Apocalisse. Una delle parole più abusate in questa emergenza pandemica. La agitano, per esempio, tutti gli oppositori a vario titolo del governo Conte, paventando un autunno italiano di miseria nera, rivolte di piazza ed esecutivi salvifici di unità nazionale.
Oppure, con un’interpretazione più letterale del testo biblico, l’Apocalisse è sventolata dalla destra clericale che teme la distruzione della Chiesa a causa della misericordia di papa Francesco, considerato alla stregua dell’Anticristo. E il Coronavirus potrebbe essere uno dei sette sigilli della fine dei tempi, frantumato da Dio come punizione e avvertimento per i “peccati” dell’aborto, della “sodomia”, del matrimonio gay, della teoria gender. Ma l’Apocalisse non è nulla di tutto questo e lo spiega il breve saggio che Giulio Giorello ha scritto poco prima di morire il 15 giugno scorso, per le conseguenze del Covid-19. I libri della Bibbia. Apocalisse. Letto da Giulio Giorello (Piemme, 79 pagine, 12,90 euro) è infatti l’ultima pubblicazione del filosofo milanese, una delle menti più acute e curiose e senza barriere del nostro Paese.
Non è un caso innanzitutto che l’Apocalisse sia il libro conclusivo della Bibbia: racconta della seconda (e definitiva) venuta di Cristo. Si basa sulla visione che ebbe Giovanni l’Evangelista, nonché discepolo prediletto di Gesù, verso il 95 dopo Cristo a Patmos. Il Cielo è governato da Dio in trono, attorniato da “ventiquattro anziani avvolti in candide vesti con corone d’oro sul capo”. Annota il filosofo: “La parola greca Apocalisse, peraltro, non significa alla lettera ‘fine del mondo’ – anzi, fine del vecchio mondo: ‘le cose di prima sono passate’ (21, 4) – ma ‘Rivelazione’. Se il Cantico dei Cantici era il canto sublime più di ogni altro, l’Apocalisse è allora la Rivelazione delle Rivelazioni”.
Pur da ateo ed erede dello “scetticismo illuminista”, Giorello non vuole ridurre a “fuoco fatuo” il “fascino dell’Apocalisse”. Il nodo affascinante quindi è quello della seconda venuta di Cristo. Prosegue: “E chi di noi ‘non sarebbe contento di incontrare di nuovo Gesù Cristo?’. Queste ultime non sono parole del visionario di Patmos, bensì degli uomini che nel Seicento combattevano sotto la guida di Oliver Cromwell per creare la loro ‘repubblica dei santi’ contro un re, una Chiesa (e talvolta un parlamento) corrotti dal demonio e messi al servizio dell’iniquità”. Il tema ossessionò finanche Isaac Newton, “uno dei padri della scienza moderna”.
Esaminate quindi tutte le metafore laiche e anche socialiste sulla caduta della “grande Babilonia”, “la meretrice con cui hanno fornicato i potenti”, Giorello aderisce alla convinzione di Jean Guitton, che disse: “Se esiste un testo sacro ancora attuale (…), quel testo è l’Apocalisse”. Per entrambi un testo “profetico e poetico”, da leggere senza “l’ingiunzione autoritaria” costruita sulla paura e l’intimidazione.
Ed è per questo che Apocalisse diventa una “parola liberatrice”, facendo perno sulla constatazione di Paolo: “Adesso vediamo in modo confuso, come in uno specchio”. “Ma tale confusione, – conclude il filosofo – col giudizio finale, si dissolverà”. Ovunque sia, Giorello adesso ha sciolto l’enigma dell’Apocalisse.