Apocalisse. Non è mica “la fine del mondo”: per l’ateo Giorello è la liberazione dai potenti

Apocalisse. Una delle parole più abusate in questa emergenza pandemica. La agitano, per esempio, tutti gli oppositori a vario titolo del governo Conte, paventando un autunno italiano di miseria nera, rivolte di piazza ed esecutivi salvifici di unità nazionale.

Oppure, con un’interpretazione più letterale del testo biblico, l’Apocalisse è sventolata dalla destra clericale che teme la distruzione della Chiesa a causa della misericordia di papa Francesco, considerato alla stregua dell’Anticristo. E il Coronavirus potrebbe essere uno dei sette sigilli della fine dei tempi, frantumato da Dio come punizione e avvertimento per i “peccati” dell’aborto, della “sodomia”, del matrimonio gay, della teoria gender. Ma l’Apocalisse non è nulla di tutto questo e lo spiega il breve saggio che Giulio Giorello ha scritto poco prima di morire il 15 giugno scorso, per le conseguenze del Covid-19. I libri della Bibbia. Apocalisse. Letto da Giulio Giorello (Piemme, 79 pagine, 12,90 euro) è infatti l’ultima pubblicazione del filosofo milanese, una delle menti più acute e curiose e senza barriere del nostro Paese.

Non è un caso innanzitutto che l’Apocalisse sia il libro conclusivo della Bibbia: racconta della seconda (e definitiva) venuta di Cristo. Si basa sulla visione che ebbe Giovanni l’Evangelista, nonché discepolo prediletto di Gesù, verso il 95 dopo Cristo a Patmos. Il Cielo è governato da Dio in trono, attorniato da “ventiquattro anziani avvolti in candide vesti con corone d’oro sul capo”. Annota il filosofo: “La parola greca Apocalisse, peraltro, non significa alla lettera ‘fine del mondo’ – anzi, fine del vecchio mondo: ‘le cose di prima sono passate’ (21, 4) – ma ‘Rivelazione’. Se il Cantico dei Cantici era il canto sublime più di ogni altro, l’Apocalisse è allora la Rivelazione delle Rivelazioni”.

Pur da ateo ed erede dello “scetticismo illuminista”, Giorello non vuole ridurre a “fuoco fatuo” il “fascino dell’Apocalisse”. Il nodo affascinante quindi è quello della seconda venuta di Cristo. Prosegue: “E chi di noi ‘non sarebbe contento di incontrare di nuovo Gesù Cristo?’. Queste ultime non sono parole del visionario di Patmos, bensì degli uomini che nel Seicento combattevano sotto la guida di Oliver Cromwell per creare la loro ‘repubblica dei santi’ contro un re, una Chiesa (e talvolta un parlamento) corrotti dal demonio e messi al servizio dell’iniquità”. Il tema ossessionò finanche Isaac Newton, “uno dei padri della scienza moderna”.

Esaminate quindi tutte le metafore laiche e anche socialiste sulla caduta della “grande Babilonia”, “la meretrice con cui hanno fornicato i potenti”, Giorello aderisce alla convinzione di Jean Guitton, che disse: “Se esiste un testo sacro ancora attuale (…), quel testo è l’Apocalisse”. Per entrambi un testo “profetico e poetico”, da leggere senza “l’ingiunzione autoritaria” costruita sulla paura e l’intimidazione.

Ed è per questo che Apocalisse diventa una “parola liberatrice”, facendo perno sulla constatazione di Paolo: “Adesso vediamo in modo confuso, come in uno specchio”. “Ma tale confusione, – conclude il filosofo – col giudizio finale, si dissolverà”. Ovunque sia, Giorello adesso ha sciolto l’enigma dell’Apocalisse.

 

Scuola online, i prof: “Nei disegni dei bimbi l’angoscia per il Covid”

Banchi, cattedre, campanelle, merendine negli zaini pieni di libri. Nell’Italia chiusa nelle sue stanze nell’era Covid-19 cucine, salotti, camerette dei figli nelle case degli insegnanti sono diventate aule di scuola, mentre il virus insegnava una lezione a tutti: prima ai professori, poi ai loro alunni. Google classroom, Zoom e WhatsApp: non solo app. Insegnare a distanza è “un nuovo mestiere, con nuove responsabilità”.

Dal gesso della lavagna ai pixel del computer. Mentre mostra sul monitor un’immagine rossa e gialla, con al centro un enorme albero nero, Francesca Sarto, 36 anni, maestra elementare, spiega: “Nei temi assegnati, nei disegni spediti c’era sempre qualcuno da salvare, angoscia per un’esistenza minacciata. Il Corona per gli alunni è stata una prova emotiva più che scolastica”. E una maratona di paradossi: “Prima ripetevamo ai bambini che non dovevano stare troppo allo schermo – dice la maestra – poi abbiamo dovuto persuaderli del contrario”.

Divario digitale. Un esercito di studenti, migranti di 2ª generazione o figli di stranieri, non aveva un pc né l’accesso ad internet. Lo racconta l’insegnante di lingua italiana dell’associazione Matemu, Lapo Vannini, 44 anni, mentre i suoi 2 figli, 7 e 9 anni, sono online contemporaneamente, insieme alla classe e i maestri. In arrivo da Bangladesh, Senegal, Magreb, America Latina: il suo raggio d’azione verso gli studenti è stato ridotto da assenza di dispositivi e connessione, “ma la pandemia poteva essere un’opportunità e per qualcuno lo è stata”.

“La scuola è presenza, darsi il cinque ogni mattina”. Laura Peruzzo, 39 anni, maestra di sostegno dal 2008, stacca e attacca lettere su un quaderno didattico che ha costruito con plastica, colla, velcro adesivo per il suo alunno affetto da autismo. Per raggiungerlo ha fatto ricorso a solidarietà di quartiere e rider, che consegnavano al bambino materiale per i compiti nei giorni del lockdown. “Non eravamo pronti, ma in qualche modo ce l’abbiamo fatta”.

Dal 1999 sta tra i banchi Annalisa Comes, scrittrice e professoressa di letteratura e storia in un liceo romano. “Tutti i miei studenti avevano il mio numero di cellulare, dovevano sapere che c’ero ad ogni ora del giorno”. Sulla scrivania ha quasi cento testi da correggere in arrivo da tre classi mentre suo figlio segue lezioni nella stanza accanto. “Abbiamo lavorato il doppio. Con le immagini sgranate in video non leggevo lo sguardo dei miei ragazzi, ma ho scoperto cose nuove su di loro: alcuni, per esempio, scrivono poesie”. La Dad, didattica a distanza, è stata “l’unico canale rimasto” in quarantena. Microfoni e telecamere erano importanti quanto l’empatia dei prof: “Un problema già esistente e il virus lo ha messo in luce. Non dobbiamo solo insegnare 2 date di storia: è necessario amare, e amare vuol dire combattere per un mondo migliore”. Euforia e stordimento per l’iniziale chiusura dei cancelli di scuola, poi dolore e angoscia perché quei cancelli sono rimasti chiusi: “I ragazzi hanno affrontato emozioni sconosciute”. Mentre sfogliavano paragrafi di epoche passate tra le pagine, si sono accorti di starne vivendo una senza precedenti.

Sotto la sua supervisione hanno organizzato piccole redazioni, prodotto dei giornali per raccontare il mondo afflitto dall’epidemia: “La scuola non deve essere lo specchio della società. Se la società crolla, deve essere motore per cambiarla”. “Prima solo una minoranza del corpo docente era a favore della didattica sperimentale, ma per un’istituzione conservatrice come la scuola italiana la pandemia non è stato necessariamente un male: siamo stati costretti ad innovare” conferma Vincenzo Piccolo, 50 anni, insegnante di italiano e animatore digitale di una scuola media romana.

Che sia stato un test per i professori prima che per gli studenti lo riconosce la sua collega d’istituto Claudia Serani, 34 anni. “I voti in questo contesto sono diventati dettagli del ciclo di apprendimento, offriamo educazione prima che istruzione”. Già da studente tra i banchi di scuola Claudia aveva deciso che in aula lei ci sarebbe rimasta, ma dietro la cattedra. “Voglio che sia chiaro questo: da insegnante mi sono sentita fortunata, per alcuni è cambiato tutto, altri ancora hanno perso il lavoro”. Madre dal 2019, guarda sua figlia mentre gattona verso la porta. “La sua vita è appena iniziata, non ricorderà niente di questi mesi bui. Ora noi usciamo a fare una passeggiata”. Fuori.

Salvate gli archivi pubblici, o l’Italia rischia l’Alzheimer

Inaugurando gli Stati Generali al Casino del Bel Respiro (uno dei capolavori dell’architettura barocca), Giuseppe Conte ha detto di aver scelto quel luogo in “omaggio alla bellezza italiana”, affermando quindi che “nell’ambito di questo progetto rientra anche l’investimento nella ‘bellezza’ del nostro Paese”. Proviamo a credere che non sia solo la solita, insopportabile retorica da grandi occasioni. Proviamo a credere che quell’investimento ci sarà.

Ebbene, se davvero il presidente del Consiglio è pronto a indirizzare verso “il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione” (art. 9 Costituzione) una parte dei capitali che lo Stato riversa e riverserà sul Paese, ha di fronte a sé una via maestra: lanciare la più grande campagna di assunzioni per la cultura della nostra storia, rimettendo in piedi il ministero per i Beni Culturali e Ambientali e il Turismo.

Cominciando dalla più trascurata delle emergenze: la bellezza del nostro Paese sta perdendo la memoria. Perché i suoi archivi, il luogo dove per secoli si è stratificata la nostra identità collettiva e la correlata capacità di organizzare il futuro, stanno morendo. Come ha scritto la storica Maria Pia Donato (in L’archivio del mondo. Quando Napoleone confiscò la storia, Laterza 2019): “La verità è che gli archivi appaiono oggi l’anello debole della tutela del patrimonio. In Italia, in particolare il sistema bibliotecario e archivistico ha subito continui tagli di risorse, con una cronica condizione di sotto-organico e riduzione di orari e servizi. Le varie riforme dei beni culturali e l’entrata in forza dei privati nella loro gestione stendono un’ombra su istituti che, come le biblioteche e gli archivi, non offrono ritorni economici.

Raramente i documenti, specialmente quelli antichi, hanno un valore utilitario o demaniale. Sono persino refrattari alla valorizzazione estetizzante che libri e biblioteche sono ancora capaci di sostenere nella nostra civiltà dell’immagine, nonostante qualche tentativo in tal senso per esporre ‘cimeli’ e ‘capolavori’”.

Ora, anche a causa della crisi del Covid, questa agonia cronica sta per giungere al più funesto degli epiloghi. Negli scorsi giorni la Direzione Generale Archivi ha indirizzato una nota ufficiale al ministro Dario Franceschini che suona come un’ultima chiamata. Vi si legge: “Già nel corso dell’anno 2020 si ha una carenza di 1202 unità di personale, cui si aggiungeranno altre 386 nel prossimo biennio. In sintesi, negli Istituti (cui la pianta organica, ndr) assegna 2784 unità di personale, si registreranno carenze pari a 1588 unità”.

Nel 2022 i funzionari archivisti di Stato (essenziali per aprire le sale di studio) in servizio saranno 279 sui 600 necessari. Già ora, l’età media elevatissima dei custodi impedisce di riaprire cruciali Archivi di Stato: perché la percentuale di quelli che vengono dichiarati “lavoratori fragili” e dunque doverosamente assegnati al lavoro a distanza è in certi casi vicina all’80% del personale disponibile. All’Archivio di Stato di Firenze restano in servizio due custodi, e una situazione analoga colpisce le sedi di Torino, Roma, Napoli. È la memoria dell’intero Paese che diventa inaccessibile, in una sorta di terribile Alzheimer collettivo che rischia di essere irreversibile. Nell’ultima seduta del Consiglio Superiore dei Beni Culturali, la direttrice degli Archivi Anna Maria Buzzi ha detto testualmente: “Siamo allo stremo, non sappiamo fino a che punto potremo reggere”.

Anche i musei sono messi male, nonostante la retorica corrente. Nella stessa riunione, il direttore generale dei Musei Antonio Lampis ha detto che “lo sforzo per riaprire i musei è titanico”. Il 76% dei custodi ha più di sessant’anni, e dunque anche in questo caso i rischi del Covid impediscono loro di riaprire le sale. Lampis è stato molto onesto: ha detto che i musei si reggono su un “obiettivo sfruttamento” dei precari, e che questo “sarebbe il momento di incidere” per cambiare il sistema. E che bisognerebbe anche rivedere il principio per cui i musei si reggono sulla cassa dei biglietti: “Perché non sono ristoranti né supermercati”, ha riconosciuto. Paradossalmente, proprio l’improvvisa caduta in disgrazia dei fratelli ricchi, i musei, potrebbe favorire la presa di coscienza necessaria a salvare gli archivi: è l’intero sistema della cultura che non può veder legata la propria sopravvivenza al flusso di cassa. Perché, proprio come la salute, la cultura è un diritto fondamentale.

In queste ultime ore abbiamo conosciuto molti insospettabili cultori della memoria e della storia, schieratisi in difesa delle statue contestate dal movimento internazionale che lotta contro il razzismo e per i diritti dei discriminati e degli oppressi. È troppo chiedere che tutti coloro che hanno scritto in difesa di statue spesso indifendibili dicano almeno una parola pubblica per la salvezza della nostra memoria collettiva, gli archivi pubblici italiani?

La sai l’ultima?

 

Tesoro, mi sono perso i lingotti: su un treno svizzero dimenticata una valigia con 3 kg d’oro

Può capitare di scordare qualcosa in treno. Occhiali da sole, un libro, se si è molto distratti o sfortunati anche una borsa o una valigia. Ma c’è chi è riuscito a fare molto peggio di così: sul treno da Lucerna a San Gallo, in Svizzera, un fortunato passeggero ha dimenticato una valigetta con dentro tre chili d’oro. Valore complessivo: circa 170mila euro. Il fattaccio in realtà è successo a ottobre, Ma nel frattempo, passati otto mesi, nessuno si è fatto avanti per reclamare lo smarrimento. Doveva trattarsi di una persona molto ricca o molto distratta. Oppure, più probabilmente, tutto quell’oro aveva un’origine non proprio limpidissima. Fatto sta – racconta la Bbc – che in una caserma di Lucerna c’è una borsa con tre chili d’oro che nessuno si è ancora andato a riprendere. Ne danno annuncio le autorità elvetiche, che non sono ancora riuscite a trovare il proprietario. Il quale ha ancora cinque anni per presentarsi alla procura di Lucerna, altrimenti tutto quel ben di dio se lo tiene lo Stato.

 

Sudafrica, un gorilla di 210 chili va a fare una radiografia. Per trasportarlo vengono impiegate 5 persone e un elicottero
Ci sono volute 5 persone, uno sforzo immane, una barella particolarmente capiente e un viaggio in elicottero di 64 chilometri, ma alla fine è andato tutto bene. Un gorilla di 34 anni, pesante 210 chili, è stato trasportato dallo zoo di Johannesburg (Sud Africa) al più vicino ospedale veterinario. Aveva delle “strane crescite” all’interno del naso, delle specie di polipi. Il personale dello zoo, preoccupato per la sua salute, ha stabilito una complessa operazione sanitaria: il bestione doveva essere sottoposto a un “Ct scan”, una tomografia computerizzata, per stabilire la natura del suo problema medico. Così la gigantesca scimmia è stata sedata, caricata su una barella e poi su un elicottero diretto a Pretoria, grazie all’impegno di cinque nerboruti portantini, e infine in qualche modo adagiata sul lettino della radiografia. Tutto ciò succedeva nella prima settimana di giugno, ovviamente in regime di lockdown. Ma ora il gorilla sta bene.

 

I segni del Coronavirus sui ristoranti inglesi: i clienti devono distanziarsi di almeno “15 rustici alla salsiccia”
Anche in Gran Bretagna il Coronavirus ha lasciato strascichi forse indelebili, pure se in questi giorni si inizia a ritrovare un po’ di normalità. Tra i negozi che hanno finalmente rialzato le serrande c’è anche Greggs, una delle principali catene di bakery, pasticceria e prodotti da forno. Anche qui ovviamente bisogna rispettare il distanziamento sociale e in Inghilterra le norme sono pure più rigorose delle nostre: tra una persona e l’altra ci devono essere almeno 2 metri. Ai clienti di Greggs però è stata fornita anche un’altra preziosa chiave di lettura per mantenere la distanza, un nuovo sistema metrico decimale. All’interno dei negozi, infatti, sulle insegne è spiegato un metodo alternativo per calcolare gli spazi: “Please keep 2 metres apart. That’s around 15 sausage rolls”. Traduzione: per favore mantenete due metri di distanza, sono circa 15 rustici alla salsiccia. È la proverbiale ironia british, ma potrebbe funzionare.

 

Flatulenze sulla polizia: un cittadino viennese “colpisce” gli agenti e si becca una multa di 500 euro
È un momento di grandi tensioni sociali. E di conflitto tra la polizia e chi manifesta per i diritti. Non succede solo negli Stati Uniti. In Austria, per esempio, un coraggioso illuminista ha espresso in maniera risoluta ma non violenta il suo dissenso nei confronti delle forze dell’ordine: con una scorreggia. Una protesta di alto profilo morale, nient’affatto gratuita: gli è costata infatti una multa di 500 euro. Ne dà notizia la stampa locale e la stessa polizia viennese su Twitter (ripresa poi da giornali internazionali come The Guardian): l’uomo è stato multato per un peto ritenuto “volontario e provocatorio”. Perché avrebbe “rumorosamente lasciato andare flatulenze intestinali dalle quali la polizia ha avuto difficoltà a difendersi”. Testuali parole. Non c’è dubbio alcuno sul significato politico del peto: il soggetto – si legge nel verbale – “si è alzato da una panchina del parco, ha guardato gli ufficiali e ha generato un’intensa aria intestinale con pieno intento”.

 

Australia, una signora ha vinto il primo premio al gratta e vinci (ma questa è la seconda volta in tre anni)
Chi l’ha detto che i gratta e vinci sono una truffa? Una signora australiana ha appena vinto il jackpot, il primo premio, per la seconda volta in tre anni. La fortunella ha acquistato un bigliettino da 2 dollari e 74 centesimi in una tabaccheria di Melton, (area metropolitana di Melbourne) e dopo pochi minuti ha scoperto di averne vinti quasi 35mila. Il massimo. Niente di male, non fosse che la stessa signora aveva vinto lo stesso premio con lo stesso gratta e vinci solo tre anni prima. In tutto fanno 70mila dollari per un investimento di poco più di 5. La signora non è parsa particolarmente sconvolta, ha detto che era sicura di poter vincere di nuovo. “Avevo la stessa sensazione positiva di quando vinsi la prima volta – ha detto agli ufficiali delle lotterie australiane –. Ero seduta a casa, stavo grattando il bigliettino e ho detto al mio compagno: ‘Mi sento che presto vincerò di nuovo. Ma non pensavo fosse ancora il premio più alto’”. Programmi per il futuro? “Comprerò una nuova lavatrice e un nuovo microonde. Il resto lo metto in banca”.

 

Il titolo della settimana. Libero: “Vendesi salma di Lenin”. La “notizia” è vecchiotta ma è conservata abbastanza bene
Per la rubrica “il titolo della settimana”, i vincitori sono ancora loro, gli spettacolari amici di Libero. Il 19 giugno sul giornale di Feltri compare questa perla: “Vendiamo Lenin per ripianare i debiti da Covid”. Come spiega Libero, il deputato del partito liberal-democratico Zhirinosvsky (populisti di destra) ha proposto al Cremlino di vendere la salma del padre della rivoluzione sovietica. Un’idea supportata da solidi argomenti: “In Francia un uomo d’affari vuole vendere la Gioconda. Noi potremmo fare altrettanto con la mummia di Lenin. Gli acquirenti? Cina, Vietnam o qualche altro paese comunista”. La notizia è splendida. Magari si può discutere sull’autorevolezza di Zhirinovsky, noto saltimbanco della politica russa, famoso per aver promesso una guerra mondiale e una “dittatura brutale” nel caso in cui fosse eletto presidente, oppure per aver invitato due uomini a stuprare una giornalista dopo una domanda scomoda in conferenza stampa. Il suo tweet delirante, peraltro, è vecchio di un mese, risale al 21 maggio. Ma tutto fa brodo.

 

Orgoglio italiano, una ciliegia cresciuta a Treviso pesa 25 grammi: è pronta per entrare nel Guinness dei primati
In un periodo di difficoltà e stenti, finalmente una splendida notizia arriva dalla provincia italiana: abbiamo prodotto una ciliegia veramente grossa. Ce lo racconta La tribuna di Treviso: il frutto raccolto dai fratelli Sebastiano e Selene Zanoni a Paese (nel trevigiano) pesa quasi 25 grammi (per la precisione 24,8). La misura è davvero notevolissima: supera abbondantemente l’attuale primato registrato tra i Guinness World Record che è stato assegnato a una ciliegia cilena di 23,9 grammi. A quanto pare, purtroppo, la nostra ciliegiona non è stata registrata in tempo. Ma i fratelli frutticoltori non si scoraggiano: “Ora l’obiettivo è quello di farsi trovare pronti l’anno prossimo per entrare nel libro dei record”, ha dichiarato Sebastiano Zanoni. “Sarebbe una soddisfazione personale, ma soprattutto un modo per far riassegnare all’Italia questo primato, detenuto già in precedenza”. Speriamo, ci riempirebbe di orgoglio. Come scrive La Tribuna, “nella mano, la ciliegia sembra quasi un’albicocca”.

“Giro in bici l’Italia fatta di cimiteri. E il dolore mi segue”

L’unica curiosità che ha mosso in questi giorni i giornali è stata appurare se Federica Sciarelli fosse o meno in partenza da Chi l’ha visto?, la trasmissione dell’Italia che sparisce per mano violenta o per scelta volontaria. Non parte, e la questione si è dunque chiusa. Invece no.

Il tuo è un programma tv che doveva essere compassionevole ed è divenuto di contropotere.

Sono così intima del dolore altrui da averlo fatto mio. Mi segue, mi accompagna, mi tinge le giornate e anche i pensieri. E scavo, scavo, scavo.

Non sono solo lacrime per i defunti o sparizione di sciagurati, di sventure familiari.

Ma scherzi? Riccardo Magherini aveva quarant’anni, pieno di vita, ed è morto dopo che un carabiniere gli è salito sopra.

Firenze, 2 marzo 2014. I testimoni raccontano di calci e pugni ripetuti all’addome e al volto, di ginocchia che gli segano la carotide, di una violenza inaudita nei confronti di un incensurato in preda ad una crisi di panico.

Per George Floyd si è mosso il mondo, per Magherini nemmeno un colpo di tosse delle istituzioni.

La Cassazione ha annullato senza rinvio la sentenza d’appello che confermava le condanne in primo grado dei carabinieri.

E vogliamo parlare della vicenda Claps, di ciò che di orrendo è stato fatto in quel di Potenza?

La cosiddetta magistratura deferente.

Oppure passare per Arce, nel frusinate, e illustrare la caserma della tortura?

E il caso Vannini?

Non riesco a fermarmi.

Quanta reputazione i giudici perdono ogni volta che vai in onda?

Esiste una Italia degli ultimi a cui spesso è negata giustizia in ragione del censo, del ceto sociale.

Perciò hai chiesto di cambiare aria, e perciò tutti a chiederti: perché?

A me piace la bici e in estate in Sicilia con un gruppo di amici facciamo tragitti anche lunghi, un piccolo tour. La bici mi distende, mi rilassa.

E in bici cosa è accaduto?

Partiamo da Palermo e subito mi viene in mente Giusi Ventimiglia, una giovane donna scomparsa incredibilmente, dopo essere forse persino stata costretta a prostituirsi. Arriviamo a Isola delle Femmine e mi accorgo che è il posto di altre due possibili morti bianche, Stefano e Antonio Maiorana, padre e figlio.

Se somatizzi il dolore, poi divieni parte di esso.

Perciò avrei voluto staccarmene anche se la trasmissione regge il tempo e i miei 16 anni di conduzione non li sento.

Questo è un trattato di psicopatologia del giornalismo.

Se apri il libro della vita degli sventurati, lo inizi a sfogliare e non smetti più. Spesso, purtroppo, queste scomparse non sono solo i destini dei disperati, ma gli esiti di uno Stato che chiude gli occhi dinanzi ai deboli. E io mi incazzo.

Presenti ai telespettatori uno Stato spesso incosciente, oppure annoiato e indolente.

Perciò ti fai carico anche di questioni che potrebbero stare fuori la trasmissione.

Tu vai in bici e ogni luogo ti riporta a un funerale.

Non vedi il mare azzurro, non ti godi lo scoglio, l’orizzonte, la trattoria. Leggi il nome del paese e colleghi.

È pesante.

Capisci perché gestire un’emozione simile sia difficile?

Noi giornalisti dovremmo essere terzi.

Terzi, non omissivi. Perché la morte di Magherini non ha fatto notizia? Perché l’incredibile vicenda della Claps non ha prodotto un subbuglio in Parlamento?

Si commentano sempre i piani alti, poi c’è la toga del pianterreno.

Una giornalista ha il dovere di chiedere verità e di cercarla. Altrimenti non è un programma, ma uno spot.

L’Italia che racconti è così crudele, così sola.

Ma non mi fermo allo scomparso, a fare il vigile urbano, a portare la contabilità. Scavo, e scavo, e scavo.

L’Italia dei cimiteri.

Non solo cimiteri. A volte è grazie a noi che le notizie da brutte si fanno belle.

Da soldato a studioso del fasci-nazismo

Zeev Sternhell, scomparso all’età di 85 anni nella sua casa di Gerusalemme, verrà ricordato come massima autorità mondiale negli studi storici sul fascismo e il pensiero reazionario. Non è poco. Ma la sua biografia e il suo profilo morale fanno di lui una figura ancor più rara e preziosa. Credo sia accaduto di rado che uno studioso raggiungesse simili traguardi nello studio delle ideologie che hanno tragicamente segnato la sua esistenza personale.

Nato nel 1935 a Przemysl, città precarpatica della Polonia orientale, nei pressi del confine con l’Ucraina, già orfano di padre, non aveva ancora 7 anni quando la madre e la sorella furono uccise dai nazisti. Uno zio riuscì a farlo evadere dal ghetto e lo affidò a una famiglia cattolica di Leopoli che lo battezzò. Grazie a loro riuscì a sopravvivere, e nel dopoguerra serviva da chierichetto a Cracovia quando un’opera umanitaria di soccorso agli orfani lo prese in carico trasportandolo in Francia, a Avignone. Fu lì, in collegio, che il piccolo Zeev apprese la tragedia della sua famiglia d’origine e, tornato ebreo a tutti gli effetti per sua scelta, ottenne nel 1951 di emigrare in Israele. Aveva solo 16 anni. Da soldato e da sionista convinto, fece il suo dovere di soldato in difesa dello Stato ebraico, nel mentre intraprendeva i suoi studi storici. Convinto che con la Guerra dei Sei Giorni del 1967 Israele avesse risolto i suoi più urgenti problemi di sicurezza, iniziò a impegnarsi contro la colonizzazione dei territori palestinesi e l’involuzione religiosa del sionismo.

Una militanza che trasse ispirazione dalla sua ambiziosa ricerca sulle radici del fascismo. Le rintracciava nella cultura controrivoluzionaria e antilluminista generatasi per reazione alla svolta epocale del 1789 in Francia. Resta attualissimo, fra i suoi libri tradotti in tutto il mondo, Contro l’illuminismo. Dal XVIII secolo alla guerra fredda. Lì ha individuato il filone di “un’altra modernità, basata sul culto di tutto ciò che distingue e separa gli uomini”, esaltando “il primato della tradizione, dei costumi e dell’appartenenza”. Argomenti che ci restano, ahimè, familiari. “Sarà quest’altra modernità – sostiene Sternhell – a produrre la catastrofe europea del Novecento”. Altrettanto importanti i suoi studi sulla destra rivoluzionaria francese e sulla nascita del fascismo in Italia. Dobbiamo a lui le spiegazioni più convincenti sul ruolo svolto da Mussolini nella propagazione del nazionalismo aggressivo e etnocentrico fuori dai nostri confini.

Insignito nel 2008 del prestigioso Premio Israele, nonostante le sue critiche alle politiche governative, lo stesso anno Zeev Sternell fu ferito da un pacco bomba posto davanti alla sua abitazione da fanatici ultranazionalisti. Ma non si è lasciato intimidire dalle continue minacce.

Fino all’ultimo si è battuto contro il pensiero reazionario che prendeva piede nel paese che aveva contribuito a edificare, prestando la sua autorevole voce ai movimenti pacifisti e cercando interlocutori laici nella sponda palestinese.

Ancora nei giorni scorsi è stato fra i primi firmatari di un appello all’Unione Europea affinché si opponga al piano Trump e alla sciagurata ipotesi di prossima annessione di territori oggi sotto la giurisdizione dell’Anp.

Massa “derossizzata”, daspo al Pd

Forza Italia vuol rendere Massa il primo Comune “de-rossizzato”. Che significa? Vuol dire che sotto al cartello “Massa città per la pace” che adesso accoglie chi arriva in città dall’Aurelia ci potrebbe presto essere presto una nuova insegna: vietato l’ingresso al presidente della Regione Toscana Enrico Rossi. Sembra al massimo una rivisitazione di Don Camillo e Peppone, eppure i forzisti giurano di essere pronti a presentare la proposta in Consiglio Comunale affidandosi al Daspo urbano voluto da Marco Minniti e inasprito poi da Matteo Salvini.

L’idea viene dal presidente del Consiglio comunale massese Stefano Benedetti e dal compagno di partito Giovanbattista Ronchieri, convinti che Rossi, “dopo aver causato tanti danni al territorio”, debba esser tenuto lontano al pari di chi, beccato a delinquere, viene allontanato per motivi di sicurezza: “La nostra proposta, da materializzare attraverso una mozione da presentare nei Consigli Comunali interessati della Provincia, non è una provocazione, ma un modo per dimostrare la nostra contrarietà al presidente della Regione, reo di aver danneggiato fortemente il territorio senza aver mai investito fondi per il rilancio, la riqualificazione e la sicurezza della nostra zona”.

Di qui la segnalazione “alle Forze di Polizia” e il sollecito al sindaco di centrodestra Francesco Persiani, che in base a un decreto legge del 2017 ha poteri di allontanamento in caso di (fondata e comprovata) ragione di sicurezza.

Circostanze che, secondo i forzisti, sono attuali e prevedono “il divieto di avvicinamento a determinati luoghi frequentati da soggetti offesi, in questo caso gli abitanti dei Comuni”. Di più: “Nel frattempo ci faremo carico di far deliberare la de-rossizzazione di Massa con l’apposizione di un cartello all’ingresso e all’uscita con su scritto ‘Comune derossizzato”. Ove mai il progetto andasse in porto, ci sarebbe poi una conseguenza curiosa, come ricordano gli stessi consiglieri massesi: “Tutto ciò per evitare che il personaggio possa venire da noi a fare la campagna elettorale per le regionali”. Un daspo urbano per vincere le elezioni: urge un rinnovo di tutti i manuali di scienze politiche.

Il nuovo fronte di Palamara: denunciato dall’ex capo Anm

Come anticipato ieri dal Fatto Eugenio Albamonte decide di querelare Luca Palamara e il clima interno alla magistratura peggiora di ora in ora. Albamonte è il segretario di Area, corrente togata di sinistra, nonché ex presidente dell’Anm. Palamara – che due giorni fa è stato espulso dall’Anm per gli incontri con Luca Lotti e Cosimo Ferri, all’hotel “Champagne” di Roma il 9 maggio 2019, in cui discutevano il futuro delle procure di Roma e Perugia – ha dichiarato che anche Albamonte frequentava parlamentari del Pd, come Donatella Ferranti, anch’ella magistrata. “Non posso escludere – ha dichiarato Palamara al Fatto – che discutessero anche di nomine giudiziarie”. Ferranti ha già definito le parole di Palamara “illazioni che non meritano commenti”. Albamonte ha affidato la vicenda al suo legale: “Palamara lo ha diffamato – spiega l’avvocato Paolo Galdieri – parlando di fatti mai avvenuti, di non meglio precisate cene tra il mio assistito e l’onorevole Ferranti, già presidente della commissione Giustizia della Camera, nelle quali si sarebbe discusso della nomina del vicepresidente del Csm David Ermini e delle nomine di avvocati generali della Cassazione”.

“Non vediamo cosa ci sia di diffamatorio nelle dichiarazioni del nostro assistito” replicano gli avvocati di Palamara, Benedetto e Mariano Marzocchi Buratti, che insistono su un altro punto: Palamara – al quale è stato negato di parlare dinanzi all’Anm – è stato privato del diritto di difesa. “Non sarò il capro espiatorio di un sistema” avrebbe voluto dire Palamara all’Anm, nell’intervento che aveva preparato, poi diffuso attraverso l’agenzia di stampa Adnkronos. Intervento in cui ha ammesso di aver accettato regole del gioco “sempre più discutibili” nelle quali alcune nomine ai vertici degli uffici giudiziari si sono basate “su logiche di potere”. Palamara rifiuta di essere il solo a pagare perché – sostiene – non avrebbe “mai agito da solo”.

L’Anm replica che, se non ha potuto leggere il suo intervento, dinanzi al Comitato direttivo centrale che ne ha decretato l’espulsione, è perché le regole non lo prevedono: “Mente quando dice che non ha avuto spazio per difendersi: semplicemente lo Statuto non lo prevede”. In passato, aggiunge l’Anm, è stato invece ascoltato dai probiviri. Ma in quell’occasione “non ha mai preso una posizione” sugli incontri “con consiglieri del Csm, parlamentari e imputati”. Il riferimento è agli appuntamenti del maggio 2019 in cui Palamara discuteva delle nomine dei procuratori di Roma e di Perugia con gli allora togati del Csm Luigi Spina, Antonio Lepre, Gianluigi Morlini, Corrado Cartoni e Paolo Criscuoli e i deputati del Pd Cosimo Ferri e Luca Lotti che, peraltro, era ed è tuttora imputato nel procedimento Consip, istruito proprio dalla procura di Roma che lo ha ereditato dai colleghi di Napoli. A questo proposito, però, va precisato che Palamara quando fu ascoltato dai probiviri era ancora indagato a Perugia e non aveva ancora avuto modo di studiare tutti gli atti che lo riguardavano. Avrebbe potuto difendersi ugualmente in quella sede, senza dubbio, ma ha preferito attendere la fine dell’indagine. E proprio all’ascolto degli audio di quelle sere – che non fanno parte delle imputazioni penali – si sta dedicando ora con i suoi legali. La difesa di Palamara ha chiesto copia – finora inutilmente – dei documenti audio anche per difendersi in sede disciplinare dove, in via cautelare, è stato sospeso dalla funzione e dallo stipendio. L’ex presidente dell’Anm sostiene che non sempre le trascrizioni riportino in modo corretto le conversazioni intercettate dal Trojan che aveva infettato il suo telefono.

A Palamara, che lo accusa di essere di essere stato parte del suo “sistema”, replica anche il segretario dell’Anm Giuliano Caputo: “Inventa una realtà che non corrisponde ai fatti” né per incarichi negli uffici giudiziari – per se stesso o altri pm – né per la sua nomina al vertice dell’Anm.

Torna Tele-Salvini: nei talk parla il doppio del premier

Il virus è tornato a circolare. Non è del Covid-19 però che parliamo, ma della presenza mediatica di Salvini che ha ripreso forza dopo un breve periodo di latenza. I focolai di propagazione, per la verità, sono ben individuati, purtroppo appaiono difficili da isolare viste le condizioni del nostro pluralismo televisivo. Passata l’emergenza si torna a replicare un vecchio copione, forse un po’ logoro e stantio a giudicare dai sondaggi.

Il leader della Lega nel mese di maggio, secondo i dati diffusi dall’Agcom da noi rielaborati, raccoglie nelle principali reti quasi nove ore di parlato, di gran lunga più del premier e tutti gli altri politici. Salvini cresce del 40% rispetto ad aprile, a differenza degli altri leader, escluso Berlusconi, che scendono di parecchio. L’ex Cavaliere sale con oltre due ore di parlato, dopo un lungo periodo di silenzio. La sorpresa, scomparso l’indicibile Gallera, sono i due dem Stefano Bonaccini e Francesco Boccia, autentiche new entry del mese, un exploit evidentemente legato alle dispute Regioni-governo non sappiamo quanto replicabile in futuro.

Scivola invece Giorgia Meloni a poco più di tre ore di parlato, un record in negativo per la sorella d’Italia: ad aprile ad esempio le ore erano quasi il doppio, idem a gennaio. E con lei anche Di Maio e Renzi raccolgono tempi di parola inferiori rispetto ad aprile.

In particolare, c’è da sottolineare che la primazia di Salvini trova il suo cluster di diffusione principale nei programmi extra tg delle varie testate: qui parla per otto ore e un quarto, mettendo tra sé e gli altri distanze abissali; Conte ad esempio gode della metà del suo tempo, la Meloni di un terzo, Di Maio di un quarto, Renzi di un quinto. Ma nonostante la super-esposizione, i sondaggi degli ultimi mesi ci dicono che comincia ad esserci una distonia tra la sua comunicazione e l’elettore. Il ciclo del leghista sembra avere da tempo superato il picco e iniziato la discesa. Le sue apparizioni hanno un che di stucchevole e ripetitivo. La comunicazione veloce crea leader che allo stesso modo distrugge, soprattutto quando altri compaiono sulla scena (leggi Meloni). E di eccesso di messaggi si può perire se non si ha alle spalle una visione forte (non lo sono né la rottamazione né la xenofobia). Salvini ieri irresistibile oggi appare sempre più simile a Renzi, bravo a coniugare comunicazione e consenso dal 2012 al 2015, per poi precipitare. E l’ascesa di Salvini è iniziata nel 2017.

La sua supermazia è solo in parte mitigata dalla presenza ancora forte di Conte nei tg. Il premier è particolarmente presente nel Tg1 con 32 minuti di parlato, davanti a Boccia e Salvini (circa 7 minuti), mentre il Tg5, secondo organo d’informazione del Paese, regala a maggio a Berlusconi 21 minuti di parola, più di Conte e il doppio di Salvini. Il caso dell’ex Cavaliere diventa significativo se si rapporta il suo score complessivo al tempo che gli concedono le sue reti: praticamente sovrapponibile. Quindi Berlusconi in questo momento esiste (mediaticamente) grazie alle sue tv.

La cosa diventa ancora più evidente se si guardano i tempi di parola di Forza Italia, scandalosamente sovra-rappresentata sulle reti Mediaset: con il 22% del parlato ottiene infatti visibilità più di qualunque altro soggetto politico o istituzionale, più del governo (14,8%), più del premier (7,6%), dei grillini (13%), della Lega (11%), del Pd (12%). Vedremo se l’Agcom batterà un colpo.

A proposito di Pd: è scomparso Zingaretti. Il leader dei democratici al tavolo tv è un convitato fantasma. La sua presenza è ridotta ai minimi termini anche dopo la guarigione, come testimoniano gli ultimi dati. La cosa in sé potrebbe anche non essere un problema, se il segretario fosse capace di inventarsi una comunicazione alternativa, su altre piazze, magari non mediatiche, possibilità che – anche volendo – comunque oggi non c’è. Se le cose stanno così allora disertare il medium televisivo è un rischio molto alto per un leader di un partito che vuole crescere.

I pareri di Boeri, Massini e Fridays for Future

 

Urbanistica Più verde, meno case obsolete e scuole sempre aperte
Stefano Boeri

“Sono state quattro ore di confronto intenso, senza ingessature o promesse generiche. Io ho portato 5 proposte chiare e attuabili per capitalizzare questa crisi facendone un’opportunità per tutti”. L’architetto e urbanista Stefano Boeri esce dal tavolo degli Stati generali dell’economia con “più speranze” e consapevole che l’Italia debba ripartire dall’ambiente e dalla scuola. “Bisogna investire nella ‘forestazione’ urbana, moltiplicare il numero di alberi nelle nostre città perché è uno strumento efficace, economico e inclusivo. L’Italia con il suo 25% di boschi deve aspirare a diventare un corridoio ecologico”, spiega Boeri. Vanno anche rilanciati i borghi storici, dove spingere sull’industria agro-alimentare e sul turismo. Poi c’è la sostituzione edilizia per ben 4 milioni di case che sono obsolete e non sono sostenibili. “Bisogna avere il coraggio di demolirle e ricostruirle”. Ma per l’archistar si deve puntare anche al ruolo delle scuole in una città che cambia: “Devono essere luoghi centrali, sempre aperti e capaci di ospitare anche gli altri servizi come ambulatori o startup. Ultimo punto: lo spettacolo dal vivo, come il modello inglese del Live Music Act che ha dato lavoro in un anno a 25mila nuove imprese. “Un bel segnale di ossigeno per il settore”.

 

Cultura ora chiediamo dignità: l’arte non è soltanto uno svago
Stefano Massini

“Che cosa ci è successo in questi ultimi mesi? Abbiamo dovuto gestire un’emergenza e durante le emergenze si crea una gerarchia di priorità. Ebbene, fra queste priorità non potevano rientrare, per ragioni sanitarie, i concerti, gli spettacoli, gli eventi dal vivo, le presentazioni di libri”. Lo scrittore Stefano Massini va dritto al punto durante il suo intervento di ieri pomeriggio in rappresentanza del mondo della cultura e dello spettacolo che in questi giorni sta protestando contro la mancanza di una misura in favore dei lavoratori all’interno del dl Rilancio. “Adesso, sulla via di una faticosa ripartenza cosa succederà?”, si chiede Massini. “La cultura chiede in primo luogo di essere nuovamente riconosciuta, di ricevere un battesimo di dignità che la faccia uscire dal perimetro dell’intrattenimento e dello svago. Siamo creatori di finzioni, di storie, inattendibili, fittizie, ma le nostre menzogne – sotto forma di racconto – arricchiscono e danno un senso alla vita di tutti”. Un appello di un settore di così grande rilievo su cui il prermier Conte potrebbe indirizzare parte dei soldi dei fondi europei.

 

Fridays For Future è il momento di un’economia eco-sostenibile
Lavinia F.

“Dopo quest’emergenza Covid, vogliamo un ritorno al futuro. Anche se lo sappiamo che manca un po’ di coraggio e di forza di volontà da parte della politica e delle aziende italiane. Ma noi andiamo avanti”. Lavinia, l’attivista di 14 anni che ha guidato la delegazione dei Fridays for Future racconta così il confronto a Villa Pamphilj con il premier e il governo nel panel dedicato all’ambiente. Risponde al cellulare da una località di montagna. “Sono scappata qui, anche un po’ per riprendermi. Sono soddisfatta dell’incontro con il premier Conte e i ministri Boccia (Affari regionali) e Costa (Ambiente). Siamo riusciti a mettere l’ambiente al centro della scena politica. Ma fino a quando non diventerà una chiave per ripensare la nostra economia, la nostra società, il rischio che corriamo è ancora troppo alto. E di tempo non ne abbiamo”. La transizione ecologica per Fridays for Future resta l’unica strada percorribile per rialzarzi dalla crisi economica e prevenire nuove e più terribili tragedie. “Il Covid – spiega lavinia – ci ha dimostrato che non si può restare sordi ai richiami dell’ambiente. Questo è il momento di ripensare il nostro sistema economico, creando una società nuova, giusta, sostenibile sia dal punto di vista climatico che dal punto di vista sociale”.