“La decisione del Pirellone di tenere aperto l’ospedale alla Fiera di Bergamo per altri 24 mesi è stata un fulmine a ciel sereno: lo abbiamo appreso dai giornali”. Parola di Giuseppe Epinati, capo di Bergamo Fiera Nuova, società proprietaria degli spazi che da metà marzo ospitano l’hub sanitario costruito dagli alpini. Un ospedale temporaneo che l’assessore Giulio Gallera – secondo il Piano sanitario regionale presentato giorni fa – vuole tenere attivo fino al 2022, paralizzando di fatto l’attività della Fiera. “Una decisione balzana”, per Epinati, che lunedì ha scritto una lettera di fuoco a Regione, al commissario Domenico Arcuri, al sindaco Giorgio Gori e al prefetto. “Sapevamo che i padiglioni sarebbero stati liberati il 31 luglio – spiega – ora ci dicono che per altri due anni rimarrà tutto bloccato! Ma se vuoi la rinascita, devi aiutare il mondo del lavoro”. Una posizione condivisa da tutto l’universo politico-economico bergamasco. Se entro dicembre gli immobili non saranno disponibili, salterà la stagione fieristica 2021, con perdite gigantesche.
Distanze e classi rimodulate: così cambierà la scuola
Turni differenziati, “riconfigurazione della classe in più gruppi”, “articolazione modulare di gruppi di alunni provenienti dalla stessa o da diverse classi o da diversi anni di corso”. A settembre cambierà il modo di vivere la scuola. E si andrà anche di sabato là dove non era già previsto. Resta la possibilità della didattica a distanza ma solo per le scuole superiori e dove sia possibile in modo efficace e limitato (ad esempio 4 ore in presenza, una a distanza): ieri è stata diffusa la bozza con le linee guida per il rientro a scuola, che la ministra Azzolina dovrebbe presentare domani. Molte cose sono già sentite, alcune sono novità. Dunque, organizzazione degli spazi per evitare raggruppamenti in ogni fase della giornata, coordinamento con regioni ed enti locali per la gestione del trasporto scolastico, niente mascherine sotto i 6 anni e la raccomandazione per gli adulti di utilizzare visiere leggere. Inoltre, formazione di docenti e dirigenti su didattica digitale integrata e sulla privacy. I bambini della scuola dell’infanzia (dove il contatto è praticamente certo) dovranno essere divisi il più possibile in gruppi che siano sempre gli stessi e che occupino sempre gli stessi spazi. Se ci dovesse essere una nuova emergenza, poi, potrebbe riprendere l’attività a distanza.
A margine, si continua a spingere sui lavori di edilizia e di nuovi arredi e sulla necessità di trovare accordi con gli enti locali per spazi esterni alle scuole. Il ministero prevede anche la possibilità di potenziare l’organico, con supplenti e personale Ata, se ce ne fosse bisogno. Si pensa a meno lezioni frontali e più attività laboratoriali. In sostanza, le classi non vengono divise né dimezzate, ma cambia il modo di vivere la scuola: ci si potrebbe trovare in aula magna a fare lezione di italiano insieme al gruppo di un’altra classe mentre un altro resta in aula a fare una ricerca di scienze. Non ci saranno doppi turni, ma ingressi scaglionati.
Rider, l’Ugl si allea con il sindacato aziendalista Anar
Il sindacato di destra Ugl sposa l’associazione di rider con idee aziendaliste: un matrimonio di convenienza che spalanca le porte alla firma di un contratto nazionale dei fattorini molto gradito alle multinazionali del cibo a domicilio. Che non prevederà diritti e stipendi fissi per i lavoratori, ma consacrerà il sistema basato sui pagamenti a consegna. Da pochi giorni, l’Ugl – sigla nella quale si sono fatti le ossa Renata Polverini e Claudio Durigon – è alleata con l’Anar, gruppo che riunisce i rider favorevoli alle condizioni imposte dalle piattaforme, a partire dall’inquadramento “a partita Iva”. Il sindacato è pronto a fornire la sponda, incontrare Assodelivery – cioè Deliveroo, Glovo e Just Eat – e accettare di mettere nero su bianco che i fattorini vengano retribuiti a cottimo, come già succede nonostante la pronuncia contraria della Cassazione.
Un accordo che piacerà alle imprese, che non vogliono assumere come dipendenti i rider né garantire salari orari. La legge approvata a novembre 2019 dice che da novembre 2020 i fattorini devono avere un contratto collettivo. Entro quella data bisogna sottoscriverne uno, altrimenti scatterà l’automatica applicazione di quello della logistica (non firmato dalle app). Assodelivery finora non ha mai aperto una trattativa con Cgil, Cisl, Uil, Deliverance Milano e Rider Union Bologna: queste organizzazioni chiedono con forza l’assunzione e gli stipendi fissi. L’Anar, nata a settembre 2019 è invece allineata quasi del tutto con le imprese. Ma proprio per questo teme che, firmando un contratto, questo possa essere contestato in sede giudiziaria, perché mesi fa sono venute fuori testimonianze di incontri tra i promotori dell’associazione (prima della sua costituzione) e vertici delle aziende. Insomma, con la mano tesa dall’Ugl si tenterà di salvare la forma, perché si tratterebbe di un contratto firmato da un sindacato strutturato.
Palamara e i 6 dell’hotel. Processo dietro l’angolo
II lavoro è immane, ma la Procura generale della Cassazione guidata da Giovanni Salvi ha già fatto una piccola scrematura delle oltre 60 mila chat di Luca Palamara, con tantissimi magistrati alla ricerca di una scorciatoia per ottenere una nomina. Sono una decina le chat che stanno facendo valutare all’Ufficio titolare dell’azione disciplinare se scrivere già atti di incolpazione a carico di toghe. Ma se il lavoro è delicato, sono in pochi a potere far parte del pool.
Il grosso del materiale è nelle mani degli avvocati generali Luigi Salvato e Piero Gaeta, diversi sostituti procuratori generali sono stati esclusi o perché ex consiglieri Csm o per la loro attività di corrente: il procuratore generale Salvi ha tenuto molto anche al profilo dell’opportunità. Nel lavoro di “selezione” delle chat si sta mettendo da parte quel materiale che non costituisce illecito disciplinare anche se fa emergere scorrettezze gravi sul piano deontologico, che hanno a che vedere, quindi, con il codice etico dell’Anm o con un trasferimento per incompatibilità ambientale/funzionale, di competenza della Prima commissione del Csm. Invece, a stretto giro, è attesa la richiesta della Procura generale alla sezione disciplinare del Csm per la fissazione del processo a Luca Palamara, ex Csm, ex presidente dell’Anm, appena espulso, pm romano sospeso, accusato di corruzione a Perugia. Sono stati incolpati anche i magistrati che erano presenti, insieme a Palamara, all’hotel Champagne di Roma, il 9 maggio 2019, per provare a pilotare la nomina del procuratore della Capitale insieme al deputato pd, Luca Lotti. Si tratta di Cosimo Ferri, toga in aspettativa, deputato renziano e leader ombra di Magistratura Indipendente (conservatori) e gli allora consiglieri del Csm Antonio Lepre, Corrado Cartoni e Paolo Criscuoli, Mi, Gianluigi Morlini e Luigi Spina, della corrente di Palamara, la centrista Unicost. Spina è l’unico a essere indagato a Perugia per rivelazione di segreto pro Palamara. I 5 consiglieri si sono dimessi dal Csm l’estate scorsa. A proposito della nomina del procuratore di Roma, ieri – come anticipato dal Fatto – dopo Giuseppe Creazzo, procuratore di Firenze, pure il Pg di Firenze Marcello Viola ha depositato il ricorso al Tar del Lazio contro la nomina di Michele Prestipino. “Il Csm – si legge – ha acclarato come Viola fosse ‘parte offesa rispetto alle macchinazioni o aspirazioni di altri’”, ma comunque, “ha illegittimamente revocato l’originaria proposta a suo favore”, di pochi giorni prima del caso Palamara e “non ha formulato nei suoi confronti alcuna nuova proposta”.
Il maxi appalto del calore: Sala a rischio danno erariale
Un fascicolo aperto dall’Autorità nazionale anticorruzione (Anac), un ricorso al Tar e l’ombra della Corte dei conti. Non c’è solo l’inchiesta giudiziaria che ieri ha terremotato la municipalizzata del trasporto milanese. In questa storia il protagonista è il maxi-appalto del calore del Comune alla base delle nuove politiche energetiche. Una faccenda che rischia di creare problemi alla giunta guidata da Beppe Sala e al direttore generale Christian Malangone, già dg di Expo. Anche perché con il rimpasto del luglio 2019, Sala si è preso la delega all’Ambiente che prima era in capo all’assessore ai Lavori pubblici, Marco Granelli. La vicenda, rivelata dal Fatto nei giorni scorsi, ora mette sul tavolo nuovi punti.
A partire da un progetto di Parternariato pubblico privato (Ppp) per aggiudicarsi l’appalto da circa 300 milioni per i prossimi 15 anni. E questo nonostante esista un bando Consip già affidato a un’altra società. Si tratta di un Ppp che mette insieme il vecchio appaltatore, la francese Engie già Cofely, e la partecipata A2a.
Al momento il Comune non lo ha ancora dichiarato di pubblico interesse. Se lo farà la già costituita Ati Engie-A2a avrà probabilmente il diritto di prelazione. Allo stato dell’arte il progetto di Ppp già ben noto al Comune mostra un efficientamento energetico inferiore a quello contenuto nel bando Consip. La bozza del nuovo Ppp arriva sui tavoli di Palazzo Marino già a fine novembre, quando l’appalto ancora non è scaduto e nonostante già nel 2016 un’altra società, la Siram, si sia aggiudicata il Sie3 di Consip che copre le esigenze del piano energetico per circa 700 immobili comunali. Nell’inverno 2019, documenti alla mano, già il Comune lavorava con Engie in vista dell’appalto in scadenza il 15 aprile in piena emergenza Covid. Nonostante la giunta sapesse da anni che la gara stava scadendo non ha lavorato per tempo, arrivando a votare in urgenza una determina di giunta, alla presenza del sindaco, per prorogare l’appalto di un anno a Engie e A2a, valore: 39 milioni di euro, 15 in più rispetto al contratto scaduto. Nelle pieghe di questo affidamento emergono ulteriori punti dolenti. Tra questi il prezzo complessivo di alcune forniture passato da mezzo milione a tre milioni totali. Ipotesi di danno erariale che stando al ricorso di Siram in discussione oggi al Tar sfiorerebbe i 7 milioni, cioé la cifra di manutenzione straordinaria aggiunta nella nuova proroga ma in realtà già compresa nel bando Consip non attivato. Inoltre l’affidamento diretto derivato dalla proroga risulta ben sopra le soglie comunitarie.
A finire sul tavolo dell’Anac c’è anche una singolare scansione cronologica. A febbraio il bando Consip Sie 3 viene sbloccato. Il Comune però attende fino all’11 marzo, quando al posto che interfacciarsi con l’azienda detentrice del bando Consip interpella i vecchi appaltatori per ricevere una nuova offerta. Due settimane dopo, il 27 marzo, palazzo Marino avverte Siram per approntare un piano energetico. I tempi sono stretti. Non si può fare e quindi si procede alla proroga e non per il solo tempo necessario a Siram per chiudere il suo piano, ma di ben un anno. Engi e A2a, in modo lecito, risultano già al lavoro con il Comune tra ottobre e novembre. In una comunicazione riservata firmata da Engie e A2a al capo dell’ufficio tecnico Massimiliano Papetti si legge: “Si fa seguito alla nostra nota (…) in cui si è manifestato l’interesse da parte delle scriventi Società di redigere uno studio di fattibilità per degli interventi finalizzati al contenimento dei consumi energetici (…). Altresì, si fa riferimento alla vostra risposta con la quale l’ Amministrazione ha manifestato la propria disponibilità”. Pochi giorni dopo viene stilata una “bozza di convenzione” coi i loghi di Engie, A2a e Comune. Tra il 29 e il 30 ottobre la corrispondenza email tra Malangone, Papetti e altri è fitta. Scrive Papetti: “Engie chiede informazioni circa la nostra strategia (…). In ogni caso va da sé che un riscontro vada dato per cui chiedo a Christian (Malangone, ndr) cosa sia possibile dire e cosa possa solo essere segnalato come ipotesi. Occorre un nostro allineamento interno”. Mai vi è un accenno al possibile impedimento rappresentato dalla condanna subita da Engie dall’Agcm nel 2019 e ora impugnata al Tar. Infine, secondo il Comune di Milano, la vecchia convenzione Consip Sie2, vinta da Engie per il settennato 2013-2020, non è risultata in grado di coprire le esigenze, tanto che palazzo Marino ha deliberato un extra budget.
Dopo il lockdown la corruzione riparte come prima
Dopo mesi di pandemia, non ce ne siamo neanche accorti. Eppure nei primi 23 giorni di giugno sono finite sui giornali almeno 14 inchieste per corruzione, per lo più con misure cautelari. Hanno interessato tutta l’Italia, da Lecce a Catanzaro, passando per Bari, Roma e Torino. Le manette scattate ieri a Milano per le tangenti sugli appalti dell’azienda dei trasporti hanno fatto riaprire gli occhi su quello che più di uno ha definito il cancro dell’Italia: le mazzette. Nonostante una riduzione dei reati, tutti, a causa del lockdown (dal 1° al 31 marzo 2020 si è registrato un meno 66,6% dei delitti), la corruzione resta ben radicata nel tessuto sociale del Paese. Negli anni, ha solo cambiato pelle. Stando ai dati della Guardia di Finanza, nel 2019 sono state 3.800 le persone denunciate “per reati in materia di appalti, corruzione e altri delitti contro la Pubblica amministrazione”, mentre riguardo ai sequestri, “nell’ambito delle attività a tutela della spesa pubblica, sono stati eseguiti provvedimenti ablatori per un importo complessivo di oltre 360 milioni di euro”.
Il mondo degli appalti resta il core business: nel triennio 2016-2019, secondo l’analisi dell’Anac, “sono state 117 le ordinanze di custodia cautelare per corruzione (…) correlate in qualche modo al settore degli appalti”. Facendo una media si sono registrati arresti ogni 10 giorni. Tuttavia la tangente si è smaterializzata: non si gira più con valigette piene di soldi (ovviamente ci sono le eccezioni). Oggi basta molto meno denaro per ottenere ciò che si desidera e fanno più gola le assunzioni, i lavori a casa, i viaggi all inclusive. Neanche 20 giorni fa, per esempio, è stata arrestata una funzionaria di un’Asl leccese mentre riceveva una mazzetta di appena 850 euro. “Girano molti meno soldi rispetto a vent’anni fa”, constata un investigatore. Che rimarca anche una differenza geografica. “A Milano – aggiunge – la corruzione segue ancora gli standard classici: mazzette, appalto assegnato. A Roma questo reato ha assunto nuove forme, anche perché si tratta della città cuore politico del Paese”. Qui vi è una corruzione polimorfa, in cui le utilità variano: “Spesso si scambiano atti d’ufficio con altri atti d’ufficio. E poi c’è la corruzione per funzione, in cui ciò che si mette a disposizione è il proprio ruolo, il potere”.
Il pubblico ufficiale, quindi, assume un ruolo centrale. Dal 2016 al 2019, sempre secondo i dati Anac, “sono stati 207 i pubblici ufficiali/incaricati di pubblico servizio indagati per corruzione”. Sono i dipendenti pubblici, i dirigenti, chi decide l’affidamento delle gare di appalto o crea i bandi, spesso su misura del corruttore. E poi c’è l’organo politico: negli scorsi tre anni “sono stati 47 i politici indagati (23% del totale)”, ci sono sindaci, vice-sindaci, assessori e consiglieri.
Il 2020 rispetto agli anni scorsi per forza di cose ha registrato dati diversi, ma la pandemia non ha spazzato via la corruzione, l’ha solo ridotta, per un periodo troppo breve per far tirare un sospiro di sollievo allo Stato.
“Tutte le gare truccate”: 13 arresti a Milano
Di nuovo la Metropolitana di Milano, di nuovo tangenti. Ventotto anni dopo l’arresto di Mario Chiesa, sulla ex Capitale morale si allunga l’ombra di Mani Pulite. E come allora si ragiona di conti esteri. “Prima della pensione vorrei farmi un conto Gabbietta”. Lo stesso nome del “salvadanaio occulto” che nel 1992 i pm riferirono a Primo Greganti, cassiere del Pci-Pds. A parlarne oggi, con “omaggio a Tangentopoli” e “chiaro riferimento alla vendita della propria funzione” è Paolo Bellini, dominus dell’indagine della Procura di Milano, che ieri ha coinvolto 13 persone. Bellini, dal 2013, ha ricoperto il ruolo di responsabile di Atm per le linee della metropolitana. Un semplice funzionario in grado di pilotare le gare della più importante municipalizzata italiana per il trasporto pubblico sotto il naso di politici e dirigenti:8 bandi per 150 milioni.
Questi i numeri dell’inchiesta condotta dalla Guardia di finanza. Le accuse vanno dalla turbativa d’asta alla corruzione fino all’associazione per delinquere. Un “sistema” dove Bellini era regista assoluto, capace di “giocare su più tavoli” e di allacciare rapporti illeciti con i big del settore, come Alstom e Siemens, indagati sulla base della legge 231. Bellini si proponeva come consulente portando in dote notizie riservate. L’indagine è un’istantanea di un intreccio più ampio. Scrive il giudice: “La mole di elementi acquisiti descrive un fenomeno criminale in essere da ben più tempo rispetto all’inizio delle investigazioni. Non è emersa neppure una procedura di gara pubblica negli ultimi due anni che non sia stata attinta dall’intervento abusivo di Bellini”. Il funzionario pubblico spiega anche di una maxi tangente presa nel 2006 per i lavori sulla linea 1. Tra le gare finite nell’indagine c’è quella per arginare il fenomeno delle brusche frenate dei treni. La gara viene affidata alla Ivm poi Med system di cui Bellini è “socio occulto”. Il rapporto con questa società è il trampolino di lancio di Bellini che con il tempo affinerà i metodi per incassare le tangenti (125 mila euro in due anni), da auto e cellulari, a stipendi mensili. Sulla gara per la manutenzione, ad esempio, Bellini prenderà mille euro di tangente al mese per un totale di 36 mila euro. È lui stesso a descrivere il suo ruolo all’interno di Atm: “L’altro mio compito è fare la puttana, porto a casa il lavoro. Il mio guadagno? Un quid mensile come se prendessi uno stipendio, tutto occulto. Io ho sempre fatto questo. Certo a livello deontologico non è piacevole”. Senza scrupoli dunque. Tanto da intessere rapporti con diverse aziende sul maxi appalto da 127 milioni per il nuovo sistema di segnalamento della linea 2. “Io – spiega Bellini – mi sto muovendo da prostituta, sto lavorando per tutte e tre. Devo governare questa situazione, sai come le tre scimmiette”. Bellini si interfaccia anche con Edoardo Lupi, imprenditore ligure vicino all’ex premier D’Alema e citato nell’inchiesta della Procura di Potenza sull’ex compagno dell’ex ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi. Secondo il pm, Lupi (indagato) con la sua Link consulting partners media un appalto di Atm. Così lo descrive Bellini: “Questo naviga a livelli superiori, è come se fosse un piccolo Agnelli che conosce i presidenti di Siemens e di Ansaldo. Ci serve perché questa è soprattutto una gara politica”. In modo sciagurato, il funzionario Bellini approverà anche la posa di “un cavo sbagliato” da parte di un’azienda favorita. Il cavo non è quello previsto da Atm. Dice Bellini: “Bisogna falsificare le carte e io faccio finta di niente. L’unica cosa è che quando tu lo posi (…) la stampigliatura è quella. O ti metti lì e la gratti come è già successo”. Il rischio di essere scoperti è se capita “un incendio”, ma “per arrivare a quello deve bruciare la galleria”. Bellini è instancabile. Annuncia al suo interlocutore: “C’è la gara di 18 milioni, sarebbe un bel lavoretto da fare”. O ancora: “Minchia, ma quanto mi devi pagare per tutte queste robe?”. Il manager: “Facciamo conto unico”.
Sappiamo già tutto
Arrivano le chat, si salvi chi può! Da quando s’è sparsa la voce (sai che scoop) che Luca Palamara chattava con politici e magistrati anche prima che gli inoculassero il trojan nell’iPhone e ora potrebbe levarsi qualche macigno dalle scarpe, s’è creata una spasmodica quanto ridicola suspense: chissà mai cosa verrà fuori, ce ne sarà per tutti, mamma mia che impressione. Per i cortigiani di Arcore le chat trasformeranno i reati di B. in virtù cardinali e il Caimano in un martire perseguitato: certo, come no. Ma, qualunque cosa esca non sarà mai peggio di ciò che già si sa e si finge di dimenticare: le pagine più nere dell’Anm e del Csm sono state scritte alla luce del sole, anche se nessuno (a parte noi e pochi intimi) ha osato raccontarle. E non le ha scritte Palamara da solo: spesso agiva sotto dettatura del Colle, con Napolitano e pure con Mattarella. Per punire i magistrati scomodi e promuovere quelli comodi, si appoggiava sulle altre correnti (Area o MI o entrambe) e sui laici di tutti i partiti, a partire dai vicepresidenti Mancino, Vietti, Legnini, Ermini (tutti targati Pd).
Non c’è bisogno di chat per sapere che, quando De Magistris osò toccare i santuari politico-affaristico-massonici di Calabria e Basilicata, fu spazzato via prima dai suoi capi e poi dal Csm (tutto) insieme ai pm salernitani Apicella, Nuzzi e Verasani, che stavano scoprendo le sue ragioni, con la benedizione apostolica di Napolitano. Il quale benedisse pure le prime azioni disciplinari contro Woodcock, pm che da Potenza a Napoli rompeva le palle al Pd, a B. (per la corruzione dei senatori) e alla Lega (per i 49 milioni rubati). Quando invece tentarono di fargliela pagare per lo scandalo Consip del Giglio Magico renziano, c’era già Mattarella. Non c’è bisogno di chat neppure per scoprire cosa accadde ad Alfredo Robledo, procuratore aggiunto a Milano, scippato del fascicolo su Expo2015 dal suo capo Edmondo Bruti Liberati contro ogni regola interna: il Csm diede ragione a chi aveva torto e punì e cacciò chi aveva ragione su preciso ordine dello staff di Napolitano, con lettera su carta intestata. Altre tracce scritte e telefoniche lasciò Re Giorgio nella sua guerra senza quartiere ai pm palermitani che indagavano sulla Trattativa, da Ingroia a Di Matteo a Messineo: il Csm, non solo Palamara, obbedì. Secondo voi, perché il Pg di Palermo Roberto Scarpinato, pur essendo il più titolato, non è diventato procuratore nazionale Antimafia? Perché anche lui indaga da vent’anni sulle trattative e i sistemi criminali retrostanti le stragi del 1992-’94. Due anni fa era in pole position, ma gli fu preferito Federico Cafiero De Raho, che invece era il più titolato per la Procura di Napoli.
Ma dovette fare spazio a Gianni Melillo, ex capogabinetto di Orlando, e poi fu “risarcito” con la Dna. Da anni il Csm premia chi ha avuto incarichi politici, come se la vicinanza a partiti e governi fosse un pregio, non un handicap. È appena riaccaduto per Cantone, ex capo Anac per grazia renziana ricevuta, a Perugia. E Palamara non c’era.
Poi c’è il capolavoro sulla Procura di Roma dopo il pensionamento di Giuseppe Pignatone: ben due Csm presieduti da Mattarella e vicepresieduti dagli appositi Legnini ed Ermini, più maggioranze laiche e togate, si sono mobilitati per sbarrare la strada a due magistrati (Marcello Viola e Giuseppe Creazzo, Pg e procuratore di Firenze) che minacciavano discontinuità nel vecchio porto delle nebbie, e per consentire a Pignatone di scegliersi l’erede. Un anno fa, siccome in commissione Viola aveva battuto il pignatoniano Franco Lo Voi (procuratore di Palermo), il Colle profittò delle intercettazioni di Palamara&C. (in cui la voce di Viola non compariva mai) per far rigiocare la partita nel nuovo Csm su una nuova rosa di nomi. Così vinse il pignatoniano Prestipino, contro la cui nomina Viola e Creazzo ora ricorrono al Tar (sono due capi, più titolati e anziani dell’aggiunto Prestipino). Fu il replay di quant’era accaduto nel 2014 per Palermo: lì correvano due procuratori capi (Guido Lo Forte e Sergio Lari) e il solito Lo Voi, che non aveva mai diretto nulla, era più giovane e per giunta era stato nominato da B. a Eurojust. In commissione vinse Lo Forte, ma alla vigilia del Plenum arrivò il diktat di Napolitano, che bloccò la votazione, inventandosi un “criterio cronologico” mai visto prima. Anziché difendere le proprie regole, il Csm si piegò fantozzianamente all’ukase quirinalizio e rinviò il voto fino a scadere. Il nuovo Csm capì l’antifona e premiò il candidato meno meritevole, dipinto come Er Più da una tragicomica relazione della forzista Casellati. Lo Forte e Lari ricorsero al Tar del Lazio, che annullò la nomina di Lo Voi: “illegittima”, “illogica”, “irrazionale”, “apodittica” per “eccesso di potere”. Ma il Consiglio di Stato ribaltò il verdetto con una sentenza-supercazzola che spacciava per un titolo di merito (“le diverse esperienze maturate, anche in ambito internazionale”) l’euroincarico burocratico gentilmente offerto da B. Il presidente era Riccardo Virgilio e l’estensore Nicola Russo, poi indagati per corruzione giudiziaria con l’avvocato-depistatore dell’Eni Piero Amara: lo stesso del caso Palamara. Una storia più nera di qualunque chat che però nessuno, a parte noi, ha mai raccontato. Diceva Leo Longanesi: “Quando potremo dire tutta la verità, non la ricorderemo più”.
Colapescedimartino, bel lavoro sartoriale
Non c’è niente di più vivo dell’essere mortale e, da tale, riempire di senso ogni singola parola. Quel senso che solo le cose di questa vita mortale, dall’abbandono alla noia – anche quella di certe parole d’amore – sanno restituire. Con I Mortali, un lavoro a quattro mani che sembra uscito da un unico cuore, Colapesce e Dimartino (cioè Lorenzo Urciullo e Antonio Di Martino) si dimostrano due dei migliori cantautori della scena italiana contemporanea. Le loro voci, così diverse nelle produzioni da solisti, si fanno armoniche, nate per stare insieme. Eppure la musica va dove vuole, dalle atmosfere più introspettive alle canzoni che già sono colonne sonore dell’estate (vedi Luna Araba, in compagnia di Carmen Consoli).
La varietà, un bel rischio: “Vuol dire che la nostra scrittura, pur essendo maneggiata da molti produttori, viene fuori come fosse di una sola persona”, risponde Colapesce, spiegando che l’album nasce dalla semplice voglia di lavorare insieme. E insieme i due hanno anche la carriera di autori per altri, quello che definiscono un lavoro “sartoriale”, e che emerge anche nella prima traccia. Il prossimo semestre, infatti, sciorina i cliché su chi scrive – da “ci serve una produzione fresca” a “trasferisciti a Milano” –, è un omaggio a Il Merlo, a cui Piero Ciampi chiedeva una canzone da presentare a un editore. Corsi e ricorsi, ma soprattutto riferimenti, come è quello a Le passanti di George Brassens in Parole d’acqua.
E poi ci sono i ribaltamenti, perché nulla, in realtà, sembri già sentito. Come Rosa e Olindo (della strage di Erba), titolo che hanno scelto di dare a un brano di atroce dolcezza: “Volevamo scrivere una canzone d’amore che non riguardasse le nostre esperienze personali – raccontano –. Ci impressionò leggere in un’intervista che Olindo avesse chiesto una cella matrimoniale, come se così la condanna all’ergastolo potesse essere meno pesante. Di certo non volevamo prendere le difese dei due, ma soffermarci su una forma di amore poco raccontata nelle canzoni”.
Colapescedimartino, questo il nome della creatura musicale dei due artisti che non si sono ancora chiesti quanto sia destinata a durare: molto, si spera. Come si spera di tutte le cose mortali.
Wyman, il pazzo paparazzo dei Rolling Stones
“Al mio caro zio Jack Jeffrey per avermi regalato la sua macchina fotografica Brownie il 1° febbraio 1959, spronandomi a vedere il mondo da un’angolazione diversa”. Inizia con una dedica Stones From The Inside, la raccolta di quasi 300 immagini scattate dal bassista della band, rubando gesti spontanei, sorrisi, cazzeggi, celebrità e folle immense di pubblico da dietro le quinte.
Ci sono i volti di John Lennon, David Bowie, Iggy Pop, John Belushi, Eric Clapton immortalati dall’obiettivo di Bill Wyman e, ovviamente, piovono fitti aneddoti su ogni scatto. La passione di William George Perks – vero nome di Wyman –, 84 anni, si è materializzata soprattutto durante la sua appartenenza agli Stones sino al 1993, anno del ritiro a causa di problemi fisici. Ci sono quasi tutti gli stereotipi della rock band: i party con le celebrities e gli eccessi, l’elettrizzante momento dell’apice dell’adrenalina prima di salire su un palco, i riti del backstage, le disavventure durante gli spostamenti tra le date dei tour…
“Mi rendo conto che la maggior parte delle persone mi conosce soprattutto per la musica che faccio. Sono entrato nei Rolling Stones nel dicembre del 1962. Qualche anno più tardi, grazie a un discreto successo, sono riuscito a comprare la mia prima macchina fotografica semiprofessionale, una Nikkomat, insieme a un obiettivo Nikon 135 a Parigi, in Francia. Da quel momento in poi ho preso più seriamente la mia passione, sia a casa sia in tour con i Rolling Stones preferendo, chissà perché, di ritrarre dei soggetti ignari o indaffarati. Nel corso degli anni sono stato così fortunato da aver incontrato tantissimi fotografi (e qualche volta, di esserne diventato un grande amico). Ero sempre molto attento quando mi fotografavano, nella speranza di affinare la mia tecnica di trasformarla in qualcosa che fosse più di uno scatto amatoriale”.
Pensavate che il più tranquillo e placido degli Stones fosse il batterista Charlie Watts? Errore, ecco quali sono le massime ambizioni di Bill: “In questi anni mi hanno chiesto molte volte che cosa avrei voluto fare se non fossi rimasto nei Rolling Stones per trent’anni. Le mie risposte erano sempre le stesse: il curatore in un museo, il bibliotecario oppure, meglio ancora, il fotografo. Siccome non ho mai fatto niente di tutto ciò, durante i viaggi mi divertivo a ritrarre le persone intorno a me”. Ma l’artista – almeno per un certo periodo – ha finito per adeguarsi ai bizzarri e leggendari slanci della band: nel 1989 sposò la modella Mandy Smith appena maggiorenne, dopo quattro anni di relazione clandestina, provocando uno scandalo per la giovanissima età (14 anni). Il matrimonio durò appena un anno e il figlio di Bill si fidanzò con la madre di Mandy. Se non è rock’n’roll questo!