Lei dice che non c’entra nulla. Anzi che è dispiaciuta che il ripristino dei vitalizi deciso a Palazzo Madama nel blitz notturno di giovedì sia arrivato proprio ora, in un momento così drammatico per gli italiani. La presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati è davvero toccata da tanta ingiustizia che si è consumata sotto il suo naso. Le fa eco Matteo Salvini, che si sgola e tuona contro la decisione: è pronto a fare cose pazze pur di non passare per chi protegge l’odioso privilegio. Ma gli fioccano addosso le critiche di chi lo rimprovera di fare il doppio gioco. Il governatore dell’Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, è implacabile: “Li tolga nelle Regioni dove governa la Lega”. E pure la Casellati è investita da una gragnuola di critiche da cui cerca di difendersi. Peccato però che lei per prima abbia fatto ricorso per ottenere l’assegno.
Nel settembre del 2018, quando Casellati era già stata catapultata sullo scranno che spetta alla seconda carica dello Stato, l’organo di giustizia interna del Senato le ha riconosciuto il vitalizio. Che aveva chiesto insistentemente di percepire durante i tre anni in cui aveva lasciato la politica per andare al Csm. Questo nonostante il divieto di cumulo tra gli emolumenti previsto dal regolamento sulle pensioni vitalizie: una vittoria da circa 200mila euro per le sue onorevoli finanze. Ma i fatti curiosi, da un anno a questa parte, si sono moltiplicati.
A partire dalle scelte fatte dalla Casellati rispetto ai due organi di giustizia interna del Senato, la Commissione Contenziosa e il Consiglio di garanzia, chiamati a decidere sulla valanga di ricorsi presentati da Maurizio Paniz contro il taglio degli assegni. Ai loro vertici, nell’ottobre del 2018 erano approdati due forzisti: Giacomo Caliendo e Luigi Vitali. In particolare, nell’organismo di Caliendo, erano entrati anche un leghista (Simone Pillon), una pentastellata (Elvira Evangelista) e due componenti laici di nomina presidenziale. Chi? L’avvocato del Foro di Tivoli, Alessandro Mattoni, e soprattutto Cesare Martellino, con il ruolo di relatore dei ricorsi. Un ex magistrato in rapporti di antica amicizia con Nitto Palma, uno dei 700 ex senatori che avevano fatto causa a Palazzo Madama per i vitalizi limati pure essendo capo di gabinetto della Casellati. Un triangolo perfetto: la presidente aveva reclutato l’ex ministro della Giustizia di B. di cui era stata sottosegretaria insieme a Caliendo.
Risultato? Dopo i primi articoli di stampa dedicati a questa curiosa rimpatriata, Nitto Palma aveva deciso di rinunciare al suo ricorso. Ma le situazioni imbarazzanti non erano affatto finite. E non risultano prese di distanza del Carroccio.
L’ombra di un conflitto di interessi e l’ambiguità della situazione che si era creata all’interno della commissione Caliendo, invece, aveva convinto Elvira Evangelista del M5S a dimettersi. Per determinare l’azzeramento dell’organo dove invece Simone Pillon della Lega è rimasto eccome. Anzi, nel frattempo, la presenza della Lega è raddoppiata. Dopo che Alessandra Riccardi, entrata nel collegio in quota M5S, adesso ha traslocato tra i fedelissimi di Salvini. Che ora rivendica che i suoi hanno votato contro il ripristino dei vitalizi, ma che viene apertamente accusato dai 5 Stelle di fare il “treccartista”.
“Definirlo il bomber delle fake news è fargli una cortesia. Quella presieduta da Caliendo è una commissione di centrodestra: Salvini sapeva che 3 dei 5 componenti avrebbero votato a favore dell’annullamento della delibera che aveva abolito i vitalizi”, picchia Danilo Toninelli. Che adombra il sospetto di una combine che ha evitato alla Lega di sporcarsi le mani.
Un’accusa pesantissima come quelle che sono piovute addosso alla Commissione contenziosa nei mesi scorsi, senza che però Salvini aprisse bocca e per la verità neppure il Pd, che ora si sgola, fatta eccezione per Luigi Zanda, senatore e presidente del Domani di Carlo De Benedetti, che ha sempre contestato il taglio dei vitalizi.
Neppure quando a gennaio il Fatto era riuscito ad anticipare il testo della sentenza e pure il comunicato stampa che Caliendo&C. avevano già bella e pronta addirittura prima di riunirsi per decidere. Certi evidentemente di avere i numeri sufficienti per procedere con la decisione di far saltare il taglio dei vitalizi deciso meno di due anni prima per ragioni di equità sociale. Nessuna protesta neppure quando Caliendo ha dichiarato di volersi astenere, salvo poi essere rimesso in sella da Luigi Vitali, l’azzurro presidente del Consiglio di garanzia che lo ha ritenuto perfettamente compatibile con l’incarico.
I due laici finiti nelle peste invece sono stati sostituiti con due altri componenti nominati anche loro dalla Casellati. Che ha scelto Gianni Ballarani, docente di Diritto privato alla Pontificia università lateranense dove la presidente del Senato si è laureata in Diritto canonico. E Giuseppe Dalla Torre del Tempio di Sanguinetto, già capo del Tribunale del Papa, che condivide con la presidente l’amore per il diritto canonico: in passato ha recensito il volume di Sua Presidenza dedicato all’indissolubilità del matrimonio. Dalla Torre è anche il fratello di Giacomo, gran maestro dei Cavalieri di Malta, morto da poco.
Ora che la frittata è fatta tutti si indignano. E pretendono che il Senato si costituisca in appello facendo ricorso contro la decisione. Che intanto però è un precedente pesantissimo in vista della analoga delibera attesa alla Camera, che dovrà decidere sui 1400 ricorsi degli ex deputati che adesso vedono la vittoria più vicina.