Tutorial e didattica mista: nell’attesa i prof. fanno da soli

C’è chi pensa di fare un video per spiegare ai bambini come dovranno comportarsi in classe e chi ha ipotizzato di incontrare gli allievi ad agosto per fare una simulazione. A Mantova le maestre della scuola dell’infanzia si stanno formando per fare scuola all’aperto e a Govone stanno ripensando agli spazi esterni alla scuola. Maestri e professori di tutt’Italia non hanno aspettato le linee guida della ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina. Dopo l’ultima lezione online non hanno spento i loro computer ma hanno iniziato ad “incontrarsi” a distanza per ipotizzare gli scenari della ripartenza. Una riunione dopo l’altra, ore ed ore di discussione per non farsi trovare impreparati.

Stefania Manassero, maestra della scuola dell’infanzia di Castagnito (Cuneo) con le sue colleghe ha parlato con i sindaci del territorio: “Noi stiamo pensando di fare outdoor education. Abbiamo studiato varie possibilità per uscire sul territorio con i nostri 48 bambini. Aspettavamo le indicazioni precise sul numero di alunni per insegnante ma finora non sono arrivate. Speravamo uscissero linee guida un po’ decenti”. A Mantova, dove la maggior parte delle scuole dell’infanzia sono comunali, l’amministrazione sta lavorando con le maestre: “Tutto il nostro personale – spiega Laura Rodella, funzionaria del settore istruzione – è stato iscritto a un corso di formazione che stiamo facendo con l’associazione “L’asilo nel bosco”. Abbiamo spazi adeguati e useremo molto i giardini”.

Più complessa la situazione nelle scuole primarie. Chiara Giuliotti, maestra della “Rodari” di Saronno ha appena concluso la terza riunione online sull’argomento: “Per ora sono solo delle idee perché non essendoci le linee guida possiamo solo fare delle ipotesi. Abbiamo pensato a diversi scenari. Nel caso in cui si torni in aula, se ci verrà richiesto di tenere la distanza minima di un metro, dovremo dividere la classe in due gruppi. I problemi di gestione sono enormi: vanno ripensati gli spazi scolastici per capire dove creare delle aule in più. Abbiamo ipotizzato di usare dei luoghi adibiti ad attività di laboratorio ma non basteranno”. La maestra Giuliotti accenna a un’idea originale: “Pensiamo di fare un video tutorial per spiegare ai bimbi le nuove regole che dovranno seguire”.

Dalla Lombardia alla Campania. Ad Ariano Irpino, paese che è stato zona rossa per quasi 40 giorni, Gerarda Dal Medico, insegnante della scuola primaria “Don Milani” sta lavorando a stretto contatto con il preside: “Vogliamo incontrare i bambini ad agosto per fare una sorta di prova e far prendere loro dimestichezza con le misure di distanziamento. In alcuni plessi bisognerà pensare a una turnazione, per dare la possibilità ai genitori di non incontrarsi. Dovremo giocare su una flessibilità del tempo scuola. Il tema della ripresa è molto ansiogeno. I rischi a cui andiamo incontro sono alti, non possiamo credere di non rientrare”.

Alle superiori il tema è ancora più complesso. All’istituto tecnico “Ferraris” dove insegna il professor Nicola Cotugno ci sono 2.100 alunni e 300 docenti: “La situazione è caotica. Se volessimo distanziare i ragazzi in aula avremmo 10/12 alunni per classe. Dovremmo fare un doppio turno in una classe: pedagogicamente è un disastro. L’unica cosa che stiamo pensando di attuare è la didattica mista. Sul resto vedremo come fare”. A Palermo, invece, al liceo linguistico “Ninni Cassarà” hanno dedicato un collegio docenti al tema della ripresa: “Pensiamo – spiega la professoressa Erika Drago – di ricavare aule in più utilizzando i laboratori di lingue e di informatica, in modo da smistare gli alunni in gruppi ridotti. Mentre la ricreazione dovrebbe svolgersi in aula e seduti”.

Ministero contro enti locali: l’impasse per avere più soldi

Afine giornata è chiaro che i giochi si fermano su quel miliardo che la ministra dell’Istruzione, Lucia Azzolina, chiede in Consiglio dei ministri per la Scuola, nello specifico per implementare il numero di insegnanti e gli spazi. Il presidente della Conferenza Stato-Regioni, il governatore dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini, parla di “giusta direzione” e lascia presagire che oggi ci sarà l’ok alle linee guida per il rientro in sicurezza a settembre. Un via libera che ci si aspettava ieri pomeriggio, poi slittato per la dichiarata necessità di “approfondire” gli aggiustamenti approntati rispetto alla bozza che era circolata nei giorni scorsi e che aveva mandato su tutte le furie (canoniche ormai) sindacati, governatori e presidi mentre in sessanta piazze d’ Italia protestavano anche studenti, docenti e genitori.

Le stesse linee guida giudicate in mattinata “irricevibili” – tanto da richiedere l’intervento del premier Giuseppe Conte (“Dateci ancora un po’ di tempo. Sull’edilizia scolastica ci sono soldi mai usati dovremo fare un miracolo. Stiamo facendo di tutto”) – vengono rimaneggiate e integrate. Così a sera c’è uno spiraglio per l’ok che dovrà arrivare oggi: si snelliscono i tavoli regionali di intervento per evitare rallentamenti, si assicurano gli incrementi del personale docente e non, il ministro della Salute Roberto Speranza garantisce che ad agosto si rivaluterà l’obbligo della mascherina. Le Regioni chiedono altro tempo, poi 2 miliardi (in generale, per le mancate entrate), poi maggiore attenzione al tema dei trasporti “che va affrontato con urgenza, anche in un tavolo separato, guardando sia al lato economico sia a quello organizzativo”, spiega Bonaccini, mentre la Cna denuncia un sistema arrivato “allo stremo” (e la ministra De Micheli annuncia l’apertura di un tavolo ad hoc). Poi, apprezzano il miliardo chiesto in Cdm (che si aggiunge ai 4,6 già stanziati dall’inizio dell’emergenza). Oggi si dovrebbe dare il via alle danze e da quel momento ci sarà un solo imperativo: correre.

Itinerante e in ritardo: la scuola di settembre

Immaginiamo così la scuola di settembre, nei panni di uno studente: si avrà un orario diverso da quello delle altre classi per entrare, si dovranno seguire i percorsi indicati sul pavimento e nei corridoi, indossare la mascherina se si hanno più di sei anni (a meno che ad agosto il ministro della Salute non rilevi che se ne possa fare a meno), andare in classe e sedersi al proprio banco che dovrebbe essere singolo, sanificato e avere almeno quattro metri quadrati di spazio esclusivo a disposizione. Forse il compagno di classe sarà seduto di fronte, forse – se la scuola ha ricevuto abbastanza soldi ed è riuscita a spenderli in tempo – il banco sarà high tech e con le rotelle, forse in classe ci sarà solo una parte dei compagni a fare italiano, gli altri saranno a studiare matematica insieme ad un’altra classe o a giocare a basket con l’allenatore della squadra dell’oratorio. Poi ci sarà il cambio, si passerà alla matematica o al basket, facendo attenzione a non incontrarsi. O forse si imparerà a suonare uno strumento musicale. Chissà. La certezza, per ora, è che per ogni scuola sarà diverso. Per ogni città, paese, plesso. Bisognerà adeguare la didattica alle peculiarità dell’istituto e degli enti locali. Sono i limiti delle linee guida, che danno per definizione un indirizzo, poi la declinazione sarà lasciata all’autonomia delle scuole in base alle loro caratteristiche. Il massimo possibile secondo alcuni, il minimo indispensabile secondo altri. La verità è nel mezzo: tra ciò che è stato deciso e ciò che si sarebbe potuto fare meglio, adesso e decenni addietro.

Il tempo.Le linee guida, che dovrebbero essere approvate oggi, arrivano quando mancano solo due mesi alla riapertura delle scuole (uno dei quali è agosto), confermata al 14 settembre. Il tempo è poco: si stabilisce ora di creare tavoli regionali e cabine di regia che facciano ispezioni e ricognizioni dei problemi e delle necessità nelle scuole per capire come stanno messe. “Una classificazione che avrebbero dovuto elaborare da oltre un mese con l’ausilio dei presidi – ha detto il presidente dell’associazione nazionale presidi, Antonello Giannelli nei giorni scorsi –. Noi dirigenti non possiamo toccare uno spillo nelle scuole che sono di proprietà dei comuni, di province o città metropolitane”. Il tavolo di lavoro che ha analizzato tutti gli aspetti della didattica si è insediato il 23 marzo e ha lavorato per due mesi. Ora si spera che le regioni riescano a fare tutte le ricognizioni in una settimana e che in base alle richieste e alle necessità si possano stanziare soldi con un decreto già dal 15 luglio. A inizio giugno è stata prevista la figura del “sindaco commissario” che potrà fare interventi sulle strutture in modo più veloce (buttare giù un muro, ad esempio) e ieri in Consiglio dei ministri è stato chiesto un miliardo in più per l’organico e i nuovi spazi. È una corsa contro il tempo con molte incognite. L’aspirazione a un miracolo, per citare Conte.

Personale. Si parla poi di ulteriore personale, se necessario nei casi in cui per forza di cose le classi dovranno essere rimodulate o le loro ore ridistribuite. E potrà solo essere personale supplente dal momento che in questi mesi non sono stati fatti – causa epidemia – i concorsi ordinari per assumere gli insegnanti che erano previsti. Anche in questo caso, dovranno essere le scuole e le Regioni a fare il punto sui bisogni per la didattica, sempre con la stessa corsa contro il tempo di cui sopra. Gli istituti che non lo prevedono, potranno riaprire il sabato e sarà possibile richiedere anche più personale non-docente. Basti pensare che ogni spostamento e cambio d’ora diventerà più complesso per il distanziamento e la sanificazione, dunque dovrà aumentare la vigilanza da parte di tutti. I tempi si dilateranno. Anche perché le linee guida prevedono poi la possibilità di rimodulare le classi e le lezioni, di far spostare i ragazzi nei diversi spazi dentro e fuori le scuole, di aggregarli ad altre classi e laboratori in base alle necessità. Insomma, un po’ meno rapporto docente – classe, un po’ più “scuola americana” itinerante. Meglio all’aperto, se possibile e con la didattica a distanza se necessario.

Il vero problema. Lo abbiamo già raccontato: ridurre il numero di studenti per classe non è stata una opzione tenuta in considerazione. Avrebbero raddoppiato gli spazi e i docenti. Guardiamo ai numeri. La distanza tra gli alunni deve essere di almeno un metro. Questo significa che come minimo ogni alunno avrà bisogno di circa due metri quadrati. La settimana scorsa era stato Tuttoscuola a simulare, a ribasso (quindi su due metri quadrati), la condizione delle scuole italiane, assumendo come dato di partenza un’aula scolastica tipo di circa 48 metri quadrati. Togliendo lo spazio per la cattedra, ne resta per accogliere al massimo 17-18 alunni. In sostanza, sarebbero 241.466 le classi costrette a ricercare soluzioni logistiche alternative. E ipotizzando che una parte vada a finire in aule adeguatamente capienti e un’altra in adeguati spazi alternativi, nel migliore dei casi ci sarebbero non meno di 72mila nuove classi nate per sdoppiamento. “Le classi sdoppiate dovrebbero adattarsi a turnare con due possibili opzioni – si legge – dimezzare gli orari delle lezioni e avvalersi degli stessi insegnanti su ogni turno oppure mantenere gli orari di lezione raddoppiando il numero degli insegnanti”. Nel primo caso gli studenti dimezzerebbero il tempo di studio, nel secondo si dovrebbe andare a scuola anche di pomeriggio. “Le classi sdoppiate, in ogni grado, avrebbe bisogno di 124.591 docenti in più”. Con un costo per lo stato di diversi miliardi di euro. Ad oggi, gli insegnanti, tra tempo determinato e indeterminato, sono 872.268, la spesa per i loro stipendi ammonta a poco meno di 40 miliardi all’anno.

Gli enti locali. La ricerca di spazi alternativi viene poi affidata ai “patti territoriali” tra le scuole e altre realtà adatte ad accogliere gli studenti. Potranno essere coinvolti anche animatori e persone che possano portare avanti “attività integrative o alternative alla didattica, anche inerenti al terzo settore (ad es. le associazioni sportive dilettantistiche) al associazioni musicali, teatrali, artistiche in generale” si legge nelle linee guida. A queste persone sarà affidata anche la responsabilità di sorveglianza e vigilanza degli alunni. Dovranno essere scelte, nominate e infine pagate ma non è chiaro in che modo e con che garanzie. Senza contare che cambierà l’intensità della didattica e che pende sulla testa dei presidi (molti dei quali in procinto di andare in pensione e che saranno sostituiti il primo settembre) il tema della responsabilità in caso di contagio. Anche qui poche certezze: resta la responsabilità datoriale, ma il timore è che possano averla anche per gli alunni.

Scandalo Palamara, processo disciplinare per dieci magistrati

C’è sempre un senza precedenti nello scandalo nomine del caso Palamara. L’ultimo riguarda Cosimo Ferri. È il primo magistrato in aspettativa e parlamentare a essere sotto processo disciplinare, ma proprio perché è un deputato, il procuratore generale della Cassazione, Giovanni Salvi, ha invitato la sezione disciplinare del Csm a rivolgersi alla Camera per chiedere l’autorizzazione all’utilizzo delle registrazioni all’hotel Champagne di Roma, quelle del dopocena del 9 maggio 2019, in cui Ferri, deputato Iv, prima Pd, sempre renziano, con Luca Palamara, il deputato Pd Luca Lotti e 5 allora consiglieri del Csm, provavano a pilotare la nomina del procuratore di Roma e non solo. Tutto fu registrato perché nel cellulare di Palamara, ex Csm, pm romano ora sospeso, era stato immesso un trojan dai pm di Perugia che lo accusano di corruzione. E Palamara, come anticipato dal Fatto, non appena la sezione disciplinare del Csm avrà fissato l’udienza, sarà processato insieme a quei 5 magistrati costretti a dimettersi dal Csm: Antonio Lepre, di Magistratura Indipendente come Ferri, dominus della corrente conservatrice, Corrado Cartoni e Paolo Criscuoli, anche loro di MI; Pierluigi Morlini e Luigi Spina, della centrista Unicost come Palamara.

Spina è l’unico degli ex consiglieri a essere indagato a Perugia per rivelazione di segreto pro Palamara così come l’ex Pg della Cassazione Riccardo Fuzio, di Unicost. Per Ferri, invece, si preannuncia un processo “singolo” per via della richiesta alla Camera. Non c’è, invece, ancora alcun atto di incolpazione per magistrati, tantissimi, che parlano con Palamara nelle oltre 60 mila chat all’esame della Procura generale della Cassazione. Ma “prima delle ferie estive”, dice Salvi, ci saranno sviluppi: “Serve un lavoro che consenta di selezionare le diverse condotte”, vietate le anticipazioni prima che i magistrati coinvolti abbiano ricevuto l’atto di incolpazione. Lo stesso Salvi conferma che, naturalmente sono sotto esame anche le chat di Palamara “con attuali consiglieri del Csm”. Cioè Marco Mancinetti e Concetta Grillo di Unicost, Giuseppe Cascini di Area.

Per il Procuratore generale le nomine fatte per corrente sono “una grave violazione delle funzioni del Csm” e questo scandalo ha segnato “un punto di non ritorno irreversibile”. Quanto a Palamara e agli altri magistrati processati, rischiano le “sanzioni più gravi”, quindi anche l’espulsione dalla magistratura. Il Pg conferma che il cuore dell’accusa è “l’interferenza nell’esercizio dell’attività del Csm. Le scelte venivano esposte in relazione a condotte, richieste o temute, rispetto a posizioni processuali per favorire qualcuno o danneggiare qualcun altro”. A presiedere il collegio, secondo quanto ci risulta, non sarà il presidente David Ermini ma il vicepresidente della disciplinare Fulvio Gigliotti, laico M5S. L’astensione di Ermini è molto probabile dato che fu lui a indurre i consiglieri alle dimissioni, la scorsa estate, d’accordo col Quirinale. A processo disciplinare, pure Cesare Sirignano, il pm della Dna appena trasferito dal Csm per incompatibilità ambientale, che dovrebbe andare alla Procura di Napoli Nord. A Sirignano si contesta di aver fatto credere a Palamara, intercettato, il falso: di aver parlato con Giuseppe Borrelli che, come procuratore di Perugia sarebbe stato “affidabile”. Borrelli, ora procuratore di Salerno, ha denunciato Sirignano.

Processo disciplinare, inoltre, per l’ex pm romano Stefano Fava: il suo esposto al Csm contro il procuratore aggiunto di Roma, Paolo Ielo, questa è l’accusa, doveva servire per una “vendetta” di Palamara a Perugia, competente a indagare sui magistrati romani. Per “posizioni minori” processo per due ex magistrate segretarie del Csm: Maria Teresa Caprara e Fiammetta Palmieri. Caprara avrebbe divulgato i lavori riservati della Quinta Commissione, competente per le nomine mentre Palmieri avrebbe permesso ai 5 togati all’hotel Champagne di leggere gli atti già al Csm, prima del consenso dei pm di Perugia.

Da Ermini a Cascini e Mancinetti. La rete delle chat sul nuovo Csm

L’esame delle chat di Luca Palamara in cui compaiono i nomi dei consiglieri del Csm è ancora in corso, ha spiegato ieri il procuratore generale della Corte di Cassazione, Giovanni Salvi. Il numero di chat in cui i membri del Csm sono nominati è molto alto. Più circoscritto l’elenco di chi ha scambiato direttamente messaggi con Palamara. Riportiamo alcuni messaggi. Non tutti hanno ovviamente una rilevanza disciplinare. Toccherà al Csm e alla Procura generale della Cassazione stabilire quali.

Partiamo da quelli del vicepresidente David Ermini che, lo ricordiamo, deve la sua nomina proprio all’asse che Luca Palamara ha creato tra Unicost e Magistratura Indipendente, con l’avallo del parlamentare Pd Cosimo Ferri. Investitura avvenuta dopo l’indicazione del suo nome, in quota Pd, fatta da Luca Lotti e sancita, nel settembre 2018, durante una cena a casa di Giuseppe Fanfani, ex membro del Csm e parlamentare del centrosinistra. E proprio ai giorni in sta per diventare vice presidente del Csm che risalgono i primi messaggi tra Palamara ed Ermini: “Tutto procede bene” gli scrive il primo. “Grazie” gli risponde il secondo. E quando il 27 settembre Ermini viene eletto, Palamara gli invia questo messaggio: “Godo!!!!!!! Insieme a te!!!!”. Il 18 ottobre Ermini gli chiede un aiuto per un convegno di stampo sindacale. Palamara era intervenuto in un contesto simile l’anno prima. Ed Ermini gli scrive: “Mi mandi un paio di punti per la traccia dell’intervento di domani?”. A novembre i due discutono di un altro componente del Csm, Piercamillo Davigo. “Anche stasera Davigo debole…” scrive Palamara, ed Ermini risponde: “Va troppo spesso in tv… secondo me così si inflaziona…”. “Sì, hai ragione, si sta bruciando” conferma Palamara. Ed Ermini: “Alla fine non fa più notizia”.

Scambi di messaggi anche tra Palamara e Marco Mancinetti che nel settembre 2017 gli scrive: “Allora ti do i dati di mio figlio (…)”. “Ok” gli risponde Palamara. Secondo alcune ricostruzioni – che Mancinetti ha sempre smentito, minacciando querele – i dati servivano per l’iscrizione in un’università albanese per la quale Palamara s’era impegnato. Nel febbraio 2018 Mancinetti si esprime sul collega Luciano Panzani: “Cmq leggendo nota di panzani ce da ridere. Lo dovete asfaltare è un matto”. Nel dicembre 2017 commenta il ruolo di Maria Vittoria Caprara, all’epoca magistrato segretario del Csm: “Maria Vittoria Caprara da piu parti viene considerata di Cartoni (Corrado, all’epoca membro del Csm, ndr). Lei è libera di fare quello che vuole ma sta lì a 2200 euro al mese in + da 5 anni con i voti di unicost roma. Questo è intollerabile. Lei se ne deve andare da lì”.

C’è uno scambio di messaggi anche con Giuseppe Cascini: “Ciao Luca. Come va? Hai qualcuno da indicarmi al Coni con cui posso parlare per i biglietti dello stadio? Per portare anche Lollo”. Cascini spiega di avere la sua tessera ma che in segreteria, al Csm, gli hanno detto di non avere altri biglietti. “Se vuoi – risponde Palamara – chiediamo per altro posto alla Roma come per Rocco”. Nell’agosto 2017 invece Palamara scambia messaggi con il fratello Francesco Cascini che sembrano riguardare il suo curriculum di magistrato: “Ciao Luca ho mandato l’integrazione sai qualcosa? Grazie”. “Ti aggiorno tra poco” risponde Palamara. “Grazie” continua Francesco Cascini “Ma secondo te come si mette?”. “Sto cercando di rimetterla a posto. Sono fiducioso” replica Palamara. Il 20 settembre Palamara scrive a Giuseppe Cascini: “Francesco ok”. “Grazie Luca” gli risponde il collega. Il laico M5S Fulvio Gigliotti spedisce solo messaggio d’auguri natalizi. L’augurio di uscire dall’inchiesta di Perugia a testa alta arriva invece da Giuseppe Marra.

Nel 2017 gli scrive anche Michele Ciambellini: “Ho saputo del grande lavoro che stai facendo su Bari! Puoi immaginare quanto sia importante anche per me in prospettiva. Ti ringrazio e ti abbraccio. A presto”. Infine Concetta Grillo che, nell’aprile 2018, in più d’un messaggio spende buone parole per il collega Giuseppe Tigano per gli uffici di Caltanissetta e Agrigento. “Sono profili professionali equivalenti (…) Tigano nostro da sempre ci sta dando una grande mano e al di là di tutto è bravo”.

Blitz al Senato: annullato taglio dei vitalizi agli ex parlamentari

Il capolavoro si consuma a tarda serata. Quando gli ex senatori in attesa del responso brindano a champagne: la Commissione contenziosa di Palazzo Madama che doveva decidere sui loro vitalizi ha appena bocciato la delibera con cui erano stati tagliati, appena due anni fa. Dopo aver finito con i calici andranno ad accendere un cero a Giacomo Caliendo di Forza Italia, presidente dell’organismo di Palazzo Madama che li ha appena graziati. E che si concede una incredibile dichiarazione: “Ora aspettiamo di leggere le motivazioni e vediamo se ci saranno eventuali impugnazioni. Non aggiungo altro, visto il mio ruolo”, dice come se fosse un passante. Mentre sprizza gioia da tutti i pori l’avvocato Maurizio Paniz che da solo ha presentato la stragrande maggioranza dei ricorsi, circa 700 in tutto. Sarà per questo che lui conosce già per filo e per segno, a differenza dell’ignaro Caliendo, con quale motivazione è stato deciso che l’assegno va ripristinato facendo perdere 80 milioni di euro di risparmi alle casse del Senato. “La delibera è stata annullata perché ritenuta ingiustificata a fronte della giurisprudenza consolidata della Corte costituzionale e del diritto dell’Ue, in base alla quale di fronte a una situazione consolidata gli interventi di riduzione degli importi devono rispondere a 5 requisiti, nessuno dei quali era stato rispettato dalla delibera”, dice orgoglioso del risultato che lo ripaga dell’impegno e pure di qualche insulto. “Io non ho difeso un privilegio ma un diritto” si sgola Paniz: “In uno Stato di diritto questa è una vittoria di tutti”. Tutti tutti per la verità no, ma fa lo stesso.

Ma chi ha deciso per questo risultato? Il capo politico del Movimento 5 Stelle Vito Crimi la tocca piano: “Ci provavano da mesi: lo hanno fatto di notte, di nascosto. Uno schiaffo a un Paese che soffre. La casta si tiene il malloppo, noi non molleremo mai per ripristinare lo Stato di diritto e il principio di uguaglianza. Chi dobbiamo ringraziare per questa operazione, la presidenza del Senato?”.

Ustica, 40 anni dopo: Casellati, Lega e FdI bloccano il dossier per desecretare gli atti

Paola Taverna esce come una furia. La segue a ruota Anna Rossomando del Pd, non meno inalberata seppure chiusa in un silenzio sabaudo. “È una vergogna. Ci tratta come marionette”, si sfoga in un corridoio la pasionaria M5S. Ce l’ha soprattutto con la presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati, finita sulla graticola per un Consiglio di presidenza, massimo organo di Palazzo Madama, che doveva servire per desecretare gli atti della Commissione stragi. Anche quelli su Ustica di cui domani ricorre il 40º anniversario da celebrare senza verità. Ma alla fine non se ne fa più nulla: alla riunione il centrodestra si presenta con una proposta dell’ultimo istante da votare a scatola chiusa e senza che la maggioranza ne sia stata informata. Il risultato? Tutto rinviato e neppure è certo quando perché Casellati è irritata. E lascia intendere che “forse” lo farà la prossima settimana. Un “forse” che è uno schiaffo, peggio di quell’ordine di sgomberare l’aula all’indirizzo dei senatori che in settimana ha fatto inorridire pure i suoi stessi colleghi di Forza Italia.

Ma cosa è successo ieri in Consiglio di Presidenza? Era prevista una riunione per desecretare gli atti parlamentari ancora top secret acquisiti fino al 2001. Ma poi sul tavolo della Casellati era già pronto un altro testo predisposto in tandem da Fratelli d’Italia e Lega. Che, quando la dem Rossomando si è accorta della modifica, si sono messi ad accusare la “sinistra” di non voler rendere accessibili anche gli atti della Commissione Mitrokhin, istituita nel 2002 per far luce sulle attività dei servizi segreti sovietici in Italia. “L’atteggiamento ostruzionistico di una parte dell’opposizione ha reso impossibile la votazione, che abbiamo richiesto più volte” spiega Rossomando. Più diretta Paola Taverna: “La maggioranza era tutta presente e pronta a dire sì. Se questo non è avvenuto è semplicemente perché a un certo punto la seduta è stata sconvocata dalla presidente Casellati”. Già, Sua Presidenza. Sempre meno ben vista, per usare un eufemismo, dalle parti di Pd e M5S specie dopo una settimana sull’ottovolante iniziata con l’accusa di non censurare Roberto Calderoli della Lega (suo vice), per i trabocchetti sul filo del regolamento che tende alla maggioranza. E finita peggio, ieri, con il dossier desecretazioni. Che si è trasformato in una cagnara che ha prodotto un solo esito: centinaia di migliaia di atti resteranno ancora riservati. Quali? Sulla Strage di Bologna, tanto per fare un esempio, rimangono chiuse in cassaforte oltre 10 mila pagine top secret. Sul caso Moro sono 15 mila circa. E poi piazza Fontana, Gladio, Loggia P2e molti altri misteri d’Italia. Tra cui Ustica: 34mila pagine inaccessibili. Dopo la tragedia anche la farsa.

Ordinanze sarde poco chiare? Colpa del giornalista

Anaso la redazione di Sardiniapost non lo sapeva. Gliel’ha comunicato la Regione Sardegna: i suoi articoli vengono utilizzati come fonte ufficiale dalle Forze dell’ordine dell’isola. In realtà non lo sapeva nessuno, men che meno le Forze dell’ordine, semplicemente perché è poco credibile. Lo è per tutti, ma non per l’amministrazione guidata da Christian Solinas, che ha denunciato alla Procura di Cagliari la caporedattrice del sito, Alessandra Carta, con l’accusa di procurato allarme in seguito a un articolo pubblicato la notte tra il 3 e il 4 maggio. Il pezzo riferiva di un’ordinanza (la n. 21 del 3 maggio) che andava a integrare quella del 2 (la n. 20) con cui il governatore sardista-leghista allentava le restrizioni anti-Covid previste dal governo, consentendo le messe e la riapertura di centri estetici, parrucchieri e tatuatori. Il passaggio incriminato: “Nella nuova ordinanza non è precisato se si tratta di un provvedimento sostitutivo o integrativo. Spetterà allo stesso Solinas, oggi, fare chiarezza. In un senso o nell’altro. E dire, soprattutto, se il nuovo dispositivo ha annullato (o meno) il precedente”. Apriti cielo: “È stato pregiudicato – si legge nella denuncia – il regolare svolgimento del lavoro delle Forze dell’ordine e dei cittadini fermati dalle stesse durante attività consentite dall’ordinanza n. 20, attività che sono state impedite perché alcune pattuglie erroneamente ritenevano che quanto disposto dall’ordinanza n. 20 fosse stato revocato dall’ordinanza n. 21”. Ferale, l’ipotetica scena: gli uomini di polizia, carabinieri e vigili urbani, in preda al panico, non riescono a svolgere il loro lavoro perché hanno letto l’articolo di Sardiniapost. Lo stesso 4 maggio il sito ha pubblicato un nuovo pezzo per spiegare che “il nuovo dispositivo è integrativo e non sostitutivo”. Che però non è valso alla giornalista a evitare la denuncia, né l’apertura di un procedimento disciplinare da parte dell’Ordine della Sardegna.

“Il tetto era stato controllato poco prima del crollo”

Il titolare di un negozio aveva chiamato giorni fa e lo aveva fatto anche mercoledì poche ore prima che il cornicione del capannone di via Marconi ad Albizzate (Varese) crollasse uccidendo una mamma e i suoi due figli. “Ci sono crepe e problemi di staticità”, così ha spiegato il commerciante che lavora all’interno della struttura. In seguito alla chiamata qualcuno è uscito a verificare. I controlli sono stati fatti anche poco prima della tragedia. Nulla è stato rilevato evidentemente. Chi abbia eseguito quei controlli resta un omissis. Si sa però che è già stato interrogato dai carabinieri. Il capannone era così dal 1993, epoca in cui la fabbrica tessile che occupava l’intera area fu divisa in due porzioni, poi trasformate in attività commerciali. Nessuna ristrutturazione recente, dunque. Se non dei lavori per installare alcuni pannelli solari sul tetto. Questo emerge dalle carte acquisite dalla pm Nadia Calcaterra della procura di Busto Arsizio che ieri ha nominato un perito. Il fascicolo è a carico di ignoti. Si indaga per omicidio colposo e crollo colposo. Tutto è avvenuto alle 17,30 di mercoledì. Oltre settanta metri di cornicione sono venuti giù senza preavviso e tutti insieme, uccidendo una donna e i suoi due bambini. Un terzo figlio è sopravvissuto. Tutti di origini marocchine ma residenti in Italia da anni. Le vittime sono: Fouzia Taoufiq di 38 anni, Yakote di 1 anno travolto dal cemento armato dentro al suo passeggino e Suleiman di cinque anni. Adam, il terzo figlio di nove anni, si è salvato perché stava attraversando la strada. Ieri il magistrato ha fatto un sopralluogo in via Marconi. E ha sentito, al momento solo come testimone, il proprietario dell’immobile. Si tratta di un’agenzia immobiliare che ha sede all’interno dei capannoni. A quanto emerge dalla ricostruzione, le segnalazioni arrivarono anche ai proprietari dell’immobile. Cosa poi sia avvenuto è da capire. A oggi l’ipotesi più concreta è quella di un cedimento strutturale.

La guerra Italia-Bulgaria in un bronx senza nome

Iatavenne, fetient…”. È guerriglia a Mondragone. Gli italiani contro i bulgari e i romeni. I moderni “untori”. “Hanno portato il Covid e mo se ne vanno in giro. Assassini”, urla una donna. È in prima fila nel gruppo di quasi cento persone del posto, molti giovani, che ora vogliono bloccare la Domiziana. Dai balconi, romeni e bulgari, urlano e lanciano sedie e bottiglie. C’è la polizia, le camionette a bloccare entrate e uscite, presto arriverà anche l’esercito. Nessuno sa cosa fare.

Nessuno ha fatto mai nulla per questo Bronx della disperazione che non è neppure degno di un nome. Palazzi ex Cirio, e tanto deve bastare. Otto palazzoni costruiti nel 1957 a ridosso dello stabilimento Cirio. Ci vivevano gli operai di Mondragone che lavoravano nella fabbrica. Quella del “come natura crea Cirio conserva”. Dopo qualche anno la fabbrica chiuse e gli abitanti dei palazzi cominciarono lentamente ad andar via. Le case presentavano i segni del tempo, il quartiere precipitava nel degrado.

Al posto degli operai italiani arrivarono romeni e bulgari. I poveri d’Europa. Con in tasca il documento di cittadini dell’Unione, ma iscritti all’anagrafe dei disgraziati. Sempre alla ricerca di un lavoro e di qualche soldo da mandare a casa. “Pagano cento euro a posto letto, vengono sfruttati nelle campagne dove sono essenziali per l’economia agricola, ma qui sono considerati dei veri e propri invisibili”, racconta Igor Prata, giovane sindacalista della Flai-Cgil. Quanti sono? Sette-ottocento, ma in questo periodo i palazzi Cirio possono ospitare fino a 1.500 persone. Schiene che si piegheranno per raccogliere fagiolini, cocomeri, frutta, pomodori. Fino a pochi giorni prima dell’esplosione del virus, ai palazzi Cirio c’era la fila dei furgoni bianchi. Arrivavano prima dell’alba per raccogliere gente. Sono i “caporali”, bulgari, soprattutto, ma anche italiani e tunisini. Furgoni malmessi, senza assicurazione, caporali spesso senza patente.

Le condizioni di sicurezza pari a zero. Ma patti chiari: la paga è di 3 euro l’ora, qualcosa come 20-25 euro al giorno per le donne, 25-30 per gli uomini, pochi centesimi l’ora per i bambini. “È sfruttamento – ci dice il sindacalista –, la paga base del contratto provinciale è di 42 euro al giorno, con tutte le garanzie previste. Con l’aggravante che una parte del salario che questi lavoratori incassano devono darla al caporale, altrimenti perdono il lavoro. Qui lo sfruttamento economico diventa emergenza sociale nel momento in cui se sei un invisibile non hai neppure tutele sanitarie, non puoi consentirti il lusso di ammalarti. Per tutelare la salute di tutti bisogna applicare la legge contro il caporalato del 2016, fare uscire centinaia di persone dall’oscurità sociale. La loro tutela è la tutela di tutti noi”.

A Mondragone in questi anni nessuno ha visto, pochi sono intervenuti, in tanti, aziende agricole, proprietari degli alloggi affittati in nero, ci hanno guadagnato. Istituzione e politica alla dura realtà hanno preferito i sogni. “Faremo del litorale domizio la nostra riviera romagnola”, promise appena due anni fa il “governatore” Vincenzo De Luca.

E arrivarono progetti e piani. Fu elaborato un masterplan e individuato l’archistar destinata a realizzarlo, Andreas Kipar, l’uomo che curò la riconversione del bacino della Ruhr. E furono convegni che illustrarono piani, centri commerciali, grattacieli con mirabolanti funicolari che portavano al mare, circoli velici, yacht club. “Il sogno di una vita”, disse De Luca. La realtà è invece un incubo.

È la paura di Mondragone, il terrore del virus e della chiusura totale a ridosso della stagione estiva. È il terrore dei 2.000 europei venuti dall’Est che più del virus temono il rischio di perdere anche quel poco di lavoro che hanno. Corrono, scappano di notte, si trasformano in potenziali untori. Mettono a rischio la salute degli altri per lavorare. Da sfruttati.