarantennale della morte, il 13 dicembre del 2003, Nello Musumeci ne pubblicò su La Sicilia di Catania un commosso ricordo, provocando, anche allora, la reazione dell’Anpi: “Gli atti e le gesta politiche del gerarca – scrisse allora l’Anpi – non rappresentano valori positivi nell’ambito della recente storia italiana, né, quindi, possono emergere riferimenti, civili, etici, di democrazia, libertà, diritti, per le nuove generazioni’’. Originario di Catania, braccio destro di Galeazzo Ciano e ambasciatore a Berlino ai tempi di Salò, Anfuso fu processato e assolto dall’accusa di avere ordinato, con Ciano, l’omicidio dei fratelli Rosselli, antifascisti in esilio a Parigi. Dal processo emersero i suoi rapporti con il capo del controspionaggio militare, generale Mario Roatta, fondatore dell’Anello, il servizio segreto che Licio Gelli attribuì al controllo di Andreotti.

Cacciato Caizzi: contestò Fubini e la direzione

C’è sempre una prima volta. Urbano Cairo, l’editore di Rcs Corriere della Sera, si è sempre vantato di tagliare i costi, ma non i dipendenti. Ora ha “tagliato” invece lo storico inviato e corrispondente da Bruxelles, Ivo Caizzi. È successo in silenzio, durante il lockdown per il coronavirus. Caizzi, chiuso in casa a Bruxelles, ha ricevuto la comunicazione che l’editore interrompeva il rapporto di lavoro, senza preavviso e senza motivazione. E malgrado il governo avesse sospeso i licenziamenti senza giusta causa fino ad agosto. Cairo avrebbe potuto aspettare la scadenza del contratto da corrispondente dall’estero, che avrebbe potuto non rinnovare. Non è lontana neppure la possibilità per Caizzi di andare in pensione. Ma l’editore non ha voluto aspettare, né trattare con il comitato di redazione, subito informato dal giornalista. Ha fatto scattare il recesso, immediato e immotivato, in piena emergenza sanitaria.

Lo scorso anno, Caizzi aveva avviato una iniziativa “a tutela dell’indipendenza e della credibilità del Corriere”, protestando con il direttore Luciano Fontana per una prima pagina del giornale che annunciava, con un articolo di Federico Fubini, una inesistente procedura d’infrazione dell’Unione europea contro l’Italia, mai avviata neppure in seguito. Caizzi anche in precedenza era intervenuto nel dibattito sindacale interno al giornale, criticando il gruppo di comando del Corriere per le perdite di copie, l’influenza della pubblicità e del marketing e, di recente, anche per la richiesta di Rcs di aiuti pubblici nonostante gli ingenti profitti e i “bonus d’oro” ai principali dirigenti. Il cdr del Corriere è intenzionato a sostenere Caizzi, ritenendo che il suo licenziamento non sia affatto avvenuto, come pretende l’azienda, “nell’ambito delle comuni facoltà previste dall’ordinamento legislativo”.

Gaeta e Palamara, grande cordialità tra pm e incolpato

Accusato Luca Palamara. “Accusatore” Piero Gaeta. Poco più di un anno fa, però, c’erano rapporti amichevoli tra l’avvocato generale della Cassazione Gaeta, responsabile del pre-disciplinare e l’ex consigliere del Csm dal 21 luglio a processo disciplinare per decisione della Procura generale. È il 6 febbraio 2019, Palamara, anche da ex Csm è ancora un dominus delle nomine, la caduta, come si sa, arriverà a fine maggio, per le registrazioni sulla nomina del procuratore di Roma. Al Csm c’è stato il plenum che ha nominato due avvocati generali della Cassazione: Francesco Salzano, caldeggiato a Palamara dall’ex deputata del Pd, Donatella Ferranti, e Piero Gaeta, appunto. “Carissimo Piero – scrive Palamara – sono veramente felice per te. Un caro saluto, a presto. Luca”. E Gaeta: “Grazie Luca. Ti ringrazio davvero e ti abbraccio. Piero”. Dalle chat sembra che Palamara si sia speso anche per Gaeta. Il suo nome lo fa il 26 aprile 2018, Pina Casella, ex Csm, di Unicost, sostituto Pg in Cassazione: “Ciao Luca, sono in ufficio con Piero Gaeta che vorrebbe salutarti come già sai. Riesci a passare per un caffè??”. E Palamara: “Assolutamente sì. Con piacere”. Quel caffè si concretizza il 16 maggio 2018. Casella a Palamara: “Siamo a pranzo al francese, ti aspettiamo per il caffè come d’intesa”. E Palamara: “Arrivo”.

Gaeta, in queste settimane, sta esaminando le chat di Palamara per individuare eventuali illeciti disciplinari dei tanti magistrati coinvolti, anche del Csm. Un lavoro che condivide con il procuratore generale aggiunto Luigi Salvato, pure lui chiamato in causa dalle chat. Non essendoci registrazioni dell’incontro al bar, non si sa cosa si siano detti Palamara e Gaeta. Quello era il periodo in cui al Csm si dovevano votare gli avvocati generali della Cassazione ma, per mancanza di accordi tra correnti, vengono votati nel febbraio 2019 dal nuovo Consiglio. Gaeta, molto stimato dai colleghi, non ha voluto commentare.

Rifugio politically correct in Val Badia: il “Negerhütte” sarà solo “Capanna nera”

Il rifugio politicamente corretto. Così la baita cambia nome. Accade a Corvara, in Val Badia, uno dei luoghi più belli delle Dolomiti. Il Negerhütte è uno storico rifugio costruito un secolo fa. La settimana scorsa arriva il terremoto: in Germania viene lanciato un appello contro quel nome che a qualcuno è suonato razzista. Hütte sta per capanna, ma c’è chi ha pensato che Neger richiamasse idee discriminatorie. Forse è stato un gruppo di turisti che, tornati a casa, ha raccolto centinaia di firme e indirizzato una lettera al presidente Sergio Mattarella. Ma era davvero così? “Macché. Non siamo proprio razzisti. Anzi. Il nome è vecchio di un secolo e deriva dal latino niger, cioè nero, scuro. Era stato dato per il colore del legno della baita”, spiegano nel rifugio gestito dalla famiglia Declara. Ma aggiungono: “Non c’è problema, cambieremo nome. Siamo d’accordo, perché questa attenzione porta alla parità di diritti”. Addio Negerhütte, il rifugio diventerà Capanna Nera. Nella terra in cui ci si batte per riportare i toponimi tedeschi, stavolta viene scelto il nome italiano.

Calabria, l’assessora Catalfamo è indagata per corruzione e concorso con le cosche

L’assessore alle Infrastrutture della Regione Calabria, Domenica Catalfamo, è indagata non solo per corruzione, ma anche per concorso esterno con la ’ndrangheta. Con l’inchiesta “Helios”, la Dda di Reggio sta scardinando i rapporti tra la politica e la società Avr che si occupa della raccolta dei rifiuti, per conto del Comune, e della manutenzione delle strade in tutta la provincia. Per la città metropolitana, la dirigente Catalfamo era il responsabile del progetto per i lavori della strada Gallico-Gambarie. Probabilmente a causa di quell’appalto, di 43 milioni di euro, i pm l’hanno iscritta nel registro degli indagati per concorso esterno. I carabinieri stanno approfondendo il tentativo della ’ndrangheta di infiltrare l’Avr che – scrivono – “ha concesso assunzioni di soggetti sponsorizzati dalla politica e affidato lavori a ditte gradite dalla criminalità organizzata”. Il quadro è inquietante. Nominata assessore da Jole Santelli (Forza Italia), oggi Domenica Catalfamo è in giunta regionale assieme al capitano “Ultimo” Sergio De Caprio. Per gli inquirenti, però, potrebbe avere favorito le famiglie mafiose reggine. Il sospetto vale anche per l’amministratore unico della società Claudio Nardecchia, un imprenditore romano noto in Calabria e in Toscana.

Non è un caso che i carabinieri considerano di “interesse operativo” un messaggio da lui ricevuto nel maggio 2015 quando è stato “invitato a un incontro con Luca Lotti, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio”. L’incontro alla fine non c’è stato, ma i tanti omissis nelle informative lasciano intendere che l’inchiesta “Helios” potrebbe allargarsi sul fronte dei rapporti con le cosche. Sono già chiari, invece, i “benefit” che l’assessore Catalfamo ha ricevuto dall’Avr. “Un foulard di Dior per Mimmuzza tua”. Era il regalo di Natale che una dipendente dell’azienda ha ritirato su richiesta di Nardecchia.

Tutta l’Avr era ai piedi del futuro assessore regionale. Nel giugno 2015, infatti, la Catalfamo ha chiesto alcuni autisti per accompagnare gli invitati alla festa di compleanno della figlia: “Alle otto, otto e un quarto massimo al museo per fare un viaggio con un po’ di compagni di Giuliana (la figlia, ndr)”. Parcheggiati i mezzi della nettezza urbana, i dipendenti dell’Avr diventano chauffeurs pronti a fare la spola fino al locale della festa dove portano pure il palloncino, con il numero 18, da posizionare sulla torta. La Catalfamo poteva tutto: “La possibilità di portare un tapis roulant da casa di mia madre a casa nostra, ce l’abbiamo?”. “Non è un problema”. Basta una telefonata: “Prendiamo due, li fai rientrare prima… si prende sto cazzo di coso e alle due e dieci glielo portiamo a casa”. Naturalmente con un furgone dell’Avr.

Focolai a Fiumicino e ancora a Bologna. Visita di Mattarella, tensione a Bergamo

I focolai di Covid-19 non finiscono. Nelle scorse settimane il San Raffaele Pisana e il palazzo occupato alla Garbatella avevano tenuto in allarme le autorità sanitarie del Lazio. Negli ultimi giorni i palazzi ex Cirio di Mondragone (Caserta) e il colosso dei trasporti Brt (ex Bartolini) hanno fatto lo stesso in Campania ed Emilia. Ora a far paura è Fiumicino. In due giorni un ristorante, l’“Indispensa Bistrot” e un chiosco sul lungomare della Salute, lo “Spuma” sono stati chiusi, dopo che i titolari di entrambi i locali sono risultati positivi al SarsCov2. La Regione Lazio ha fatto sapere che per tracciare i limiti del cluster la Asl Roma 3 ha eseguito “oltre 800 tamponi”. L’allerta è alta, la macchina per il contact tracing è in funzione: “Si andrà avanti anche domani (oggi, ndr) per tracciare e testare tutti i contatti che hanno avuto a che fare con le due strutture”. “Nessun cliente è positivo”, ha assicurato ieri il sindaco Esterino Montino. Ma il momento è delicato: “Invito i ristoratori al rispetto dell’ordinanza che prevede che venga richiesto per ogni tavolo un recapito telefonico per il tracciamento dei contatti”, ha detto ieri l’assessore alla Sanità Alessio D’Amato, che ha elencato i dati dei nuovi contagi: sono 18, di cui 5 a Roma. Tra questi, 2 dipendenti dei locali chiusi e 4 conviventi di un cittadino del Bangladesh ricoverato venerdì allo Spallanzani. Motivo per cui “l’indagine verrà estesa anche all’Ambasciata”.

L’altro fronte delle ultime ore è quello del Cas per migranti di via Mattei, a Bologna. Oggi nella struttura verranno eseguiti 200 tamponi, dopo l’accertamento di due positivi tra gli ospiti: entrambi magazzinieri per Brt, l’azienda in cui è scoppiato un focolaio negli scorsi giorni. “È stato disposto l’isolamento di alcuni casi risultati positivi e l’avvio dell’indagine epidemiologica di tutti gli ospiti”, ha fatto sapere l’assessore regionale alla Sanità Raffaele Donini. Per Paolo Pandolfi, direttore del dipartimento di Sanità dell’Ausl, il legame non è scontato: “Se dovesse venire fuori qualche caso, occorrerà stare molto attenti a dire che si origina, forse, da Bartolini. All’hub c’è un contesto comunitario che condiziona l’evoluzione del contagio. Ha una storia diversa dal focolaio alla Bartolini”. Dove le persone positive sono 107.

Sono, invece, 175 i nuovi casi comunicati ieri dal ministero della Sanità: 8 i morti nelle ultime 24 ore, il dato più basso dal 1° marzo, quando furono 5. Di questi, 2 sono stati registrati in Lombardia (che ha 77 nuovi positivi), dove oggi arriva Sergio Mattarella. Il presidente della Repubblica sarà a Bergamo per partecipare con i 243 sindaci della provincia alla messa al cimitero monumentale per salutare le 6mila vittime del territorio. Ad attendere il capo dello Stato sotto al municipio ci sarà un banchetto sul quale è poggiato un quaderno intitolato “Caro Mattarella, ti scrivo”. “I bergamaschi che passano lasciano un pensiero – racconta Eliana Como, membro della direzione nazionale della Cgil, che ha organizzato il presidio ed è in sciopero della fame – e i loro scritti sono pieni di dolore e rabbia”. Uno porta la firma di una lavoratrice: “Ricorda i giorni di marzo in cui le autorità dicevano ai cittadini di restare a casa ma lei doveva andare in fabbrica, che era rimasta aperta – prosegue Como – e il terrore che provava nel tornare a casa dai figli con il rischio di contagiarli”. La aziende rimaste aperte, quindi, “ma anche la Val Seriana che non è stata chiusa subito, la nascita una zona arancione invece che rossa e il lockdown arrivato solo il 22 marzo. Ci sono responsabilità penali, le individuerà la magistratura. Ma ci sono anche quelle di governo e Regione. Non contestiamo il requiem, ma non basta”. Alla cerimonia parteciperà il governatore Attilio Fontana, la cui presenza solleva diverse perplessità: “Ho chiarito agli organizzatori che non avrei in nessun modo condiviso alcuno spazio fisico con il presidente della Regione”, ha fatto sapere in una nota Luca Fusco, portavoce del comitato “Noi denunceremo”, che riunisce le famiglie delle vittime.

“Formigoni mi chiedeva operazioni in contanti”

Dal libro “Celeste Ladrone”, a cura di Gianni Castiglioni, edito da Kaos Edizioni

La reale spiegazione dell’anomala operatività dei conti è data dalla circostanza – provata – che nel corso degli anni, e quantomeno a far data dal 2003, Formigoni aveva larghe disponibilità di denaro contante di cui non è riuscito a indicare la legittima provenienza. Conviene prendere la mosse dalle più significative operazioni extra-conto attraverso le quali Formigoni ha fatto pervenire sui conti di Perego (Alberto, manager brianzolo, amico dell’ex presidente della Lombardia, ndr) ed Emanuela Talenti (con la quale ebbe una relazione sentimentale, ndr) cospicue somme di denaro contante che lo stesso deteneva e che consegnava per i versamenti al direttore della sede di Milano della Banca Popolare di Sondrio. Dall’esame del conto corrente n. 6441 intestato a Formigoni presso la Banca Popolare di Sondrio-Sede di Milano, sono risultati diversi bonifici disposti dall’imputato in favore di Talenti e di Perego.

Tra gli altri, sono stati individuati i seguenti trasferimenti in favore di Talenti: [€20 mila il 23.7.2004, € 5 mila il 27.1.2005, € 10 mila l’11.3.2005] e il seguente bonifico a favore di Perego: [€ 10 mila l’8.10.2004].

È stata quindi acquisita la documentazione relativa ai conti di Talenti e di Perego e, in corrispondenza dei sopra indicati bonifici, risultano essere state accreditate somme maggiori di quelle che risultano uscire dai conti di Formigoni. Inoltre, nei conti di Talenti sono stati individuati ulteriori accrediti con causale “bonifico da Formigoni” di cui non vi è alcuna traccia nella documentazione bancaria dei conti di Formigoni. È quindi emerso che le maggiori somme (di cui non vi è traccia nella documentazione bancaria di Formigoni) provenivano da versamenti di denaro contante effettuati su un conto interno di transito della Banca Popolare di Sondrio-Sede di Milano.

L’utilizzazione del conto interno della Banca Popolare di Sondrio e il versamento da parte di Formigoni di contanti sono stati puntualmente confermati e descritti da Francesco Rota, capo area dell’istituto di credito, il quale ha personalmente curato il cliente Formigoni.

All’udienza del 21 gennaio 2015 Francesco Rota ha spiegato che tra il 2003 e il 2005 Formigoni, dopo averlo convocato presso il suo ufficio in Regione Lombardia, ebbe a consegnargli somme di denaro contante per eseguire dei bonifici in favore di Emanuela Talenti e Alberto Perego, chiedendogli espressamente se fosse possibile eseguire tali bonifici senza far transitare sui suoi conti le somme di contante:

Teste Francesco Rota, udienza 21-1-2015

Pm Pedio: “Va bene. Senta, il Presidente Formigoni le ha mai chiesto di eseguire delle operazioni in contanti?”.

Rota: “In contanti cosa intende?”.

Pm Pedio: “Non credo ci…”.

Rota: “Cioè se mi ha dato dei contanti?”.

Pm Pedio: “Sì, delle operazioni in contanti”.

Rota: “Sì, sì, sì, assolutamente”.

Pm Pedio: “Ecco, ci può dire in che periodo, e che tipo di operazioni le ha chiesto?”.

Rota: “Allora, a memoria direi tra il 2003 e il 2005, erano richieste tra i 5 e i 20 mila euro, a memoria”.

Pm Pedio: “Però precisiamo: cioè il Presidente le dava dei contanti?”.

Rota: “Sì, sì, sì”.

Pm Pedio: “Cioè aveva lui disponibilità di contanti?”.

Rota: “Sì, sì”.

Pm Pedio: “E li consegnava a lei?”.

Rota: “Esattamente”.

Pm Pedio: “E cosa le chiedeva, che cosa doveva fare lei?”.

Rota: “Allora, inizialmente venivano versati sul conto e la richiesta è di fare dei bonifici che, se non ricordo male i nomi, dovrebbero essere Perego e Talenti, io ricordo questi due, ricordo uno grosso a Perego per un milione, mi sembra”.

Pm Pedio: “In contanti”.

Rota: “No, no, quello dal conto”.

Pm Pedio: “Parliamo dei contanti per un attimo”.

Rota: “Okay. Tra i 5 e i 20 mila euro. Mi chiese anche se vi era la possibilità di non far figurare queste operazioni sul conto”.

Favorì gli ospedali dei privati. Maroni alla corte di Sua Sanità

Altro che sindaco di Varese. Qualche giorno fa nella Lega avevano fatto il suo nome come candidato per diventare primo cittadino della città lombarda, ma Roberto Maroni ha trovato un’occupazione più tranquilla e meglio remunerata: consigliere d’amministrazione degli Istituti clinici Zucchi, una delle strutture sanitarie del gruppo San Donato di Paolo Rotelli. Maroni è stato ministro dell’Interno e del Lavoro e fino al 2018 presidente di Regione Lombardia. Ora entra nella squadra del primo gruppo italiano della sanità privata.

Diciannove tra ospedali e cliniche, più di 5 mila posti letto, 4,3 milioni di pazienti curati ogni anno, 16 mila addetti, più di 1 miliardo e mezzo di ricavi, in buona parte provenienti dai rimborsi pubblici regionali per la sanità accreditata.

Nel gruppo San Donato si troverà in buona compagnia: presidente della holding è Angelino Alfano, l’ex segretario di Silvio Berlusconi poi diventato ministro e parlamentare Ncd; e new entry è Augusta Iannini, la moglie di Bruno Vespa che è stata magistrata a Roma, capo dell’Ufficio legislativo del ministero della Giustizia e poi vicepresidente dell’Autorità garante per la privacy. Iannini entra nel consiglio d’amministrazione della holding e anche in quello dell’Ospedale San Raffaele, fiore all’occhiello del gruppo.

Alfano, Maroni, Iannini: impossibile non notare la bulimia, più politica che manageriale, di Paolo Rotelli, che rimpinza gli organigrammi del suo gruppo con figure che vengono dai partiti e dai ministeri, personalità più adatte a tessere rapporti e a fare lobbismo che non a guidare un grande gruppo ospedaliero.

Del resto, gran parte del fatturato del San Donato proviene dai soldi pubblici, tramite gli accreditamenti che i suoi ospedali hanno ottenuto, a partire dai bei tempi della riforma di Roberto Formigoni che ha aperto il sistema sanitario lombardo ai privati.

Guarda i casi del destino: nella squadretta di esperti che Formigoni chiamò in Regione nel 1995 a scrivere la sua riforma c’era Giuseppe Rotelli, che allora si presentava come giurista, ma era già padrone di un paio di cliniche (la Città di Pavia e la San Donato) ereditate dal padre Luigi, medico. Poi Giuseppe Rotelli ha messo la sordina alla sua attività di giurista, privilegiando la vocazione imprenditoriale, incrociandola con le sue relazioni politiche e creando l’impero che alla sua morte, nel 2013, ha lasciato al figlio Paolo.

La nomina di Maroni ha oggi il sapore di un premio, o di un ringraziamento: da presidente della Lombardia succeduto a Formigoni, Bobo ha portato a compimento la riforma della sanità lombarda, completando il percorso per equiparare le strutture private a quelle pubbliche.

Formigoni, in alcune recenti interviste, ha sostenuto che Maroni ha fatto di più: “Io ho costruito una sanità di assoluta eccellenza, sia nel campo ospedaliero, sia nel campo della medicina di territorio. Dopo di me è arrivato qualcuno che nessuno cita mai, che ha governato cinque anni e ha cambiato profondamente – e in peggio – la sanità di Formigoni”. Quel “qualcuno” non può che essere Maroni. “La sanità che ho costruito io era molto forte sia sul piano ospedaliero sia sulla medicina di territorio, in particolare i medici di base. Dopo di me è stata fatta una riforma che ha indebolito fortemente la medicina di territorio: proprio quella di cui c’era bisogno per il coronavirus”.

Chissà se sono vere le accuse a Maroni del Celeste, che cerca di scaricare su altri le responsabilità di aver costruito quell’“eccellenza” iper-ospedalizzata, privatizzata e fragilissima nel presidio territoriale che è stata il terreno fertile per il Covid-19 e che ha fatto diventare la Lombardia l’area con più morti e contagi d’Europa. Di certo vero è che Maroni ora entra nella cabina di comando del primo gruppo sanitario privato d’Italia, dopo essere stato il presidente della Regione italiana che in sanità più ha aperto ai privati.